Lo splendore islamico in Europa: la Spagna islamica e mozaraba

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

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Lo splendore islamico in Europa: la Spagna islamica e mozaraba

Simona Artusi

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La dominazione islamica in Spagna ha inizio nel 711, ma è sotto il califfato omayyade (929-1031) che le arti raggiungono un livello di altissima qualità; i califfi sono promotori di uno stile di vita opulento e raffinato, testimoniato da numerosi oggetti di lusso. Nel periodo di declino omayyade i governatori di al-Andalus proclamano la propria autonomia e sono protagonisti di un periodo di produzione artistica prospera; la presa di Toledo del 1085 li costringe ad avvalersi dell’aiuto degli Almoravidi, dinastia berbera alla quale succede quella degli Almohadi. Infine, da rilevare l’apporto dei popoli non musulmani durante questo periodo: una convivencia non facile ma che ha portato a una indubbia interazione culturale.

Al-Andalus: gli Omayyadi di Spagna tra architettura e arti applicate

L’anno 711 rappresenta la data comunemente accettata, benché le fonti siano discordanti, dell’inizio della dominazione islamica nella penisola iberica. Il processo di conquista da parte dei musulmani è una delle imprese militari più veloci ed efficaci del primo periodo della loro espansione territoriale, facilitata dall’indebolimento del regno visigoto, lacerato da lotte intestine, problemi religiosi e attriti con i bizantini. Dopo alcune spedizioni ricognitive provenienti dal nord Africa, i musulmani riescono, con un’armata di origine araba e berbera, a sconfiggere l’armata di Rodrigo a Uadilakko e poi a sottomettere Toledo, la capitale visigota.

Da questo momento viene instaurato nell’area centromeridionale (al-Andalus) un governatorato (711-756) dipendente dal califfato omayyade di Damasco (661-750). Della straordinaria commistione culturale di elementi arabo-islamici (siro-palestinesi, mesopotamici) e berberi con il substrato locale (ispanico, bizantino e tardoromano) risalente a questo primo periodo di formazione non restano significative testimonianze artistiche. Si segnala tuttavia l’esistenza della nuova zecca di al-Andalus: già dal 711 sono battute monete esemplificate sui modelli nordafricani e dal 716 le iscrizioni sono bilingui, in latino e arabo.

Nel 755 arriva in al-Andalus ‘Abd al-Rahman, unico superstite della dinastia omayyade, sfuggito al massacro perpetrato dalla nuova dinastia califfale degli Abbasidi (750-1258) e fonda a Cordova l’emirato indipendente di al-Andalus (759-929) con il sostegno degli immigrati siriani e berberi.

Questo periodo segna l’inizio di una delle stagioni più fortunate dell’arte islamica in Spagna. La costruzione della Grande Moschea di Cordova, eretta per volere dello stesso ‘Abd al-Rahman I, costituisce il suggello della supremazia dinastica.

La trasformazione dell’emirato nel califfato omayyade di Spagna si attua nel 929 sotto ‘Abd al-Rahman III, allorché la situazione politica degli Abbasidi comincia a mostrare i primi segni di crisi. Sotto il califfato omayyade di Spagna (929-1031), in particolare sotto i primi due califfi, le arti raggiungono livelli di altissima qualità.

Tra il 936 e il 940 ‘Abd al-Rahman III, per celebrare il trionfo del suo califfato, fonda Madinat al-Zahra’, una nuova città palatina presso Cordova. Gli organi amministrativi e di governo non sono gli unici a esservi trasferiti, poiché anche la zecca, il centro tessile di stato e dell’artigianato subiscono la medesima sorte. I lavori continuano anche durante il governo di al-Hakam II, ma la costruzione della città non viene terminata. La scelta del luogo, su un altopiano in posizione dominante, testimonia dell’importanza che la nuova capitale deve assumere. Gli scavi, iniziati nei primi anni del Novecento, hanno rivelato una doppia cinta muraria, giardini alimentati da un complesso sistema di canalizzazione e un impianto su tre terrazze, secondo un ordine gerarchico: il livello più alto è occupato dal palazzo califfale, quello mediano dalla moschea principale, dai palazzi del governo e dalle residenze dei dignitari, mentre l’ultimo ospita la medina. Il palazzo califfale è distinto in due settori: quello orientale utilizzato per le cerimonie ufficiali e quello occidentale adibito a zona residenziale.

Degno di nota è il cosiddetto Salon Rico, ambiente di ricevimento eretto da ‘Abd al-Rahman III tra il 953 e 956: dal portico d’ingresso si accede a una sala di pianta basilicale a tre navate, scandite da due arcate longitudinali con archi a ferro di cavallo. La decorazione, che riveste completamente la superficie, è rappresentata da pannelli in marmo e stucco scolpiti in bassorilievo con motivi vegetali. Dalla città proviene un certo numero di caratteristici capitelli in marmo traforato di tipo corinzio, spesso con iscrizioni, che conservano una tradizione risalente al precedente emirato.

Il saccheggio e la distruzione di Madinat al-Zahra’ durante il periodo di guerra civile, fra il 1010 e il 1013, sanciscono la fine della vita della città.

In assenza di una documentazione materiale, sono solo le fonti ad attestare l’esistenza di un’altra città, Madinat al-Zahira, voluta da al-Mansur, il potente primo ministro di Hisham II, che nel 981 vi trasferisce la corte e l’amministrazione.

Anche Toledo è abbellita da numerosi edifici; ne è testimonianza la moschea di Bab Mardum (999), contraddistinta da un impianto di origine iranico-centroasiatica con copertura a nove cupole, caratterizzate all’interno da nervature incrociate (soluzione adottata anche nella moschea di Cordova).

I califfi omayyadi di Spagna sono promotori di uno stile di vita opulento e raffinato testimoniato da numerosi oggetti di lusso. Lo stimolo al patrocinio delle arti deriva dalla volontà di emulare ed eguagliare le produzioni artistiche delle regioni orientali del Mediterraneo. L’aumento dei traffici commerciali con queste ultime favorisce lo scambio e la diffusione di modelli. Ciò fa sì che al-Andalus, in particolar modo le città di Cordova e Madinat al-Zahra’, divengano luogo di produzione e consumo di beni di lusso. I manufatti di maggior pregio sono rappresentati da tessuti, metalli, ceramiche e avori. Fra questi ultimi si annoverano cofanetti e pissidi intagliati, utilizzati come contenitori di essenze profumate. Gli ornati sono sia epigrafici, in caratteri arabi di stile cufico, sia figurati; a questi si aggiungono solitamente motivi vegetali che risentono dell’influenza dell’arte tardoantica orientale, in particolare di quella bizantina. Al Museo del Louvre di Parigi (inv. AI4068) si conserva una pisside con un’iscrizione che fornisce il nome del destinatario (al-Mughira, figlio del califfo ‘Abd al-Rahman III) e consente di risalire alla datazione (968).

Se in un primo periodo i tessuti vengono importati in al-Andalus dall’Egitto, dall’Iran e da Bisanzio, Cordova dà avvio, sotto il califfato omayyade, alla produzione serica. Da questo momento in poi l’arte tessile assume un ruolo di primaria importanza, confermato dall’abbondante circolazione ed esportazione di stoffe in tutto il bacino del Mediterraneo. Queste ultime, note con il nome di tiraz (in seta, lana o cotone) e realizzate nelle officine califfali, presentano ornati di tradizione sasanide e bizantina, con motivi decorativi per lo più zoomorfi (quadrupedi o uccelli) entro cornici epigrafiche.

Fra i principali oggetti metallici si segnalano il celebre cofanetto d’argento, dorato e niellato, di Hisham II datato al 976 (Tesoro della Cattedrale di Gerona, inv. 64), il getto di fontana a forma di cervo (Museo Archeologico Provinciale di Cordova, inv. 500) e altri oggetti in bronzo (mortai e candelabri).

La produzione ceramica di questo periodo è caratterizzata da forme diverse quali piatti, vassoi, coppe, forme chiuse e lampade. Le tecniche utilizzate sono soprattutto quelle della pittura a lustro metallico (i colori sono ossidi metallici applicati sulla superficie invetriata e sottoposti a cottura riducente) e in verde e bruno su smalto bianco; gli ornati sono spesso epigrafici, ma anche vegetali e zoomorfi.

I re di Taifa e le dinastie degli Almoravidi e degli Almohadi

Tra il 1010 e il 1013 gli attriti tra gruppi etnici diversi, soprattutto tra Arabi e Berberi, scatenano un periodo di guerra civile (fitna) che porta gradualmente al collasso del califfato omayyade.

Tale situazione favorisce alcuni governatori di al-Andalus, i quali non esitano a proclamare la loro autonomia. Essi passano alla storia con il nome di muluk al-tawa’if, re di Taifa (1031-1086). Il decentramento del potere non affievolisce l’evoluzione della cultura che, al contrario, ne trae giovamento. Gli edifici più significativi vengono eretti sotto i regni dei Banu Hammud di Malaga (1010-1057) e dei Banu Hud di Saragozza (1040-1110): si ricordano rispettivamente il palazzo dell’Alcazaba, dall’aspetto fortificato (l’interno è caratterizzato da una ricca decorazione in stucco), e il palazzo dell’Aljafería. Quest’ultimo, costruito dal re al-Muqtadir, presenta una struttura progettata all’esterno come una solida fortezza, probabilmente per essere in grado di contrastare la crescente aggressività cristiana, mentre l’interno si sviluppa attorno a una corte centrale; la moschea palatina ha un’insolita pianta ottagonale. La decorazione del palazzo raggiunge il suo apice negli archi intrecciati che si affacciano sulla corte, completamente rivestiti di stucco.

La produzione fittile dell’XI secolo è una delle più prospere: oltre all’impiego di ceramica dipinta in verde e bruno, e a lustro, emerge la tecnica della pittura a cuerda seca, in cui i contorni degli ornati sono costituiti da un impasto a base di manganese e grassi che non consentono ai colori di mescolarsi.

Di recente gli studiosi tendono ad attribuire al periodo dei re di Taifa la grande scultura bronzea, rappresentante un grifone (probabile getto di fontana), un tempo svettante sul tetto del duomo di Pisa e oggi conservata presso il Museo dell’Opera del Duomo della città.

La presa di Toledo nel 1085 da parte dei cristiani costringe i re di Taifa ad avvalersi dell’aiuto degli Almoravidi (1059-1147), dinastia berbera che da poco aveva imposto la propria egemonia sul Nord Africa. Questi ultimi fermano a Zallaqa (1086) l’avanzata cristiana e pochi decenni dopo riuniscono sotto la loro egida la maggior parte dei possedimenti dei re di Taifa. La cultura riprende nuovo vigore nelle arti e in particolare in quelle industriali. Fra queste spicca la produzione tessile, il cui centro più attivo è la città di Almería. L’analisi dei numerosi esemplari rimasti ha consentito agli specialisti di ricostruirne le caratteristiche tecniche e iconografiche. Larghi medaglioni perlati racchiudono coppie di animali (leoni, arpie, sfingi e grifoni). Sulla famosa casula in fili di seta e oro di san Juan de Ortega, nella chiesa parrocchiale di Quintanaortuño (Burgos) un’iscrizione in arabo conferma la provenienza spagnola della stoffa, datandola al periodo dell’almoravide ‘Ali ibn Yusuf.

Agli Almoravidi succedono gli Almohadi (1147-1269), anch’essi una tribù berbera del Nord Africa, i quali estendono il loro dominio sui territori iberici. In al-Andalus devono far fronte alla minaccia cristiana e, pur trionfando nella battaglia di Alarcos nel 1195, vengono definitivamente sconfitti a Las Navas de Tolosa nel 1212. Siviglia viene scelta come capitale amministrativa (anche se Cordova detiene il ruolo di capitale culturale) e abbellita da sontuosi edifici. Basti ricordare la Grande Moschea, ampiamente menzionata nelle fonti, eretta per volere di Abu Ya‘qub Yusuf nel 1172. Dell’edificio originario, a pianta rettangolare con sala di preghiera ipostila e corte porticata, oggi rimane il minareto, la Giralda (gli esempi più vicini e coevi sono rappresentati dai minareti della moschea Kutubiyya a Marrakesh e della moschea di Hasan a Rabat). Altri edifici di origine islamica sono l’Alcazar, modificato nella rielaborazione trecentesca di Pedro I, e la Torre del Oro, lungo il prolungamento della cinta muraria dell’Alcazar fino al Guadalquivir.

La manifattura tessile del periodo almohade continua la tradizione almoravide, anche se gli ornati diventano prevalentemente geometrici ed epigrafici. L’arte libraria è ben rappresentata nei Corani per i quali è impiegata la caratteristica scrittura andalusi. Viene attribuito alla Spagna di questo periodo un unico manoscritto illustrato, il romanzo di Bayad e Riyad (Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Ar. 368).

Frammenti di pittura figurata rinvenuti negli scavi di un palazzo islamico post-almohade (XII secolo), oggi incorporato nel monastero di Santa Clara la Real a Murcia, testimoniano della circolazione di modelli comuni a tutta l’area mediterranea (Egitto, il territorio dell’attuale Algeria, Palermo e Costantinopoli).

L’ultimo grande esempio di arte islamica in Spagna è rappresentato dalla Alhambra di Granada. Nel 1238 la dinastia dei Nasridi occupa la città di Granada e, grazie al pagamento di cospicui tributi al regno di Castiglia, è in grado di governare fino al 1492. Il palazzo dell’Alhambra, residenza della corte nasride, è oggetto di numerose fasi di edificazione; quelle più importanti sono patrocinate da Yusuf I e da Muhammad V, la cui figura è dipinta, assieme a quella dei suoi nove antenati, nella volta della Sala della Giustizia. La struttura, immersa in giardini, si sviluppa attorno a un nucleo centrale costituito da due grandi corti: la Corte dei Mirti e la Corte dei Leoni. Sulla prima si affacciano gli ambienti di ricevimento, caratterizzati da un’intricata successione di sale di diverse dimensioni; sulla seconda gli appartamenti privati. Entrambe sono abbellite da fontane che creano notevoli effetti d’acqua. La decorazione architettonica utilizza lo stucco dorato e policromo, con elaborati ornati vegetali, geometrici ed epigrafici, abbinato al mosaico ceramico. La parte più straordinaria è rappresentata dalla Sala delle Due Sorelle e dalla Sala degli Abenserragi che si aprono direttamente sulla Corte dei Leoni.

Un complesso residenziale di campagna a Granada che ha subito numerose modifiche dopo la riconquista cristiana è il Generalife (jannan al-arif), che si compone di più corpi di fabbrica con decorazioni risalenti al 1319 sotto il regno del nasride Ismail I.

Un esempio eccezionale di caravanserraglio urbano nella Spagna islamica è rappresentato dal cosiddetto Corral del Carbon, a Granada, risalente probabilmente al XIV secolo.

Caratteristici della produzione ceramica nasride sono i cosiddetti “vasi Alhambra”, di grandi dimensioni con anse verticali in forma di ali, generalmente dipinti a lustro metallico e con ornati vegetali, epigrafici e talvolta figurati, i cui prototipi morfologici risalgono al periodo califfale. È peraltro da segnalare un’abbondante produzione di coppe e piatti a lustro metallico provenienti dalle città di Valenza e Manises.

La caduta di Granada per mano di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona decreta la fine della dominazione islamica in Spagna.

La Spagna mozaraba: chiese cristiane con influssi islamici

Durante i secoli di dominazione islamica in Spagna le altre religioni monoteistiche, quella cristiana e quella ebraica, partecipano e contribuiscono allo sviluppo della cultura e delle arti del tempo.

Il periodo di convivencia tra questi popoli non è stato facile e privo di scontri, a differenza di quanto è stato spesso ipotizzato; tuttavia è innegabile che un’interazione culturale sia avvenuta. Con il termine “mozarabi” si suole indicare quegli abitanti di al-Andalus di fede cristiana che, in accordo con i musulmani, hanno ricevuto il permesso di esercitare la propria religione.

L’arte mozaraba si sviluppa sia precedentemente sia contemporaneamente al califfato di Cordova e ha termine nella prima metà dell’XI secolo. L’architettura prolunga la tradizione artistica visigota, ma allo stesso tempo è permeata da influssi islamici. Seguendo la tradizione visigota, le chiese mancano di uniformità planimetrica. Se, tra gli edifici religiosi precedenti al califfato cordovano, la chiesa rupestre di Bobastro (899), sulle montagne di Malaga, conserva l’impianto basilicale cristiano a tre navate, la pianta cruciforme della chiesa di Santa Maria Melque (932?), nella regione di Toledo, non si discosta invece dai prototipi visigoti.

Le chiese erette fuori dall’area islamizzata di al-Andalus rappresentano l’aspetto più ricco ed evoluto dell’architettura mozaraba. Le maestranze, seguendo le esuli comunità monastiche, provengono da grandi centri quali Cordova e Toledo. Fra le chiese più notevoli si annoverano quelle di San Miguel di Escalada (terminata nel 913) e di Santiago di Peñalba (937), e la Cappella di San Miguel di Celanova (940). Deriva dalla cultura artistica islamica l’uso innovativo, a San Miguel di Escalada, sia di pilastri con semicolonne addossate da cui si dipartono archi a ferro di cavallo, sia delle sottogronde ornate da medaglioni polilobati con motivi floreali.

Delle chiese coeve al califfato di Cordova sono da segnalare quella di San Millán de la Cogólla de Suso, con volte a nervature incrociate come nella Grande Moschea di Cordova, e l’eremitaggio di San Baudel di Berlanga con archi di impostazione islamica.

Un’espressione artistica particolarmente rappresentativa è costituita dai manoscritti redatti da monaci artisti. L’unico esempio di manoscritto del X secolo è la Bibbia terminata a Cordova nel 988 (Biblioteca Nacional, Madrid, ms. Vit. 13-1). Nel Commentario al Salterio prodotto nel 980 presso lo scriptorium di San Millán de la Cogólla (Real Academia de La Historia, Madrid) i pittori mozarabi si ispirano all’arte islamica nella composizione di alcune iniziali (ad esempio, nel raggruppamento di due grandi stambecchi e due cani ai lati di un albero – iniziale A, fol. 124v).

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