DORIGNY, Louis

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DORIGNY, Louis (Ludovico)

Francesca D'Arcais

Nacque dal pittore Michel e da Giovanna Angelica Vouet, figlia di Simon Vouet, a Parigi il 14 giugno 1654; fu fratello del pittore Nicolas. La sua prima educazione artistica avvenne a Parigi, in un ambiente dominato da grandi decoratori, tra i quali certamente importante per il giovane D. fu C. Le Brun. Giovanissimo, il D. venne a Roma, dove era già nel 1673 e dove probabilmente approfondì le sue esperienze a contatto con i grandi cicli pittorici barocchi. Passò poi in Umbria e nelle Marche, lasciando opere, purtroppo perdute o non rintracciate, a Gubbio e a Foligno (d'Argenville, 1752). Nel 1678 arrivò a Venezia, dove si stabilì per qualche anno diventando subito celebre e ricercato. Egli divenne l'artista preferito delle ricche famiglie di recente nobiltà (Tron, Manin, Widmann, Zenobio), per le quali durante tutta la vita decorò palazzi e ville.

La più antica opera dipinta dal D. a Venezia, di cui abbiamo preciso ricordo dalle fonti contemporanee, è la decorazione a fresco, perduta, dei soffitto della chiesa di S. Silvestro (1681), ammirata per lo stile, la maestria e per la sua macchinosità (Zanetti, 1771). Non conosciamo il linguaggio del D. in questo torno di anni, ma certo il suo decorativismo doveva avere molti ricordi del barocco romano, anche se probabilmente già temperato da un classicismo che gli derivava dalla sua prima educazione francese e ancor più dall'influsso della poetica di S. Vouet. Tuttavia un dipinto (Sansone e i filistei) con la sua firma, facente parte del complesso di tele che ornavano il salone di palazzo Conti a Padova (tuttora in loco: cfr. d'Arcais, 1981), che sembra un'opera giovanile, mostra ancora un accentuato chiaroscuro desunto probabilmente della pittura dei "tenebrosi", in particolare J. C. Loth, conosciuti a Venezia. Nel 1685 il D. risulta iscritto alla fraglia dei pittori di Venezia e nel 1687-90 è indicato come abitante a Verona (E. Favaro, L'arte dei pittori in Venezia, Firenze 1975, pp. 157, 201), dove si fermerà fino alla morte, alternando la sua attività tra le numerose commissioni veronesi e quelle per le famiglie veneziane, con le quali non interruppe mai i rapporti; a ciò si aggiunse una sempre più vasta attività nell'entroterra veneto, che si spinse fino a Trento.

Il trasferimento del D. da Venezia a Verona deve certo essere messo in rapporto con il particolare clima artistico di questa città, dove le preferenze in campo pittorico andavano, fin dall'inizio del secolo, verso un linguaggio classicistico complesso nell'impaginazione compositiva, ma pacato ed elegante, anche nelle grandi opere decorative.

Una delle prime opere che il D. dipinse in Verona è la tela con Giuseppe che spiega il sogno al faraone, eseguita per la nuova chiesa di S. Nicolò dei padri teatini, dove il giovane pittore si trovava a lavorare a fianco dei massimi artisti veronesi: la composizione è articolata con un sapiente gioco di diagonali, e le figure si delineano precise, anche se ancora rese con la morbidezza di un delicato chiaroscuro. Nel S. Cristoforo della chiesa di S. Eufemia, del 1690, la tensione chiaroscurale si allenta e la figura giganteggia ritagliata e definita da una netta linea di contorno contro un dilatato chiaro paesaggio. Di pochi anni posteriore è l'Annunciazione (1696?) della cappella dei Nodari nel palazzo del comune di Verona, oggi al Museo di Castelvecchio, impaginata entro una solenne e classica architettura, ove la linea definisce le figure allungate e sottili in maniera netta e precisa, e allo stesso tempo arrovella i panneggi in elegantissima cifra. Nei due lunettoni dello stesso complesso, con Storie dei ss. Zeno e Daniele, le composizioni, sapientemente giocate con schemi diagonali, sono articolate sulla superficie, lasciando aperto il fondo in un chiarissimo ampio paesaggio. Nella lunetta con Susanna e i vecchioni, invece, lo sfondo è ancora una volta suggerito da complesse architetture monumentali, elemento che sembra essere una delle componenti della pittura del D. nei primi anni del suo soggiorno veronese e che forse derivava da contatti con gli scenografi, in particolare bolognesi, con i quali spesso del resto il pittore si trovò a collaborare.

Complessi e grandiosi sfondi architettonici dovevano avere anche le tele, perdute, che decoravano il salone dei palazzi Lombardi e Nuvoloni a Verona come si ipotizza dai disegni preparatori, conservati nel Museo del castello del Buonconsiglio a Trento.

A questi anni va probabilmente datata anche la grandiosa decorazione del palazzo Leoni Montanari (ora Banca cattolica del Veneto) di Vicenza, comprendente i soffitti dello scalone e di tre stanze, con Episodi di storia romana e Allegorie mitologiche (cfr. Barbieri, 1967). Ancora dello scorcio del XVII secolo dovrebbe essere la decorazione del salone di Ca' Zenobio a Venezia, che solitamente si data invece prima della partenza dei D. per Verona: nelle eleganti decorazioni, infatti, con scene racchiuse in cornici fiancheggiate da allegorie femminili in chiare vesti di colori preziosi e raffinati - ad esempio il viola - la misura pacata delle composizioni e la precisione del segno sono elementi che caratterizzano appunto le prime opere veronesi, dove le scelte compositive e tipologiche sembrano anche presupporre una conoscenza diretta della cultura pittorica bolognese.

Datata 1704 è la tela con la Caduta della manna, eseguita per la grandiosa macchina scenica dell'altar maggiore della chiesa di S. Luca a Verona, che segna un passo decisivo verso una formulazione più astratta e sfilizzata, e allo stesso tempo mostra nel D. una decisa preferenza per tinte chiare, distese in compatte campiture, ma fredde e prive di luce, che caratterizzano la sua pittura a partire dai primi anni del nuovo secolo, con esiti di raffinato decorativismo.

Sullo sfondo di un ampio paesaggio, basso all'orizzonte e deserto, quasi privo di vita, i personaggi, in forme affusolate ed eleganti, appiattite e ritagliate in cifre precise, sono avvolti in colori violacei, freddi e preziosi.

Di questi stessi anni potrebbe essere la decorazione della villa Torriano in Valpantena, ove piccoli Episodi dell'Antico Testamento, racchiusi entro finte cornici a stucco si distinguono per l'eleganza delle composizioni e per la precisione del ductus lineare. Non è facile tuttavia scandire il percorso cronologico del D. nei primi decenni del Settecento, perché la sua pittura ha ormai raggiunto una sua maturità, che si esprime in un linguaggio classicistico, freddo ed elegante, che ammette appena sottili varianti, nella riproposizione di tipologie compositive sostanzialmente eguali.

Ancora ai primi del sec. XVIII potrebbe datarsi la decorazione del salone di villa Capra - La Rotonda - a Vicenza, ove le figure mostrano una certa morbidezza chiaroscurale, e l'impaginazione si avvale di motivi architettonici solenni - colonne e cornicioni - che scompartiscono la parete dilatandone lo spazio.

Dal 1704 al 1706 il D. ritornò a Parigi, dove sperò invano di essere assunto all'Accademia; forse deluso da questo rifiuto, ritornò a Verona, dove invece la sua fama si consolidava sempre più.

In occasione del soggiorno parigino il D. si uniformò alle nuove tendenze francesi, preferendo alle ridondanti macchine celebrative soggetti mitologici raffigurati in atmosfere chiaramente rococò come nei soffitti affrescati di palazzo Orti Manara a Verona, di palazzo Giacomelli Calzavara a Treviso e nel salone di palazzo Cavalli a Padova (oggi facoltà di geologia), dove in semplici riquadri alle pareti, pallide figure di divinità, di un compassato classicismo, si stagliano contro cieli vuoti e chiarissimi.

Tra il 1708 e il 1710 va datata la decorazione della villa Manin a Passariano, ove il D., accanto alle briose danze dei putti dei soffitti, adottò alle pareti il raffinato motivo delle figurazioni a monocromo, elemento che tanta parte avrebbe avuto nella decorazione settecentesca, anche fuori d'Italia.

Nel 1711 il D. lavorò a Vienna per più di un anno per il principe Eugenio di Savoia (Dal Pozzo, 1718), decorando con tele e affreschi il suo palazzo di città (oggi ministero delle Finanze).

Perdute le tele, restano il soffitto del salone con Ilratto di Orizia e Ilmatrimonio tra Ebe e Ercole, impaginato entro una complessa incorniciatura di finte architetture dovuta al bolognese M. Chiarini: qui il D. inaugurò una tipologia compositiva nuova, che resterà caratteristica delle decorazioni eseguite dopo il soggiorno viennese, ammassando le figure ai bordi del grande occhio di cielo, in un movimento centrifugo che lascia spazio al centro della composizione. Un'analoga tipologia compositiva troviamo anche nel piccolo soffitto di villa Widmann a Bagnoli di Sopra (Padova), databile dunque dopo il 1712.

Attorno al 1718 si deve porre la decorazione del presbiterio e dell'abside del duomo di Udine, commissionata ancora una volta dai Manin, con Episodi dell'Antico e Nuovo Testamento in enormi riquadri alle pareti, e nelle vele della volta Voli di angioli.

Tra il 1717 e il 1720 il D. dipinse uno dei maggiori complessi decorativi del Veronese: si tratta del salone e della chiesetta di villa Allegri ora Arvedi a Grezzana.

Nel salone il pittore scandisce le pareti lunghe con regolari motivi architettonici ove sono a monocromo le raffigurazioni dei Mesi; sulle pareti brevi si aprono invece dei finti, piccoli palcoscenici con episodi di guerra; nella volta infine, divisa in tre parti da un complesso gioco di finti cornicioni, egli ammassa attorno ai bordi, in un movimento a spirale, le eleganti e affusolate figure degli Dei dell'Olimpo, contro un cielo di luce intensa ma fredda. Se molto raffinate sono le parti figurate della decorazione, presente con soggetti religiosi ed entro un più semplice contesto anche nella vicina chiesetta, di estremo interesse è in questa sala la complessa articolazione delle finte architetture, che presuppongono almeno la conoscenza, se non la diretta presenza, di uno scenografo di alta qualità, quale Francesco Galli Bibiena, attivo proprio in quegli anni a Verona per il teatro Filarmonico.

Del 1720 è la tela con Un miracolo di s. Domenico per l'omonima chiesa veronese, ove i personaggi appiattiti e come ritagliati contro il cielo terso e freddo, privo di luce, sono costruiti con una ossessiva ripetizione di linee curve, che forzano in direzione di un esito espressionistico la composizione. Analoghi elementi si trovano nella decorazione a fresco della cappella Manin in S. Maria degli Scalzi a Venezia, con voli d'angeli, ossessivi nel gioco tormentato della linea di contorno.

Sette tele a monocromo verde-azzurro e oro con Storie dei ss. Stanislao e Luigi (1727), provenienti dalla distrutta chiesa di S. Sebastiano a Verona sono attualmente conservate al Museo di Castelvecchio.

Le composizioni sono semplificate al massimo: contro l'irreale sfondo d'oro, privo di notazioni ambientali e naturalistiche, le figure si stagliano come silhouettes, mostrando nelle fisionomie, accentuatamente deformate in senso espressionistico, una forte componente drammatica.

Alla fine della sua carriera il D. fu attivo a Trento, dove lavorò alla decorazione del presbiterio e della volta del duomo: di questa grandiosa opera restano solo alcuni frammenti di teste nel Museo del castello del Buonconsiglio, in cui colpisce l'accentuato espressionismo dei volti.

Nel 1741 il D. si apprestava ad eseguire decorazioni per palazzo Allegri a Verona: ne restano solo i disegni preparatori al Museo di Castelvecchio, dai quali ricaviamo ancora la sensazione di una dimensione irreale dello spazio e di un'accentuato espressionismo nelle fisionomie, che è il singolare punto di arrivo del percorso stilistico di questo decoratore classicista.

Morì a Verona il 29 nov. 1742.

Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in Thieme-Becker (sino al 1912) si veda G. B. Dal Pozzo, Le vite de' pittori, degli scultori e architetti veronesi, Verona 1718, p. 176; A. J. Dézallier d'Argenville, Supplement à l'abrégé de la vie des plus fameux peintres..., III, Parigi 1752, pp. 232-239; A. M. Zanetti, Della pittura venez., Venezia 1771, pp. 530 s.; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori et architetti veronesi, a cura di G. Biadego, Verona 1891, pp. 290-93; L. Coggiola Pittoni, L. D. e i suoi freschi venez., in Riv. di Venezia, XIV (1935), 1-2, pp. 13-48; Id., Di alcuni freschi ined. di L. D. in vari centri della Serenissima, ibid., 6-7, pp. 295-314; R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, Treviso 1958, p. 119; N. Ivanoff, Contributi a L. D., in Emporium, CXXXII (1960), pp. 243-249; R. Pallucchini, La pittura venez. del Settecento, Venezia-Roma 1960, ad Ind.; N. Ivanoff, Un profilo di L. D., in Arte antica e moderna, VI (1963), pp. 144-152; E. Martini, La pittura venez. del Settecento, Venezia 1964, p. 237; L. Magagnato, in Ilnotariato veronese attraverso i secoli, Verona 1966, pp. 53-58; F. Barbieri, Il pal. Leoni Montanari a Vicenza..., Vicenza 1967, pp. 148 s.; C. Donzelli-G. M. Pilo, Ipittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 161-163 (con bibl.); G. Menato, Contributi a L. D., in Arte veneta, XXI (1967), pp. 156-172; M. Garberi Precerutti, Affreschi settecenteschi delle ville venete, Milano 1968, pp. 37 s., 423 s.; C. Semenzato, La Rotonda di Andrea Palladio, Vicenza 1968, pp. 53 ss.; C. De Marco Someda, Il duomo di Udine, Udine 1970, passim; N. Ivanoff, La France et Venise au dixhuitième siècle, in Venise au dix-huitième siècle (catal.), Paris 1971, pp. 24, 26; M. Azzi Visentini, Maestri della pittura veronese, Verona 1974, pp. 349-358; G. Menato, Negli affreschi della Ca' Impenta l'arte e l'ispirazione del D., in Vicenza, XVI (1974), 1, pp. 16-18; F. d'Arcais, in La pittura a Verona tra Sei e Settecento (catal.), Verona 1974, pp. 158-165; L. Rognini, ibid., pp. 284 s., 291; F. Zava Boccazzi, in Affreschi delle ville venete dal Sei all'Ottocento, Venezia 1978, ad Indicem; F. Dal Forno, Un ciclo inedito di affreschi di L. D., in Antichità viva, XVII (1978), 2, pp. 21-24; F. d'Arcais, Schede per la pittura a Padova tra Sei e Settecento, in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 171 s.; F. Zava Boccazzi, in Venezia Vienna, Milano 1983, pp. 35 ss.; F. Dal Forno, Gli affreschi di L. D. in villa Torriani, in Civiltà veronese, I (1985), 2, pp. 67-72; E. Rama, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1988, II, p. 729; O. Michel, in Ipremiati dell'Accademia ..., a cura di A. Cipriani, Roma 1989, pp. 16 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, pp. 474 s.

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