Locazione e forma scritta

Il Libro dell Anno del diritto 2017

Locazione e forma scritta

Luca Varrone

La materia delle locazioni ad uso abitativo, per il suo forte impatto sociale, è stata sempre terreno fertile per sperimentare nuove forme di tutela a protezione del locatore, inteso come contraente debole. Le Sezioni Unite della Cassazione, tuttavia, hanno stabilito che la forma scritta richiesta dall’art. 1, co. 4, della l. 9.12.1998, n. 431 è a pena di nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, attesa la ratio pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale. Non è possibile, infatti, interpretare la previsione dell’obbligo di forma scritta come una nullità di protezione in favore del solo conduttore, in quanto queste forme di nullità sono eccezioni alla regola generale e, in quanto tali, sono di stretta interpretazione. Residua come nullità di protezione la sola ipotesi di cui al successivo art. 13, co. 5, della medesima legge in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore.

SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 Forma del contratto e nullità di protezione 2.2 Nullità di protezione nelle locazioni ad uso abitativo 3. I profili problematici

La ricognizione

Nel nostro sistema codicistico vige il principio generale della libertà della forma. Di massima, pertanto, la manifestazione di volontà contrattuale non richiede forme particolari.

Naturalmente il principio della libertà di forma conosce delle eccezioni. Per alcuni contratti la legge richiede che la volontà sia manifestata non in qualsiasi modo, ma attraverso particolari modalità espressive. Questi sono i contratti formali (o a forma vincolata), che si contrappongono agli altri, per cui vale la libertà di forma, e che si dicono perciò contratti non formali (o a forma libera). Il principale tipo di forma vincolata è la scrittura privata. L’art. 1350 c.c. elenca i contratti per i quali la forma scritta è prevista a pena di nullità. La forma scritta in alcuni casi non è neanche sufficiente e il legislatore richiede una forma più complessa quale l’atto pubblico che richiede l’intervento del notaio o di un altro pubblico ufficiale.

La forma vincolata risponde ad una molteplicità di esigenze o funzioni: in primo luogo vi è quella di garantire certezza sull’esistenza e sul contenuto del contratto e anche sulla stessa volontà delle parti di stipulare un contratto. La forma scritta serve poi a rendere possibili i controlli sul contratto, previsti nell’interesse pubblico (ad es. per la contrattazione con la pubblica amministrazione). Una funzione fondamentale è quella di rendere trascrivibile il contratto a fini di pubblicità, per rendere opponibili a terzi i diritti da esso nascenti. Un’altra importante funzione è quella di protezione del contraente che mediante la forma scritta e, quindi, attraverso una certa sacralità si può rendere conto meglio delle obbligazioni che assume mediante il contratto.

Nel caso sia prevista la forma scritta a pena di nullità o ad substantiam il contratto stipulato senza il rispetto di tale requisito è nullo e non produce effetti.

Alcune teorie sulla forma del contratto valorizzano il contenuto del contratto attribuendo un valore funzionale alla forma, da valutarsi in concreto, in relazione alle rationes che un determinato contratto esprime1. Secondo tale teoria non è possibile applicare automaticamente la disciplina della nullità in mancanza della forma prevista dalla legge ma è necessario operare un’interpretazione assiologicamente orientata nel rispetto dei valori fondamentali del sistema. Quindi il carattere eccezionale o meno della norma sulla forma, ovvero il suo carattere derogabile o inderogabile, non potrà essere definito in astratto e in via generale ma dovrà risultare da un procedimento interpretativo che dipende dal ruolo che la norma assume nel sistema, dalla ratio che esprime, dal valore che per l’ordinamento rappresenta.

Il neoformalismo2 tende a favorire l’emersione del rapporto economico sottostante a ciascun documento negoziale favorendo il mutamento genetico del ruolo stesso della forma del contratto, che non è più soltanto indice di serietà dell’impegno obbligatorio, o mezzo di certezza o idoneità agli effetti pubblicitari, ma strumento che consente di rilevare lo squilibrio esistente tra i contraenti e di tutelare la parte debole.

In senso opposto, altra dottrina3 ritiene che l’art. 1325, n. 4, c.c. indichi la forma come puro elemento necessario nella struttura del contratto senza attribuire alcun rilievo all’elemento teleologico sulle ragioni per le quali si ritiene necessaria una certa forma. Nel diritto civile sostanziale, dunque, sarebbe preclusa un’operazione consentita invece nel diritto processuale circa la valutazione sull’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo.

Prima della l. n. 431/1998, sia la disciplina codicistica che la l. 27.7.1978, n. 392 non imponevano alcuna forma particolare al contratto di locazione sia per le locazioni ad uso abitativo che per quelle ad uso diverso. L’unica ipotesi di obbligo di forma scritta era quella relativa ai contratti di locazione ultranovennale ex art. 1350, n. 8, c.c.

La l. n. 431/1998 nata dall’esigenza di far emergere l’enorme numero di contratti in nero determinatosi a seguito dell’imposizione dell’equo canone, all’art. 1, co. 4, ha previsto testualmente che «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta».

Su l’interpretazione di tale norma la giurisprudenza di merito si era divisa e fino al 2015 non vi erano state pronunce del giudice di legittimità. In particolare le opinioni discordanti riguardavano, da un lato, se il requisito della forma scritta dovesse interpretarsi come richiesto dalla legge ad substantiam ovvero ad probationem e, dall’altro, se l’eventuale causa di nullità fosse riconducibile alla categoria delle nullità di protezione in relazione all’art. 13, co. 5, della medesima legge.

A far chiarezza è intervenuta la pronuncia Cass., S.U., 17.9.2015, n. 1821 secondo cui la forma scritta è prevista a pena di nullità perché risponde alla finalità di assicurare al contratto la più ampia pubblicità al fine di contrastare l’evasione fiscale. L’interpretazione letterale dell’art. 1, co. 4, della l. n. 431/1998 non consente una soluzione diversa in quanto dire che per stipulare validi contratti di locazione è necessaria la forma scritta, significa a contrario dire che il contratto di locazione che manchi di tale requisito è invalido e, quindi, nullo. Non vale obiettare che nella categoria dell’invalidità rientra anche il contratto annullabile perché nella disciplina positiva non si riscontrano ipotesi di annullabilità per vizio di forma.

La Suprema Corte ha confermato che la forma scritta è funzionale in primo luogo ad assicurare certezza a rapporti giuridici che coinvolgono un così importante bene della vita e, anche, a dare stabilità al canone pattuito che, seppure liberalizzato, deve rimanere quello indicato nel contratto per tutta la durata del rapporto ma, soprattutto, si vuole assicurare con essa la più ampia pubblicità possibile al rapporto, al fine di contrastare l’evasione fiscale.

La prescrizione della forma scritta, dunque, è volta soprattutto a tutelare l’interesse alla trasparenza del mercato delle locazioni in funzione dell’esigenza di controllo fiscale, esigenza avvertita in modo significativo in un settore fortemente caratterizzato dal fenomeno dell’evasione. Del resto particolarmente significativo, in tal senso, è il collegamento tra forma scritta e registrazione del contratto di cui all’art. 13, co. 1. La stessa relazione di accompagnamento indica con chiarezza che l’obiettivo della legge era quello di «introdurre misure atte a combattere il fenomeno dell’evasione fiscale che appare particolarmente presente in questo settore», in aggiunta alla volontà di realizzare una liberalizzazione controllata del mercato locativo.

La focalizzazione

La citata pronuncia della Corte di cassazione ha chiarito anche la natura della nullità, escludendo che la stessa possa ricondursi alle cd. nullità di protezione.

Vale la pena ripercorrere, sia pure in estrema sintesi, l’elaborazione dottrinaria in materia di nullità di protezione al fine di meglio comprendere la portata delle affermazioni delle Sezioni Unite sul punto.

Forma del contratto e nullità di protezione

Si è osservato da parte di autorevoli studiosi che la categoria della nullità del contratto così come disegnata nel nostro codice civile è stata in parte superata o adattata dal sopravvenire di una legislazione ispirata dalla sempre maggiore necessità di protezione del cd. contraente debole. La nullità del contratto nell’impianto originario del codice era posta a tutela dell’interesse pubblico generale, per garantire l’effettività di norme penali o amministrative e non anche per garantire la “funzione sociale del contratto”.

La sanzione della nullità, invece, nella legislazione successiva viene utilizzata dal legislatore per tutelare interessi individuali meritevoli di una particolare protezione. Si moltiplicano le norme che attribuiscono solo al destinatario della protezione la legittimazione a far valere la nullità a fronte della precedente rilevabilità d’ufficio. Inoltre assume una particolare rilevanza l’esigenza che a fronte della nullità del patto o della clausola pregiudizievole per il destinatario della protezione debba salvaguardarsi comunque la validità e l’efficacia del contratto nella restante parte. Si vuole evitare che il contraente debole subisca un più grave pregiudizio dalla declaratoria di nullità del contratto per la perdita definitiva della prestazione, del bene o del servizio oggetto del contratto. Si assiste dunque all’introduzione nel nostro ordinamento di una forma particolare di nullità parziale che può essere fatta valere solo dalla parte contrattuale che la norma vuole proteggere e che viene comunemente definita come nullità relativa o di protezione.

L’ampio panorama normativo in materia di nullità di protezione evidenzia anche il proliferare di vincoli di forma4 in uno con le citate teorie cd. del neoformalismo che tendono a privilegiare la causa o la ratio del contratto, per far emergere il rapporto economico sottostante ad esso, e che attribuiscono alla forma negoziale un nuovo ruolo quale strumento di riequilibrio delle posizioni delle parti contrattuali, mettendo la parte sfavorita nelle condizioni di essere informata, di negoziare e di conoscere i rischi connessi al rapporto contrattuale.

In altri termini la valutazione funzionale e teleogicamente orientata della prescrizione di forma, porterebbe al superamento della teoria tradizionale che si era affermata in relazione alla tutela di interessi generali e determinerebbe un trattamento differenziato della nullità per vizio di forma, graduato in relazione agli interessi particolari che la prescrizione di forma è diretta a tutelare. La forma da mezzo di tutela di interessi generali diviene mezzo di tutela di interessi di categorie deboli, diretta a garantire un consenso informato in vista della conclusione del contratto e della responsabile assunzione dei rischi da parte del contraente sprovvisto strutturalmente di conoscenze tecniche e privo del bagaglio informativo che l’altra parte possiede.

Alla disciplina della nullità dettata nella parte generale del contratto si affiancano dunque, sempre più spesso, ipotesi nelle quali al difetto di forma prescritta per legge non consegue una nullità assoluta ma relativa. Tale posizione è confermata dall’esame delle normative più recenti, anche di fonte comunitaria, nelle quali l’esigenza di tutela del soggetto debole trova protezione attraverso l’imposizione di una serie di oneri formali sia nella fase che precede la conclusione del contratto, sia nella fase di stipulazione del contratto sia nella fase esecutiva. Secondo alcuni, addirittura, le ipotesi di nullità relativa sono diventate talmente diffuse da far venir meno il loro carattere eccezionale, tanto da rendere possibile la loro applicazione perfino in via analogica senza che ciò comporti difficoltà dal punto di vista teorico generale5.

Nullità di protezione nelle locazioni ad uso abitativo

La disciplina delle locazioni, soprattutto di quelle abitative, ha costituito uno dei primi tentativi del legislatore di sperimentare la nullità come tecnica di tutela dell’interesse di una delle parti rispetto alla determinazione del contenuto del contratto.

Nell’impostazione della l. n. 392/1978, tuttora vigente per le locazioni ad uso non abitativo, vi è una fortissima tutela del conduttore quale parte contrattuale debole. In tal senso opera principalmente una norma avente portata generale quale l’art. 79 che prevede la nullità di «ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge». Il legislatore, dunque, predispone un meccanismo di ampia portata in base al quale la deroga alla predeterminazione legale del contenuto del contratto può operare solo in favore del conduttore. Naturalmente la clausola nulla è sostituita di diritto con la disciplina cui illecitamente intendeva derogare ex artt. 1339 e 1419 c.c.

La l. n. 431/1998, pur non abbandonando l’impostazione centrale della l. n. 392/1978, ne riduce lo spazio di tutela. La disposizione che assume maggiore rilevanza in tal senso è l’art. 13 che dispone la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello che risulta dal contratto «scritto e registrato» e che attribuisce al conduttore un’azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, per la restituzione delle somme illecitamente corrisposte. Inoltre, con riferimento alla forma il co. 5 dell’art. 13 attribuisce al conduttore la possibilità di esperire un’azione da proporre nello stesso termine nei casi in cui il locatore abbia preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione dell’obbligo della forma scritta imposto dall’art. 1, co. 4. In tal caso il canone è sostituito giudizialmente in misura non eccedente quello cd. concordato con le associazioni di categoria, con la «restituzione delle somme eventualmente eccedenti».

Sulla base di questa disposizione alcuni, ipotizzando un collegamento con l’art. 1, co. 4, avevano ritenuto che la violazione dell’obbligo della forma scritta, anche se voluta da entrambe le parti, dovesse qualificarsi come nullità di protezione. Tale tesi si fondava sull’esigenza di assicurare un’adeguata protezione al conduttore, il quale sarebbe risultato pregiudicato nei suoi interessi qualora si fosse attribuita natura di nullità assoluta alla mancanza di forma scritta. In particolare si poneva l’accento sul fatto che la nullità assoluta rilevabile anche dal locatore avrebbe avuto come conseguenza la restituzione del’immobile con effetto immediato dalla dichiarazione di nullità del contratto venendo meno il suo titolo giustificativo.

Nel risolvere tale dubbio interpretativo la Suprema Corte con la citata sentenza ha stabilito che, in conformità con la lettera della legge, la protezione del conduttore scatta solo in presenza dell’abuso, da parte del locatore. In altri termini è necessario che il locatore costringa il conduttore a stipulare il contratto in forma verbale contro la sua volontà, viceversa, nel caso in cui tale forma sia stata concordata liberamente tra le parti oppure sia stata voluta dal conduttore, torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità. In tal modo si conferma la tesi secondo cui le norme in materia di nullità di protezione hanno una portata eccezionalmente derogatoria di un principio-cardine dell’ordinamento quale quello dell’insanabilità del contratto nullo e, pertanto, sono di stretta interpretazione.

I profili problematici

Il legislatore con il co. 59 dell’unico articolo della legge di stabilità per il 2016 (l. 28.12.2015, n. 208 a decorrere dal 1° gennaio 2016) ha introdotto una nuova formulazione dell’art. 13 l. n. 431/1998.

In particolare, per quanto di interesse, preso atto della difficoltà probatoria dell’abuso del locatore in ordine alla forma richiesta dal co. 5 dell’art. 13 (gravando il relativo onere sul conduttore, in ossequio alle tradizionali regole del relativo riparto) che rendeva sostanzialmente inutilizzabile la tutela accordata, si è inteso sostituire il difetto di forma scritta imposto dal locatore con l’omessa registrazione del contratto.

La principale novità è dunque la previsione che pone interamente a carico del locatore l’obbligo di registrazione del contratto (art. 13, co. 1) e quella che, nel caso di omessa registrazione, attribuisce al conduttore un’azione da esercitarsi entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile, volta a far emergere l’esistenza del contratto, con la rideterminazione giudiziale del canone sulla base dei canoni concordati e con la restituzione di quanto pagato in eccedenza (art. 13, co. 6).

Altri aspetti di novità attengono sempre alla registrazione del contratto di locazione che deve avvenire nel termine perentorio di trenta giorni con documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, da parte del locatore al conduttore ed all’amministratore del condominio.

Il termine di trenta giorni entro il quale il contratto deve essere registrato è definito espressamente come perentorio, ciò che sembra chiudere definitivamente l’annoso problema dell’ammissibilità della registrazione tardiva, anche in considerazione della pronuncia di Cass., S.U., 17.9.2015, n. 118213 che ha espressamente negato la possibilità di sanare la nullità con la registrazione tardiva. A questo proposito deve evidenziarsi che il legislatore del 2016 sembra muoversi nel solco tracciato dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2015.

In sostanza si prosegue nell’idea di combattere l’evasione mediante la creazione di un conflitto di interessi. Restano le perplessità sulle modalità di attuazione di tale conflitto in materia negoziale, congeniato in modo da attribuire ad una parte un trattamento più favorevole cui corrisponde una sanzione per l’altra non nel rapporto con il fisco ma nel rapporto contrattuale, intervenendo sulla determinazione del contenuto del contratto. In tal modo si modifica imperativamente il contenuto di un contratto liberamente stipulato da entrambe le parti, al solo fine di far emergere il rapporto nei confronti del fisco. Sembrerebbe più ragionevole regolare tale conflitto riconoscendo ad una parte una detrazione fiscale per una spesa che comporta reddito per un’altra. In tal modo si creerebbe un interesse, in colui che paga un determinato servizio o una determinata prestazione, alla regolarità fiscale del contratto per poter usufruire delle agevolazioni fiscali ad esso connesse o per poterne avere di ulteriori, in modo da contrastare l’interesse della parte che riceve il pagamento ad occultarlo al fisco per non pagare le relative imposte.

Note

1 Perlingieri, P., Forma dei negozii e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987; Breccia, U., La forma, in Tratt. Roppo, I, Formazione, a cura di C. Granelli, Milano, 2006, 703 ss.

2 Sul neoformalismo e sull’evoluzione delle funzioni della forma Scalisi, V., Forma solenne e regolamento conformato: un ossimoro del nuovo diritto dei contratti?, in Riv. dir. civ., 2011, I, 415.

3 Irti, N., La rinascita del formalismo ed altri temi, in Id., Idola libertatis, Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, 41 ss.

4 Si pensi ad es. alla la normativa dettata dagli artt. 23 e 30 d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u.f.) sui contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento oppure le norme a tutela del cliente delle banche previste dal d.lgs. 1.9.1993, n. 385 (t.u.b.).

5 Valentino, D., Obblighi di informazione contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999, 261 ss., spec. 267 s.; Benincasa, M., Formalismo e contratto di locazione, Milano, 2004, 24; Lener, R., Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato” nel mercato finanziario, Milano, 1996.

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