BARTOLINI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARTOLINI, Lorenzo

Isa Belli Barsali

Nacque a Savignano (Prato) il 7 genn. 1777, da umile famiglia; il padre, Liborio, era fabbro e la madre, Maria Maddalena Fabbri, contadina.

Ancora fanciullo si recò a Firenze, trovando lavoro come garzone in qualche modesta opera decorativa di scultura, poi, a dodici anni, entrò all'Accademia di Belle Arti, dove, però, rimase poco tempo. Tornato a Prato, lavorò nella bottega dei fratelli Pisani di Carrara, sempre in omati, e conobbe lo scultore trentino Giovanni Insom, che può essere considerato il suo primo maestro. Nel 1795 si trasferiva a Volterra, prima nel laboratorio dello scultore Valinteri, poi presso l'alabastraro Corneil; qui nacque il suo interesse per la statuaria, e conobbe stile e gusto del neoclassicismo attraverso le sessantadue incisioni di J. Flaxman sull'Iliade e l'Odissea e sulle tragedie di Eschilo.

Dopo un ritorno a Firenze, dove scolpì la sua prima opera nota - il medaglione ritratto dal vero del fratello Angiolino - ,si arruolò nell'esercito francese, e sotto il comando del Macdonald prese parte al combattimento della Trebbia (18-19 giugno 1799), riparando poi a Parigi. Qui - aveva ventidue anni - gli riuscì di entrare a lavorare nello studio di David, a fianco di Ingres, e poi nella bottega del canoviano Frani;ois Lemot.

Con Ingres il B. si legò d'una amicizia durata mezzo secolo, per affinità sia di carattere sia di concezioni artistiche. Una curiosa testimonianza della notorietà di questa amicizia è una caricatura che li rappresenta inginocchiati, in atto di aspergersi a vicenda di incenso (Ch. Blanc, p. 423). Rimangono tre ritratti del B. eseguiti da Ingres (un disegno del 1805 circa al Museo Ingres, Montauban, e due a olio dei 1806 nella collezione Drake dei Castillo e del 1820 nella collezione Lévesque) e un medaglione ritratto in bronzo di Ingres eseguito dal B. a Parigi verso il 1805 (Parigi, Ecole des BeauxArts). Questa amicizia, e quella coi musicista e musicologo F. J. Fétis, indicavano già un particolare orientamento in senso purista.Nel 1802 il B. aveva partecipato al concorso del Prix de Rome e vinto il secondo premio con un rilievo rappresentante Cleobi e Bitene (frammentario, presso gli eredi Bartolini). Questo premio segnò l'affermazione del B. e l'inizio della sua fortuna. Gli vennero ordinati il busto del Generale Fargue per la Galleria di Fontainebleau; il busto del Senatore Fargue per il Senato; il gigantesco busto di Napoleone in bronzo (1805) per il palazzo del Louvre (nel frontone del Pavillon Sully); una parte del bassorilievo in bronzo nella seconda spirale della colonna Vendóme con la Battaglia di Austerlitz (1806-1807).

Protetto da Napoleone, nel 1807 fu nominato direttore della scuola di scultura dell'Accademia di Carrara, che faceva parte del principato di Lucca e Piombino, retto da Felice Baciocchi e dalla moglie Elisa Bonaparte. Qui eseguì il busto in marmo (1809) di Elisa Baciocchi (ora in Versailles); poi, tra il 1808 e il 1813, quelli di Luciano Bonaparte,di Girolamo Bonaparte,di Napoleone - che venne più volte replicato, come quello di Elisa, per fornirne vari edifici - e del Generale Pierre Banel (tutti a Versailles); il gruppo di Elisa con la figlia (Versailles); il monumento funebre della stessa (Bologna, cimitero della C ertosa; oggi monumento Angelelli); il busto di Gioacchino Murat (gesso a Prato, Galleria); infine, nel 1813, iniziava il gigantesco Napoleone togato, scolpito per Livorno e poi montato a Bastia nel 1853, dopo la morte del B., per suo desiderio.

In questo periodo, pur tentando di reagire all'accademismo neoclassico predominante a Carrara e alla corte dei Baciocchi - in Toscana, a suo dire, la scultura era "nella massima nullità e fui d'odio a tutti" (Tinti, Il, p. 141) -, il B. non riuscì a liberarsene, almeno a giudicare dalle opere salvatesi dalla distruzione dei suo studio al momento delle sollevazioni antinapoleoniche. Solo il ritratto di Anna Eynard Lullin, del 1812, si distacca dai modi neoclassici: il gesso (Firenze, Gipsoteca Bartoliniana) rivela interessi e sensibilità diversi, quasi veristici, e il marino (Ginevra, palazzo Eynard), per quanto più freddo e compassato, non è costruito frontalmente, ma articolato nello spazio con una ricca modellazione coloristica. D'altra parte è possibile interpretare certi atteggiamenti e modi di vedere del B. "statuario" (come amò sempre firmarsi e definirsi), aulici e pervasi dal dominante accademismo, più come esigenza illustrativa richiesta dalla conunittenza, e più come documento di quel sottofondo oratorio della ideologia bonapartista, di cui il B. era convinto sostenitore, che come dati della sua sensibilità artistica.

Nel 1814, dopo aver reso omaggio a Napoleone all'isola d'Elba, si trasferì a Firenze, dove trovò molta ostilità, un po, per le sue idep politiche, un po, per il suo atteggiamento costantemente polemico.

Da un elenco, redatto dal B. stesso, di opere eseguite tra il 1816 e il 1846 (prevalentemente ritratti: "500 busti ritratti e tutti spediti", come egli vi annota; cfr. Tinti, II, pp. 1-14) si può dedurre che nei primi due decenni del soggiorno fiorentino la sua opera fu apprezzata, più che dall'ambiente in cui viveva, da stranieri, le cui commissioni risultano numerosissime e prevalenti.

Di questo periodo sono il busto di Byron per il residente inglese a Firenze (gesso originale a Firenze, liceo classico "Dante") - il monumento a Enrichetta Stratford-Canning (1818), nella cattedrale di Losanna, così aderente al gusto neoclassico che il Mazzini (Epistolario, Firenze 1902, 1, p. 155) 10 prese per opera del Canova; il ritratto (circa 1820) della Contessa Maria Potocka (Bakewell, biblioteca di Chatsworth); il ritratto (circa 1820) di Carlo Lodovico di Borbone (Firenze, Galleria d'arte moderna; gesso a Prato, Galleria); il garbatissimo gruppo (1820) delle due Sorelle Campbell danzanti (Firenze, Gipsoteca Bartoliniana); i due ritratti a figura intera della Contessa De Gourief (1822) e di Milady Tay (circa 1825), ambedue a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana; il busto del Conte Adamo Neipperg,eseguito prima del 1829 (gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana) e quello della Principessa Sofia Scherbatoff, 1825-1830 circa (La Gaida, Reggio Emilia, coll. Magnani); il gruppo della Marchesa Stewart Castlereagh di Londonderry con il figlio bambino (gesso del 1830 a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana); il monumento funebre di Felice ed Elisa Baciocchi (Bologna, S. Petronio, cappella già De Rossi), da lui iniziato e finito da C. Baruzzi. Ingres, a Firenze tra il 1820 e il 1824, scriveva del B.: "C'est le plus beau talent et le premier. Ses ateliers, sa correspondance forment un petit ministère" (Boyer d'Agen, pp. 52 e 54).

Ma già in questi primi anni fiorentini si vengono chiarendo e imponendo sempre più, nell'opera del B., interessi di cultura e di linguaggio in rotta con quel gusto affermato cui egli stesso poteva sembrare aderire ancora. Nella Venere dormiente con un amorino (gesso circa del 1817, Firenze, coll. Romanelli) riprendeva un tema e uno schema compositivo del Tiziano, cui ritornerà ancora, ispirandosi alla Venere degli Uffizi, con un marmo del 1830 (Montpellier, Museo Fabre; gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana). Si richiamava invece a modelli quattrocenteschi nel gruppo (1824) della Carità educatrice (Firenze, palazzo Pitti) e nel precedente (1818) Ammostatore, acquistato dal conte James Alexandre Pourtalès (il primo marmo è perduto, a meno che non sia identificabile con quello dell'ermitage di Leningrado: il passaggio in Russia avrebbe potuto verificarsi in occasione dell'asta della collezione Pourtalès, Parigi 1865; il gesso è a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana; l'opera fu replicata in marmo due volte, tra il 1842 e il 1848 [trasformata in Bacchino]: la seconda replica è a Brescia nella Pinacoteca Tosio Martinengo).

Questi richiami culturali non soltanto sono da considerare tentativi sperimentali e ricerca di naturalezza figurativa, ma anche aperture in senso veristico e realistico. Così la somiglianza dell'Ammostatore con una figura dipinta da Benozzo Gozzoli negli affreschi del Camposanto di Pisa si rivela più iconografica che sostanziale; la figuretta giovanile - di "un vero rappresentato con piena evidenza,... finemente scelto e studiato", scriverà il Giordani - è vista con estrema freschezza nella vivacità dei contorni e del modellato. Il gruppo della Carità educatrice - che insegna cioè a leggere, allontanandosi dallo schema tradizionale - fu subito apprezzata per la sua "filosofia" negli ambienti e nei circoli toscani illuminati e progressisti, e piacque al granduca Leopoldo II, che l'acquistò per un certo suo allusivo contenuto di evangelismo laico. Se nel panneggiare il gruppo si rifà a modelli robbiani e verrocchieschi, il B. fonde, però, questi riferimenti culturali nella naturalezza che lega le tre figure e che assume il valore di ricerca veristica nel putto addorinentato, sì da sembrare che anticipi il Cecioni. In alcuni ritratti l'intenzione naturalistica traspare attraverso il richiamo al Verrocchio, come per quello ricordato della Contessa Potocka o per il busto (1821) della Marchesa Teresa Guiccioli Gamba (gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana). D'altronde, questo neoquattrocentismo e neorinascimentalismo del B., che non scomparirà mai del tutto nelle opere successive, è anche documento del contatto dell'artista col nuovo gusto romantico.

Nel 1836 scolpiva la notissima Fiducia in Dio (gesso a Prato, Galleria; marmo a Milano, Museo Poldi Pezzoli), l'opera più vicina a Ingres, la cui idea forse derivò dalla pur diversissima Maddalena penitente del Canova (Genova, Palazzo Bianco).

Già famosissima al suo tempo per la serena, umana immediatezza del sentimento religioso rappresentato, vi si ritrova, più che in ogni altra opera della scultura italiana dell'Ottocento, il senso puro della forma: di un superbo modeuato, le sottili modulazioni dei piani sono, nel tutto tondo, racchiuse da nitidi contorni. La stessa felicità di chiusura e di riuni non fu raggiunta nella figura di donna detta l'Inconsolabile (1840) del monumento a Giovan Francesco Mastianì-Brunacci (Pisa, Camposanto).

Nel monumento funebre della Contessa Sofia Zamcdska Czartoryski, del 18371844, per la chiesa di S. Croce a Firenze (modello in gesso a Firenze, Gipsoteca Bartofiffiana), il B. si trovò a collocare l'opera a fianco dell'amata scultura del Quattrocento fiorentino. Dai monumenti funebri di B. Rossellino e di Desiderio da Settignano riprese così il taglio dell'arcata e certi particolari: medaglione della Madonna con Bambino, policromia, fogliami a leggero intaglio del lettuccio; la resa naturalistica della figura della defunta si accompagnava, in reciproca accentuazione, alle coltri scomposte, trattate coloristicamente.

Nel 1839, a sessantadue anni, ormai famosissimo, otteneva all'Accademia fiorentina quella cattedra di scultura nella quale, nel 1825, per la pedante angustia della cultura ufficiale della Firenze del tempo, gli era stato preferito il canoviano Stefano Ricci.

Il Duprè (p. 117) racconta che il B. "prese possesso della scuola a modo di conquistatore. Bandì lo studio delle statue, e restrinse tutto il sistema di insegnamento alla sola imitazione della natura, e tant'oltre spinse questo principio che introdusse un gobbo nella scuola e lo fece copiare dai giovani studenti", col tema Esopo che medita le sue favole da eseguire in bassorilievo. Nella polemica che ne seguiva il B. precisava (Giornale di Commercio, Firenze, 12 genn. 1842; cfr. Tinti, II, pp. 156 ss.) le finalità didattiche, ma anche il nuovo indirizzo estetico: "Non ho inteso di prendere un gobbo per modello di proporzioni né di regolare berezza, ma ho voluto assuefare lo scolaro a rendersi padrone di quello che vede' senza sistemi e senza il pregiudizio dell'Idealismo ...; la natura è tutta bella... E chi saprà copiarla saprà tutto quello che deve sapere un artista". All'ostentazione polemica di sprezzo per l'antica statuaria ( Bonaini, p. 9 n. 2) Si univano, però, anche nuove e vivaci proposizioni critiche: che la "inimitabile natura" e l'arte del Rinascimento erano da prendersi ad esempio come la più pura vena della tradizione scultoria italiana, "interrotta dall'arte barocca e dall'arte neoclassica".

In realtà, nell'ultimo decennio, l'attività didattica rinnovatrice e stimolatrice del B. non si accompagna, in genere, ad analoga validità di realizzazioni, e non per stanchezza o senilità. Si tratta dei limiti di un periodo di contrastata e contraddittoria transizione, nei quali si inseriscono o risolvono i limiti oggettivi artistico-culturali del Bartolini.

Cosi è per i monumenti, un genere in cui la facilità dell'epoca a far prevalere l'elemento ternatico e contenutistico riproduce un convenzionale e retorico neoaccademismo: il monumento a Leon Battista Alberti (circa 1838-1850) in S. Croce; la tomba del Conte Adamo Neipperg, del 1840-1841 (Parma, chiesa di S. Maria della Steccata); il monumento a Maria Luisa di Borbone affiancata da un genio, del 1843 (Lucca, piazza Napoleone); il monumento a Vittorio Fossombroni, del 1844-1850 (Firenze, S. Croce); i gruppi del Conte Niccolò Demidoff col figlio Anatolio e la Riconoscenza, della Siberia col dio Pluto fanciullo, della Misericordia e le statue della Musa dei festini e della Verità che si svela all'arte - tutti eseguiti per il macchinoso monumento Demidoff,del 1830-1850 (Firenze, Lungarno Serristori; modello in alabastro del 1830 a Prato, GaHeria), finito del resto non dal B. ma, nel 1871, da Pasquale Romanelli -; il monumento funebre della Regina Ortensia ,del 1845 (Rueil, chiesa dei SS. Pietro e Paolo; gesso della statua della regina nella Gipsoteca Bartoliniana); il Machiavelli, del 1846 (Firenze, Loggiato degli Uffizi).

Fa eccezione il più complesso gruppo con Pirro che scaglia Astianatte in presenza di Andromaca (il gesso, del 1841, è a Milano, Museo Poldi Pezzoli; fratturatosi il marmo nel 1849, fu riprodotto dopo la morte del B. in un bronzo, conservato nello stesso museo), in cui si volle vedere un richiamo alla tragica discendenza di Napoleone. Ma, più che di allegoria, si tratta qui di voler "riformare" il Canova su un soggetto analogo (Ercole e Lica),attraverso il moto rotante della composizione, aperta nello spazio in tutte le direzioni, e in cui i riferimenti all'antico sono rifatti "d'après nature".

Per autonoma bellezza si distacca anche un gruppo di sculture, proprio perché libere da prevalenze allegoriche e didascaliche: prima di tutto i ritratti, buona parte dei quali di ignoti (Tinti, tavv. LXXXIX-CVIII); la Beatrice Donati, detta La ritrosa, eseguita nel 1845 per la contessa Olga Orloff (Leningrado, Ermitage); la bella Ninfa dello scorpione, circa 1845 (gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana; marmo del 1846, finito dal Duprè, a Leningrado, Ermitage); il gruppo della Madre, del 1846, raffigurante la marchesa Maria Maddalena Balbi Senarega con la figlia (Genova, palazzo Balbi); Il voto dell'innocenza, del 1848 (gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana; il marmo risulta spedito a Napoli); la Ninfa della serpe, circa 1849 (gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana; marmo per il marchese Ala-Ponzoni di Milano, finito dal Duprè), unitaria e coerente nel suo svolgersi plastico; infine le due statue, non databili con certezza, di Marina Naryshkin e La Rassegnazione (Leningrado, Ermitage).

Nel 1847 il B., al sommo della fama, era stato a Roma, accolto con grande entusiasmo, e Pio IX si fece ritrarre da lui (gesso a Firenze, Gipsoteca Bartoliniana; replica in marmo a Volterra, ex collegio degli scolopi). A Firenze lo colse la morte, il 20 genn. 1850, nella serena casa di Borgo Pinti, dove aveva passato tanti anni insieme con la moglie Anna Maria Virginia Buoni, sposata nel 1831, e coi figli. Stava lavorando al monumento a Cristoforo Colombo, che fu poi eseguito sul suo bozzetto ed eretto a Genova, in piazza dell'Acqua Verde; non ebbero esecuzione i progetti che erano stati preparati per il granduca Leopoldo II di Toscana, fuorché i busti del Granduca e di Maria Antonia.

Dopo la morte del Canova, il B. è non solo la figura più rappresentativa della scultura italiana per tutta la prima metà dell'800, ma anche tra le personalità più famose in Europa; gli vennero conferiti riconoscimenti e onorificenze in gran numero: dall'appoggio di Napoleone e dei Baciocchi alla nomina a cavaliere della Legione d'Onore (1840), a quella a membro dell'Istituto di Francia (1841), della Romana Accademia di S. Luca e di molte altre accademie, all'Ordine dei Cavalieri di S. Gregorio Magno (1847), conferitogli da Pio IX, fino alla nomina (1848) a senatore di Toscana.

La figura del B., tutta d'un pezzo e insieme piena di contraddizioni, è ben delineata psicologicamente nei Ricordi (p. 98) del Duprè.

Assieme al gran numero di commissioni, danno idea del suo successo i giudizi, spesso encomiastici, dei suoi maggiori contemporanei, divenuti presto opinione comune e pubblica. Primo fra tutti Ingres, che nel 1820 aveva proclamato il B. "le plus grand sculpteur de ce siècle qui n'a tousjours pour rivals que les anciens"; il Giordani, che lodava in una lettera al Cicognara (1824) "la quiete e la semplicità dignitosa dell'azione" della Carità educatrice e in un'altra lettera al conte A. Papadopoli parlava ammirato del Bacchino; il Giusti, che fece oggetto La Fiducia in Dio di un noto sonetto (1836) e ricordò il B. nella Terra dei morti (1842); il Baudelaire, che scriveva del "Salon" del 1845: "le goút, la noblesse, la gráce... [fanno della Ninfa dello Scorpione] le morceau capital du salon de scuipture" (in Riflessioni sui miei contemporanei, a cura di E. Somarè, Milano 1945, p. 352); il Gioberti, che nel Primato (Capolago 1846, p. 257) prendeva ad esempio il B. come "la cima dell'eccellenza nel bello scultorio"; il Delécluze (1855), che scriveva: e Heureuse, l'Italie qui possède le plus grand musicien Rossini et le sculpteur plus habile Bartolini". Letterati e musicisti non si lasciarono sfuggire l'occasione di ispirarsi alle sue opere (Tinti, I, pp. 280 s.), o di farsi ritrarre (Byron, M.me de Stáel, G. B. Niccolini, Lisztj M.me d'Agoult, Rossini, Cherubini, a lui legato fin dai tempi di Parigi). Suoi amici furono Gabriele Pepe, Piero Maroncelli, F. D. Guerrazzi; G. Verdi, a Firenze per la prima del Macbeth (1847), lo volle conoscere; lo ammiravano Gino Capponi e Massimo d'Azeglio.

Ma la figura del B. non sempre è stata colta nelle sue giuste proporzioni storiche. Il significato della sua personalità consiste in un'acutezza intuitiva e in una coscienza teorica che si esplicò, pur con un oscillante tradursi di risultati, in impegno critico e didattico. Polemica e insegnamento divennero espliciti nella riforma del 1839, che proponeva principi e formule, se non nuovi nella storia della cultura, vivificatori, liberatori da pedanti convenzionalismi: alla sistematica e alla canonistica estetica neoclassica, un a priori razionalistico, il B. contrapponeva il tendere a un'organizzazione ideale della natura, del "vero", che non aveva per fine la ricostruzione aprioristica del bello, ma la scoperta stessa della "inimitabile natura", l'unitarietà, cioè, e l'architettura della natura, l'organicità naturale assunta come realtà giustificatrice di un'autonomia della forma.

Le idee estetiche del B. erano semplici e chiare. L'arte era per lui "bello riunito e non ideale... mediante la semplice imitazione del vero". La bellezza non poteva trarsi da un'idea astratta e da una convenzione - "la natura", diceva, "vale più dell'antico", e intanto andava scoprendo il "bello naturale" nelle sculture del Ghiberti e di Donatello -, ma da parti belle trovate nella realtà. "Saperle poi copiare", scriveva nel 1842, "è lo Scopo e la difficoltà dell'arte... E siccome [gli scolari] non devono imparare a ritrarre l'uomo a memoria per non riescire idealisti, ho variato i medesimi modelli sino alle deformità; le quali però a ritrarle hanno l'istessa difficoltà e bellezza che le forme più perfette e regolari della natura" (Tinti, II, pp. 154 s.). La "natura", cioè, era per il B. l'unica fonte della fantasia creatrice.

Dal suo diretto insegnamento uscirono i fiorentini L. Pampaloni e T. Gasperini; Pasquale Romanelli; il livornese Antonio Demi; bartoliniani operosi in Toscana furono Luigi Magi di Asciano, Francesco Pozzi di Portoferraio e altri, attivi tra l'altro alle statue del loggiato degli Uffizi. A Roma, il carrarese Pietro Tenerani, suo allievo per breve tempo a Carrara, fini con l'operare su una linea analoga a quella del Bartolini. A Milano, anche se non diretta, esercitò una forte influenza, specialmente con G. Strazza, P. Magni, G. Argenti.

Ma come la sua lezione supera l'ambito del diretto insegnamento, così la sua efficacia non si restringe nel riferimento all'avvio di particolari correnti.

Se per l'ammirato entusiasmo verso il Quattrocento italiano, assieme a Ingres, sembra precorrere i preraffaelliti; se per l'avversione al neoclassicismo e l'insistita postulazione di un ritorno al "vero" tracciò un orientamento guida che si sviluppò nel verismo e nel realismo della seconda metà dell'Ottocento, da G. Duprè a V. Vela ad A. Cecioni, l'attività e il significato del B. si inseriscono nel più ampio quadro del romanticismo italiano, sia per la nuova notazione di sfumatura ironica (caricature, nella raccolta di Prato) sia per posizioni naturalistiche (Ammostatore) o spiritualistiche (La Fiducia in Dio).

Le contraddizioni di linguaggio del B. furono insieme il limite e il carattere della sua stessa personalità, ma furono anche proprie dell'arte degli anni in cui fu attivo. La discontinuità tra le varie opere non va imputata solo a elementi esteriori: generi d'attività particolarmente sordi - ad esempio, il ritratto ufficiale, il monumento - che coninuttenza e tradizione condizionavano conformisticamente; o una materia - il marmo - la cui trattazione. era gravata da abitudini artigianali e lasciata finire e lisciare agli allievi. L'orientamento critico significò per il B., prima di tutto, prendere in considerazione ciò che criticava, derivame cioè un suggerimento di fondo. Di qui, nella realizzazione, più che una esplicita contrapposizione della spontaneità naturalistica al razionalismo neoclassico e accademico, derivava un'oscifiazione di atteggiamenti pur all'intemo di uno specifico indirizzo di creatività.

La sua visione teorica, coerente nelle dichiarazioni e negli scritti, nella scelta stessa di una tematica escludente del tutto il mondo antico, non seppe esplicarsi sempre in realizzazioni stilisticamente coerenti. Il nuovo senti.tnento, legato all'osservazione e penetrazione della natura, era un ideale di impegno, di rottura del diaframma tra poesia e vita, tra vero e arte: un ideale che implicava una tendenza didascalica, che portava, al limite, la dissociazione della forma dal contenuto. Come scultore "napoleonico" e ufficiale si era pur mosso nel solco del neoclassicismo che odiava; toccato dalla polemica in favore e contro la mitologia, evitò il tema antico, e tuttavia l'Ammostatore, nuovo stilisticamente, fini per intitolarlo Bacchino nelle più tarde repliche, cioè fini per seguire quanto in quel ragazzo colto dal vero i committenti continuavano a vedere; più tardi (Monumento Demidoff; Monumento Fossombroni), il tentativo di riscattare con nuovi significati (La Verità che si svela all'Arte) un patrimonio di forme neoclassiche restò squilibrato e circoscritto al mero elemento contenutistico.

L'esame dei gessi, costruiti d'impeto, in luogo delle traduzioni in- mariúo, è sempre a favore dello scultore; estremamente spontanei, e nello stesso tempo di alta misura stilistica, sono il busto dei Conte A. Neipperg, il busto di G. Rossini (circa 1835), i busti di ignoti della Gipsoteca Bartoliniana, il Sonno dell'Innocenza,e il nobile gruppo della, Misericordia per il Monumento Demidoff (entrambi a Prato, Galleria). "Nei ritratti", scriveva il B., "la materia ha farma e movimento, quindi ha vita"; è questo il senso del suo "verismo", un senso puro della forma che si placa felicemente, con la guida di quella "natura che non inganna mai".

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