Lo sport e la fotografia

Enciclopedia dello Sport (2003)

Lo sport e la fotografia

Pier Francesco Frillici

Le origini della fotografia sportiva

La prima fotografia di genere sportivo è datata 1855: di provenienza ignota, è conservata presso la Royal Library di Windsor. L'immagine, offuscata dalla patina del tempo, mostra due pugili, a torso nudo, pronti al combattimento. Sono circondati da un gruppo di spettatori curiosi, affascinati dal carattere insolito dell'evento. I due boxeur si fronteggiano, esibiscono con stile misurato ed elegante la posizione di guardia, così come prescrive il codice atletico del tempo. A ben guardare non sembra che stiano disputando un match ufficiale, ma piuttosto che si stiano dilettando in una specie di intrattenimento durante una pausa dal lavoro.

A due anni dopo risale la prima immagine di un autore molto conosciuto all'epoca: si tratta di Roger Fenton, fotografo passato alla storia per aver scattato il primo reportage dal fronte di guerra in Crimea per l'Illustrated London News, ma che negli stessi anni dedica la passione per la fotografia all'illustrazione della vita quotidiana. I suoi temi preferiti sono scenette piacevoli e garbate, anche se di gusto un po' oleografico, riguardanti l'aristocrazia anglosassone. Tra di esse è stata rinvenuta la prima panoramica di una partita di cricket, sport allora molto in voga tra la nobiltà britannica e sicuramente il più popolare nel Regno Unito.

Reca la data del 1857 anche una bella foto, anonima, ma di provenienza statunitense, scattata ai giocatori del Knickerbocker Base Ball Club prima di un incontro. Va detto che in questi anni la vera patria dello sport è l'Inghilterra, terra natale di Henry Fox Talbot, l'inventore della fotografia moderna, e soprattutto il paese dove l'attività sportiva viene inserita nell'istruzione scolastica e divulgata attraverso manuali e libri illustrati da fotografie. Le ragioni di questo primato sono strettamente collegate al sistema economico e sociale anglosassone, il primo a diffondere la cultura del tempo libero come conquista di una politica liberale e a teorizzare modelli educativi in cui l'attività fisica detiene un ruolo pedagogico determinante per il progresso del paese. Non è un caso se le discipline sportive riscuotono interesse e attenzione sempre crescenti tra la gente.

La prima fotografia dello sport simbolo del Regno Unito, il calcio, non tarda ad arrivare. Nel 1868 viene fotografata una squadra composta interamente da funzionari della Royal Engineers. A dieci anni dopo, nel 1887, risalgono le prime foto di calcio in azione realizzate durante la finale della Coppa d'Inghilterra fra Aston Villa e West Bromwich. Sempre nello stesso anno, allo stadio di Lilliebridge, vicino Londra, avviene la prima invasione di campo storicamente documentata. Una folla di spettatori inferociti dilaga nel terreno di gioco, perché l'assenza di una delle due squadre impedisce lo svolgimento dell'incontro, facendo così perdere migliaia di sterline agli scommettitori: un tragico presagio sulle vicende del calcio futuro.

La conquista del movimento

Nel giro di vent'anni tutto lo sport verrà raccontato attraverso le immagini. Tuttavia, la fotografia sportiva sarà molto diversa da quella di oggi ‒ fatta di corse, salti, gesti atletici, movimenti dinamici e scattanti ‒, restando, nella maggior parte dei casi, una messa in scena di pose retoriche e statuarie. Perché le cose cambino l'immagine statica dovrà rispondere alla sfida lanciata dalla velocità. Bisogna aspettare l'arrivo delle sperimentazioni scientifiche che bloccheranno lo scorrere del tempo in istanti via via più brevi, adatti alla percezione del movimento. Un pioniere degli studi in questo campo è, senza dubbio, Eadweard Muybridge. Nel 1878 egli propone la dimostrazione tecnica di come avviene oggettivamente la corsa di un cavallo su pista. La locomozione viene suddivisa in posizioni cronometriche progressive da una batteria lineare di 12 apparecchi fotografici i cui otturatori, attivati meccanicamente dal passaggio dell'animale, raggiungono una velocità di ripresa pari a 1/1000 di secondo. La celebre sequenza di Muybridge riscuote un successo sensazionale. Compare sulla copertina di un'eminente rivista scientifica, lo Scientific American del 19 ottobre 1878, e dà il via a tutta una serie di esperimenti analoghi che risolvono dubbi e perplessità fino ad allora dominanti nella rappresentazione del movimento. Le esperienze del fotografo americano trovano un approfondimento nelle ricerche del prussiano Ottomar Anschütz e del medico francese Étienne-Jules Marey. Quest'ultimo, nel 1882, utilizza per la prima volta il fucile fotografico, un dispositivo a orologeria munito di otturatore rotante e lastra fotosensibile che gira su sé stessa. Il marchingegno deriva dal cannocchiale astronomico con cui Jules Janssen aveva osservato il transito del pianeta Venere davanti al Sole. Marey se ne serve per esaminare le fasi del volo degli uccelli apportando numerosi perfezionamenti alle teorie aerodinamiche del tempo. Nel 1884 anche il pittore e fotografo americano Thomas Eakins si dedica agli studi sul movimento introducendo la tecnica della strobofotografia. Partendo dai risultati di Marey, Eakins si prefigge di descrivere la dinamica dei corpi non più con una sequenza analitica ma, in modo sintetico, in un'unica immagine. Anziché i numerosi apparecchi in linea di Muybridge, o i complicati revolver di Marey, prende una lastra fotosensibile sulla quale, mediante un disco forato in rotazione davanti a un obiettivo, registra le fasi salienti dell'azione. La scomposizione è più discreta e parziale, ma offre una visione completa e sistematica dei particolari.

Dopo il 1878, grazie al perfezionamento dell'istantanea e l'impiego di nuove emulsioni come la gelatina al bromuro d'argento, gli appassionati di fotografia possono cimentarsi con tutti gli sport e catturarne i gesti significativi, i momenti culminati. L'atletica sarà il tema fotografico più adatto alle esercitazioni degli 'allievi di Muybridge', specie nell'individuazione del cosiddetto 'punto morto', quando, cioè, la visione della macchina congela l'attimo di estrema tensione muscolare durante uno scatto o della massima sospensione di un corpo in volo.

L'alba di una nuova era

La concezione dello sport inteso non solo come salutare esercizio ginnico o nobile competizione agonistica in cui dimostrare il proprio valore e le proprie virtù morali, ma anche come sfida rivolta al miglioramento e al progressivo superamento dei propri limiti umani, non poteva che affermarsi alla fine del 19° secolo, un'epoca in cui il mondo occidentale, forte dei suoi apparati tecnologico-industriali, si sente temerario e ardito come mai prima di allora e soprattutto deciso a stabilire un dominio assoluto sulla natura. La conquista dell'aria, l'esplorazione di recondite profondità marine, la scoperta di ambienti naturali prima inaccessibili sono le tappe cruciali di un viaggio avventuroso a cui, attraverso i resoconti fotografici, possono partecipare virtualmente anche quelli che restano a casa. La passione per il volo apre nuovi orizzonti all'esperienza umana e introduce nuovi punti di vista sul mondo, come aveva saputo preconizzare il grande Nadar (Gaspard-Félix Tournachon) quando, nel 1858, scopriva una Parigi ignota dall'alto di un pallone aerostatico. Da allora nuove imprese e nuovi traguardi avrebbero esteso le frontiere della conoscenza, anche se, spesso, a caro prezzo. Alla fine del secolo la giovane avventura aeronautica culmina nella tragedia dell'ingegnere tedesco Otto Lilienthal, precipitato senza scampo dopo una delle sue mirabolanti acrobazie di volo a vela.

La fotografia condivide le sue fortune con la diffusione dell'alpinismo moderno. Il nuovo mezzo insegue le impronte lasciate dall'uomo lungo impervie pareti rocciose o a ridosso delle dorsali innevate, sfidando ostacoli insidiosi e spesso mortali, ma al tempo stesso con il desiderio di vivere avventure affascinanti. I fratelli francesi Louis-Auguste e Auguste-Rosalie Bisson, armati di pesanti apparecchiature, si accodano alla spedizione voluta dall'imperatore Napoleone III e dalla sua consorte Eugenia sulla vetta del Monte Bianco, mentre l'italiano Vittorio Sella, alpinista di professione, viaggia per il mondo al fianco di esploratori leggendari come il duca degli Abruzzi e, in un ventennio di febbrile attività, raccoglie un vastissimo repertorio fotografico di cime e catene montuose. Ai record di altitudine sulle terre emerse seguono di pari passo i primati conseguiti in fondo agli abissi marini. Risale al 1893 una delle prime fotografie subacquee della storia. È realizzata dal francese Louis Boutan con l'ausilio di una macchina a tenuta stagna progettata nel 1856 dall'inglese William Thompson. Boutan si immerge a sei metri di profondità nella baia di Weymouth e riesce a risolvere i problemi di visibilità causati dall'acqua, che sotto i dieci metri assorbe i 7/8 della luce solare di superficie, costruendo un rudimentale sistema di illuminazione artificiale subacqueo. Mediante contatto elettrico innesca una spirale di polvere di magnesio contenuta in un pallone di vetro ricolmo di ossigeno. Nel 1899 Boutan perfeziona la sua invenzione riuscendo a ottenere immagini nitide all'eccezionale profondità di 90 m.

La fin du siècle vede tutte le discipline sportive in lizza per accaparrarsi una testimonianza fotografica. Seguendo uno dei celebri slogan premonitori di George Eastman, creatore della Kodak, "ogni foto non scattata è un ricordo che non c'è", anche lo sport entra nella memoria della gente. Nel 1890 il ciclismo fa la sua comparsa nella storia della fotografia sportiva a opera di George Barker, pioniere americano dell'istantanea. Nello stesso anno vengono scattate le prime due foto di una partita di rugby, con protagoniste le squadre militari della Marina e dell'Esercito britannici. Nel 1891 arriva all'appuntamento con la fotografia anche il basket: il celebre college YMCA di Springfield si fa fotografare in gruppo. Il 1894 è l'anno dell'esordio ufficiale delle gare automobilistiche: la Parigi-Rouen, mitica 'passeggiata' di 126 km, e l'altra 'classica', la Parigi-Bordeaux e ritorno, spietato tour de force di 1200 km. Tramonta così la preistoria dello sport e si apre una nuova pagina sull'età contemporanea.

Il secolo dello sport

All'inizio del Novecento soltanto pochi fra gli sport attuali si sono già affermati. Gli spettacoli miliardari della nostra epoca sono di là da venire e anche i grandi eventi sportivi come le Olimpiadi restano confinati nei campi del divertimento e del tempo libero. Parallelamente, se è vero che lo sport non ha ancora assunto i caratteri attuali, è altrettanto vero che la fotografia sportiva non è la pratica che conosciamo oggi. Appena nata, ha dovuto prendere in prestito i modelli della pittura, i cliché del ritratto artistico in studio e la tradizione del vedutismo ottocentesco. Le immagini più comuni e diffuse all'alba del 20° secolo sono quadretti di gruppo o ritratti in posa, oppure panoramiche dei campi da gioco. Non si parla ancora di specializzazione nel genere sportivo e chi se ne occupa non può eludere l'imitazione dell'arte figurativa. D'altronde, la costituzione ufficiale della figura professionale del fotografo sportivo avverrà solo molto più tardi.

A dire il vero, i primi segnali di un cambiamento si erano avvertiti alla fine dell'Ottocento, quando la crescente popolarità delle pratiche sportive aveva obbligato la stampa editoriale a concedere spazi sempre più ampi alle immagini dei personaggi che spopolavano tra il pubblico dei lettori. La fotografia certamente non aveva ancora un ruolo di primo piano all'interno delle cronache ma, spinta dall'inarrestabile crescita della notorietà dei campioni, stava aumentando in importanza e diffusione. Di lì a poco sarebbe diventata la risorsa più prolifica per la commercializzazione dell'informazione e delle notizie.

Nel 1896 viene disputata ad Atene la prima edizione dei Giochi Olimpici. Lo spirito dell'antica Grecia risorge ad opera del barone Pierre de Coubertin, ideatore della manifestazione. Il primo appuntamento passa quasi inosservato tanto da rappresentare un episodio culturalmente irrilevante a confronto di quanto accade invece 12 anni dopo. Le Olimpiadi di Londra del 1908 rappresentano infatti una stagione d'avanguardia nella storia dello sport. Come nella cultura contemporanea fa il suo ingresso la vita quotidiana, provocando una frattura profonda con il passato e la tradizione che la bandivano dal dominio delle arti, così nello sport si profilano la rinuncia dell'appartenenza al club dell'aristocrazia e la decisione di aprire le porte all'uomo qualunque, al piccolo borghese di provincia per proiettarlo nell'Olimpo delle star intramontabili. Basti citare l'ormai memorabile epilogo della gara di maratona, animato da un protagonista eroico, Dorando Pietri. Le immagini fotografiche giunte fino a noi hanno conservato e tramandato il fascino di un evento divenuto una leggenda nello sport universale. L'italiano taglia per primo il traguardo, ma viene immediatamente squalificato perché durante l'ultimo giro, a causa di continui svenimenti, è stato soccorso da alcuni ufficiali di gara. L'irregolarità dell'intervento gli fa perdere la medaglia d'oro che passa all'americano John Hayes, arrivato secondo. Ancora oggi però Pietri resta per tutti il vero vincitore. La celebre fotografia che lo ritrae mentre supera stremato la linea d'arrivo ha fatto il giro del mondo e ha consegnato alle generazioni successive il volto più autentico di una rivoluzione culturale.

Negli anni a ridosso della Grande guerra l'immaginario popolare si arricchisce di nuove icone e nuovi miti. Il pubblico rivela passione ed entusiasmo per le grandi imprese, per i personaggi temerari e impavidi. Dopo la conquista di cime rocciose e dopo le traversate transoceaniche a bordo di aeroplani rudimentali, esplodono le irriducibili battaglie a cavallo delle due ruote o a bordo di bolidi di metallo. Inizia l'era del Tour de France e dei Grand Prix dell'automobilismo.

Nei primi anni del secolo gli appassionati di fotografia scoprono il piacere dell'istantanea. Nasce l'antenata della Leica 35 mm, la Kodak 'Brownie', macchina portatile di piccole dimensioni, accessibile a tutti, amatori e dilettanti. La pratica dell'istantanea diviene l'attitudine principale della fotografia all'aperto.

Il giovane Jacques Henri Lartigue, nato nel 1894, ne è un promotore. Da attento testimone della sua epoca sa captare gli influssi della svolta tecnologica imminente, in cui uomo e macchina si coalizzano per lanciare la sfida alla natura. Nel 1900 una Panhard francese vince la prima corsa automobilistica internazionale arrivando alla straordinaria velocità media di 60 km/h tra Parigi e Lione. Tre anni dopo, uno dei fratelli Wright, Wilbur, sorvola per 59 secondi le dune di Kitty Hawk nella Carolina del Nord con un aereo fatto in casa. Lartigue non resta immune da queste imprese contagiose, anzi, ne viene totalmente coinvolto, tanto da dover a tutti i costi presenziare a ogni episodio in cui ci sia qualcuno che tenti di andare oltre i propri limiti. A sigillo dell'amore sconfinato per la fotografia sportiva ci ha lasciato una immagine famosissima, scattata al Grand Prix de l'Automobile Club de France. Siamo nel 1912 e la curiosa 'ovalizzazione' della coda della vettura in corsa è ottenuta grazie a un particolare tipo di otturatore usato in modo geniale dal giovane francese. Una stretta fessura sul piano focale si sposta rapidamente sulla lastra come una tendina tirata. Le parti componenti la scena vengono registrate una frazione di secondo dopo essere avvenute. Gli spettatori sembrano inclinarsi di lato e la ruota contrarsi come un elastico. Lartigue ha inventato un nuovo metodo di ripresa 'muovendosi' con il visore all'inseguimento dell'auto in fuga. Farà scuola. Il fotografo non è l'unico ad avvertire la connivenza tra scienza e nuove tecnologie: anche le immagini dei futuristi, nei medesimi anni, sono caratterizzate dal fenomeno della deformazione plastica causata dall'accelerazione.

Durante il secondo decennio del secolo la fotografia interpreta lo sport come attività da esercitarsi all'aria aperta. André Kertész, contemporaneo di Lartigue, è il primo fotografo ungherese a ritrarre alcuni giochi all'aperto dove sono protagonisti i suoi amici e familiari. Un altro ungherese, amante della fotografia sportiva, è Martin Munkácsi, meglio noto al grande pubblico come fotografo di pubblicità e di moda. Ma da grande appassionato di calcio, incornicia le azioni e i gesti atletici dei giocatori durante le partite della squadra nazionale. I suoi scatti indimenticabili celebrano la patria all'apice della gloria sportiva. In maniera altrettanto appassionata racconta gli scontri calcistici tra Ungheria e Austria l'austriaco Lothar Rübelt, ex-atleta olimpionico che, abbandonata la carriera sportiva, fonda l'agenzia di stampa Phot-Rübelt. Due grandi nomi per due grandi nazionali allora sovrane del mondo del calcio. Sono anni in cui i giornali accolgono a braccia aperte le mirabolanti imprese dei beniamini del pubblico: così fa l'A.Z. Sport con Munkácsi, oppure lo Schweitzer Illustrierte con Lothar Jeck, fotografo di Basilea autore del primo reportage completo su una competizione sportiva. La stampa illustrata diventa il terreno di crescita più fertile per tutte le ricerche fotografiche dedite all'istantanea, l'espressione più profonda del senso dello sport.

Nella prima metà del 20° secolo il dominio della cultura d'avanguardia, allargato alla storia dello sport, si coniuga al ruolo cardine avuto dall'ideologia politica nella realizzazione di progetti e speranze per la società futura. Il movimento costruttivista russo e il Bauhaus tedesco mirano alla fondazione di una società civile che scaturisca dalla rivoluzionaria integrazione fra estetica e tecnologia, fra arti e industria. La sperimentazione tecnica è alla base del progetto di costituzione di nuovi linguaggi e nuovi modelli educativi. Nel caso del linguaggio visivo si deve ripartire da zero riformulando i principi grammaticali di base. Teoria e tecnica, se opportunamente gestite, possono definire il codice che interpreta le relazioni tra l'osservatore e la realtà. Willy Baumeister, uno degli artisti fotografi più ortodossi alla dottrina neoplastica, ne fornisce una dimostrazione applicata allo sport con una serie di fotocomposizioni in stile costruttivista-cubista. Lo seguono, dall'Italia, i futuristi di seconda generazione, Vinicio Paladini e Bruno Munari. Se si parla di rinnovamento fotografico non si può omettere il nome di August Sander il quale, senza guidare la ricerca all'indirizzo dell'astrazione ma, al contrario, sempre rivolgendosi al mondo esterno con uno sguardo iperoggettivo, ci offre prove esemplari di fotografia sportiva, ottenute con la medesima qualità scientifico-analitica dei dettagli e delle pose che contraddistingue tutta la sua opera di classificazione sociale.

La guerra interrompe tutte le attività sportive dei paesi in conflitto, ma contribuisce all'apertura di nuovi rapporti sociali senza pregiudizi di classe o di sesso infondendo nella gente, attraverso lo sport, la volontà di far rinascere uno spirito di cooperazione e di solidarietà. Nascono nuovi giochi e nuove manifestazioni, ma risorgono soprattutto i vecchi, a conferma di un senso del piacere ritrovato, di un divertimento senza frontiere e di un ritorno ai valori della vita.

Negli anni Trenta la crisi economica internazionale imperversa disseminando povertà ed epidemie letali. I governi si convincono a promuovere politiche sociali rivolte alle famiglie con lo scopo di migliorarne le condizioni elementari di igiene e di alimentazione. I provvedimenti pongono le nozioni di benessere e di salute fisica a fondamento dell'identità nazionale e culturale di uno Stato moderno. Il programma didattico impone la ginnastica a scuola. Gli archivi fotografici conservano documentazioni ricchissime di come vengono organizzate queste campagne politico-pedagogiche. Vediamo schiere di giovani di ambo i sessi allenati e 'forgiati' all'esecuzione di spettacolari coreografie ginniche. Le immagini presentano da una parte la disciplina inflessibile delle parate militari e dall'altra l'idea di forte fede nazionalista per cui l'attività di gruppo diviene metafora della società ideale. Lo Stato in cui si rispettano regole e valori produce espressioni di perfezione e di bellezza. In Germania, la testimonianza cine-fotografica più incisiva è sicuramente Olympia di Leni Riefenstahl, un'opera nella quale la propaganda di Stato trova la rappresentazione più ottimistica della sua legittimità. Tuttavia il vero trionfo di audience e di consenso lo raggiungono altre immagini. Quelle che devono assolvere l'ingrato compito di evidenziare il lato oscuro della dittatura. La celebrazione fotogiornalistica, rigidamente censurata dalla retorica dominante, delle quattro medaglie d'oro di Jesse Owens, procede in sordina in quanto contraddice clamorosamente la folle concezione etnica di Hitler, ma non impedisce al campione afroamericano, che ha sfatato la mitologia hitleriana mettendo a repentaglio la credibilità del potere, di diventare l'idolo delle folle e delle minoranze oppresse.

Che la passione del pubblico cresca in proporzione all'aumento e alla distribuzione delle riviste illustrate si spiega anche con il fatto che le fotografie forniscono utili suggerimenti su come praticare i singoli sport, molti dei quali, come tennis e golf, pieni di difficoltà tecniche, possono essere facilmente insegnati attraverso la lezione visiva.

Nella fotografia sportiva di questo periodo prevale la registrazione diretta e chiara, senza virtuosismi formali. Parallelamente, però, si assiste allo sviluppo di un'altra produzione fotografica incentrata sul dinamismo dei corpi, sull'uso di angolature insolite, di punti di vista complessi e sulla ricerca di effetti compositivi altamente sofisticati. Puntando la macchina in una direzione o in quella diametralmente opposta, oppure posizionando le figure a grande distanza, nel cielo aperto o nel fondo buio, si crea l'illusione di trasportare lo spettatore al centro della visione. Molto frequentemente queste scene impossibili vengono allestite durante le prove o gli allenamenti degli atleti e non nel momento della gara vera, per permettere al fotografo di ricorrere a trucchi e arrangiamenti senza rischiare di incappare negli errori tipici della diretta. Una parte dell'attività fotografica si svolge fuori dagli studi, a contatto ravvicinato con il mondo, e un'altra parte, molto sperimentale, si chiude nel buio delle camere oscure, nel tentativo di ricostruirne l'immagine.

Naturalmente, contribuiscono al successo della pratica sportiva l'avvento della camera di piccolo formato 'Leica', delle pellicole a rullo e dei nuovi impianti per il flash. Ormai l'utilizzo della fotografia non conosce più limiti. In campo scientifico abbiamo la fotografia stroboscopica di Harold Edgerton, professore al Massachusetts Institute of Technology, la quale, mediante un congegno elettrico emittente brevissimi e intensi lampi di luce ripetibili all'infinito (fino a 1/1.000.000 di secondo), registra gli istanti infinitesimali del movimento. Il suo lavoro trova proficue applicazioni nel mondo dello sport, in particolare nelle riprese delle azioni salienti e dei gesti più significativi. Gjonn Mili, assistente e pupillo di Edgerton, compone immagini multiple in cui le figure e gli oggetti sembrano moltiplicarsi come per effetto di una rifrazione speculare. L'invisibile si rivela nel visibile delle forme in movimento.

Sempre negli stessi anni l'immagine dello sport trova un efficiente canale di diffusione nelle riviste di moda appropriandosi di tutti gli stereotipi più comuni. Lo statunitense George Hoyningen-Huene, approfittando del nuovo interesse per il corpo, 'cuce'l'immagine dell'atleticità sui fisici scultorei dei campioni sportivi e li fa posare come se fossero indossatori in passerella. Gli incontri fra sport e moda includono senza dubbio molti servizi fotografici di Martin Munkacsi. Dopo il 1934 lo vediamo allsulle pagine di Harper's Bazaar, dove lancia i modelli di vita sana all'aria aperta promossi dalla cultura sportiva. Gli ambienti della moda, austeri, ingessati e ancora soggiogati dai rituali aristocratici tardo-ottocenteschi, sono colpiti da una ventata di rinnovamento.

L'intero campo del fotogiornalismo guadagna consensi crescenti perché capace di evincere dallo spettacolo sportivo un concentrato di tensioni drammatiche, emozioni folgoranti, narrazioni avvincenti con cui descrivere caratteri e valori dell'esperienza umana e comprendere tutti gli aspetti della realtà sociale. Le pubblicazioni aumentano le tirature e si fa sentire l'urgente necessità di aumentare le illustrazioni fotografiche. Così, in Svizzera, Lothar Jeck si impegna nella realizzazione di servizi regolari per lo Schweizer Illustrierte e per L'Illustré; in Austria, Lothar Rübelt è al lavoro per il giornale socialdemocratico Kuckuck e per il Berliner Illustrierte, che dedica una famosa foto di copertina alle Olimpiadi del 1936. Gotthard Schuh divide la sua attività pubblicistica tra sport e cronaca d'attualità lavorando per varie riviste tra cui Vu, Life e lo Züricher Illustrierte, come fanno gli svizzeri Paul Senn e Hans Staub. In Francia un discreto numero di fotografi scatta occasionalmente fotografie di argomento sportivo destinate alla stampa non di settore. Riviste come Vu, La Revue du Médecin, Arts et Métiers Graphiques diventano i principali canali informativi per vedere una fotografia a stretto contatto con la vita vera.

Naturalmente non tutti i fotografi si dedicano a questo genere realistico-documentario, continuando a preferire la ricerca sperimentale. La lezione delle avanguardie costruttiviste non è stata affatto dimenticata, anzi negli anni Quaranta incontra una rinnovata curiosità stimolata dal progresso tecnico. Accanto a Gjonn Mili, figura di primo piano, possiamo inserire Maurice Tabard, André Steiner e Pierre Boucher, tutti abili sperimentatori di procedimenti molto sofisticati che mirano a dare il maggior risalto possibile all'espressione istantanea. Se è vero che gli anni fra le due guerre sono ricordati per la loro forte connotazione ideologica e per la strumentalizzazione della pratica sportiva a fini di propaganda, come insegna Leni Riefenstahl, tuttavia si incontrano autori che, come Alexander Rodtchenko, al contrario, interpretano il ruolo dell'artista al servizio della rivoluzione popolare contro i dispotismi dei governi. Nello stesso tempo convivono due anime antitetiche. Elaborazioni di stili e concezioni antagonisti: classicista il primo, modernista e ipertecnologico il secondo. La fortuna della fotografia degli anni di poco successivi depone a favore della linea modernista di Rodtchenko in cui la scelta dell'inusuale, di prospettive spericolate, di ingrandimenti elevati, close-ups e tagli anomali, secondo la lezione impartita da Lazlo Moholy-Nagy, determinano la nascita di quel linguaggio visivo dello sport che dura ancora oggi.

Dopo la Seconda guerra mondiale la fotografia sportiva celebra l'apoteosi del modernismo; contemporaneamente, tuttavia, sorge una nuova stagione poetica memore delle piccole e grandi vicende umane postbelliche. Robert Doisneau è fautore di un ritorno all'umanesimo che abbandoni le illusioni tecnologiche e i sogni utopici delle avanguardie per recuperare, dalle storie e dagli aneddoti di vita popolare, i valori costanti dell'esistenza umana. Lo sport è l'habitat della quotidianità e pertanto l'obiettivo dei fotografi non può prescindere dalla sua esplorazione. Lo sa benissimo il fotografo ungherese, ma francese d'adozione, Brassaï (Gyula Halász), che è attento a non perdersi l'immancabile appuntamento con il mondo sportivo. A differenza di quanto succede nella produzione più nota dell'artista, le persone comuni sono colte nello svolgimento di attività diurne come le feste, i giochi, i passatempi, o appunto gli sport praticati dalle masse.

Il secondo dopoguerra

Nel primo decennio del secondo dopoguerra il fotogiornalismo entra nella sua fase adulta. Da attività saltuaria e occasionale passa a essere professione a tutti gli effetti. Le due personalità leader del settore, Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, fondano nel 1947 l'Agenzia Magnum, cooperativa che raduna le più grandi firme del reportage mondiale. Guerra e società sono i grandi temi delle loro storie, ma in margine agli episodi celebri si collocano immagini quasi sconosciute di eventi sportivi attinenti alla poetica degli autori.

Per Cartier-Bresson ricordiamo le bellissime immagini dei cerimoniali sportivi in Unione Sovietica. La celebrazione dell'avvenimento risplende con l'enfasi della parata militare e riflette fedelmente l'ideologia nazionalista. Dopo questo momento di solenne ufficialità il suo obiettivo si regola su una visione più pacata e intimista di una delle ultime 'Sei giorni' ciclistiche al Vel d'Hiv di Parigi prima della demolizione. Gli scatti immortalano attimi di commozione sia interni sia esterni alla gara vera e propria. L'autore li descrive con quella precisione nella scelta del taglio, unico e irripetibile, che è il suo marchio di garanzia.

Anche Capa, a sua volta, si cimenta con lo sport delle due ruote lasciandoci alcuni ricordi di scene mozzafiato scattate al Tour de France del 1939, alle quali vanno associate immagini del folklore caratteristico della celebre competizione. Al Tour, reporter e giornalisti a caccia di notizie inseguono tappa dopo tappa le maglie gialle dei primatisti e le lunghe carovane delle scuderie societarie. Gli inviati della carta stampata, ogni giorno, raccontano le imprese del ciclismo più amato. Si perdono dietro le quinte delle gare, investigano sui retroscena del dopo-giro, rubano pettegolezzi e sognano, insieme ai lettori, le avventure, le vite, le sfide e gli amori alla guida delle due ruote.

Gli Stati Uniti d'America rispondono al fotogiornalismo europeo con il team della prestigiosa rivista Life. Anche oltreoceano si è creato uno splendido connubio fra le due tendenze della fotografia del dopoguerra: il realismo e l'astrazione. Ernst Haas, ex-Magnum, maestro della neonata fotografia a colori, Gjonn Mili, mago della sperimentazione elettronica, Alfred Eisenstaedt, John Dominis, Ralph Morse, Charles Stenheimer e Georg Silk si affermano o spesso si confermano come grandi autori capaci di creare immagini di tale perfezione tecnica da far invidia ai traguardi seguenti.

L'assunzione dei più recenti studi scientifici su tempo e movimento e l'introduzione del lampo sincronizzato e della pellicola a colori permettono alla fotografia sportiva di rivelare aspetti della realtà ignoti all'occhio umano. Negli anni Cinquanta, grazie al perfezionamento delle procedure e della qualità della riproduzione a stampa, i giornali ospitano con maggiore frequenza illustrazioni fotografiche a colori. Appena uscita sul mercato, la fotografia a colori incontra molti ostacoli. Durante le riprese esterne, il film kodachrome o l'agfacolor, per dare risultati soddisfacenti, hanno bisogno di eccezionali condizioni di illuminazione naturale senza le quali l'impressione del movimento è del tutto impensabile. In questi casi, molti fotografi aggirano l'ostacolo rinunciando alla scena esterna e ricostruendo una simulazione accettabile negli studi di posa che, all'occorrenza, possono essere smontati e allestiti in locations 'naturali' che le rendono più verosimili. A compensare la carenza di luminosità atmosferica si aggiungono i nuovi dispositivi flash: drammatici effetti di luce creati da un lampo luminoso gettato sulla superficie del soggetto. L'uso del flash permette inoltre di congelare quelle azioni che, essendo troppo rapide per l'occhio umano, andrebbero perdute. La prerogativa analitica di questi dispositivi, se potenziata mediante l'effetto stroboscopico, consente una definizione quasi lenticolare delle frazioni discontinue dei movimenti, scandite scatto dopo scatto.

Un'altra tecnica di ripresa messa a punto in quegli anni, ma avviata fin dai tempi di Lartigue, è il panning. L'operazione mira a restituire la sensazione del movimento con la sfocatura dell'immagine. Nel mostrare un'azione in movimento la macchina mette a fuoco un particolare, di solito il soggetto umano, ma lascia sfocato, o 'strisciato', tutto ciò che resta intorno. Questa tecnica riscuote un grande successo in Formula 1. Horst H. Baumann ritrae Jim Clark, a bordo della sua Lotus, al Gran Premio di Gran Bretagna del 1963. Con l'ausilio del grandangolo il fotografo, a poco più di un metro di distanza dalla vettura, 'segue' nel mirino il suo velocissimo passaggio. Un giusto tempo di otturazione fa esplodere in un caleidoscopio di sfumature l'immagine totale, mentre resta riconoscibile il casco del pilota.

In altre circostanze i nuovi orientamenti della fotografia si concentrano sull'approfondimento del dettaglio, sul particolare da incorniciare. L'inquadratura stretta e ravvicinata viene denominata close-up. All'inizio si tratta semplicemente di un estratto in risalto di una sequenza che, però, si rende presto autonomo rimanendo il più sintetico e spesso sensazionale punto di vista su ogni azione sportiva. Fare apparire un frammento dell'immagine latente in camera oscura e stamparne la porzione più significativa era stato uno stratagemma escogitato dai pionieri della fotografia sportiva. Tuttavia, il cambiamento dei layouts grafici avviatosi nell'editoria degli anni Cinquanta richiede all'immagine del periodo un grado molto più elevato di istantaneità e d'immediatezza che induce gli operatori a stampare ingrandimenti dell'intero campo visivo al fine di conferire al particolare una funzione decisiva. La versione quasi grandangolare di una porzione d'inquadratura viene pubblicata con eccellenti qualità grafiche suscitando nel lettore un impatto emotivo molto intenso.

Questi anni di sconvolgenti cambiamenti scuotono il mondo dello sport professionistico. Sui ring di mezza America si disputano storici incontri di boxe fra Rocky Marciano e Sugar Ray Robinson. Colpite dai bagliori folgoranti dei flash, le piattaforme del pugilato assumono l'aspetto spettrale di un palcoscenico su cui gli attori recitano una strana danza rituale. I fotografi a bordo-ring conoscono perfettamente tutti i segreti della nobile disciplina. Sanno benissimo quando il prossimo pugno sferrato si imprimerà sulla faccia dell'avversario. La compresenza sul quadrato di gara del gesto felino dei pugili e dell'occhio di lince del fotografo rende questo genere di fotografia una delle testimonianze più coinvolgenti e, al tempo stesso, sconvolgenti di tutto lo sport. La spettacolo della boxe non ha bisogno di trucchi, tutto accade in diretta, davanti allo spettatore atterrito, ma irresistibilmente affascinato dalla drammaticità dell'evento.

Non è del tutto vero che il secondo dopoguerra contribuisca all'abbattimento delle barriere razziali. Ci sono, difatti, nazioni dichiaratamente democratiche e liberali, come gli Stati Uniti d'America, in cui la separazione fra atleti bianchi e atleti di colore resta insanabile. Alle Olimpiadi del 1968 si celebra l'affermazione vittoriosa della comunità afro-americana. Ce ne offre una dimostrazione emblematica l'immagine fotografica del podio durante la premiazione dei 200 m piani: Tommie Smith, medaglia d'oro, e John Carlos, medaglia di bronzo, entrambi atleti di colore, innalzano al cielo il guanto nero in segno di vittoria. Nell'inno patriottico cantano la vittoria del 'Black Power' e del movimento di lotta politica per i diritti civili.

Fa loro eco Muhammad Alì, alias Cassius Clay, uno dei più grandi pugili di tutti i tempi. L'indimenticabile eroe del ring è stato un paladino indefesso della battaglia per l'eguaglianza etnica e sociale della sua gente. Tutti ricordano l'inflessibile risolutezza con cui scelse di abbracciare la religione islamica e di non aderire alla guerra in Vietnam, decisioni radicali che confermano il suo impegno morale e politico. La storia lo ha glorificato con sommo onore. Prima sulle pagine dei giornali, poi negli speciali televisivi e infine nelle opere cinematografiche. Dell'icona suprema della boxe mondiale restano dozzine di immagini di repertorio, di interviste, di dichiarazioni, ma rimangono emblematiche le immagini del combattimento sul ring di Las Vegas contro Floyd Patterson. Lo sfidante, reclama, a gran voce, di dover riconsegnare alla nazione un titolo detenuto in modo illegittimo da un 'musulmano nero', una disgrazia per la società. Ma Alì, indifferente alle provocazioni, gli dà un saggio della sua personalità prima stravincendo e poi umiliando senza pietà lo sconfitto con caterve d'insulti. La sequenza fotografica dell'episodio è da antologia, innanzitutto per il valore di critica contro un sistema generatore di un odio e di un'intolleranza tali da essere ormai giunto alla saturazione e, inoltre, perché il gesto di Cassius Clay, una volta fotografato, acquista un'estensione simbolica, una propagazione temporale tali da elevarsi come un grido di riscatto per qualunque rivendicazione successiva. L'impatto mediatico dell'immagine di Muhammad Alì è puntualmente sfruttato dall'arte visiva. Il primato di tempestività spetta a Andy Warhol, che rielabora la fortissima componente simbolica di un ritratto fotografico del campione realizzandone una versione da manuale di mitologia contemporanea. Insieme a Pelè, Kareem Abdul Jabbar, il campione di football O.J. Simpson, la stella del golf Jack Nicklaus e molti altri, Alì finisce nel museo diventando patrimonio culturale dell'umanità.

Alla fine degli anni Sessanta lo sport invade la vita privata della gente. Inizia l'epoca dello sport televisivo che smette di essere un semplice gioco fatto da dilettanti per diventare uno degli affari più colossali del secolo. Dalle sue vittorie dipende il successo e il futuro di numerosi contendenti: gli sponsor pubblicitari, le istituzioni politiche, i grandi club privati in procinto di diventare aziende multinazionali, gli atleti, passati a interpretare il ruolo dei divi cinematografici e infine la massa senza nome dei tifosi, degli amatori, degli autentici appassionati. La televisione fa sì che ogni gara diventi un'Olimpiade, uno spettacolo a trasmissione globale.

La storia del 20° secolo attraversa in questa fase uno dei più delicati periodi di tensione sociopolitica e l'attività sportiva a carattere internazionale ne risente subito. Nel 1972 le Olimpiadi di Monaco sono teatro di una brutale rappresaglia terroristica, durante la quale viene colpita al cuore una manifestazione pacifica e fatta strage della squadra israeliana. L'orrore e l'indignazione alla vista dei primi reportage giornalistici sull'avvenimento accentuano l'enorme reazione emotiva provocata contemporaneamente dalle trasmissioni televisive.

L'avvento del mezzo televisivo cambia le abitudini, il modo di vivere e di pensare nonché di consumare informazioni. Chi si occupa di intrattenimento culturale e sportivo, come le agenzie di stampa o l'editoria specialistica, avverte l'urgenza di correre ai ripari e reagire al terremoto scatenato dal 'Quinto potere'. Si moltiplicano gli inserti settimanali dei quotidiani partiti negli anni Cinquanta e fioriscono le pubblicazioni chiamate 'di nicchia', dedicate a temi vari: dall'arredamento alla musica, dalla cucina al giardinaggio, dall'arte allo sport. La necessità di diversificare le varie competenze professionali in campi sempre più delimitati del giornalismo decreta la nascita ufficiale del fotografo sportivo. Armati di macchina leggera e portatile da 35 mm, di teleobiettivi e filtri speciali, gli operatori appartenenti a questa nuova declinazione del fotoreporter perfezionano la tecnica dello scatto con obiettivo impostato su angolature strette e dettagliate, non hanno rivali nell'uso delle 'zoomate' profonde e si impongono come maestri incontrastati nella realizzazione di panoramiche a perdita d'occhio. La loro iperprecisione visiva risulta la più ricercata ed esauriente per superare le innumerevoli difficoltà di eventi sportivi ormai sempre più complessi e dinamici. Finalmente la telefotografia più aggiornata penetra nel cuore dell'azione ottenendo messe a fuoco nitide e impeccabili anche a centinaia di metri di distanza. Se il principale inconveniente delle lunghe distanze era l'incertezza di individuare il soggetto in primo piano senza confonderlo con tutto il resto, ora, per mezzo di filtri speciali e obiettivi a specchio, il problema scompare. I fotografi possono ritoccare i fastidiosi effetti di offuscamento presenti nelle immagini mosse, creando il particolare effetto donut. La sagoma del campione sportivo si staglia su un fondo indistinto e sfocato. Il soggetto, estratto dal contesto dell'azione, perde il riferimento pratico e vale solo per sé stesso. La fotografia obbliga l'osservatore a una percezione assoluta: il soggetto viene, in un certo senso, privato delle sue intenzioni immediate per restare immortalato come un'icona impersonale, come emblema universale dello sport da lui praticato.

Le Olimpiadi restano il miglior campionario di simboli e modelli universali, non soltanto come vetrina espositiva dello spettacolo agonistico internazionale, ma anche dello spettacolo della moda. Dalla fine degli anni Sessanta la fotografia ha cominciato a enfatizzare il look e gli stili sartoriali sia delle divise ufficiali sia dell'abbigliamento per il tempo libero assegnati agli atleti. La moda, secondo le forme e le tendenze dominanti, interviene con puntuali operazioni di restyling che aggiungono a ciò che è necessario, alla funzione per cui i capi devono essere impiegati, accessori simbolici che identificano la cultura e il gusto dei singoli paesi di provenienza. L'industria dell'abbigliamento sportivo ha coniato vere e proprie griffes che si inseriscono nelle abitudini della gente comune. La fotografia sportiva crea in stretta sinergia con la moda: dalla commercializzazione delle T-shirt agli abiti da gran gala, non c'è azienda che non abbia un prodotto o una gamma di accessori promossi dall'immagine fotografica di un noto testimonial sportivo, ingaggiato spesso con contratti da capogiro.

Naturalmente la stampa non può trascurare le nuove rappresentazioni della società dello spettacolo. Anche se giacciono a margine dell'evento sportivo, si rivelano un'inesauribile risorsa pubblicitaria e finanziaria. La popolarità visiva dei campioni dello sport rivaleggia con la celebrità dei divi cinematografici e dei leader politici, vincendo nettamente il confronto quando l'interesse del pubblico si sposta dal campo di gioco alle vicende private. La fotografia sportiva, dopo aver raggiunto i primati delle cronache disimpegnate, ha abbandonato i piaceri agonistici e ha preferito appassionarsi ai retroscena dell'intimità e dei segreti sentimentali. Gli attori sportivi sono diventati i piccoli eroi delle cronache rosa e della letteratura di consumo. Introdursi nella vita privata di uno sportivo al culmine della notorietà e del successo è diventata la professione preferita di molti fotoreporter d'assalto e sicuramente il metodo più efficace per alzare il livello dell'audience. D'altra parte è comprensibile quanto sia diventato importante, per i professionisti dello sport, contare sull'interesse dei media e delle masse sia come risorsa pubblicitaria sia come fonte economica. Si instaura quindi una relazione bilaterale, una sorta di do ut des, che articola scambi di favori e di convenienze tra tutti gli interessati. Da un certo punto di vista, lo sport ha bisogno dell'apporto dei media, ma essi pretendono la vendita della sua privacy. È il prezzo dello spettacolo.

Gli ultimi anni

Dal 1980 in poi la tecnica fotografica sportiva non conosce più i limiti o le restrizioni che alle origini le erano state imposte dalla velocità. Diventa possibile creare un'immagine che isola da distanze di centinaia di metri, in un colpo solo, un soggetto nel mezzo di un'azione offuscata, o congelare un oggetto che si muove a velocità molto elevata in modo netto e preciso. Mentre i primi fotografi 'riparavano' le immagini in camera oscura con trucchi artificiosi, come l'aggiunta di fondi piani e neutri su figure scontornate, adesso, grazie all'estrema flessibilità dei meccanismi d'inquadratura e di messa a fuoco elettronici, il fotografo gestisce il controllo degli equilibri tra primi piani e sfondi in maniera impeccabile. Schiacciando un pulsante da un telecomando si può pilotare lo scatto di una macchina appostata nei luoghi più insoliti e impossibili: dall'interno di un'automobile da corsa, o dal retro di una porta di un campo da calcio; la fotografia esegue un programma di sorveglianza totale su quello che succede nel suo raggio ottico d'azione. Oggi è possibile scattare a ripetizione quantità enormi di fotogrammi utilizzando apparecchi motorizzati e bloccare così tutti gli istanti più preziosi di una gara in corso ad altissime velocità. Nessuno riuscirà mai a dimenticare l'impresa eccezionale di Ben Johnson che alle Olimpiadi di Seul nel 1988 abbassò il record mondiale dei 100 m piani a 9 secondi e 79 centesimi. L'ondata di polemiche abbattutesi sull'irregolarità della gara scatenò ire e invettive contro la corruzione dilagante nello sport professionistico additando quella torbida vicenda come pietra miliare di tutti gli scandali successivi. Tuttavia la rimozione operata dal mondo dello sport non ha saputo cancellare dalla memoria popolare l'ebbrezza di quella fulminante illusione. Il passo a scansione regolare delle riprese alla moviola o l'impassibilità dei fotogrammi in sequenza ininterrotta, dallo start al fotofinish, conducono, ancora oggi, l'immaginazione a rallentare l'accelerazione vertiginosa della corsa e a fissarla nel tempo dilatato della comprensione e del ricordo.

Se l'avanzamento tecnologico nella creazione di immagini fotografiche ha concretizzato velocità irraggiungibili dall'occhio umano, l'elaborazione digitale le ha trasmesse via cavo, fibra ottica o segnale satellitare a ogni angolo del globo terrestre in tempo reale.

Negli ultimi anni il fotografo di sport non punta più sulla cronaca dell'evento, ma sulla spettacolarità dell'immagine allo scopo di fornire quelle emozioni, quelle sensazioni e illusioni che la televisione non può dare. Dietro tali strategie ci sono plausibili esigenze commerciali a cui l'editoria deve soggiacere, vittima del mercato e di una concorrenza mediatica agguerrita e molto spesso imbattibile. L'urgenza di raggiungere una fotografia formalmente e tecnicamente perfetta, ingannevole come un'illusione fantastica, ha sacrificato la volontà di afferrare la vita al volo, il mondo in presa diretta. Il fotografo si è tolto i panni del testimone oculare e ha indossato quelli del prestigiatore. Avere riconoscimenti non significa più raccontare bene storie vere, di personaggi ed eventi reali, ma costruire immagini uniche, irripetibili, materializzare una visione sublime dello sport.

Naturalmente la maggiore efficacia narrativa e documentaria del piccolo schermo ha obbligato la fotografia a rinnovarsi per sopravvivere. Contrariamente alla sua inclinazione mondana e realistica, essa è tornata all'astrazione plastica. L'esasperata cura formale, sebbene a volte degenerata nell'estetismo, ha prodotto il consenso della pubblicità che si è rapidamente appropriata delle immagini e delle personalità dello sport per promuovere nuovi valori, nuovi comportamenti e stili di vita legati ai concetti di spettacolo e successo. Grazie al make-up elettronico, le star sportive più fotografate sono divenute parti integranti di manifesti e spot pubblicitari dove, accanto al ritratto dell'atleta o a un dettaglio del suo abbigliamento di gara, appare il logo dell'azienda sponsor. La serie delle apparizioni è interminabile: dai ritratti di squadre di calcio in posa o dal singolo giocatore in azione, alle passerelle di istanti in cui i campioni dello sci compiono le loro discese. L'industria della moda e della pubblicità aggiorna nel look e nel gusto le scelte del pubblico, scegliendo soluzioni grafiche e cromatiche accese, vistose e scioccanti.

La cultura della nostra epoca pretende un'immagine del campione sportivo che non sia soltanto la rivelazione del gioco, ma che si trasformi nella rappresentazione simbolica dell'eccellenza, del denaro, dell'ambizione al successo fisico e sociale, la cui visibilità offre garanzie alle speranze e al desiderio di immedesimazione che la gente cova. Le aziende produttrici investono capitali esorbitanti in questo tipo di comunicazione. Un esempio: la campagna commerciale della scarpa sportiva come feticcio. La fotografia identifica i campioni dello sport nelle scarpe che indossano, perché sono disegnate e realizzate allo scopo di manifestare i requisiti tecnici e le prerogative etiche che essi possiedono e che richiedono di essere divulgate come oggetti di culto e di emulazione di massa.

riferimenti bibliografici

M. Cappon, I. Zannier, I manuali del fotografo. Lo Sport, Arnoldo Mondadori, Milano, 1980.

100 anni di sport in fotografia, supplemento a "La Gazzetta dello Sport", Milano, 1987.

J.C. Gautrand, Visions du Sport, photographies 1860-1960, Admira, Aix-en-Provence, 1989.

J.C. Lemagny, A. Rouillé, Histoire de la photographie, Paris, Bordas, 1986 (trad. it. Sansoni, Firenze, 1988).

Sportscape. The evolution of sports photography, ed. P. Wombell, London, Phaidon, 2000.

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