OTTONI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

OTTONI, Lorenzo

Cristiano Giometti

OTTONI, Lorenzo. – Figlio di Giovanni Giacomo, romano (Pascoli [1730 circa], 1981), nacque a Roma il 25 novembre 1648 e fu battezzato due giorni dopo in S. Lorenzo in Damaso.

Nel 1658 iniziò il suo apprendistato come scultore nella bottega di Antonio Giorgetti, per passare nella «numerosissima scuola» di Ercole Ferrata che gli affidò alcune «piccole commissioni» da lui eseguite con «onore» (ibid., p. 207). La prima opera autonoma a oggi nota risale al 1669 ed è una statua in travertino, non identificata, per il portico di S. Pietro, per la quale lo scultore percepì 80 scudi (Le statue..., 1987, p. 279). Nel 1675 prese parte alla decorazione dell’altare maggiore di S. Anna dei Funari (distrutta nel 1887), rimodernato su disegno di Carlo Rainaldi, eseguendo i due Angeli in marmo alla base della struttura, mentre quelli sul timpano erano opera di Francesco Cavallini (Titi [1674-1763], 1987).

In quel periodo ebbe inizio la collaborazione con Giuseppe Giorgetti, fratello di Antonio e protetto dal cardinale Francesco Barberini. Oltre al completamento di alcune sculture antiche indiziariamente individuate da Montagu (1970, p. 293, n. 124), i due «scultori compagni» (ibid., p. 293) restaurarono nel 1677 una colossale statua di Apollo, posta sulla fontana all’estremità del giardino di palazzo Barberini e, nel 1679, il celebre Fauno Barberini (Monaco, Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek), di cui realizzarono le  gambe, il braccio sinistro e soprattutto la roccia che funge da giaciglio al torso (Montagu, 1991). Il cardinal Francesco finanziò inoltre il Monumento a George Conn, già agente pontificio in Inghilterra (m. 1640), per la chiesa titolare di S. Lorenzo in Damaso: le parti scultoree furono eseguite nel 1678 e Montagu (1970, p. 295), su basi stilistiche, ha assegnato a Ottoni il ritratto di Conn e a Giorgetti il putto a sostegno del medaglione. L’anno seguente i due artisti iniziarono una statua monumentale di Urbano VIII destinata alla città di Pesaro; il modello è da ascrivere a Giorgetti, anche se la traduzione in marmo deve essere stata per la maggior parte effettuata da Ottoni, che si occupò anche della messa in opera a Pesaro, ove giunse verso il 1684. Della statua, distrutta nel 1797, non rimangono che la testa e parte del busto nell’Ateneo pesarese (palazzo Almerici).

Prima di partire per le Marche, Ottoni era stato impegnato a Roma in alcune importanti imprese. Il 28 maggio 1679, un mandato di 60 baiocchi (Montagu, 1970, p. 296) attesta che, in collaborazione con Giorgetti, trasse la maschera funebre del cardinale Francesco Barberini che sarebbe poi servita per l’esecuzione, da parte del solo Ottoni, del busto marmoreo destinato al Monumento funebre del cardinale Barberini, ora nel corridoio tra la basilica di S. Pietro e la sagrestia (già nella demolita S. Maria della Febbre). I lavori, finanziati dal nipote di Francesco Barberini, il cardinale Carlo, si svolsero tra il 1681 e il luglio 1682, e spettano a Ottoni tutte le parti scultoree dell’edicola: due Atlanti a sostegno della trabeazione (dei quali quello a destra è però assegnato su basi stilistiche a Giulio Cartari da T. Montanari in Pinelli, 2000, p. 839), l’effigie del defunto, due Fame con la tromba e l’arme barberiniana.

Il ritratto del cardinale Francesco può essere considerato il prototipo per una serie di busti della famiglia Barberini, commissionati dal cardinale Carlo e ricondotti allo scultore da Martinelli (1955). Due versioni marmoree dei ritratti dei cardinali Francesco e Antonio Barberini juniore furono acquistati nel 1961 dal Museo di Roma, mentre due repliche in terracotta, originariamente patinate in bronzo e di dimensioni maggiori rispetto ai marmi del Museo di Roma, entrarono a far parte nel 1972 delle raccolte della Galleria nazionale di arte antica che, nel 1979, si aggiudicò anche una seconda versione in marmo del busto del cardinale Francesco Barberini. Allo stesso gruppo doveva appartenere anche il ritratto in marmo di Maffeo Barberini, conservato a San Francisco presso il California Palace of the Legion of Honour, il cui modello in terracotta è stato individuato in una collezione privata romana (Roth, 1985). La stessa vivacità di tratto si riscontra anche nelle effigi di Ercole e Giovan Luigi Bolognettiin conversazione nel monumento loro dedicato posto alla sommità del timpano del confessionalenella parete sinistra della navata della chiesa di Gesù e Maria di Roma: Ottoni fu impegnato in questo cantiere rainaldiano tra la primavera del 1683 e l’inizio dell’anno seguente (Marchionne Gunter, 1997, p. 346 n. 108), scolpendo inoltre i due Putti che fiancheggiano i defunti e le figure della Vergine e di S. Giuseppe in stucco sulle prime nicchie a destra e a sinistra della navata.

A fine aprile 1684 (Brancati, 1981), Ottoni partì dunque per Pesaro con la moglie Maddalena Aioli, sposata nel 1672 (Pascoli [1730 circa], 1981). Il legato pontificio, cardinale Fabrizio Spada, apprezzò il suo operato e la comunità cittadina lo invitò a realizzare l’apparato decorativo della fontana di piazza Maggiore (distrutta in gran parte nel 1944) con Tritoni a sostegno della vasca centrale e Cavalli marini – firmata e datata 1685 e di cui lo scultore approntò anche un modello oggi perduto (Brancati, 1981) – e un ritratto di Fabrizio Spada, che forse sopravvive in condizioni frammentarie in palazzo Almerici a Pesaro (ibid.), anche se parte della critica non concorda con tale ipotesi (Ferrari - Papaldo, 1999). Viceversa, il bel modello in terracotta, che si conserva presso la Galleria Spada di Roma (Nava Cellini, 1982), fu venduto da Filippo Ottoni, figlio dello scultore, a Clemente Spada Veralli nel 1741 (Neppi, 1975).

Ai primi di dicembre 1685, di ritorno a Roma dopo un breve soggiorno a Loreto «per dar riposo alla moglie che aveva condotta seco» (Pascoli [1730 circa], 1981,p. 210) e che a Pesaro aveva dato alla luce la secondogenita Giulia (Brancati, 1981), lo scultore lavorò all’ammodernamento della cappella di S. Anna in S. Maria in Campitelli eseguendo l’Angelo inginocchiato in marmo alla destra della base della pala d’altare – sul lato opposto a quello di Michel Maille – e la coppia dei Putti reggicorona in stucco alla sommità dell’edicola.

Nel 1686 fu chiamato a Napoli dal viceré Gaspar de Haro, marchese del Carpio, che lo invitò a realizzare due statue non ancora identificate anche per il mancato riferimento alla loro iconografia da parte di Pascoli. Si possono tuttavia avvicinare a questa impresa due busti allegorici in marmo oggi nel Patrimonio Nacional di Spagna, già attribuiti a Ercole Ferrata (de Frutos, 2009), raffiguranti a mezza figura la Verità (La Granja, Palacio Real de S. Ildefonso) e la Falsità(Aranjuez, Real Casa del Labrador) che, per la maniera di scolpire le ciocche dei capelli e di incidere l’iride, rimandano alla più tipica ritrattistica di Ottoni.

Di ritorno da Napoli, il re di Francia Luigi XIV gli commissionò una copia (oggi Parigi, Tuileries) del Nilo di Belvedere: dalla corrispondenza del direttore dell’Académie de France a Roma, Mathieu de La Teulière, sappiamo che le operazioni sul marmo iniziarono nel 1687 per terminare nel 1692 (Correspondance, 1887, pp. 172, 309). Nei ranghi della stessa Accademia, Ottoni aveva anche iniziato una collaborazione con lo scultore francese Jean-Baptiste Théodon, coadiuvandolo, insieme a Le Tellier, nella realizzazione del gruppo con Peto e Arria (Parigi, Louvre) – commissione che dopo il modello in grande e la sbozzatura del marmo passò a Pierre Lepautre – e delle due statue monumentali raffiguranti Atlante e Faetusa (Versailles, Orangerie), eseguite tra il 1688 e il 1692.

Nello stesso volgere di anni Ottoni fu impegnato su vari fronti, soprattutto nel campo della ritrattistica, a cominciare dal busto del cardinal Orazio Mattei destinato al suo monumento funebre in S. Francesco a Ripa, il cui modello in terracotta, comparso sul mercato antiquario nel 1966, è ora conservato presso il City Museum and Art Gallery di Birmingham (Cannon Brookes, 1968). Nel 1689, ricevette da Alessandro II Pico, duca della Mirandola, l’incarico di scolpire il ritratto della madre, Maria Cybo Pico (Mantova, Palazzo ducale), un vero tour de force di trine e merletti che il duca «talmente se ne compiacque, che diede ordine gli facesse fare quel della duchessa consorte» (Pascoli [1730 circa], 1981, p. 213) Anna Beatrice d’Este Pico (Mantova, Palazzo ducale), ispirato al prototipo algardiano di Olimpia Maidalchini (Roma, Galleria Doria Pamphilj).

Nel 1690, realizzò l’effigie marmorea del pontefice regnante, Alessando VIII Ottoboni, probabilmente destinata alla città di Urbino, e oggi al Liebieghaus Museum di Francoforte, e un medaglione, sempre in marmo, dello stesso papa, su commissione del cardinal Francesco Barberini juniore (Los Angeles, The J. Paul Getty Museum), elevato alla porpora nel 1690; quest’ultimo ritratto fu probabilmente eseguito per commemorare l’evento anche se il supporto in bigio antico con un’Aquila ad ali spiegate si deve datare al 1699-1700 (Fusco, 1997). Nel 1692 anche il cardinale Pietro Ottoboni, nipote di Alessandro VIII e vicecancelliere, chiamò Ottoni a suo servizio per il restauro del famoso specchio con Il Tempo, realizzato da Bernini per Cristina di Svezia e da poco acquistato dal porporato, e per l’esecuzione di una fontana (perduta) nel palazzo della Cancelleria (Giometti, 2008).

Gli anni Novanta furono contrassegnati da una sequenza di incarichi promossi da Innocenzo XII Pignatelli a cominciare dal riallestimento della cappella del Battesimo in S. Pietro.

In base a un primo progetto, selezionato a seguito di un concorso pubblico, furono realizzati i modelli in grande di stucco di un gruppo con il Battesimo di Cristo assegnato a Domenico Guidi, fiancheggiato da quattro Virtù, ideate dall’architetto Carlo Fontana e ripartite tra Ottoni (Fede), Théodon (Religione), Maille (Innocenza) e Girolamo Lucenti (Purezza); tuttavia, a causa della malattia di quest’ultimo, la sua scultura fu portata a termine nel 1693 dagli altri tre scultori. La prevista fusione in bronzo delle figure non venne mai eseguita e le statue (perdute) entrarono a far parte del Museo dei Modelli di scultura nel Nicchione di Belvedere. Il rinvenimento nelle grotte vaticane di una grande vasca di porfido, utilizzata come coperchio del sarcofago di Ottone III, portò a una revisione del programma iniziale giudicato dal papa troppo dispendioso: Fontana ideò così una fastosa copertura per tale vasca, utilizzata come fonte, al centro della quale vi è un medaglione con la Trinità, sorretto da due Putti e sormontato dall’Agnello mistico. A Ottoni dovrebbe spettare il modello per quest’ultima figura, eseguito dapprima in alabastro e quindi, secondo un nuovo disegno, anche in terracotta per essere fuso in bronzo da Giovanni Giardini (Braham - Hager, 1977; Montagu, 1996).

Nel settembre 1694, insieme a Théodon e Maille, Ottoni fu incaricato di scolpire cinque insegne raffiguranti il Salvatore per alcuni edifici di proprietà dell’ospizio apostolico dei Poveri Invalidi.

Allo scultore spettano il bassorilievo in stucco sul fastigio del portico della Dogana di Mare a Ripa Grande (distrutto all’inizio del Novecento), la targa quadrangolare ancora in situ sull’ala sinistra del palazzo della Curia Innocenziana o di Montecitorio (1694), e quella ovale proveniente dall’atrio della Dogana di Terra di piazza di Pietra, oggi al Museo di Roma (1695; Di Gioia, 1988).

Il rapporto con Théodon e Maille costella tutta la seconda metà degli anni Novanta. Ottoni fu attivo nella grande impresa dell’altare di S. Ignazio al Gesù, dapprima come assistente di Théodon per i modelli in piccolo e in grande del gruppo con il Trionfo della Fede sul Paganesimo (Correspondance, 1887, p. 269), e poi nell’esecuzione, in marmo, dell’Angelo di destra sopra la porta del vestibolo laterale (1697-99); nella cappella del Monte di Pietà eseguì due rilievi in stucco della volta raffiguranti Sisto V indica ai bisognosi il palazzo destinato al Sacro Monte e Clemente VIII consegna al cardinale Aldobrandini il chirografo a favore del Sacro Monte (1696-97; Carta, 1980); quindi nella cappella di S. Cecilia in S. Carlo ai Catinari modellò in stucco gli Angeli reggidrappo e i Putti alla sommità della parete destra e l’Angelo con i Putti del sottarco d’ingresso (Pickrel, 1984; Ferraris, 1991).

Nel 1697 prese parte ai lavori, diretti da Fontana, del Monumento a Cristina di Svezia (1697), in S. Pietro, per il quale realizzò i modelli e la traduzione marmorea dei due Putti ai lati del sarcofago, terminandoli nel 1702 (Braham - Hager, 1977). Contestualmente svolse anche una vivace attività autonoma scolpendo, per esempio, in marmo, i due Putti che reggono la Croce per l’altare della cappella di S. Zita in S. Croce e Bonaventura dei Lucchesi (1695), il rilievo con la Sacra Famiglia che appare alla beata Ludovica Albertoni nella cappella Altieri in S. Maria in Campitelli (1697-1701; Anselmi, 1993) e la statua genuflessa di Carlo Montecatini, arcivescovo di Calcedonia (1698), per il monumento del presule in S. Maria in Aquiro (Panciroli - Posterla, 1725; Marchionne Gunter, 2003).

Dai primissimi anni del 1700, iniziò a lavorare estensivamente per la Fabbrica di S. Pietro, tanto da guadagnarsi il titolo di «Vat. Basilicae Sculptor». Tra il 1702 e il 1703, insieme a Théodon e sotto la direzione di Fontana, ottenne l’incarico di coordinare l’erezione di 50 statue in travertino per i bracci retti del colonnato, e di queste ne eseguì tre: S. Nereo, S. Achilleo e S. Giorgio. Negli stessi anni scolpì, sempre in travertino, le figure di S. Giulio per il portico di S. Maria in Trastevere (1702 circa) e di S. Silvestro papa (1703 circa) per quello di S. Silvestro in Capite (Le statue..., 1987). Nel biennio seguente, Clemente XI lo chiamò a restaurare 11 grandi sculture del nascente Museo dei Modelli relative a varie opere berniniane (Angeli che fiancheggiano la Cathedra Petri; Angeli per il ciborio della cappella del Ss. Sacramento; bassorilievo con Angeli con la Croce per la loggia delle Reliquie; Putti inginocchiati ai lati della Cathedra Petri; statua di S. Pietro benedicente in trono) e alle statue del primo progetto della cappella del Battesimo (Pampalone, 2003). Nello stesso periodo si occupò anche del restauro della fontana grande in Vaticano (Marchionne Gunter, 2003) e degli stucchi e delle statue del casino di Pio IV (Losito, 2000). E ancora nel 1705, in occasione del riattamento della fontana dell’Organo nei giardini del Quirinale, restaurò le statue antiche dislocate intorno alla struttura (Pampalone, 2008). Sempre su istanza del pontefice, nel 1709 restaurò l’Angelo con la spugna di Antonio Giorgetti a ponte S. Angelo (Id., 2004); l’anno seguente lavorò alla decorazione a stucco della porta al termine della galleria delle Carte geografiche in Vaticano insieme a Pietro Papaleo, Domenico Muratori e Tommaso de Rossi (perduta; Id., 2002); nel 1711 scolpì due Delfini (angolo Sudest) a sostegno dell’obelisco della fontana di piazza della Rotonda, mentre gli altri due sono da ascrivere a Vincenzo Felici (Id., 2003).

Tra il 1711 e il 1712 tornò a lavorare nella basilica Petriana modellando in stucco gli Angeli nei vestiboli e tamburi delle cappelle del Battesimo, del Coro, del Ss. Sacramento, di S. Sebastiano e della Pietà. Tra il 1714 e il 1717 fu la volta di dieci Virtù in stucco per i sottarchi del transetto e dell’abside: nella fattispecie la Fede cattolica e la Giustizia (1714-15, transetto meridionale, parete ovest), l’Umiltà e l’Immortalità (1716, tribuna, parete sud), la Cognizionee la Compassione (1716-17, tribuna, parete nord), la Purezzae la Benignità(1715-16, transetto settentrionale, parete ovest), la Liberalitàe la Vigilanza (1717, transetto settentrionale, parete est). Al 1719-20 risalgono gli stucchi con le Storie di s. Pietro e i Santi Pontefici rispettivamente per la volta e le lunette del vestibolo sud del portico; al 1721-22 la statua della Fortezza in travertino sempre per il portico; al 1723-24 i Cherubini in stucco per la cappella dell’Arcangelo Michele; infine al 1724 i rilievi in stucco con S. Pietro consegna uno stendardo e le chiavi della Chiesa a Carlo Magno e a Leone III e Carlo Magno in ginocchio dinanzi a un sacerdote e a due diaconi per la volta dell’atrio del Braccio di Carlo Magno.

Nonostante la grande mole di lavoro intrapresa per conto del papa, Ottoni fu comunque attivo anche in altri contesti pubblici e privati, sia a Roma sia fuori. Nel 1704 iniziò a scolpire la monumentale figura del S. Taddeo per una delle nicchie borrominiane della navata di S. Giovanni in Laterano portandola a termine nel 1709 (Negro, 2001). Nel settembre 1707 firmò il contratto per eseguire entro un anno i busti ritratto di Geronima Naro Santacroce e del marito, il marchese Scipione Santacroce, due Putti di marmo, un panno in marmo nero e un Teschio per il loro deposito in S. Maria in Publicolis (Montagu, 1997); sempre nel 1707 dette inizio al gruppo con S. Anna e la Vergine per la terza edicola a destra di S. Maria ad Martyres (il Pantheon) che terminò nel 1716; dell’opera esisteva anche il modello in grande di stucco in Vaticano (Taja, 1750), perduto. Al 1712 risale il bell’Angelo in marmo sulla destra del timpano d’altare della cappella Sacripanti o di S. Giuseppe in S. Ignazio, mentre quello sul lato opposto fu affidato a Felici. Nel marzo del 1714 si impegnò ad eseguire una statua raffigurante S. Francesco d’Assisi da porsi nella cappella di S. Barbara del duomo di Rieti per ordine del conte Pietro Odoardo Vicentini. La scultura fu terminata nel luglio 1716, e in quell’occasione si decise di affidare all’artista un secondo marmo con l’effigie di S. Prosdocimo, fondatore della cattedrale. A un anno di distanza, Ottoni venne incaricato di realizzare anche le statue di S. Nicola e della Beata Colomba (Palmegiani, 1926; Aloisi - Ferri 1998).

Nel triennio 1715-18, scolpì per l’abbazia di Montecassino la statua di S. Norberto (Caravita, 1870) andata quasi completamente distrutta durante il secondo conflitto mondiale. Nel 1717, realizzò in S. Eustachio a Roma il busto ritratto di Silvio Cavalleri – e probabilmente anche i Putti dolenti di corredo – per il monumento funebre del nobiluomo, progettato da Alessandro Sperone (Appetiti, 1964), mentre l’anno seguente il cardinal Fabrizio Paolucci gli commissionò due Angeli per il frontespizio dell’altare della cappella della Madonna del Fuoco nel duomo di Forlì (Pascoli [1730-36], 1981).

Ormai quasi ottuagenario, nel 1726 firmò la figura del Cristo a coronamento dell’altare di S. Ignazio al Gesù, confrontandosi con il giovane Bernardino Ludovisi, autore del Dio Padre, e nel 1729 portò a compimento, «con l’aiuto di un suo giovine» (ibid., p.216), il rilievo con l’Immacolata Concezione e cherubini, sempre per l’altare della cappella di S. Barbara di Rieti, iniziato quattro anni prima (Palmegiani, 1926).

Con quest’opera, Ottoni si avviava a chiudere una carriera lunghissima che aveva attraversato oltre 50 anni di scultura romana; una carriera costellata da riconoscimenti in seno all’Accademia di S. Luca, ove fu proposto accademico di merito nel 1681 e ammesso al possesso nel 1691, mentre l’anno seguente era stato accolto nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Alla sua scuola si formò un’intera generazione di scultori che traghettarono la sua perizia tecnica fin oltre la metà del Settecento, quali Bernardino Cametti, Bernardino Ludovisi, Giuseppe Lironi e Giovanbattista de Rossi.

Come ricorda Pascoli ([1730 circa], 1981, p. 217), dalla moglie Maddalena aveva avuto sette figli, «quattro maschi, e tre femmine», dei quali gli sopravvissero soltanto tre: Filippo dedito all’architettura, Giovanni Jacopo, computista, e Maria Felicita che aveva preso i voti nel monastero di S. Croce di Trevi. Il 22 luglio 1732 dettò le sue ultime volontà (Archivio di Stato di Roma, 30 Notai capitolini, notaio Francesco Corvini, uff. 9°) alla presenza degli esecutori testamentari Giulio Gaulli e Antonio Valeri.

Ottoni eleggeva suoi «eredi universali li sudetti Filippo Gaetano Severino e Gio. Giacomo Ottoni […] dilettissimi figlioli», mentre alla figlia monaca andava «sua vita naturale durante il frutto di sei luoghi di monte […], e questi sei luoghi doppo la morte di detta M. Felicita li lascio […] all’Insigne Accademia di S. Luca». Lasciò inoltre «à Gio. Batta de Rossi, Giuseppe Lironi e Bernardino Lodovisi miei Giovani di Studio tutti li ferri, Cavalletti grandi, e piccoli […], et ogni altro Istromento, che concerne la professione di Scoltura, […] e tutti li gessi esistenti nello Studio à S. Pietro, perché se li dividano equalm.e frà di loro in ricompensa dell’amorevolezza, et affetto, che mi hanno dimostrato».

Morì a Roma il 29 settembre 1736 e fu sepolto nella chiesa di S. Nicola in Arcione alla presenza degli accademici di S. Luca. Nel registro dei morti della parrocchia è definito con il titolo di «perillustrissimus» (Le statue...,1987, p. 224).

Moltissime sono le opere che la critica gli ha attribuito nel corso degli anni, soprattutto in considerazione della vastità della sua produzione e dell’ampiezza cronologica della sua attività. Si citano soltanto la decorazione in stucco del portale di facciata (rilievo con S. Andrea) e i busti di Evangelisti e i Padri della Chiesa modellati, insieme a Maille, nell’oratorio dei pescivendoli presso S. Angelo in Pescheria a Roma (Di Gioia, 1988-89); un busto marmoreo di Cardinale dello Statens Museum for Kunst di Copenhagen, la cui identificazione con Francesco Barberini fu già confutata da Martinelli (1955); un busto in terracotta con l’effigie di papa Innocenzo XII, battuto all’asta da Sotheby’s a Londra il 26 luglio 2007 (lotto 131); la Madonna e i Putti dell’altare della Natività al Gesù; il busto di Clemente XI, già in collezione Zeri (Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli).

Fonti e Bibl.: F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, pp. 8, 15-18, 28, 49, 52, 54, 103, 106, 119, 167, 184, 190, 202, 237, 239 s., 242, 244; O. Panciroli - F. Posterla, Roma sacra, e moderna, Roma 1725, p. 189; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti viventi… (1730 circa), introd. di V. Martinelli, Treviso 1981, pp. 207-228; A. Taja, Descrizione del palazzo Apostolico Vaticano, Roma 1750, p. 340; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XLVII, Venezia 1847, p. 110; A. Caravita, I codici e le arti a Monte Cassino, Montecassino 1870, pp. 521-524; Correspondance des directeurs de l’Académie de France à Rome avec les surintendants des bâtiments, a cura di A. de Montaiglon - J. Guiffrey, I, Paris 1887, ad ind.; II, ibid., 1888, ad ind.; F. Palmegiani, La cattedrale basilica di Rieti…, Roma 1926; R. Wittkower, Ein Bozzetto des Bildhauers L. 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