LOCRI EPIZEFIRII

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

LOCRI EPIZEFIRII (v. vol. IV, p. 668)

M. Barra Bagnasco
L. Vlad Borelli

La scelta di L. E. come tema del XVI Convegno di Studi sulla Magna Grecia è stata l'occasione per l'intensificarsi delle ricerche su una serie di problemi legati all'antica pòlis, dalla storia agli aspetti religiosi, artistici e architettonici sia degli edifici pubblici che privati.

Nella stessa occasione sono stati puntualizzati i pochi dati finora raccolti sulla chòra locrese: è stata anche avanzata la proposta di identificare nella fiumara di Galati il fiume Halex ricordato dalle fonti come confine tra Reggio e Locri. Frequenti rinvenimenti casuali e una campagna di scavo in località S. Barbara di Mammola hanno sottolineato l'importanza della vallata del fiume Torbido, nella quale si deve riconoscere la via naturale che consentì ai Locresi di raggiungere la piana di Rosarno.

Impianto urbano. - Per la data di fondazione sembra ora più convincente, sulla base di un riesame dei materiali ceramici più antichi, la cronologia alta, tra la fine dell'VIII e i primi anni del VII sec. a.C. L'ipotesi di identificare nella zona del Dromo lo stanziamento iniziale ha trovato conferma nel rinvenimento casuale di frammenti ceramici arcaici. Inoltre in località S. Cono un saggio ha evidenziato strutture in ciottoli anche in un livello di VII sec. a.C.

Uno spazio ideale per applicare i nuovi canoni urbanistici, basati sull'impostazione di una maglia di strade ortogonali, fondamentali per disimpegnare le diverse aree, era rappresentato a L. dall'ampio quadrilatero pianeggiante, compreso tra il Dromo e il mare. Qui era offerta la possibilità di creare una lottizzazione spaziale, ad ampio respiro, valida non solo al momento della nascita dell'impianto, ma anche in vista delle future esigenze della città.

Proprio in questa zona le recenti esplorazioni hanno permesso di ricostruire la pianta della città, articolata su una serie di strade più strette (stenopòi) di m 4-4,50, parallele tra loro e perpendicolari alla costa, tagliate ad angolo retto da altre vie di ridotte dimensioni e da poche strade più larghe (platèiai) che generano e disimpegnano isolati di forma stretta e allungata, di c.a m 28 x 100.

Nelle due aree contigue di Centocamere e Marasà è stato controllato il ripetersi della sequenza regolare di isolati e stenopòi, a Centocamere lo scavo in estensione ha messo in luce la fronte meridionale di sette isolati che si affacciano su una grande platèia, larga 14 m. In questa zona l'occupazione degli isolati perdura dalla fine del VI-inizî V sec. a.C. alla fine del III secolo. Proprio la continuità di vita per un periodo piuttosto lungo ha reso poco agevole l'esplorazione delle strutture più antiche che sono coperte dalle costruzioni successive. Pertanto conosciamo meglio l'organizzazione interna dei varî isolati per le fasi più recenti di età ellenistica. Tuttavia alcuni saggi stratigrafici hanno mostrato come l'impostazione degli assi stradali, elemento base dell'impianto urbano, si debba far risalire alla seconda metà del VI sec. a.C.; le costruzioni, che gradualmente occupano gli isolati, vennero invece edificate in momenti successivi.

Tutte le strade, sia di piccole sia di grandi dimensioni, sono realizzate in modo molto semplice, mediante gettate di terreno sabbioso misto a ghiaia e a numerosi frammenti di ceramica o di altri manufatti in argilla, utili per facilitare il drenaggio e il migliore assorbimento delle acque piovane e di scarico.

Ancora aperto è il problema della cronologia delle mura: è stata ripresa l'esplorazione lungo il tratto di Centocamere, in parte messo in luce negli anni '50. Alcuni saggi hanno permesso di datare la fase più antica alla seconda metà del VI sec. a.C. Allo stesso momento risale la costruzione del grande varco, che metteva in comunicazione la zona all'interno delle mura con quella all'esterno, dove sono state identificate stoài e botteghe. Il passaggio attraverso le mura si presenta come un propileo monumentale con due varchi e, al centro, uña fila di colonne doriche di cui rimangono due capitelli. Le fondazioni delle mura erano realizzate in grossi blocchi di arenaria locale mentre nel propileo erano impiegati più robusti blocchi in calcare, lo stesso materiale usato, 85 m a SO, in corrispondenza di un altro varco.

Le case. - La parte finora esplorata degli isolati ha offerto una buona documentazione su due importanti aspetti della vita di tutti i giorni per il periodo che va dalla fine del IV alla fine del III sec. a.C.: da un lato la tipologia delle case e, dall'altro, l'attività della lavorazione dell'argilla.

A Centocamere le case, in aderenza con la connotazione artigianale del quartiere, mostrano una certa semplicità, sia nella suddivisione interna sia nella mancanza di elementi decorativi. Alcuni nuclei inoltre sono caratterizzati da una doppia utilizzazione che vede unite casa e bottega, secondo uno schema semplice e funzionale, ben noto nel mondo antico. Si conosce la suddivisione in varî ambienti per i quali tuttavia non è sempre possibile stabilire la destinazione precisa, in mancanza di resti indicativi.

Le dimensioni delle abitazioni finora messe in luce variano dai 120 ai 220 m2; in tutte grande importanza aveva lo spazio lasciato al cortile, elemento fondamentale e sempre presente, sia come area di disimpegno per i varî ambienti e sia come pozzo di luce. La tecnica costruttiva mostra fondazioni con materiale eterogeneo, spesso di reimpiego - ciottoli, frammenti di tegole, blocchi di pietra lavorata, scorie di fornace - su cui dovevano alzarsi un elevato in crudo e tetti coperti da tegole piane e coppi a sezione semicircolare di cui rimangono molti resti.

Accanto alle più modeste case di Centocamere ne dovevano esistere altre più grandi e ricche; di queste per ora è noto un solo esempio. Nella vicina località di Marasà Sud, 50 m a Ν della stoà a «U», si è infatti messa in luce, immediatamente all'esterno delle mura, una grande costruzione, la «Casa dei Leoni», di genere più lussuoso, secondo quanto indicano i rinvenimenti, databile al IV-III sec. a.C.

Essa è caratterizzata da numerosi vani affacciati su un grande cortile, o giardino, il cui collegamento con la casa era garantito da un corridoio rettangolare allungato, con la parete di fondo decorata da intonaci policromi e con colonne rivestite di stucco bianco. Si tratta della tipologia detta «a pastàs», ampiamente nota nelle case di Olinto, per la prima volta documentata a Locri. Va tuttavia sottolineato che l'eccezionalità della casa locrese trova spiegazione nella sua funzione particolare, ancora legata alla precedente connotazione religiosa dell'area, secondo quanto documenta un ambiente in cui sono stati rinvenuti resti di sacrifici e di bòthroi.

Nelle strutture che delimitano il cortile della casa con altro materiale meno nobile, quali ciottoli e spezzoni di tegole, sono state reimpiegate parti della cornice in pietra di un edificio più antico. Si tratta di lastre di sima con gocciolatoi sagomati a protome leonina, secondo lo schema più diffuso sia in Grecia che in Occidente, la cui eccezionalità deriva dall'essere realizzate in pietra, materiale usato raramente in Magna Grecia dove era preferita la terracotta.

Il Ceramico. - Accanto alle informazioni sulla casa, gli scavi hanno offerto una preziosa documentazione su un altro aspetto della vita locrese tra la fine del IV e l'inizio del III sec. a.C. Si tratta della scoperta del quartiere dove si lavorava l'argilla, il Ceramico, identificato nell'area più meridionale di Centocamere.

Nella parte finora nota del Ceramico locrese l'emergenza più evidente è data da una ventina di fornaci - alcune meglio conservate e altre più rovinate - di differenti forme e dimensioni, che si dispongono, inserite negli isolati, ai due lati della grande platèia identificata a Centocamere. Le fornaci erano costruite con mattoni crudi che, per essere stati sottoposti a varî cicli termici, presentano oggi una caratteristica colorazione rossastra. La forma più frequente è quella circolare od ovale con prefurnio rettangolare e camera di combustione con sostegni per il piano forato (conservato solo in alcuni casi), su cui dovevano poggiare gli oggetti da cuocere. Accanto alle fornaci, sono stati identificati ampi spazi vuoti - che potevano in parte essere coperti con tettoie su pali lignei - necessarî per tutte le fasi della lavorazione, dall'accumulo dell'argilla, all'essiccatura dei pezzi prima della cottura, al deposito dei manufatti finiti. Inoltre si sono identificate vasche per la decantazione dell'argilla, vicino ai pozzi da cui si otteneva l'acqua necessaria per le varie operazioni, e altre con ancora conservata parte dell'argilla depurata.

È difficile stabilire quali fossero i prodotti che venivano cotti in ciascuna delle fornaci finora messe in luce; quelle di maggiori dimensioni, con diametri superiori ai due metri, potevano essere riservate a oggetti pesanti quali tegole, coppi, o grandi contenitori, anfore e pìthoi, di cui lo scavo ha offerto un'ampia documentazione. Quelle più piccole, di forma circolare, con diametro intorno al metro, potevano invece essere destinate alla piccola ceramica e alla coroplastica. Solo per una fornace è noto il carico, infatti il crollo della griglia durante il ciclo di cottura ha consentito la conservazione, all'interno, di numerose anfore mal cotte.

Aree sacre. - Il ricontrollo sul terreno e la ripresa degli studî sulle aree religiose messe in luce già da Paolo Orsi hanno condotto a nuove proposte ricostruttive per i due santuarî più importanti di Casa Marafioti e di Marasà. Per quest'ultimo, in particolare, le caratteristiche tecniche e planimetriche hanno portato ad alzare la datazione agli anni tra il 480-470, collegandolo con la politica filolocrese di Gelone di Siracusa. Le statue in marmo dei Dioscuri, esposte nel museo di Reggio Calabria, sulle quali ci si era basati in precedenza per datare il tempio nella seconda metà del V sec. farebbero parte di un rifacimento successivo.

recenti scavi hanno fornito nuovi elementi utili anche per arricchire il quadro sulle aree cultuali locresi. In particolare, immediatamente all'esterno delle mura, nei nuovi scavi intrapresi in zona Marasà Sud al di sotto della citata «Casa dei Leoni», si è messa in luce una costruzione rettangolare allungata, internamente tripartita, con profonde e accurate fondazioni in pietra, databile tra la fine del VI e gli inizî del V sec. a.C. La tipologia planimetrica, che trova confronto in edifici simili di area siceliota - Gela e Agrigento soprattutto - e la particolare cura della tecnica costruttiva in pietra, insolita a Locri per edifici privati, portano a identificare un piccolo edificio religioso, un sacello. La scoperta di due iscrizioni con il nome di Afrodite, rispettivamente su un'epigrafe in calcare e su un fondo di skỳphos, consente di collegare la costruzione con questa divinità che sappiamo essere stata molto importante nel pantheon locrese. La collocazione del sacello ad appena una cinquantina di metri dalla stoà a «U», dedicata alla stessa dea, porta a ipotizzare l'esistenza, all'esterno delle mura, un unico santuario dedicato ad Afrodite e connesso con il vicino porto.

rinvenimento nella casa ellenistica, costruita al di sopra del sacello, di lastre di sima in pietra reimpiegate non esclude del tutto la loro originaria appartenenza al tetto del sacello, anche se esse sembrano piuttosto da collegare con una costruzione più impegnativa, forse lo stesso tempio ionico di Marasà.

Arte e artigianato. - Per quanto concerne le opere in pietra, a quelle finora note si devono aggiungere le undici lastre di sima con teste di leone, di cui si è detto, che confermano l'attività prolungata nel tempo di artisti locali.

Un rilevante numero di artigiani doveva dedicarsi alla lavorazione dell'argilla. Oltre a una serie di altri manufatti, buona parte della ceramica rinvenuta a Centocamere è infatti di produzione locale; lo studio di più di ventimila frammenti messi in luce - a vernice e comuni - ha consentito l'elaborazione di una classificazione tipologica che documenta l'abilità e la fantasia degli artigiani locresi dall'età arcaica a quella ellenistica.

Accanto agli ex voto in bronzo, di cui rimangono pochi esempi, un'altra importante produzione era costituita dalla coroplastica: i nuovi scavi hanno arricchito la documentazione esistente anche con il rinvenimento di matrici. Lo studio di alcune classi ha portato a individuare alcuni tipi come peculiari dell'area locrese - forse anche in connessione a particolari forme di culto - quali, p.es., il gruppo del «congedo» o della portatrice di simulacro o anche dello Zeus fulminante. Accanto a questi esistono molti altri tipi simili a quelli prodotti in altre pòleis in Occidente ma rivissuti dagli artigiani locresi, come le grandi protomi della Mannella, o le figure recumbenti, o ancora le c.d. dee in trono o statuette di attori e di satiri.

La conoscenza delle necropoli greche si è arricchita grazie allo scavo di duecento nuove tombe in contrada Para- pezza, all'esterno del tratto nord-orientale delle mura della città, in un'area non lontana da quella di Lucifero, dove l'Orsi aveva identificato millesettecento tombe. Le sepolture messe in luce nel 1979, per la loro collocazione cronologica nel VI e nel III sec. a.C., servono ad ampliare la documentazione sugli usi funerari locresi fornita dalle tombe scavate da Orsi, che si concentravano prevalentemente nel V e nel IV sec. a.C.

Per quanto riguarda l'età romana va segnalata la ripresa delle indagini nell'interessante complesso in contrada Quote S. Francesco in cui si deve riconoscere una residenza monumentale, sviluppata su due piani, di età tardo-antica.

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Editto altera e traduzione delle tabelle locresi, Catanzaro 1992. - Per un continuo aggiornamento sul procedere di lavori di scavo sono fondamentali gli Atti dei Convegni di Studi sulla Magna Grecia dal 1970 in poi e in particolare gli Atti del XVI Convegno, Taranto 1976, Napoli 1977. - Per rapporti di scavo e studi di varî materiali: AA.VV., Locri Epizefiri, I. Ricerche nella zona di Centocamere, Firenze 1977; M. Barra Bagnasco (ed.), Locri Epizefiri, II. Gli isolati 12 e 13 dell'area di Centocamere, Firenze 1989; ead. (ed.), Locri Epizefiri, III. Cultura materiale e vita quotidiana, Firenze 1989; ead. (ed.), Locri Epizefiri, IV. Lo scavo di Marasà Sud. Il sacello tardo arcaico e la «casa dei leoni», Firenze 1992. - Impianto urbano: M. Barra Bagnasco, Indagine archeologica su Locri Epizefiri, in Un decennio di ricerche archeologiche (Quaderni de «La ricerca Scientifica», 100), II, Roma 1978, p. 555 ss.; C. 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Nuovi documenti, in Atti del VI Congresso Internazionale di Egittologia, Torino 1991, Torino 1992, p. 41 ss.

(M. Barra Bagnasco)

PINAKES LOCRESI (v. vol. IV, p. 674). - Manca ancora un corpus che raccolga in sequenze diacroniche e tipologiche i pìnakes locresi. Tuttavia un rinnovato interesse critico ha investito anche questa classe di rilievi, nello spirito di quell'attenta riflessione sulle manifestazioni artistiche magnogreche e sull'ideologia civile e religiosa da esse espressa, che è stato uno dei motivi dominanti della ricerca archeologica nell'ultimo ventennio.

L'identificazione di tutti i soggetti dei pìnakes con varî momenti del mito di Persefone, proposta nella classificazione di P. Zancani Montuoro, tuttora rispettata dall'esposizione nel museo di Reggio Calabria, è stata revocata in dubbio. La presenza di Afrodite, che già la Zancani aveva riconosciuto in due soggetti, l'uno con l'incontro di Persefone e Afrodite e l'altro con la nascita di quest'ultima, viene considerata da H. Prückner (1968) come preponderante, poiché, confusa in più casi con quella di Persefone, si ritroverebbe, a suo parere, in oltre la metà dei temi illustrati. Egli ne deduce che il principale culto a L. nella metà del V sec. era quello di Afrodite, onorata nel tempio ionico di Marasà.

La ricostruzione proprio in quest'epoca del tempio, il noto voto, citato da Giustino (XXI, 3, 2 ss.), della prostituzione sacra e la contemporanea produzione dei pìnakes sarebbero indici dell'incremento di questo culto, attestato, peraltro, a L. fin dal VII secolo. Il tempio ionico con forme anomale, fra cui anche un fregio con «triglifi» a quattro glifi, e con le due statue di culto nella cella, riprodotto su un tipo di pìnakes, sarebbe, secondo il Prückner, la fedele immagine di un tempio ionico di Marasà, anteriore a quello di età classica che egli data al terzo quarto del V sec., mentre per il Gullini (1980) risale al 470 a.C. circa. La difficoltà di giustificare il rinvenimento di pìnakes dedicati ad Afrodite, provenienti nella massima parte da una località situata fra il vallone dell'Abbadessa e il colle della Mannella, è da lui risolta con la supposizione dell'esistenza di un giardino sacro ad Afrodite ove i pìnakes sarebbero stati sospesi agli alberi; da qui sarebbero poi scivolati sovrapponendosi a quelli del Santuario di Persefone.

Il Prückner propone altresì una nuova classificazione dei soggetti in centocinquantasei tipi. Lo studio, che muove dalla collezione di pìnakes conservati nell'Istituto Archeologico di Heidelberg, già acquistati da F. von Duhn, considera anche le altre raccolte esistenti, ma esclude dal suo catalogo il gruppo maggiore che è quello del museo di Reggio Calabria. Le motivate obiezioni a questa nuova lettura iconografica sono state molte e a esse sono poi seguite altre esegesi. C. Sourvinou-Inwood (1973-1978) affronta l'interpretazione di una delle figure più controverse, il giovane rapitore che compare nelle scene di ratto, nel quale il Quagliati aveva riconosciuto tin messaggero di Hades, l'Orsi lo stesso dio degli Inferi in una sua immagine giovanile e imberbe, la Zancani uno dei Dioscuri e il Prückner un eroe pregreco associato al culto di Hades-Persefone. Per prima la Sourvinou vede nella scena, che si presenta con molte varianti rispondenti anche a diverse fasi temporali dell'evento, un tema non mitologico, ma «laico»: il ratto consenziente di una fanciulla, riproduzione simbolica di una delle cerimonie rituali delle nozze, la cui iconografia si sarebbe plasmata su quella del mito di Hades e Persefone; ciò spiegherebbe la presenza di Hermes, Hades e dei cavalli alati su alcuni esemplari.

E. Simon (1977) insiste sulla separazione netta fra divinità e umani e propone ancora letture diverse. Le divinità che secondo la Zancani rendevano omaggio alla coppia infera in una delle scene di «ricevimento», sono invece per la Simon σύμϐωμοι della dea principale, onorata nel proprio santuario in un culto comune; il fanciullo nella cista è Dioniso che si sviluppa nel dio barbato di altri pìnakes, la scena di ratto con giovane imberbe è il ratto della figlia adottiva di Persefone di cui si ipotizza il culto, a cui spesso assiste il padre Plutone. Nelle scene dei pìnakes queste due ultime studiose cercano anche un supporto per l'esegesi del Trono Ludovisi e del contestato Trono di Boston.

Con i saggi di M. Torelli (1977, 1979), l'accento si sposta da un'interpretazione, comunque problematica e soggettiva dei temi figurativi, all'esame dei culti di cui i pìnakes rappresentano le umili devozioni. Vi è, fatto nuovo, la scoperta di frammenti di pìnakes negli scavi di Centocamere e lo studio degli edifici venuti in luce in questa zona, in particolare la stoà a U. Il Torelli insiste sull'aspetto dialettico dei due santuari, quello di Centocamere, dedicato ad Afrodite-Cibele con i suoi culti orientali della prostituzione sacra nella stoà a U extra moenia e nel tempio di Marasà e quello di Persefone alla Mannella. Tale dicotomia si riflette nei soggetti dei pìnakes. Essi sono finalizzati alla complessa simbologia delle nozze e articolati nei varî momenti attraverso i quali la kore si trasforma in donna adulta e sposata, sia essa o no identificata con Persefone. Presenze maschili divine, Hermes, i Dioscuri, Dioniso, ecc., garantiscono la kore alla coppia infera; segue il gàmos con la scena di ratto, che è la più frequente e diffusa nella sua varia tipologia e, sempre in questa ideale sequenza cronologica, l'apertura da parte di Persefone della cista con il fanciullo divino (Pluto?). L'assenza di Demetra dalle scene dei pìnakes, già rilevata da altri esegeti, sarebbe un relitto delle tradizioni laconiche a L., a cui, per il Torelli, si riferiscono anche le allusioni erotiche rappresentate da Eros, da Peithò e dalla nascita di Afrodite. I legami con Creta sarebbero attestati dai due pìnakes con il ratto di Europa.

La successione cronologica dei pìnakes, entro l'esiguo ambito dei pochi decenni della loro produzione, è affrontata per la prima volta da P. E. Arias. Avvalendosi di confronti con testimonianze plastiche e vascolari egli propone le seguenti date: 1) pìnakes di forma rettangolare: scena nuziale, 500-490; guerriero con cavallo, 480-470; 2) scene di ratto: a) la rapita che spalanca le braccia, 490-480; b) la fanciulla sulle spalle del rapitore, 480-470; c) la rapita e il rapitore sul carro, 460-450; 3) l'offerta del peplo, 490-480 fino al 460; 4) carpologia, 460-450. Le ascendenze stilistiche spaziano dallo ionismo, filtrato attraverso la Tessaglia, per l'epoca più antica, a successivi influssi ionici e attici. La cultura dei pìnakes presuppone, però, sia per Arias sia per M. Gigante, una liturgia religiosa e una tradizione letteraria locale.

Il rinvenimento di pìnakes di tipo locrese, ma di argilla diversa nell'area di Francavilla di Sicilia e l'esame di quelli di provenienza medmea, introducono il tema dell'esistenza di altri centri di produzione, che possono in alcuni casi essersi avvalsi di matrici locresi. L'analisi dei componenti delle argille e l'individuazione delle loro origini dovrà essere approfondita, contestualmente al censimento di tutto il materiale superstite, all'esame della frequenza dei tipi e delle varianti, al loro raggio di diffusione.

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(L. Vlad Borelli)