LORENZO da Viterbo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LORENZO da Viterbo

Lucia Casellato

Nacque a Viterbo da Iacopo di Pietro Paolo, secondo quanto riferisce lo storico viterbese Niccolò della Tuccia nella sua Cronaca, redatta verso la metà del Quattrocento (in Ciampi, p. 97). Poco o nulla di più si conosce purtroppo della vicenda biografica di L., della quale è difficile stabilire finanche i termini cronologici. La scarsità delle fonti documentarie disponibili, infatti, non ha consentito di stabilire con esattezza l'anno di nascita; e fino a oggi l'ipotesi più accreditata si fonda, sia pure con qualche riserva, sull'indicazione fornita dal distico latino presente negli affreschi realizzati dall'artista per la famiglia Mazzatosta, all'interno della loro cappella in S. Maria della Verità a Viterbo. Nell'iscrizione, dopo la firma e la data (1469) ricorrono le parole "hactenus haud lustris opus istud quinque peractis condidit", che hanno dato adito a qualche incertezza interpretativa.

Già C. Ricci (p. 29), alla fine dell'Ottocento, traduceva i versi con "il pittore non compiuti fino a questo punto i cinque lustri compose questo lavoro", suggerendo pertanto di fissare l'anno di nascita dell'artista al 1444. Tuttavia, non tutti gli studiosi concordano con questa proposta anche perché, per stessa ammissione di Ricci (p. 30), non è del tutto sicuro che l'epigrafe sia coeva alla stesura degli affreschi, motivo che solleva dubbi sulla sua attendibilità. Ulteriori perplessità sono state poi avanzate anche in merito alla traduzione del verbo "condidit" che, come è stato osservato da Pinelli (p. 194), sembrerebbe meglio convenire alla fondazione della cappella da parte del committente che allo specifico intervento del pittore. Se così fosse, l'ipotesi di Ricci sarebbe da respingere e l'indicazione del numero degli anni andrebbe appunto riferita all'età del committente. A tutto ciò si è aggiunto il ritrovamento presso l'Archivio di Stato di Roma di un rogito notarile, scoperto e pubblicato da C. Grigioni nel 1928, che ha contribuito ulteriormente a complicare la questione. Infatti nel documento, che porta la data del 12 febbr. 1462, si menziona un certo "magistrum Laurentium de Viterbio pictorem", abitante a Roma presso la "Regione columne" (in Grigioni, p. 114), al quale viene richiesto l'assenso per le nozze di una nipote. La scoperta ha generato nuovi interrogativi, poiché partendo dal presupposto che il Lorenzo citato nel documento sia effettivamente lo stesso autore degli affreschi in S. Maria della Verità - circostanza invero non da tutti accolta (Strinati, p. 195) - e accogliendo altresì la data del 1444 quale anno di nascita dell'artista, ne consegue che nel 1462 il pittore avrebbe avuto solo diciotto anni. Di qui il dubbio che fosse un po' troppo giovane sia per poter agire legalmente, dato che la maggiore età si raggiungeva normalmente a venticinque anni, sia per aver potuto assumere il titolo di magister, riservato in genere ad artisti più maturi e affermati. Tali obiezioni, seppure lecite, non trovano però conforto nelle disposizioni legali del tempo che, come è stato giustamente notato, in effetti non vietavano né escludevano espressamente queste possibilità (Valtieri - Bentivoglio, p. 90; Pinelli, pp. 194 s.). Allo stato attuale della ricerca non sussistono perciò argomenti decisivi in grado di impugnare l'informazione fornitaci dal distico latino della cappella dei Mazzatosta, che resta dunque ancora l'unica fonte utilizzabile per la cronologia.

Anche per ciò che concerne la personalità artistica di L. quanto è sicuramente documentato rimane assai scarso e lacunoso. Circostanza tanto più sorprendente a fronte della speciale considerazione e dell'importanza storico-critica accordata dagli studiosi alle due uniche opere certe ascrivibili al pittore: il summenzionato ciclo di affreschi per la famiglia Mazzatosta del 1469 e la pala con la Vergine, il Bambino e i ss. Michele Arcangelo e Pietro, in S. Maria Maggiore a Cerveteri, firmata e datata 1472, che fanno del maestro viterbese una delle figure più interessanti del Quattrocento laziale, al pari di Antoniazzo Romano, e certamente aggiornato alle più recenti sperimentazioni artistiche dell'Italia centrale.

Secondo quanto è narrato da Niccolò della Tuccia, gli affreschi viterbesi furono commissionati dal cittadino Nardo Mazzatosta per abbellire la propria cappella di famiglia in S. Maria della Verità. L'ambiente, quadrato e coperto da una volta a crociera, è interamente decorato con scene raffiguranti Storie della Vergine, suddivise orizzontalmente in due registri. Sulla parete destra sono visibili in alto la Presentazione al tempio e in basso lo Sposalizio (capolavoro di L. elogiato in particolar modo dallo stesso Niccolò della Tuccia, orgoglioso di registrare la propria presenza fra i personaggi effigiati). Dietro l'altare trova spazio l'Assunzione; mentre sulla parete sinistra compaiono, nel registro superiore, l'Annunciazione e in quello inferiore l'Adorazione del Bambino. Nella volta sono raffigurati, in un'interessante ripartizione a cerchi concentrici, le figure alternate degli evangelisti e dei profeti, nella prima fascia, e dei Dottori e Padri della Chiesa nella seconda. Conclude la decorazione la serie di santi e profeti dipinta nel sottarco dell'entrata. Il complesso di affreschi subì gravissimi danni durante la seconda guerra mondiale, quando la chiesa venne parzialmente distrutta; e ciò che è oggi visibile è frutto di una lunga e paziente ricostruzione, operata dall'Istituto centrale del restauro, che ha in parte restituito l'aspetto originario della cappella, a esclusione della parete sinistra, rimasta purtroppo irrimediabilmente danneggiata. Anche così è comunque possibile constatare, com'era già stato fatto in passato, che sebbene il ciclo sia certamente caratterizzato da una sostanziale omogeneità stilistica, non mancano tuttavia ampi brani che denunciano evidenti cadute qualitative, forse dovute a un preponderante intervento da parte delle maestranze di bottega. Infatti, se per la critica non sembrano sussistere dubbi circa l'autografia laurenziana dello Sposalizio, della Presentazione al tempio, delle figure degli apostoli nella parte inferiore dell'Assunzione e, infine, di tutta la decorazione della volta, non altrettanto certa appare l'attribuzione degli affreschi del registro superiore dell'Assunzione e delle storie dipinte sulla parete sinistra. Qui, infatti, il disegno è assai più incerto e, nonostante il cattivo stato di conservazione, è in ogni modo ravvisabile un'imperizia, sia nella resa grafica sia in quella prospettica, che non è dato rintracciare nel resto degli affreschi.

Al di là della pur rilevante questione del riconoscimento dell'autografia, la critica si è posta anche il problema della formazione di Lorenzo. Nella sua opera infatti è visibile una conoscenza, tutt'altro che superficiale, dei modelli e delle novità tecnico-prospettiche maturate soprattutto negli ambienti artistici toscani e umbri. Nel tentativo di individuare un punto di riferimento, anche se indiretto, sono stati fatti molti nomi tra i quali figurano quelli di Piero Della Francesca, del Beato Angelico, di Melozzo da Forlì, di Benozzo Gozzoli, e finanche di Andrea Mantegna (Strinati, pp. 179 s.). Certo, se si accetta l'ipotesi del soggiorno romano diventa più facile ammettere una relazione con molti di questi pittori che, richiamati nell'Urbe, lasciarono traccia del loro modo di lavorare; ma se si esclude invece l'eventualità che L. abbia varcato i confini viterbesi, l'unico riferimento possibile è quello di Benozzo Gozzoli, che, richiamato dalle monache del convento di S. Rosa, affrescò nel 1453 la chiesa omonima con le Storie della santa patrona. Oggi il ciclo non esiste più, ma, quand'anche il giovane artista non avesse frequentato direttamente la bottega di Gozzoli, avrebbe potuto verosimilmente ammirare l'opera sua nella maggiore chiesa di Viterbo e trarne vantaggio per il proprio apprendistato. Comunque è ovvio che, mancando i riferimenti documentari e basandosi unicamente su un ristrettissimo catalogo, è difficile definire con precisione l'orientamento culturale e artistico del pittore, soprattutto se l'unico strumento ricognitivo è il metodo del confronto stilistico; e tutto ciò che può essere detto in proposito per ora è che effettivamente L. aveva acquisito e possedeva cognizioni tali da permettergli di confrontarsi con le più moderne pratiche artistiche.

Nel 1953 F. Zeri pubblicava un articolo in cui rendeva nota la scoperta di una nuova opera di Lorenzo. Il ritrovamento era stato allora reso possibile grazie alla decisione di intervenire con un restauro sulla pala raffigurante la Vergine, il Bambino e i ss. Michele Arcangelo e Pietro, conservata presso la chiesa di S. Maria Maggiore a Cerveteri. Il lavoro di ripristino prevedeva la rimozione della cornice di età barocca e di due corone metalliche, sovrapposte sempre in epoca successiva alle originali aureole, che, una volta rimosse, lasciarono scoperta un'iscrizione visibile sul trono della Vergine. Qui infatti compare la data di esecuzione, il 1472, e la firma del pittore, "Laurentius Jacobi de Viterbio", firma ancora più preziosa poiché dotata dell'indicazione del patronimico che esclude ogni fraintendimento in merito all'identificazione dell'autore. L'analisi condotta sulla tavola ha messo in luce diversi particolari importanti che hanno consentito la formulazione di alcune ipotesi in merito alla sua esecuzione. Infatti nell'opera, mal rifinita soprattutto nelle zone marginali, si nota una certa discontinuità qualitativa che ha fatto supporre una realizzazione a più mani forse dovuta alla prematura scomparsa dell'artista, sebbene non sia stata esclusa l'eventualità che queste parti così abbozzate fossero ab origine coperte da una cornice (Pinelli, p. 195). Ad avvalorare la tesi dell'improvvisa scomparsa di L. starebbe anche la piccola croce che compare nell'iscrizione accanto al nome dell'artista. L'indagine epigrafica sembrerebbe riconoscere un solo autore per la scritta che dunque sarebbe stata evidentemente aggiunta da qualche allievo di bottega preoccupato di tramandare ai posteri sia la paternità dell'opera sia il motivo per cui non era stata completata (Zeri, 1998, p. 267). Non tutta la critica però condivide questa tesi che, seppure possibile, non risolve i problemi a essa connessi, compreso quello dell'assenza della notizia della morte dell'artista all'interno della Cronaca di Niccolò della Tuccia, che puntualmente riferisce i fatti dei propri concittadini fino al 1476 (Pinelli, p. 195).

È comunque sulla base della scoperta di Zeri che Pinelli riconosceva successivamente, sempre a Cerveteri, un'altra opera dell'artista viterbese. Si tratta dell'affresco dipinto sulla controfacciata della piccola chiesa di S. Antonio Abate, di cui prima del restauro del 1972 si potevano vedere solo le figure della Madonna in trono con il Bambino. Ma dopo la ripulitura l'immagine si rivelò come la parte centrale di una più estesa composizione in cui apparivano anche due santi, uno di difficile identificazione e l'altro riconoscibile come Antonio Abate (ibid., pp. 189, 193). Purtroppo, nonostante il risanamento, l'affresco mostra ancora delle irrimediabili lacune che in certi casi hanno reso difficile l'indagine stilistica; tuttavia non sembrano sussistere dubbi sulla forte familiarità che lega quest'opera alla pala di S. Maria Maggiore, e l'idea attributiva è ormai unanimemente accettata dalla storiografia artistica.

Non hanno invece superato il vaglio critico le altre tesi, che, avanzate da studiosi diversi, hanno tentato di arricchire lo scarno catalogo del pittore. Allo stato attuale degli studi infatti non sembra essere corretta né la proposta che attribuiva a L. gli affreschi in S. Biagio a Corchiano (Salerno; Faldi, pp. 30 s.), né quella formulata da R. Longhi per palazzo Orsini a Tagliacozzo (pp. 54 s.), e neanche infine la posizione di C. Brandi per il quale sussisteva la possibilità di un intervento di L. nell'Isola Bisentina (p. 3).

Difficile stabilire l'anno di morte di L. che, da quanto risulta da un documento pubblicato da C. Pinzi, nel 1471 era ancora a Viterbo. Forse morì proprio nel 1472, come suggerito da Zeri; e sebbene non si possieda la certezza che la morte sia avvenuta in quell'anno, del 1471 è l'ultima testimonianza che ne registri la presenza.

Fonti e Bibl.: I. Ciampi, Cronache e statuti della città di Viterbo, Firenze 1872, pp. XV, 97; C. Ricci, L. da V., in Arch. stor. dell'arte, I (1888), pp. 26-34, 60-67; C. Pinzi, Gli ospizi medioevali e l'ospedale grande di Viterbo, Viterbo 1893, p. 130; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, 2, Milano 1913, pp. 4 s., 223, 226-254, 267; Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, II, Saggi e ricerche: 1925-1928, 1, Firenze 1967, pp. 53-62; C. Grigioni, Un documento romano sul pittore L. da V., in L'Arte, XXXI (1928), 3, pp. 113-116; C. Brandi, Mostra dei frammenti ricostituiti di L. da V. (catal.), Roma 1946; F. Zeri, Una pala d'altare di L. da V., in Bollettino d'arte, XXXVIII (1953), pp. 38-44; I. Faldi - L. Mortari, La pittura viterbese dal XIV al XVI secolo (catal.), Viterbo 1954, pp. 57-59; L. Salerno, L'arte nel Viterbese. Mostra dei restauri, Viterbo 1965, p. 26; V. Golzio - G. Zander, L'arte in Roma nel secolo XV, Bologna 1968, pp. 268 s.; I. Faldi, Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma 1970, pp. 26-38, 164-167, 175-183, 186-193, 195, 197-201, 205, 209, 216; S. Valtieri - E. Bentivoglio, Le pitture di L. da V. nella cappella Mazzatosta a Viterbo, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XVII (1973), 1, pp. 87-104; C. Haas, Beiträge zu L. da V., Wien 1978; C. Strinati, L. da V., in Il Quattrocento a Viterbo (catal., Viterbo), Roma 1983, pp. 179-201; A. Pinelli, Un affresco di L. da V. a Cerveteri, in Scritti di storia dell'arte in onore di Federico Zeri, I, Milano 1984, pp. 189-195; La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1986, pp. 425-428, 436, 444, 459, 530; F. Zeri, Giorno per giorno nella pittura, Torino 1998, pp. 265-268; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXXIII, p. 394.

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