GAZZOLI,Lodovico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAZZOLI,Lodovico

Carlo M. Fiorentino

Nato a Terni il 18 marzo 1774 dal conte Filippo, di antica famiglia patrizia, e da Ersilia Fabrizi, compì gli studi primari nel seminario di Frascati, completandoli all'Università di Perugia, dove si laureò in diritto civile e canonico. Dopo aver preso gli ordini minori, entrò nell'amministrazione pontificia che percorse in tutti i suoi gradi sino a coronare la carriera con il cappello cardinalizio.

Il 3 giugno 1802 fu nominato da Pio VII referendario, e alcuni mesi dopo governatore di Fabriano; nel 1809, sempre in qualità di governatore, fu trasferito a Rieti; dopo la caduta di Napoleone, nel 1814, fu inviato dal governo pontificio in qualità di delegato a Spoleto, dove rimase fino al luglio dell'anno successivo, quando fu destinato a reggere la delegazione di Ancona, incarico che ricoprì fino a quando, nel 1821, passò alla delegazione di Urbino e Pesaro.

In Ancona, dove ebbe come segretario Carlo Armellini, giovane ma già rinomato avvocato romano, il G. mostrò tutta la sua abilità nella delicata fase di passaggio di quella provincia dall'amministrazione napoleonica a quella pontificia restaurata, adoperandosi in particolare per lo sviluppo dell'economia del luogo con interventi non sempre in sintonia con l'allora segretario di Stato card. E. Consalvi. Per esempio, in seguito a un ricorso anonimo inviato alla segreteria di Stato dai commercianti anconetani, che avevano espresso il loro malumore a causa della cinta daziaria che separava il centro urbano dal porto franco della città e che ne paralizzava il commercio, il G. in un rapporto del 20 nov. 1817 al Consalvi espresse alcune sue idee di riforma, "scevre d'ogni parzialità pei negozianti, e guidate dal solo lume dell'esperienza". Ancona, che nel Regno d'Italia era stata "nell'Adriatico padrona del commercio con Malta anche nel furor della guerra" per tutte le istituzioni militari e civili ivi esistenti che l'animavano, era impedita nel suo pieno dispiegamento economico, secondo il G., dalle "infinite cautele doganali" aggravate da alcuni regolamenti amministrativi, come il ridotto orario delle operazioni daziarie, e dalla molteplicità dei dazi stessi. La conseguenza era che, inceppato dalle tante pastoie burocratiche, tutto il sistema dei traffici subiva un rallentamento tale da penalizzare i commercianti sia sul piano economico, sia su quello della rapidità del movimento delle merci. "Da tutto ciò", concludeva il G. auspicando un pronto intervento risanatorio ad opera del legislatore, "meschino lucro ritrae lo Stato, che riducesi a nulla, depurato che sia delle spese del maggior Ministero" (Petrocchi, pp. 156-159). Pur apprezzando l'interesse del G. per lo sviluppo commerciale della provincia affidatagli, il Consalvi ritenne però che egli nella sua relazione avesse del tutto trascurato "gli altri [interessi] dell'industria, dell'interna sussistenza, e de' credditi [sic] fiscali, i quali non possono esaminarsi disparatamente, né perdersi di vista dal legislatore" (ibid., p. 32).

Lo stesso interesse per l'incentivazione del commercio nella provincia anconetana e nelle Marche, ritenuta dal prelato la condizione primaria della crescita economica e sociale della regione, aveva spinto il G. a patrocinare, nella costruzione della via papale tirreno-adriatica, la soluzione che prevedeva il tracciato più breve già percorso dai corrieri postali: Monte Casale (confine toscano) - Mercatello - Urbania - Fossombrone - Fano, e da Fano, attraverso la via Flaminia, a Pesaro e Ancona, secondo l'originario disegno del topografo S. Salvati, approvato sotto il Regno Italico dal Consiglio generale degli ingegneri sedente in Milano e mai realizzato per le successive vicissitudini politiche e militari. Il G. intervenne inoltre in favore delle Comunità interessate sostenendo che le spese per la nuova strada dovessero essere a carico dello Stato.

Nonostante la sua natura di uomo essenzialmente mite, soprattutto durante i primi mesi della sua permanenza in Ancona il G. mostrò tutta la sua fermezza nel mantenimento dell'ordine pubblico nella provincia, coadiuvato nella sua azione dalla presenza decisiva dell'Armellini. Nel 1823 fu inviato come prolegato a Forlì, dove rimase fino al 1827, quando Leone XII lo nominò presidente della Comarca di Roma, carica che ricoprì fino al 1832. Creato cardinale in pectore da Gregorio XVI il 30 sett. 1831, ottenne il cappello cardinalizio dallo stesso pontefice nel concistoro del 2 luglio 1832, ricevendo il 17 dicembre il titolo diaconale di S. Eustachio, traslato successivamente a quello di S. Maria in Via Lata.

Nel 1833 il G. fu nominato praefectus viarum, aquaeductuum, cursus Tiberis et aquarum. Inoltre, dal 15 apr. 1833 al 20 genn. 1834 assolse all'incarico di cameriere del S. Collegio. L'apice della propria carriera amministrativa al servizio dello Stato pontificio il G. l'ottenne il 3 apr. 1843 con la nomina a prefetto della congregazione del Buon Governo, carica che ricoprì fino al 1847, quando Pio IX riformò profondamente la struttura amministrativa dello Stato.

Nonostante le indubbie qualità di amministratore non privo di una certa attenzione per ogni forma di modernizzazione amministrativa ed economica - qualità che ebbero forse qualche influenza positiva sul giovane funzionario pontificio L. Pianciani, al cui padre Vincenzo il G. era legato da rapporti di ufficio e di amicizia - questi fu costantemente avverso alle teorie liberali e al processo di unificazione della penisola italiana. Nell'agosto del 1846, ad esempio, quando anche nello Stato pontificio il clima politico stava mutando e cresceva l'entusiasmo per il nuovo papa Pio IX, il G., intervenuto in una solenne adunanza dell'Accademia dell'Immacolata Concezione, alle declamazioni del poeta P. Mazio in favore dell'Italia e delle sollecitate libertà costituzionali fu tra coloro che abbandonarono ostentatamente la cerimonia, non condividendo quegli entusiasmi e quelle aspettative. Questa ostilità verso il movimento liberale e nazionale si radicalizzò in modo particolare con l'uccisione di Pellegrino Rossi, che vide il G. coinvolto in prima persona nel tragico avvenimento. Il corpo del morente ministro di Pio IX fu infatti portato nel suo appartamento che occupava alcune stanze del palazzo della Cancelleria e, secondo alcune testimonianze, la folla dei presenti che aveva accompagnato il ferito costrinse il G. a impartirgli l'estrema unzione nonostante che il porporato appartenesse all'ordine dei diaconi e non potesse celebrare i sacramenti.

Con il ritorno di Pio IX da Gaeta il G. occupò vari uffici in Curia: fu membro delle congregazioni del Concilio, dei Riti, della Fabbrica di S. Pietro, della Consulta e degli Studi, e protettore di un gran numero di istituzioni.

Morì a Roma il 12 febbr. 1858. Celebrate le esequie nella chiesa di S. Marcello al Corso, il G. fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Via Lata, di cui era stato titolare fino alla morte.

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