GHERARDINI, Lotteringo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHERARDINI, Lotteringo

Giovanni Ciappelli

Nacque presumibilmente a Firenze verso la fine del XIII secolo, forse nipote ex fratre di Lotteringo Gherardini (morto nel 1304). Divenuto cavaliere, come numerosi altri membri della sua famiglia, lo troviamo menzionato nel febbraio 1316 in un elenco di fiorentini già condannati dal bolognese Rolandino de' Galluzzi, all'epoca podestà di Firenze e vicario del re Roberto d'Angiò, che ottennero una commutazione di pena dai Consigli.

Il 28 gennaio di quell'anno il Galluzzi aveva citato un gruppo di cittadini - tra cui il G. - che si erano associati con armi e cavalli ad Aghinolfo (II) dei conti Guidi di Romena, ribelle del Comune. Non essendosi costoro presentati, li aveva condannati a pene pecuniarie fra le 500 e le 1000 lire, e alla confisca e distruzione dei beni se non avessero pagato entro dieci giorni. In seguito era risultato che l'associazione al conte Aghinolfo non aveva come scopo quello di danneggiare il Comune, ma quello di liberare alcuni parenti fatti prigionieri durante la guerra contro Uguccione Della Faggiuola e ancora prigionieri in Pisa. In considerazione di ciò, ai fiorentini implicati era stato concesso di essere liberati dal bando pagando solo una parte della pena pecuniaria prevista nei loro confronti.

Immediatamente dopo questo episodio, il G. compare nei documenti soprattutto come esponente di spicco della Parte guelfa: il suo nome figura infatti in un elenco dei cento consiglieri della Parte nel gennaio 1317. Nel corso del 1318 fu inviato ambasciatore in Romagna (per cause non meglio specificate), insieme con Tegghia Frescobaldi. All'inizio del 1322 era certamente uno dei capitani della Parte guelfa, come risulta da una provvisione del 18 gennaio. Con deliberazione di quel giorno i Consigli del Comune incaricavano i capitani di Parte guelfa, fra cui il G., i dodici capitani di guerra del Comune e sei altri "consiglieri e segretari" (fra cui ancora Tegghia Frescobaldi) di recarsi dal marchese Spinetta Malaspina, feudatario della Lunigiana per concludere con lui accordi politici (legati al comune obbiettivo di combattere Castruccio Castracani degli Antelminelli signore di Lucca) ed economici (per sospendere le rappresaglie contro i mercanti fiorentini), con l'autorizzazione di spendere fino a 1000 fiorini.

Fu ancora nel corso della guerra fra Firenze e Castruccio che si verificò l'episodio che avrebbe segnato la vita del Gherardini. Il 1° luglio 1323 Castruccio si era accampato nei dintorni di Prato, minacciando Firenze. Schiere ingenti di fanti e cavalieri erano accorse a difendere la città, fra le quali numerosi erano i colpiti da bando cui era stata promessa l'impunità se avessero combattuto in difesa del Comune. Castruccio poté ritirarsi senza essere inseguito, a causa pare delle divisioni interne a Firenze fra i popolani al governo e i magnati, utilizzati spesso dal Comune come capi militari, ma raggiunti anche di recente (nell'aprile di quell'anno) da un inasprimento degli ordinamenti di giustizia volto a contenere le intemperanze dei loro membri più giovani. Successivamente (9 luglio) l'esercito partì all'inseguimento del signore di Lucca e fu allora (14 luglio) che i fuorusciti si presentarono sotto le mura di Firenze, la cui Signoria richiamò l'esercito per riceverne protezione. Iniziarono le trattative per il mantenimento della promessa di impunità, che però non portarono nell'immediato ad alcun accordo. La notte del 10 agosto un gruppo di fuorusciti, composto da 60 cavalieri e 1500 fanti, riuscì ad arrivare sotto le mura di Firenze, ma venne scoperto. La pronta reazione della popolazione impedì un attacco notturno, ma subito si sospettò che i fuorusciti avessero stretto un accordo con i magnati, che avrebbero dovuto aiutarli all'interno della città. I responsabili non furono scoperti, ma (secondo Giovanni Villani e Marchionne di Coppo Stefani), con una procedura di accusa atipica ma non priva di precedenti, fu richiesto a ogni membro dei Consigli di scrivere su una cedola il nome dei presunti responsabili. Fra i nomi che ricorsero con più frequenza furono quelli di tre cavalieri: Amerigo Donati figlio di Corso, Tegghia Frescobaldi e il Gherardini. Convocati, questi ammisero di essere stati a conoscenza della congiura, ma sostennero di non aver preso parte alla sua realizzazione. In conseguenza della mancata denuncia, furono condannati nell'agosto a una pena molto più mite di quella prevista per il tradimento: il pagamento di una notevole somma, 2000 lire (3000 secondo Marchionne), e il confino per sei mesi a una distanza di 40 miglia dalla città. Nell'aprile 1324, quando nei Consigli furono di nuovo prese in considerazione le promesse fatte agli sbanditi in occasione dei fatti di Prato, fu concesso loro di scontare la pena pagando una parte delle pene pecuniarie a cui erano stati sottoposti: dal beneficio furono esclusi secondo Marchionne, oltre ai ribelli, proprio i tre cavalieri condannati in agosto, fra cui il Gherardini.

Dopo questo episodio le tracce documentarie dell'attività del G. si fanno più tenui, e non ci è nota neanche la data della sua morte.

È da escludere l'identità fra il G. e Lottieri di Lapo Gherardini, con cui a volte viene scambiato per la somiglianza del nome e la coincidenza del titolo di "messere". Mentre il secondo figura per ben tre volte tra i Priori fra il 1324 e il 1339, e fu gonfaloniere di Giustizia nel 1334, il G. è da considerare, in assenza di uno specifico provvedimento volto a toglierli la qualifica di magnate, escluso dagli uffici del Comune in virtù delle vigenti leggi antimagnatizie. Diverso fu, inoltre, il sestiere di residenza (S. Piero Scheraggio per il G., Porta S. Piero per Lottieri); diversi furono i motivi alla base del titolo di "messere": il servizio militare per il G., la qualifica di "iuris peritus" per Lottieri. Diverso anche il modo in cui il cognome è indicato in latino dai prioristi coevi: "de Gherardinis" per il G., "Gherardini" per il secondo (il che fa pensare che all'origine sia un semplice quanto comune patronimico, più che un cognome di distinzione). Esclude poi definitivamente l'identità fra i due il fatto che Lottieri di Lapo fu priore dal 15 febbraio al 14 apr. 1324, in un periodo in cui il G. era ancora colpito dal confino.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Monte comune, 20 genn. 1317; Provvisioni, regg. 14, cc. 149r-150v; 15, c. 167r; 18, cc. 49r, 50v-51r; Tratte poi Segreteria delle tratte, 57, cc. 37r, 48v, 53v, 58v, 65r, 71v (per Lottieri di Lapo); Firenze, Bibl. nazionale, Mss. Passerini, 188; Poligrafo Gargani, 937, n. 102 (per Lottieri di Lapo); Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXX, pp. 132 s., 135, 167, 177, 187 (per Lottieri di Lapo); G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, p. 404; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Id., Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1978, p. 676; I Consigli della Repubblica fiorentina. Libri fabarum XVII (1338-1340), a cura di F. Klein, Roma 1995, pp. 184, 186 (per Lottieri di Lapo); S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, 1, Firenze 1647, p. 296; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, p. 164; F.-T. Perrens, Histoire de Florence depuis ses origines jusqu'à la domination des Médicis, IV, Paris 1881, p. 63; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1973, p. 957.

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