VALLA, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VALLA, Lorenzo

Clementina Marsico

VALLA (Vallae, Valle, Vallensis, Della Valle, Dalla Valle), Lorenzo. – Nacque a Roma (nei suoi scritti rivendicò sempre la propria ‘romanità’, definendosi con fierezza «Romanus orator»); la data di nascita si ricava dall’iscrizione sepolcrale in S. Giovanni Laterano, ora scomparsa, fatta preparare dalla madre Caterina Scribani, che si concludeva con «Vixit annos L. Anno Domini MCCCCLVII Die primo Augusti»(così nella silloge di Pietro Sabino, il primo a trascrivere il testo de visu: Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. X 195, f. 291v). Secondo tale informazione, Valla nacque tra il 2 agosto 1406 e il 1° agosto 1407. Per errore nella riproduzione dell’epigrafe stampata sul frontespizio dell’Opera omnia di Valla pubblicata a Basilea nel 1540 si legge «MCCCCLXV», fraintendimento all’origine di una lunga catena di errori. Tra i pochi passi in cui Valla si riferì alla propria nascita il solo a riportare informazioni non generiche è l’Antidotum II contro Poggio Bracciolini, dove scrisse di aver tentato di ottenere l’incarico di segretario apostolico all’età di ventiquattro anni, quando lo zio Melchiorre Scribani (o Scrivani), a sua volta segretario e scrittore apostolico di Martino V, era già morto (Parigi, Bibliothèque nationale, Par. lat. 8690, c. 95v); di seguito, egli aggiunse che nello stesso anno dello zio morì anche il nonno materno, Giovanni (c. 96r). Melchiorre morì nella seconda metà del 1429 (anno in cui fece testamento, lasciando erede universale il padre: Fiori, 1992, p. 146), prima del 6 dicembre (data di una lettera di Martino V in cui si legge che, dopo essere stato al seguito del papa a Ferentino nell’estate, «Melchior de Scribanis [...] defunctus est»: G. Marini, Degli archiatri pontifici, I, Roma 1784, p. 241). La data della morte di Giovanni, anch’egli impiegato in Curia, è più problematica. La data del 1428 ricordata in numerosi studi (cfr. W. Hofmann, Forschungen zur Geschichte der Kurialen Behorden, II, Roma 1914, p. 95, n. 3) confligge con il testamento di Melchiorre che nel 1429 lasciò come erede proprio il padre. È verosimile che – pur scrivendo l’Antidotum circa venticinque anni dopo i fatti – Valla ricordasse con esattezza il difficile anno in cui perse quasi contemporaneamente entrambi i cari, nonché i suoi principali sostenitori in Curia e che, quindi, Melchiorre e Giovanni morirono nell’inverno del 1429. Di conseguenza, l’affermazione dell’Antidotum condurrebbe a porre la data di nascita tra l’autunno del 1404 e quello del 1406. Mettendo in relazione la forbice cronologica ricavabile dall’iscrizione con quest’ultima, la nascita andrà collocata tra il 2 agosto e l’autunno (al più tardi il 6 dicembre) del 1406.

La famiglia, formata da giuristi e curiali, era originaria di Piacenza e aveva possedimenti terrieri a Tavasca. Luca, padre di Lorenzo, e figlio del notaio e vicecancelliere della Comunità di Piacenza Pietro, si laureò a Pavia in diritto civile nel 1397 con Baldo degli Ubaldi e in diritto canonico l’anno successivo. Divenuto avvocato concistoriale, nel 1400 Luca sposò Caterina Scribani, figlia di Giovanni (anch’egli piacentino). Negli anni successivi i due si trasferirono a Roma, dove vivevano altri membri della famiglia, oltre a Melchiorre: Antonia, Elisabetta e Marta, sorelle di Caterina, sposate rispettivamente con Ludovico de Orto, medico di Eugenio IV, menzionato da Valla in due lettere; il nobile romano Andrea Filippini e l’avvocato concistoriale Niccolò Tartarino. Dell’amato e influente zio Melchiorre Valla scrisse anche nell’Antidotum in Facium. Per parte materna Valla era imparentato con Iacopo Esculani, della cui figlia recuperò l’eredità di «tria milia aureorum» presso il «mons Venetiarum» nel 1430 (Parigi, Bibliothèque nationale, Par. lat. 8690, c. 96r).

Il padre morì prima del 14 novembre 1420; la madre, descritta da Lorenzo come modello di pudicizia, benché rimasta vedova all’età di venticinque anni, non si risposò. La notizia di nove fratelli, che si legge nella Oratio ad papam Eugenium IV, è priva di fondamento storico. Abbiamo notizie certe di due fratelli, Paolo e Margherita. Paolo fu forse abate a Salerno, e proprio in territorio aragonese Valla si trasferì nei primi mesi del 1435, dove poté rivedere Paolo dopo nove anni di lontananza, poco prima della sua morte; a Paolo Lorenzo dedicò la terza redazione del De vero bono. Margherita sposò nel 1433 il milanese Ambrogio Dardanoni, abbreviatore e scrittore apostolico, referente privilegiato di Valla in Curia durante gli anni del forzato esilio napoletano. Nell’Antidotum II Valla riferì di un fratello, forse più giovane, allievo di Porcelio Pandoni a Roma, da identificare con lo stesso ancora residente nell’Urbe tra il 1434 e il 1435, in contatto con Giovanni Tortelli.

Lorenzo non si sposò mai, ma ebbe tre figli, forse con l’«Helena mea» ricordata nelle Epistole (a cura di O. Besomi - M. Regoliosi, 1984, p. 386), alcuni dei quali probabilmente non gli sopravvissero.

Molto poco sappiamo dei suoi primi studi, che compì a Roma dove crebbe, come ricordò più volte («Rome et ortus et adultus» scrisse a Tortelli: Epistole, cit., p. 354; «in hac urbe [...] ad virilem etatem educatus sum»: Parigi, Bibliothèque nationale, Par. lat. 8690, c. 92v). Non fece mai riferimento ai suoi maestri. Fu legato da affetto e stima ai suoi insegnanti di greco, soprattutto a Giovanni Aurispa e, in misura minore, a Rinuccio Aretino (li ricordò insieme nell’Antidotum II: «Aurispa atque Rinucius me ut suo in grecis litteris discipulo gloriantur, ut ego invicem ipsis preceptoribus»: ibid., c. 86r; «necdum tantis preceptoribus meis dignus sum Aurispa atque Rinucio»: c. 88r). Probabilmente l’incontro con Aurispa avvenne durante il soggiorno di questi a Roma nella seconda metà del 1420. Numerose le attestazioni di stima e familiarità: in una lettera, chiedendo l’aiuto del siciliano per la revisione dell’Iliade e della Collatio, Valla lo definì «velut deus [...] Grecarum litterarum», venerato «patris loco» (Epistole, cit., p. 252), un appellativo, quest’ultimo, che impiegò per lui anche in altre occasioni. All’Aurispa, che probabilmente gli procurò libri (almeno un codice di Quintiliano), Valla sottopose alcuni dei suoi più importanti lavori: oltre alle due opere citate, le Elegantie lingue latine (portate avanti su incitamento proprio di Aurispa e di Leonardo Bruni), le Raudensiane note e la De falso credita et ementita Costantini donatione. Ancora un segno di affettuosa devozione fu il riferimento a lui e a Bruni nel II proemio delle Elegantie (magnum opus in cui Valla citò pochi, selezionatissimi autori moderni), ove è chiaramente ricordato il proprio discepolato: «me non tam mea voluntate [...] ad hoc opus descendisse, quam prudentissimorum atque amantissimorum consilio, cum aliorum, tum precipue Aurispe et Leonardi Aretini, quorum alter grece legendo, alter latine scribendo ingenium excitavit meum, ille preceptoris (uni enim mihi legebat), hic emendatoris, uterque parentis apud me locum obtinens» (Regoliosi, 2010, p. 1165). Meno intenso fu il rapporto con il secondo maestro di greco, Rinuccio, che insegnò contemporaneamente a Valla e al futuro Eugenio IV, a Roma forse intorno al 1427 (lo ricordò nella prefazione al De vero bono e in un’epistola a Trevisan; cfr. Epistole, cit., pp. 246 s.). Quando si trovò in difficoltà con la traduzione di Tucidide, Valla dubitò dell’aiuto di Rinuccio (p. 345).

Nonostante l’utilizzo dell’appellativo pater anche per Bruni, non è possibile parlare di un vero discepolato (si noti la marcata differenza rispetto ad Aurispa nel citato proemio delle Elegantie). Il giovane Valla conobbe Bruni probabilmente durante il suo soggiorno romano del 1426, occasione in cui l’aretino gli fece da guida nelle visite alle rovine antiche. Per tutta la vita Valla tributò onori alle opere di Bruni, almeno pubblicamente (protagonista della prima redazione del De vero bono, è qui definito modello di perfetto oratore); non mancarono, però, le critiche e i distinguo: in una lettera a Decembrio, la Laudatio Florentinae urbis di Bruni fu violentemente attaccata, così come, alcuni anni dopo, la traduzione della Politica di Aristotele; persino la famosa versione dell’Etica Nicomachea fu criticata nelle Raudensiane e nelle Elegantie. Non è suffragata da documenti l’affermazione di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, secondo cui Lorenzo sarebbe stato allievo di Vittorino da Feltre.

Certo è che per la sua formazione furono importanti i continui scambi con i membri della Curia, anche con quanti, come Poggio Bracciolini o Antonio Loschi, non ne apprezzarono la vivacità e l’ambizione. In un passo dell’Antidotum II Valla ricordò a Bracciolini le loro frequenti conversazioni romane: «tecum milies locutus fueram, tecum etiam altercatus, tecum et cum omnibus secretariis de facundia certaveram quippe qui de comparatione Ciceronis Quintilianique conscripseram» (Parigi, Bibliothèque nationale, Par. lat. 8690, c. 95v). Il preludium all’operetta citata, forse mai compiuta (dal titolo provvisorio Quintiliani Tulliique examen), fu trasmesso a Carlo Marsuppini, per il tramite del Panormita (conosciuto a Roma nel 1428), prima del settembre del 1429. Tale esercizio preparatorio consente di comprendere l’audace progetto con cui il giovane Valla intendeva esordire sulla scena letteraria, vale a dire una comparatio tra la Pro Ligario di Cicerone e la declamazione pseudoquintilianea Gladiator, volta a dimostrare la superiorità di Quintiliano su Cicerone in ambito retorico. Si tratta del primo segno di una passione per Quintiliano che accompagnò Valla per tutta la vita (di cui resta uno straordinario cimelio in Parigi, Bibliothèque nationale, Par. lat. 7723). Anche il successivo progetto fu assai ardito: Valla iniziò a lavorare al De vero bono, un dialogo sul vero bene, dal lungo e complesso processo redazionale. La prima forma del testo (dal coraggioso titolo De voluptate, con protagonisti Bruni, il Panormita e Niccolò Niccoli) fu elaborata in Lombardia, dove Valla si spostò nel 1430. Il viaggio, dovuto al recupero dell’eredità familiare a Piacenza, si trasformò in un’occasione per cercare lavoro, sfumata la possibilità di ottenere il posto che era stato di Melchiorre a causa dell’opposizione di Bracciolini e altri segretari pontifici. Dopo il soggiorno a Piacenza, durato almeno fino al marzo del 1431, Valla si trasferì a Pavia nell’estate; qui insegnò privatamente, prima di ottenere la cattedra di rhetorica presso lo Studium alla morte di Gasparino Barzizza (nel Rotulus dei professori del 1431 è citato con il nome di «magister Laurentius de Scrivanis»: R. Maiocchi, Codice diplomatico dell’Università di Pavia, II, 1, Bologna 1971, pp. 279-282, n. 415, 291-293, n. 431, 302-305, n. 451) con un salario di 50 fiorini. Il fervido ambiente culturale lombardo rivestì una notevole importanza nel consolidamento della metodologia di ricerca di Valla, che durante tale soggiorno iniziò a comporre le sue opere più ambiziose, le Elegantie, la Dialectica e lo stesso De vero bono.

Dopo un anno e mezzo circa, l’esperienza di insegnamento ebbe una brusca conclusione dovuta alla reazione dei giuristi cittadini alla diffusione dell’Epistola contra Bartolum, composta nel febbraio del 1433 contro il giurista Bartolo da Sassoferrato; tale conclusione fu sancita dalla rimozione ufficiale dal pubblico ufficio il 19 marzo 1433 (la cattedra fu affidata al Panormita e Antonio Astesano).

Valla passò a Milano per alcuni mesi, dove continuò a insegnare (presumibilmente in forma privata), quindi a Firenze e a Ferrara nell’autunno del 1433. Nelle due città divulgò la seconda redazione del De vero falsoque bono (con modifiche profonde e nuovi interlocutori: lo stoico, l’epicureo, il cristiano vestono ora i panni di Catone Sacco, Maffeo Vegio, Antonio da Rho), che avrebbe poi trovato una forma definitiva solo anni dopo (intorno al 1449).

Testo rivoluzionario, strutturato come un dialogo in tre libri, rielabora la nozione epicurea della voluptas e la pone come massima aspirazione umana dal punto di vista religioso. L’opera fu inviata o consegnata in omaggio a letterati come Pier Candido Decembrio, Guarino Veronese, Ambrogio Traversari, Bruni, Marsuppini.

Se da un lato l’operato di Valla iniziò a riscuotere favore, dall’altro cominciarono i dissapori: l’esclusione del Panormita dal novero dei personaggi del dialogo fu dovuta a una «summa iniuria» (Epistole, cit., p. 133), non ancora acclarata, da cui derivò un’annosa inimicizia; nel 1433 anche la stretta familiarità con Antonio Raudense (inserito nella seconda redazione del libro) si incrinò a causa di un plagio scoperto da Valla nelle Imitationes rhetorice del frate.

Dall’inizio del 1434 fino a ottobre Valla visse e insegnò privatamente a Genova. Sul finire dell’anno si spostò a Firenze, a casa di Dardanoni, che si trovava nella città al seguito di Eugenio IV (fuggito da Roma a giugno), a cui Valla consegnò come salvacondotto il III libro del De vero bono (la parte più convincente dell’opera dal punto di vista cristiano), ancora nella speranza di un impiego in Curia o di qualche beneficio. L’umanista non ottenne nulla di ciò che desiderava; tuttavia, il soggiorno fiorentino fu significativo dal punto di vista culturale. Valla mostrò le Elegantie (solo parzialmente elaborate: si tratta di una «degustatio», di libri «quasi prima manu deformati»; ibid., p. 240) a Bruni e ad Aurispa; consultò libri (tra cui l’Iliade di Leonzio Pilato nel codice di Niccoli); tradusse, in competizione con Bruni, la demostenica Pro Ctesiphonte; conobbe Tortelli, a cui fu legato da straordinaria amicizia per il resto della vita.

A causa dell’insuccesso con il pontefice e delle precarie condizioni economiche, all’inizio del 1435 si recò al servizio di Alfonso V d’Aragona, prima a Gaeta (fino al 1443) e poi a Napoli. Nei primi anni presso il re Valla dovette affrontare gli snervanti disagi della guerra e continui spostamenti; partecipò anche a vere e proprie battaglie, come quella di Ponza nell’agosto del 1435, a seguito della quale fu fatto prigioniero presso Filippo Maria Visconti assieme allo stesso re e a numerosi membri di corte (a Milano, però, Valla si trattenne oltre la partenza del re, probabilmente per tutto il 1436, per motivi diplomatici e culturali); o come la campagna in Abruzzo, durata da giugno ad agosto del 1438. Nonostante ciò i dodici anni napoletani furono per Valla fecondissimi. Grazie al sostegno economico del re (testimoniato da documenti di pagamento dell’Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona: Fois, 1969, pp. 171-175), che lo nominò storiografo regio all’inizio del 1438, Valla si dedicò alle sue opere più importanti sul versante linguistico, filosofico, storico ed esegetico. Dal 1439, inoltre, Alfonso tentò di far ottenere al suo protegé alcuni benefici ecclesiastici (tra cui un canonicato a Cremona presso i Visconti, di cui Valla entrò in possesso nel 1443).

Nel 1438 l’umanista mise a punto due traduzioni: le trentatré Favole di Esopo, dedicate all’amico Arnaldo Fonolleda, e il I libro della Ciropedia di Senofonte per Alfonso, composto come guida per il giovane Ferrante. Nello stesso anno tradusse quattro canti dell’Iliade; l’impresa omerica (giudicata assai difficile) continuò, a rilento, fino al 1444, arenandosi al canto XVI. Nel 1439 terminò la prima redazione della Dialectica, dall’orgoglioso titolo Repastinatio dialectice et philosophie; l’opera, capolavoro della riflessione filosofico-epistemologica valliana, fu ripresa tra il 1444 e il 1448 (gli anni della seconda redazione, dal titolo Reconcinnatio totius dialectice et fundamentorum universalis philosophie), e conclusa a Roma dopo il 1449 (con il titolo definitivo di Retractatio totius dialectice cum fundamentis universe philosophie). Sempre nel 1439 risulta essere terminato uno scritto fondamentale in campo filosofico e teologico, il De libero arbitrio, dedicato al vescovo di Lérida García Aznarez de Añón e incentrato sul problema della compatibilità di prescienza divina e libertà umana. Nella primavera del 1440 Valla diffuse la prima redazione della sua opera più famosa, il De falso credita et ementita Costantini donatione, capolavoro di ermeneutica filologica, composto a sostegno di Alfonso nel duro scontro con la S. Sede, ma animato anche da forte passione civile e religiosa; la seconda divulgazione del testo avvenne negli anni 1443-44 quando, desideroso di tornare a Roma, l’umanista cercò consensi nell’ambiente culturale coevo per giustificare il proprio ‘pericoloso’ scritto. Nello stesso giro di anni (1440-41), Valla compose il dialogo De professione religiosorum – un duro attacco agli ordini religiosi e alla loro presunta superiorità rispetto alla condizione laicale – e nel 1442 si cimentò arditamente con la filologia biblica, iniziando la lunga elaborazione delle annotazioni alla revisione della traduzione della Vulgata neotestamentaria (la cui prima redazione fu terminata intorno al 1444, mentre la seconda, forse mai definitivamente compiuta, subì modifiche e aggiunte dopo il 1448, anche grazie al contributo di intellettuali competenti quali Aurispa, Bessarione e Niccolò Cusano).

Nel frattempo, sul capo di Valla iniziarono ad addensarsi le nubi delle polemiche – spesso ostinatamente cercate e da cui mai, comunque, si tirò indietro – e quelle, più pericolose, delle accuse inquisitoriali. Nel 1443 fece circolare tra conoscenti la prima redazione delle Raudensiane, con le quali prendeva forma l’antico dissapore di circa dieci anni prima con Antonio da Rho. Tra il 1444 e il 1445, in seguito all’intensificarsi del lavoro a corte sul testo di Livio (e quindi all’emergere di Valla, impegnato nel restauro del celebre Livio Harleiano, come il migliore tra gli interpreti), esplosero le ostilità con il Panormita e Bartolomeo Facio.

Ma le dispute tra letterati, pur violente, erano poca cosa rispetto al processo per eresia che Valla dovette affrontare nell’aprile del 1444, ufficialmente per lo scontro con il predicatore francescano Antonio da Bitonto sulla composizione del Simbolo Apostolico: solo l’intervento del re lo salvò dall’incriminazione (le vicende sono narrate, e minimizzate, dall’accusato stesso nella Defensio quaestionum in philosophia). Nuove minacce di attacchi inquisitoriali lo raggiunsero a Roma, dove Valla si recò nel settembre dello stesso anno, di nuovo nel tentativo di trovare una sistemazione nell’Urbe dopo quattordici anni di assenza (a questo tentativo si ricollega la scrittura dell’Apologia e dell’Oratio, entrambe dedicate a Eugenio IV); questa volta dovette riparare velocemente a Napoli, dove ripresero le ostilità con il Panormita e Facio, che, in particolare, avevano preso di mira l’opuscolo di critica storiografica sui rapporti di parentela tra Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo steso da Valla alla fine del 1444 (l’Epistola de duobus Tarquiniis) e, forse, un perduto commento alla Rhetorica ad Herennium.

Tra il 1445 e il 1446 Valla compose una breve orazione sull’intitolazione del Regno di Napoli e di Sicilia; tradusse una parte almeno della XIX omelia di s. Basilio sui quaranta martiri e, soprattutto, ultimò l’opera tanto attesa dal sovrano, i Gesta Ferdinandi regis Aragonum, che proprio il Panormita e Facio ridicolizzarono a corte per i supposti errori. Approfittando di un nuovo viaggio a Roma di Valla (nella primavera del 1446), i due addirittura diffusero clandestinamente l’opera storiografica, assieme a quattro feroci Invective in L. Vallam. La risposta di Valla non si fece attendere: nei mesi centrali del 1447 ultimò a Tivoli (dove il re si era recato per una spedizione contro Firenze) l’Antidotum in Facium, dopo un probabile periodo di preparazione a Napoli. È plausibile che si leghi alla lunga polemica con il Panormita anche l’organizzazione di una raccolta poetica (forse databile agli anni 1443-44) che comprende venticinque carmi, tra cui spicca per complessità metrica ed esegetica l’inedito Novencarmen. Una singolare prova poetica è costituita pure dai trenta esametri sulla prima declinazione latina con cui si aprono le Emendationes quorundam locorum ex Alexandro, composte a Napoli per il sovrano. D’altronde già in un documento regio del 1439 Valla è definito «poeta laureatus» (Fois, 1969, p. 175).

All’inizio del 1448, grazie al sostegno di Bessarione, all’amicizia con Tortelli e all’elezione di un nuovo papa, il dotto Niccolò V, Valla riuscì finalmente a rientrare a Roma, carico di speranze circa la futura carriera. In realtà, almeno inizialmente, gli anni romani non furono facili, a causa dell’ostilità dell’infido ambiente di Curia e di alcuni colleghi, Bracciolini in primis. Il papa, probabilmente per evitare polemiche, si limitò a nominarlo «scriptor litterarum apostolicarum» il 13 novembre 1448 (Archivio apostolico Vaticano, Reg. Vat. 432, cc. 207rv). Per mantenersi, Valla ricominciò a insegnare privatamente; ma a partire dal 1450, grazie all’intercessione di alcuni amici, ottenne la ben remunerata cattedra di retorica presso lo Studium Urbis, che tenne probabilmente fino alla morte, in contemporanea (e in polemica) con Giorgio Trapezunzio solo per il primo anno. Da testimonianze dei discepoli sappiamo che lesse a lungo Quintiliano (l’Institutio, ma forse anche le Declamationes pseudoquintilianee), Giovenale, la Rhetorica ad Herennium. Nell’ottobre del 1455 gli fu affidata la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico (l’Oratio in principio sui studii), l’ultima sua riflessione sulla lingua, in cui esaltò il ruolo della Sede apostolica per il progresso e la difesa del latino.

La produzione letteraria degli anni romani fu assai feconda. Oltre ad alcune importanti traduzioni affidategli da Niccolò V (la difficile prova tucididea, che lo impegnò dal 1448 al 1452; la versione di Erodoto, conclusa intorno al 1456) e a un interessante esperimento metrico legato all’insegnamento (trecentosessantadue versi con cui intese riscrivere il diffusissimo manuale per latinantes di Alexandre de Villedieu, il Doctrinale, già oggetto di critica nelle Emendationes), giunsero finalmente a pubblicazione le poderose Elegantie, l’opera di una vita.

Complesse furono le vicende editoriali dello scritto (nei cui sei libri, suddivisi in quattrocentottanta capitoli, trovano spazio riflessioni grammaticali, stilistiche, retoriche, lessicografiche, filologiche, giuridiche, considerazioni sul valore stesso del latino e la sua grandiosa missione unificatrice tra i popoli), che ebbe gestazione più che decennale. A Roma Valla in parte mutò e ampliò il grandioso disegno dell’opera: decise di pubblicare in unico corpus i suoi principali scritti linguistici, vale a dire i sei libri delle Elegantie, i due delle Raudensiane e i quattro dell’Antidotum in Facium, secondo un progetto ‘visualizzato’ come una colonna onoraria alla latinità di dodici metri (i dodici libri) nella dedica all’amico Tortelli, affidatario anche della trascrizione ufficiale dell’opera. Al corpus, nell’estate del 1449, Valla pregò Tortelli di aggiungere un libello sull’uso corretto dei possessivi, il De reciprocatione sui et suus, a cui aveva già iniziato a lavorare durante gli anni aragonesi (Epistole, cit., p. 350).

Le Elegantie furono il principale obiettivo polemico di Bracciolini (soprattutto nella I Oratio, composta tra il 1451 e il 1452), con il quale Valla fu impegnato in un durissimo scontro; il resto della celebre polemica (con l’alternarsi di scritti dell’uno e dell’altro, per un totale di cinque orationes braccioliniane, due antidota e un incompleto apologus in due atti sul versante valliano) infuriò fino alla metà del 1453, coinvolgendo intellettuali di tutta Italia (da Firenze a Ferrara, da Bologna a Venezia, a Napoli), tra cui il bolognese Benedetto Morandi, a cui Valla diresse due efficaci Confutationes.

Gli ultimi anni di vita dell’umanista trascorsero più serenamente. Numerosi titoli e incarichi prestigiosi gli furono tributati da Callisto III che, per motivi ancora non chiari, lo nominò segretario pontificio il 7 luglio 1455, a pochi mesi dal suo insediamento (Archivio apostolico Vaticano, Reg. Vat. 467, c. 57v); a ottobre dello stesso anno gli donò quattro canonicati (a S. Maria della Rotonda, S. Agata dei Goti, S. Giorgio al Velabro, ai Ss. Quaranta Martiri) e due benefici (a S. Maria in Via e S. Biagio dell’anello: Reg. Vat. 439, cc. 64v-66r). Infine, nel 1456 gli concedette l’autorevole canonicato di S. Giovanni in Laterano (Reg. Vat. 445, cc. 29r-30r). Tali onorificenze ebbero probabilmente un certo peso nel garbato rifiuto di Valla all’invito di Lorenzo Zane di divenire storiografo ufficiale della Serenissima (cfr. Epistole, cit., p. 375).

Le ultime due opere, brevi ma dense del miglior contenuto del pensiero religioso valliano, furono il Sermo de mysterio Eucharistie (pronunciato a Roma, tra il 1456 e il 1457) e l’Encomion Sancti Thomae (ancora a Roma, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva).

Morì a soli cinquant’anni, a Roma, il 1° agosto 1457. Fu sepolto a S. Giovanni in Laterano. Già nel 1588 l’originaria sepoltura a terra fu rimossa; di essa rimane oggi solo un frammento, con un suggestivo ritratto dell’autore, nel lato occidentale del chiostro della chiesa.

Opere. Le opere di Valla si leggono in Opera, a cura di E. Garin, Torino 1962 (rist. anast, Opera, Basileae, apud Henricum Petrum, 1540): Adnotationes in Novum Testamentum, pp. 801-895; Antidotum II, pp. 325-366; Apologia ad Eugenium IV, pp. 795-800; Elegantie, pp. 1-235 (per il V libro si veda C. Marsico, Per l’edizione delle Elegantie di Lorenzo Valla. Studio sul V libro, Firenze 2013). Per le restanti opere: Oratio aliud Siculum aliud Neapolitanum esse regnum, in F. Adorno, Lorenzo Valla Oraciones y prefaciones, Santiago 1956, pp. 322-348; Collatio Novi Testamenti, a cura di A. Perosa, Firenze 1970; De vero falsoque bono, a cura di M. De Panizza Lorch, Bari 1970; Defensio quaestionum in philosophia, in G. Zippel, L’autodifesa di Lorenzo Valla per il processo dell’Inquisizione napoletana (1444). Testo, in Italia medioevale e umanistica, XIII (1970), pp. 82-94; Apologus, in S.I. Camporeale, Lorenzo Valla. Umanesimo e teologia, Firenze 1972, pp. 479-534; Gesta Ferdinandi regis Aragonum, a cura di O. Besomi, Padova 1973; De falso credita et ementita Constantini donatione, a cura di W. Setz, Weimar 1976; Antidotum primum. La prima apologia contro Poggio Bracciolini, a cura di A. Wesseling, Assen-Amsterdam 1978; Antidotum in Facium, a cura di M. Regoliosi, Padova 1981; Repastinatio dialectice et philosophie, a cura di G. Zippel, Padova 1982; Dialogue sur le libre arbitre, a cura di J. Chomarat, Paris 1983; Ciropedia, traduzione in D. Marsh, Lorenzo Valla in Naples: the translation from Xenophon’s Cyropaedia, in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, XLVI (1984), pp. 407-420; Epistole, a cura di O. Besomi - M. Regoliosi, Padova 1984; De professione religiosorum, a cura di M. Cortesi, Padova 1986; Oratio ad Martinum V, in G. Zippel, Esperienze etiche e culturali del giovane Valla nel primo ’400, in Pluteus, IV-V (1986-1987), pp. 259-294; L’arte della grammatica, a cura di P. Casciano, Milano 1990; Orazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1455-1456, a cura di S. Rizzo, Roma 1994; Epistola contra Bartolum, in M. Regoliosi, L’Epistola contra Bartolum del Valla, in Filologia umanistica per Gianvito Resta, a cura di V. Fera - G. Ferraù, Padova 1997, pp. 1532-1570; De reciprocatione sui et suus, a cura di E. Sandström, Göteborg 1998; Fabulae Aesopicae, a cura di M.P. Pillolla, Genova 2003; Raudensiane note, a cura di G.M. Corrias, Firenze 2007; Encomion Sancti Thome Aquinatis, a cura di S. Cartei, Firenze 2008; Ad Alfonsum regem epistola de duobus Tarquiniis, Confutationes in Benedictum Morandum, a cura di F. Lo Monaco, Firenze 2009; Emendationes quorundam locorum ex Alexandro ad Alfonsum primum Aragonum regem, a cura di C. Marsico, Firenze 2009; Oratio ad Eugenium IV, in A. Piccardi, L’Oratio ad papam Eugenium Quartum di Lorenzo Valla, in Gli Antichi e i Moderni. Studi in onore di Roberto Cardini, a cura di L. Bertolini - D. Coppini, III, Firenze 2010, pp. 1077-1091; Sermo de mysterio eucharistie, a cura di C. Marsico, Firenze 2019. Aggiornamenti sulle edizioni in corso per l’Edizione nazionale delle opere di Lorenzo Valla in Pubblicare il Valla, a cura di M. Regoliosi, Firenze 2008. Si veda inoltre: S. Rizzo - M. De Nonno, In margine a una recente edizione di versi grammaticali del Valla, in Filologia umanistica per Gianvito Resta, cit., pp. 1583-1630. Per le opere inedite si veda: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 11536: De neapolitano triumpho; Madrid, Real Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo de El Escorial, IV 25, cc. 207r-220v: Quintiliani Tulliique examen; F. Lo Monaco, Il progetto di edizione dei carmina, in Pubblicare il Valla, cit., pp. 263-266.

Fonti e Bibl.: Per la vita resta valido G. Mancini, Vita di L. V., Firenze 1891, da integrare con la documentazione pubblicata in M. Fois, Il pensiero cristiano di L. V. nel quadro storico-culturale del suo ambiente, Roma 1969 e con la ricostruzione (a partire dal soggiorno visconteo) proposta in L. Valle Epistole, cit. Informazioni sulla famiglia in G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IX, Modena 1781, pp. 297-301; E. Nasalli Rocca, La famiglia di L. V. e i piacentini nella Curia di Roma nel secolo XV, in Archivio storico per le province parmensi, s. 4, IX (1957), pp. 225-251; G. Fiori, Notizie biografiche di Lancillotto Anguissola, Giovanni Dolzani, Pietro da Ripalta, Lorenzo e Giorgio Valla, Gherardo Rustici e Gaspare Bragazzi, ibid., s. 4, XLIV (1992), pp. 135-149; P. Rosso, Percorsi letterari e storiografici di un allievo di L. V.: il cronista piacentino Giacomo Mori, in Archivum mentis, I (2012), pp. 25-48. Per i codici autografi, idiografi, postillati (con indicazioni sulle edizioni moderne disponibili) e posseduti si veda F. Lo Monaco - M. Regoliosi, I manoscritti con opere autentiche, in Pubblicare il Valla, cit., pp. 96 s. Per la scrittura (con riproduzioni della mano latina e greca) si veda la nota di T. De Robertis in calce alla voce di V. Sanzotta, L. V., in Autografi dei letterati italiani, I, Il Quattrocento, a cura di F. Bausi et al., Roma 2013, pp. 421-428.

Tra l’amplissima bibliografia moderna, oltre alle introduzioni alle edizioni citate, si seleziona: L. Valla, Scritti filosofici e religiosi, a cura di G. Radetti, Firenze 1953; L. V. e l’Umanesimo italiano. Atti del Convegno internazionale..., Parma... 1984, a cura di O. Besomi - M. Regoliosi, Padova 1986; J. Monfasani, Three notes on renaissance rhetoric, in Rhetorica, V (1987), 1, pp. 107-118; R. Fubini, Umanesimo e secolarizzazione, da Petrarca a V., Roma 1990; M. Cortesi, Per il ‘Commento’ a Sallustio di L. V., in Res publica litterarum, XIV (1991), pp. 49-59; M. Regoliosi, Nel cantiere del V. Elaborazione e montaggio delle Elegantie, Roma 1993; L. Valla, Le postille all’Institutio oratoria di Quintiliano, a cura di L. Cesarini Martinelli - A. Perosa, Padova 1996; M. Pade, La fortuna della traduzione di Tucidide di L. V. con una edizione delle postille al testo, in Niccolò V nel sesto centenario della nascita, a cura di F. Bonatti - A. Manfredi, Città del Vaticano 2000, pp. 255-293; M. Cortesi, Il De libero arbitrio di L. V. oltralpe, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXXV (2005), pp. 154-169; S. Pagliaroli, L’Erodoto del V., Messina 2006; Id., Una proposta per il giovane V.: Quintiliani Tulliique examen, in Studi medievali e umanistici, IV (2006), pp. 9-67; L. V. e l’Umanesimo toscano: Traversari, Bruni, Marsuppini. Atti del Convegno del comitato nazionale..., Prato... 2007, a cura di M. Regoliosi, Firenze 2010; L. V.: la riforma della lingua e della logica. Atti del Convegno del comitato nazionale..., Prato... giugno 2008, I-II, a cura di M. Regoliosi, Firenze 2010; M. Regoliosi, «Cupidus docendi iuniores»: il programma culturale di L. V., in Gli Antichi e i Moderni, cit., pp. 1129-1167; La diffusione europea del pensiero del V. Atti del Convegno del comitato nazionale..., Prato... dicembre 2008, I-II, a cura di M. Regoliosi - C. Marsico, Firenze 2013.

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