DELLA ROBBIA, Luca

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA ROBBIA, Luca

Giancarlo Gentilini

Nacque fra il luglio del 1399 e il luglio del 1400, terzogenito di Simone di Marco e di Margherita (1362-1433/1442), presumibilmente a Firenze (dove la famiglia è attestata fin dal sec. XIII) nella casa di via degli Albertinelli, attigua all'ospedale di S.Maria Nuova, che il padre, già nel 1380, divideva coi fratelli Filippo e Iacopo.

Simone di Marco (1343-1435/38), proprietario di alcune case e terreni nel contado, poteva godere di una certa agiatezza conseguita, sembra, nel settore tessile, forse grazie al commercio o all'impiego della "robbia" (radice macinata della rubia tinctorum in uso in farinacologia e come colorante rosso vivo per tessuti), da cui la famiglia aveva assunto il proprio cognome. Michele di Vanni e Lapo di Michele, rispettivamente fratello e zio del padre di Simone, Marco di Vanni, si erano immatricolati nel 1320 all'arte degli speziali, mentre Filippo e Iacopo si immatricolarono nel 1389 all'arte della lana (cui dovette appartenere anche Simone) come pure nel 1427 lo stesso D. ed i suoi due fratelli, Marco (1385-1448) e Giovanni (1394-1446/1451). A questa data ser Giovanni di Simone, che nel 1422 fu cancelliere della Signoria fiorentina (Marzi, 1910), era già un notaio affermato e solo Marco proseguì le attività paterne gestendo una "bottega d'arte di lana" (per Simone di Marco e famiglia cfr. Baldinucci, 1681-1728; Marquand, 1914, 1922; Pope-Hennessy, 1980; per la discendenza di Marco di Simone cfr. la voce Della Robbia, Andrea, in questo Dizionario).

Sulla formazione e le prime esperienze artistiche del D., immatricolatosi il 10 sett. 1432 all'arte dei maestri di pietra e legname come "scultore" non abbiamo alcun documento né fonti'biografiche sufficientemente attendibili né esaurienti ricostruzioni critiche. La prima traccia documentaria risale al 1427 quando il D. è menzionato quale collaboratore dei Ghiberti alla porta orientale del battistero (cfr. voce Del Vagliente,famiglia, in questo Dizionario).

Questa notizia, non ancora utilizzata per valutare l'entità e il significato di tale presenza nel cantiere ghibertiano, conferma una precoce testimonianza di Piero Cennini (1475) che ricordava la partecipazione del D. alla porta del Paradiso: attività estesa da fonti successive (Libro di Antonio Billi, 1518-20; Codice Magliabechiano, 1540 c.) anche alla porta settentrionale, e sovente ammessa dalla critica (Planiscig, 1940, Parronchi, 1980; Pope-Hennessy, 1980).

Il più antico documento relativo ad un lavoro autonomo è dell'ottobre 1431 e si riferisce all'acquisto di marmi per la cantoria del duomo: opera che già lo rivela scultore di straordinaria perizia e maturità e, come affermava negli stessi anni Leon Battista Alberti (1436), tra i protagonisti del Rinascimento fiorentino. Secondo il Vasari (1568, p. 168) il D. fu apprendista presso l'orafo Leonardo di ser Giovanni, e, dopo essersi esercitato nella scultura per proprio conto, sui quindici anni "con altri giovani scultori fu condotto" a Rimini dove in S. Francesco eseguì per Sigismondo Malatesta alcuni lodevoli bassorilievi; ma tali notizie sono contraddette dagli estremi cronologici di questi personaggi. Non si può tuttavia escludere una giovanile esperienza adriatica, forse anche nel primitivo S. Francesco di Rimini, al seguito di qualche maestro fiorentino, come Niccolò Lamberti trasferitosi proprio nel 1416 a Venezia per la decorazione delle facciate di S. Marco o Bernardo Ciuffagni che lasciò Firenze in quello stesso anno e, a detta del Vasari, fu anch'egli attivo per la chiesa riminese. E la formazione orafa, indicata anche dal Gaurico (1504), è comunque plausibile in considerazione sia delle abitudini del tempo sia dei successivi sviluppi tecnici e stilistici del D., il quale potrebbe aver preso parte alla prima fase dei lavori per il dossale d'argento del battistero di Firenze (Museo dell'Opera del duomo), avviata nel 1366 da Leonardo di ser Giovanni e conclusasi nel 1425 (richiamano il giovane D. alcune sibille e profeti nel pilastro angolare di destra).

Come esempi di una successiva attività orafa sono state indicate le due statuette, raffiguranti S. Francesco e S. Andrea,del reliquiario del braccio di s. Andrea nella Pinacoteca di Città di Castello (Schmarsow, 1897), databili tra il 1418 e il 1420, e il Cristo della croce astile di S. Maria a Impruneta del 1421 (Gentilini, 1982-83), opere entrambe di cultura strettamente ghibertiana; una croce processionale nel Museo dell'Opera del duomo a Firenze (Steingraber, 1966; Brunetti, 1969-70) del 1470-80, già attribuita ad Antonio di Salvi, e il Cristo con i dolenti della croce d'argento dell'altare del battistero fiorentino, oggi in quello stesso Museo (Parronchi, 1980), altrimenti riferiti a Betto di Francesco o a Bernardo Cennini. Nel 1467 (1° luglio) il D. sarà chiamato a stimare, con A. Pollaiolo ed altri maestri, il piede della croce dell'altar maggiore del duomo eseguito da Bartolomeo di Fruosino (Poggi, 1988, p. 95), il che ne attesta una riconosciuta competenza nell'arte orafa.

La collaborazione alle porte del battistero e la presenza in molte opere di caratteri e stilemi ghibertiani, più espliciti però nell'attività estrema, hanno fatto pensare che il D. si formasse come allievo del Ghiberti: ipotesi già avanzata dal Baldinucci (1681-1728) e ribadita da buona parte della critica moderna (Cruttwell, 1902; Brunetti, 1962, etc.). Indipendentemente dall'interrogativo sul suo discepolato, sembra verosimile un precoce interesse per l'arte del Ghiberti (Ciardi Dupré, 1978; Gaborit, 1980; etc.) ed anche un'attività a fianco di questo maestro anteriore al 1427; difficilmente ravvisabile è però nei due Profetini sul coronamento del tabernacolo dell'arte del cambio in Orsaninichele, realizzato su disegno del Ghiberti tra il 1419 e il 1422, già attribuiti al D. (Schubring, 1905).

Se dal Ghiberti poté derivare i ritmi fluidi e modulati delle composizioni a bassorilievo e il gusto per un'estrema diligenza e pulizia formale, carattere che, come già notava il Vasari (1568), lo contrappone a Donatello, al formarsi del suo profondo, pacato classicismo, risolto in forme morbide, corpose e tondeggianti, fu certo essenziale l'esempio della statuaria di Nanni di Banco. Si è dunque ipotizzato anche una formazione presso quest'ultimo (Seymour, 1962-63; Pope-Hennessy, 1980; Bellosi, 1981; etc.), col quale il D. avrebbe collaborato alla decorazione della porta della Mandorla (cattedrale di S.Maria del Fiore), realizzando alcuni angeli e cherubini nel rilievo con l'Assunta,portato a termine nel 1422 dopo la morte di Nanni (Seymour, 1962-63; Pope-Hennessy, 1980), e il discusso Profetino sulla cuspide di destra (Seymour, 1962-63; Bellosi, 1981), già attribuito sia a Nanni di Banco sia a Donatello giovanissimo. È in ogni caso assai probabile che nel decennio precedente la cantoria e le altre importanti commissioni dell'Opera del duomo, il D. fosse già impegnato nella decorazione della cattedrale fiorentina.

In questo periodo potrebbe aver scolpito altre statuette riferite, in modo poco convincente, a Nanni di Banco o a Donatello, come il piccolo Profeta oggi a Parigi (Musée Jacquemart-André) o il Profeta barbato che ornava la finestra settentrionale della tribuna est di S. Maria del Fiore (nei depositi del Museo nazionale del Bargello), databile al 1425-30, in un momento di maggiore adesione ai nuovi sviluppi dell'arte donatelliana (Gentilini, 1982-83; cfr. Gavoty, 1975, n. 16 e Trachtenberg, 1968).

Temporaneo ma fondamentale fu il successivo accostamento alle esperienze di Donatello (Reymond, 1897; Brunetti, 1958), peraltro inevitabile per chiunque lavorasse in quegli anni nel cantiere del duomo, testimoniato anche da alcuni rilievi a "stiacciato" databili intorno al 1430: tre in stucco o terracotta, noti attraverso numerose repliche e forse in origine modelli per fusioni in bronzo, da tempo concordemente riferiti al D. (Madonna col Bambino e due angeli, Oxford, Ashmolean Museum, esemplare datato 17 gennaio 1429; Madonna col Bambino e sei angeli,Fullerton, California, Norton Simon Foundation; Madonna col Bambino e quattro santi,Parigi, Louvre), e due marmorei di più recente attribuzione: una Madonna col Bambino fra due santi e un donatore,forse Pier Marino Brancadori podestà nel 1428, in collezione privata (Bellosi, 1981), e lo stemma del podestà Amico Della Torre al Bargello (Avery, 1976), datato 1431 ma scolpito dopo il marzo dell'anno seguente, di colta iconografia umanistica e intensità scultorea già rappresentative dell'arte del Della Robbia.

Le future, peculiari esperienze plastiche lasciano supporre che il D., come afferma Vasari (1550), avesse da tempo acquisito una notevole familiarità con la scultura fittile e le relative tecniche di modellazione e cottura, recuperate all'inizio del secolo proprio in ambito ghibertiano e donatelliano, e presto diffuse nella prassi di molte botteghe fiorentine; presumibilmente realizzando, secondo le consuetudini, rilievi devozionali in terracotta o stucco dipinto (raffiguranti la Madonna col Bambino),per lo più replicabili "a calco" in numerosi esemplari destinati ad un mercato generico (Bode, 1889; Gentilini, 1982-83; ecc.). Del resto le portate al Catasto del padre nel 1430 e nel 1433 registrano una considerevole e crescente somma depositata dallo scultore al Monte di prestanzioni (Pope-Hennessy, 1980), suggerendoci una produzione ben più vasta di quella oggi nota.

L'accostamento al D. delle più fortunate tipologie fittili di cultura ghibertiana, concepite verso il 1420 (ad es. la diffusissima Madonna col Bambino,ben nota nei due esemplari, con leggere varianti, del Kaiser Friedrich Museum di Berlino), ripetutamente proposto dal Bode (1885, 1889) e da altri studiosi dei primi del secolo, non ha trovato conferme recenti e rimane argofriento da indagare. Nessi con una ipotetica attività intorno al 1425 mostrano alcuni rilievi, sempre a mezza figura, d'ambito donatelliano (Madonna "tipoMassimo", cfr. Del Vivo Masini, 1976; Madonna di S. Maria a Ronacardo, Oristano, cfr. Sant'Ambrogio, 1908; Madonna della melagrana,Firenze, Museo Bardini, cfr. Neri Lusanna, in Donatello...,1986, n. 37); e caratteri del D. affiorano in tre Madonne a figura intera realizzate sulla fine del decennio: in trono (Parigi, Louvre, cfr. Bode, 1902, fig. 32), stante (Budapest, coll. Wittmann: Balogh, 1937, fig. 42), in rilievo con nicchia (Londra, Victoria and Albert Museum, ed altri esemplari). Meno problematica, per le esplicite analogie con opere mature, è l'attribuzione di quattro tipologie databili nei primi anni Trenta (gli esemplari più noti sono a: Vienna, Kunsthistorisches Museum, Bode, 1902, ed. 1910, fig. 91; già Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum, Schottmüller, 1933, nn.1576, 2571; già Gridra, Rothermere coll., Borenius, 1935, p. 254; Parigi, Musée Jacquemart-André, Gavoty, 1975, n. 29), e di una imponente Madonna col Bambino,al naturale, conservata in S. Maria a Palaia (Pisa), del 1435 c. (Gentilini, 1980). Un'idea o un modello del D. è anche alla base di due note tipologie plausibilmente riferite al Buggiano (Schlegel, 1962, figg. 5, 10) - scultore i cui legami col D. sono altrove ben documentati, responsabile della Madonna lignea di S. Maria del Sasso a Bibbiena già ritenuta dello stesso D. (Toesca, 1903) - e di due rilievi eseguiti forse da un suo stretto collaboratore: la Madonna di S. Felicita (Natali, in Donatello...,1986, n. 80) e quella del Bode Museum di Berlino Est (Pope-Hennessy, 1980, n. 24). È comunque possibile che in questi anni il D. realizzasse anche sculture lignee, come il Crocifisso di S. Maria in Campo (Lisner, 1970).

Stando al Manetti (1487 c.) e ad altre fonti, durante il terzo decennio, e per il Vasairi (1568, II, p. 352) giàintorno al 1420, il D. strinse amicizia con Donatello e soprattutto con Brunelleschi, per il quale nutrì una crescente venerazione, ben viva anche dopo la morte dell'architetto (1446). E dal 1430 circa Brunelleschi, accogliendone in modo sempre più esclusivo le opere nei cantieri da lui diretti, sostenne efficacemente il giovane scultore che, proprio mentre Donatello se ne stava allontanando, si rivelerà come il più fedele interprete in scultura delle sobrie e luminose armonie brunelleschiane.

Con Brunelleschi, Donatello e Ghiberti, il D. frequentava in quegli anni la casa dell'umanista Niccolò Niccoli (Vespasiano da Bisticci, 1480-98 c.), raffinato raccoglitore d'ogni sorta d'antichità e di preziosi manufatti orientali, prodigo di consigli verso gli artisti e, sembra, figura determinante anche per le profonde implicazioni culturali delle opere del D. stesso (Del Bravo, 1973), che, dotato di una certa istruzione (Vasari, 1568), forse superiore alla media - il fratello era notaio - si può credere fosse in grado di partecipare ai dibattiti teorici e letterari dei circoli umanistici fiorentini interessati alle arti figurative.

Lo attesterebbero il precoce plauso dell'Alberti (1436) e successivamente l'amicizia con Antonio Manetti, dantista e biografo del Brunelleschi (1487 c.) e inoltre l'esistenza di almeno due volumi appartenuti allo scultore: le Cantiche di. Iacopone da Todi (Parigi, Bibliothèque nationale, Ts. It. 1037: De Foville, 1910), testo consono alle future implicazioni francescane dell'arte robbiana, e un accurato manoscritto contenente la Vita nova e il Convivio dell'Alighieri (Venezia, Biblioteca Marciana, ms. Marc. It. X, 26), postillato da una mano assai vicina a quella del Manetti (G. Tanturli, comunicazione orale), e quindi documento esemplare di come potesse aver condiviso col Brunelleschi anche i ben noti interessi per Dante. Tali notizie confermano peraltro l'immagine del D. tramandata dalle fonti: "uomo buono e di costumata vita e di grande intelletto" (Manetti, 1485 c., p. 168) "et alla religione cristiana mirabilmente devoto" (Vasari, 1550, p. 234).

L'identità del primo mecenate del D. e un'ulteriore prova delle sue precoci frequentazioni umanistiche possono venire dalla testimonianza del Vasari (1568, p. 170), secondo il quale a sostenere l'importante commissione della cantoria del duomo fu "messer Vieri de' Medici" che "molto amava Luca": nome da ritenersi confuso con quello del figlio, il banchiere umanista Niccolò di Vieri de' Medici, intimo dell'Alberti e dei Niccoli, di cui sarà esecutore testamentario, e nel terzo decennio uno dei fiorentini più facoltosi, stimati e colti.

Dal 1432 al 1438 il D. lavorò quasi senza interruzioni alla balconata marmorea dell'organo principale di S. Maria del Fiore, la cosiddetta cantoria, opera che rimarrà il suo lavoro più celebre e di maggiore impegno scultoreo.

La cantoria, in origine sopra il portale della sagrestia delle messe, dove fu collocata nella primavera del 1438 e da dove fu parzialmente rimossa nel 1688, si trova dal 1889 nel Museo dell'Opera del duomo, ricostruita con alcune integrazioni relative alla perduta incorniciatura del parapetto. 2 composta da dieci altorilievi (sei nel parapetto e quattro fra le mensole) raffiguranti gruppi di giovani, fanciulle ed angeli che suonano, cantano e danzano, illustrando versi del salmo 150, iscritti sulle cornici in eleganti capitali all'antica, si vuole su disegno del Niccoli (Pope-Hennessy, 1980).

Fu forge commissionata nel 1431, ma il progetto, cui dovette collaborare, almeno per la struttura, anche il Brunelleschi, potrebbe risalire al 1428. Nell'ottobre 1431 il D. attese all'acquisto dei marmi e nell'aprile dell'anno successivo era all'opera sui rilievi, scolpiti con ritmi regolari di due all'anno e terminati nell'aprile 1437. I più antichi, identificabili secorido la stima dell'agosto 1434 coi due laterali e forse i due centrali del parapetto, si attengono alle composizioni statiche e scandite consuete al D.; mentre i successivi, per i quali ebbe un compenso superiore, mostrano un'attenzione alle movimentate danze di putti che Donatello scolpiva per il pulpito di Prato, delle quali si ebbe clamorosa rivelazione proprio nell'estate di quell'anno. Alcuni rilievi tradiscono l'intervento di collaboratori difficilmente identificabili, dai modi affini al Buggiano, Bernardo Rossellino e Agostino di Duccio (Pope-Hennessy, 1980). Nel marzo 1438 il D. terminò anche le parti architettoniche, decorate con motivi vegetali e prospettici, cui già avevano lavorato gli scalpellini Nanni di Miniato detto Fora (1433) e forse Caprino di Domenico Giusti (1432). L'intero compenso fu di 872 fiorini (Haines, 1983). Completavano la cantoria due Angeli reggicandelabro in bronzo dorato, identificati con quelli oggi a Parigi, nel Musée Jacquemart-André che, sulla scorta del Vasari (1568), alcuni attribuiscono allo stesso D., ma di uno scultore più vicino ai modi donatelliani (Darr, in Donatello...,1986, nn. 74-75) - come Maso di Bartolomeo, più tardi in "compagnia" col D. e Michelozzo (Gentilini, in Omaggio..., 1986, p. 273) - e forse con quelli pagati a Michelozzo tra il dicembre 1451 e il febbraio 1453 (Poggi, 1909, p. 281).

Per quanto nei giudizi critici sulla cantoria del D. abbia a lungo pesato il confronto con il suo pendant,scolpito negli stessi anni da Donatello con criteri, formali e tecnici, quasi opposti, si è da sempre concordi nel ritenerla uno dei vertici del naturalismo rinascimentale, raggiunto attraverso una profonda comprensione dell'arte antica. Indagini recenti (Del Bravo, 1973; Pope-Hennessy, 1980) vi hanno potuto individuare numerose derivazioni da medaglie greche, marmi neoattici, sarcofagi romani, studiati dal D. nel Camposanto pisano e forse in un precedente viaggio a Roma (Seymour, 1962-63; Pope-Hennessy, 1980), osservati principalmente nella loro componente ellenica e riproposti con spirito filologico, rispettandone i valori sintattici e compositivi.

Il successo della cantoria e i favori del Brunelleschi garantirono al D. per due decenni importanti incarichi da parte dell'Opera del duomo - in alcuni dei quali si sostituirà allo stesso Donatello - e un ruolo primario nella decorazione e nell'arredo della cattedrale fiorentina.

Nel 1434 (27 luglio) gli fu commissionato, in gara con Donatello, il modello per una colossale testa lapidea da porsi nella chiusa della cupola, forse mai realizzata (Guasti, 1857); e nel giugno 1436 ricevette un pagamento per la doratura delle perdute maniglie degli armadi della sagrestia delle messe, prima attestazione di una certa pratica nei metalli (Haines, 1983). Il 30 maggio 1437 venne incaricato di scolpire cinque rilievi esagonali marmorei per il lato settentrionale del campanile (nel 1965 trasferiti al Museo dell'Opera del duomo e sostituiti da calchi) a completamento delle formelle trecentesche di Andrea Pisano, che il D. eseguì, terminati i lavori per la cantoria, entro il marzo 1439. Di iconografia piuttosto inconsueta e problematica, forse suggerita dall'umanista Leonardo Bruni (Pope-Hennessy, 1980), sembrano raffigurare gli Inventori delle arti liberali (Grammatica, Dialettica, Retorica, Aritmetica, Geometria)che il Pisano non aveva incluso negli esagoni narrativi (dove sono presenti la Musica e l'Astronomia). E presumibilmente fu affidato allo stesso D., il 27 giugno 1439, l'incarico di "attare" un mezzo esagono (Poggi, 1909, p. 58), intervento riconoscibile della parte destra della Pittura scolpita da Andrea Pisano. Il 12 aprile dello stesso anno ebbe la commissione di due altari marmorei istoriati per la tribuna di S. Zanobi: quello della cappella di S. Pietro, conforme a un modello ligneo approntato forse dal Brunelleschi, e quello della cappella di S. Paolo, per il quale doveva attenersi ad un modello in, cera di Donatello cui in precedenza (6 aprile) erano stati affidati i due altari.

Il D., che avrebbe dovuto terminarli entro il 1441, vi lavorava ancora nel novembre 1439, ma ben presto, per ragioni ignote, abbandonò l'incarico. lasciando solo due rilievi, incompiuti, degli almeno tre previsti per l'altare di S.Pietro, raffiguranti la Liberazione dal carcere e la Crocifissione del santo (Firenze, Museo naz. del Bargello): efficace interpretazione di spunti pittorici trecenteschi (di Jacopo di Cione) alla luce dell'insegnamento masaccesco.

Il 3 marzo 1440 gli fu pagato un disegno e un modello di creta per la sepoltura del conte Ugo di Toscana nella cappella maggiore della badia fiorentina, affidata poi, nel 1469, a Mino da Fiesole, il quale la scolpì tra il 1471 e il 1481: è plausibile che in questo importante progetto, perduto, il D. elaborasse una delle prime tombe umanistiche del Rinascimento, valendosi, ancora una volta, dei consigli del Brunelleschi, implicato fin dai primi anni Trenta in un piano di ristrutturazione della chiesa che i frati rifiuteranno.

Ulteriori testimonianze di una precoce e significativa collaborazione del D. col Brunelleschi sono forse il fregio in terracotta dipinta nella sagrestia vecchia di S. Lorenzo (1428 c.), costituito dall'iterazione a calco di cherubini e serafini, la sua replica, ottenuta tramite le medesime matrici, nel portico della cappella Pazzi in S. Croce, e quello all'interno della medesima (1435 c.), dove a coppib di cherubini e serafini si alterna l'Agnus Dei (Btunetti, 1958, 1962).

Più problematica risulta invece l'attribuzione al D. del rilievo in stucco della sagrestia vecchia coi Ss. Cosma e Damiano (Danti, 1986), e della Madonna marmorea della Ss. Annunziata (Brunetti, 1958, 1962), opere entrambe di cultura donatelliana, riferite anche a Michelozzo e Pagno di Lapo; e inaccettabile quella di altre sculture in marmo già avvicinate alla cantoria: il busto di Giovane donna del Bargello (Biehl, 1915), ascrivibile piuttosto all'ambito di Bernardo Rossellino, la Madonna dell'Opera del duomo (Galassi, 1949), di un ignoto scultore affine ad Antonio Rossellino, la lunetta col Dio Padre tra cherubini dell'Art Institute di Chicago (Avery, 1976), opera di un collaboratore o di un imitatore del D., ed il Cantore del Clevejand Museum of Art (W. M. M., 1932), da attribuire al falsario ottocentesco Giovanni Bastianini. Di metà Ottocento è anche il celebre Specchio Figdor in terracotta invetriata del Bode Muscum di Berlino Est, realizzato copiando diciotto testine della cantoria.Negli anni successivi il D. lavorò quasi esclusivamente in terracotta invetriata, elaborando una complessa tecnica di straordinaria raffinatezza formale solo parzialmente mutuata dall'arte ceramica e in pratica senza precedenti nella plastica figurativa; tecnica che, accolta da un immediato successo e lodata sin dalle fonti più antiche (Manetti, 1485 c.; Leonardo, 1492 c.; Gaurico, 1504) quale "invenzione" del D., rimarrà per oltre un secolo monopolio della bottega robbiana, appena contrastato, dopo il 1480, dalla modesta concorrenza del Buglioni.

Non sono note le circostanze e le motivazioni che portarono il D. a trasferire, con sorprendenti affinamenti tecnici, gli smalti in uso per la maiolica nella scultura fittile. Considerando la varietà di applicazioni e di, significati che quest'arte ben presto assunse (Del Bravo, 1973), sembra riduttiva, seppure con qualche fondamento, la spiegazione del Vasari (1568) secondo il quale lo scultore si dedicò alla terracotta - più accessibile e facile da lavorare, e quindi più redditizia del marmo - per le delusioni economiche subite nella precedente attività, e decise poi d'invetriarla per meglio proteggerla dalle intemperie: un'interpretazione desunta verosimilmente dal carattere della produzione robbiana cinquecentesca.

Subito ampiamente adottata sia in esterni sia in interni, la 'terracotta robbiana' costituì, in un certo qual modo, l'equivalente scultoreo di ciò che in pittura è il mosaico: rendeva le immagini e le loro cromie durevoli e resistenti alle acque ma anche luminose, e dunque meglio percepibili nella penombra delle chiese e, sul piano espressivo, più preziose e dotate di una maggiore carica simbolica ed efficacia devozionale.

Le consistenti esperienze robbiane per una "pittura in maiolica" da adottare su superfici piane con esiti sia decorativi sia figurativi suggeriscono quindi l'ipotesi di vederne la genesi legata anche. ai considerevoli interessi musivi coltivati, proprio durante il quarto decennio, nel cantiere del duomo per la decorazione della cupola brunelleschiana (Gentilini, 1982-83). E l'esplicito gradimento del Brunelleschi per i primi invetriati ed il suo eclettico ingegno sperimentale rendono assai plausibile un contributo dell'architetto all'"invenzione" del D. (Pope-Hennessy, 1980), da datare intorno al 1438.

Il primo esempio documentato di "maiolica robbiana" sono gli inserti policromi (cherubini e ghirlande a rilievo, intarsi con motivi araldici e vegetali, fondo azzurro della lunetta) che decorano il tabernacolo marmoreo del Sacramento già in S. Egidio nella cappella maggiore (di S. Luca) ed oggi in S. Maria a Peretola (lo sportello bronzeo con la Colomba del Bargello).

Fu scolpito dal D., con la collaborazione di Agnolo di Cristofano, su spunti brunelleschiani e masacceschi, fra il 1441 e la primavera del 1442, ma forse gli era stato affidato fin dal 1439, quando, nel settembre, fu commissionata a Domenico Veneziano la decorazione pittorica della cappella. Per quanto la maiolica, di una delicata e complessa policromia, abbia già una qualità ben superiore a qualsiasi altro esempio di ceramica occidentale a noi noto, essa è qui ancora subordinata al marmo che ravviva con effetti di tarsia musiva, come in alcuni precedenti, trecenteschi; mentre in una coeva Madonna col Bambino,rilievo anch'esso già in S. Maria Nuova ed oggi al Bargello, l'immagine - modellata secondo le consuetudini della plastica quattrocentesca - è già interamenie rivestita di uno smalto ceramico nella tipica bicromia robbiana: figura bianca su sfondo azzurro, arricchita da dorature a mordente. Così nella Madonna di Copenaghen (Statens Museum for Kunst), di una tipologia replicata anche in terracotta dipinta, che è forse il più antico rilievo invetriato del D. a noi noto (1438 c.). È infatti attualmente rifiutata in favore di Donatello (Bellosi, in Donatello...,1986, n. 19) l'attribuzione al D. (Schubring, 1905) dei quattro precoci rilievi con Storie dei progenitori rivestiti da una vetrina pigmentata (Londra, Victoria and Albert Museum; Firenze, Opera del duomo); e di ardua definizione cronologica e attributiva risulta una Madonna col Bambino invetriata in bianco di cultura ghibertiana (già Firenze, coll. Volpi) che si è creduto costituisse un diretto precedente della tecnica robbiana (Bode, 1921).

Fu per incarico dell'Opera del duomo, e quindi indirettamente del Brunelleschi, che il D. ebbe modo di dimostrare le possibilità di impiego monumentale della terracotta invetriata realizzando due grandi e complesse lunette per i portali delle sagrestie: la Resurrezione (sagrestia delle messe), commissionata, secondo un disegno d'insieme ed un saggio della tecnica da adottare, il 21 luglio 1442 e già collocata nel gennaio 1444, e l'Ascensione di Cristo,commissionata, in accordo ad un modellino, l'11 ott. 1446 e realizzata entro il giugno del 1451.

Mentre nella Resurrezione il D. adottò un rilievo scultoreo ed una rigorosa bicromia bianco-azzurra, tradizionale e simbolica, nell'Ascensione rese la scena con toni più fluidi e pittorici e, per formale richiesta della committenza, introdusse nel paesaggio alcuni colori naturalistici inaugurando una maniera che sarà a lungo quella adottata dalla bottega robbiana per i rilievi narrativi. Inoltre, per la cappella del Sacramento, eseguì entro il giugno 1448 due Angeli cerifori, sempre in terracotta invetriata ma con ali lignee scolpite da Giovanni di Domenico da Gaiole, come ornamento di un perduto ciborio marmoreo del Buggiano (trasferiti poi nella cappella di S. Zanobi), che furono stimati, insieme all'Ascensione, nell'agosto 1451, dagli scultori Bernardo Rossellino e Pagno di Lapo Portigiani.

A questa data il D. aveva già realizzato con la stessa tecnica un impegnativo gruppo statuario raffigurante la Visitazione per l'omonima Compagnia in S. Giovanni Fuoricivitas a Pistoia, forse nel 1445 terminandolo nell'ottobre, e numerose Madonne, a mezza figura, col Bambino, sia modellate ad altorilievo (Firenze, Bargello, già appartenuta a Lorenzo il Magnifico, 1440 c.; Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, 1440-45; Parigi, Musée Jacquemart André, 1445 c.; Firenze, Museo dell'Ospedale degli innocenti, già nella "chiesa delle donne", 1446-49; Lucca, S. Michele, già nell'oratorio di S. Lucia, 1445-50), che concepite come prodotti più modesti replicabili a calco, e in questo caso a bassorilievo foggiate in un unico pezzo col relativo fondo e talvolta la stessa cornice (esemplari più significativi delle varie tipologie: Madonna "tipo Corsini", Tulsa, Oklahoma, Philbrook Art Center; "tipo Friedrichstein", Buffalo, Albright-Knox Art Gallery; "tipo Bliss", New York, Metropolitan Museum; "tipo Impruneta", S. Maria a Impruneta; "tipo Genova", Vienna, Kunsthistorisches Museum).

Secondo un documento oggi perduto tra il 1440 e il 1450 la Confraternita della Madonna delle Grazie di Antico nel Montefeltro acquistò presso il D. una Madonna,opera identificata con la statua invetriata che si venera nella chiesa di S. Maria (Franciosi, 1919) da riferire, per ragioni stilistiche, ad Andrea Della Robbia verso la fine del secolo.

Gli inserti del tabernacolo di Peretola confortano l'ipotesi che il D. realizzasse altri invetriati policromi già nei primi anni Quaranta: sia bidimensionali e con effetti pittorici o musivi, come il raffinato Stemma dei maestri di pietra e legname in Orsaninichele e forse le mattonelle con la rosa malatestiana che cingono il cassero del Castel Sigismondo di Rimini, edificato con suggerimenti del Brunelleschi tra il 1437 e il '46 (Pasini, 1970), sia scultoree, delle quali sarebbero testimonianza una statua raffigurante la Madonna col Bambino nell'oratorio di S. Tommaso d'Aquino (Ciardi Dupré, 1978), l'esemplare eponimo della Madonna "tipo Corsini" (Firenze, coll. Corsini), e, qualora se ne accettasse una datazione precoce, i problematici evangelisti nei pennacchi della cappella Pazzi in S. Croce, secondo alcuni studiosi invetriati dal D. e modellati dallo stesso Brunelleschi (Bode in Burckhardt, 1884).La più impegnativa impresa in terracotta invetriata del D. ed il più armonioso e felice inserto robbiano in un'architettura rinascimentale fu, senza dubbio, la decorazione della cappella Pazzi o aula capitolare di S. Croce, il cui cantiere, avviato nel 1429 dal Brunelleschi e concluso per la struttura tra il 1459 (cupola) e il '61 (portico) ad opera di Giuliano da Maiano, si protrasse almeno fino al 1473, senza peraltro portare l'edificio a compimento. E, nell'arte del D., i tredici imponenti medaglioni con gli apostoli che ne ornano le pareti rappresentano, dopo la cantoria, il momento di maggiore ricchezza e complessità formale.

Le sensibili differenze stilistiche li indicano realizzati lungo un arco cronologico piuttosto ampio: del 1445-50 è forse il S. Pietro, recentemente attribuito allo stesso Brunelleschi (Pope-Hennessy, 1980), cui seguono il S. Andrea all'esterno (1450 c., per alcuni di Andrea Della Robbia, gli apostoli della parete absidale (1450-60), quelli dei fianchi (1460-65) e della controfacciata (1465-70). Assai dibattuta è la cronologia e la paternità degli evangelisti nel pennacchi, variamente riferiti al D. (Reymond, 1897), alla bottega di Andrea (Janson, 1973), a Donatello (Pope-Hennessy, 1977), e, come si e detto, al Brunelleschi, ma probabilmente di un momento avanzato (1470c.).

Dei primi anni Sessanta è la ricercata ed esuberante decorazione della cupoletta del portico, che imita coppe di lapislazzuli su un fondo di porfido e serpentino, con al centro una rigogliosa ghirlanda di frutta e fiori entro cui è racchiuso lo stemma Pazzi posato su una coppa di diaspro; di un gusto consono alle abitudini sfarzose e principesche dei committenti, Iacopo e Piero Pazzi. Si è supposto appartenessero ad una prima idea decorativa dei pennacchi quattro medaglioni con Virtù entro cornici a ghirlanda, provenienti dalla villa Pazzi di Montughi (Temperanza e Giustizia,Parigi, Musée de Cluny; Prudenza,New York, Metropolitan Museum; Fede,già Parigi, coll. Heilbronner, ora Lisbona, Museo Calouste Gulbenkian), databili agli anni Sessanta, ma da attribuire ad Andrea e, per ragioni iconografiche e tipologiche, difficilmente parte di uno stesso ambiente.

Secondo alcuni biografi il D. "fecie a Napoli il sepolcro dello Infante fratello di Alfonso et altre cose" (Libro di Antonio Billi, 1518 c., p. 322), ed il Vasari (1550, p. 234 e 1568, p. 175) aggiunge che di questa tomba, a noi ignota, "di marmo con molti ornamenti d'invetriati", "graridissima parte ne lavorò in Fiorenza ... aiutato da Agostino suo fratello".

È ipotizzabile che si trattasse di un monumento all'infante Pietro d'Aragona, fratello di Alfonso V il Magnanimo, morto nel 1438 durante l'assedio di Napoli e sepolto nel 1444 (o 1445) in S.Pier Martire, monumento distrutto forse dal terremoto del 1456 o interrotto, nel 1447 a causa delle prime ostilità tra Napoli e Firenze (Gentilini, 1982-83); ad esso poteva appartenere la nobile Testa di giovane in terracotta invetriata del Museo Filangieri di Napoli (cfr. Pane, 1977) stilisticamente databile intorno al 1445. Inoltre non si può escludere una collaborazione di Agostino e Ottaviano di Duccio, che il Vasari credeva fratelli del D. (identificando poi il primo col nipote Simone di Marco Della Robbia), documentati a Firenze intorno al 1445 e sensibili all'esempio robbiano.

I rapporti con la corte aragonese e la conimittenza iberica sono comunque confermati da un'ulteriore affermazione del Vasari (1550, p. 234) che ricorda come il D. inviasse "al re d'Ispagna ... opere ... e figure di tondo rilievo" in terracotta invetriata "et altri lavori di marmo", e da alcuni documenti relativi all'esportazione di invetriati attualmente da identificare: odue storie" e una Madonna realizzate tra il febbraio e il marzo 145 3 per il "Marchese del Portogallo" (doc. in Mendes Atanázio, 1984, p. 27), "sette casse di lavori ... del Marchese di Valenza" inviate a Lisbona nel maggio 1454, e una Madonna spedita a Napoli nel settembre 1477 ad un eminente personaggio della corte aragonese, Marino Tomacello (docc. in PopeHermessy, 1980, p. 74). Nell'Italia meridionale e nella penisola iberica è peraltro riscontrabile una consistente presenza di lavori robbiani databili a partire dal settimo decennio del Quattrocento, talvolta documentati e connessi con la decorazione di importanti architetture aragonesi (sub voce Andrea Della Robbia).

Il 1° luglio 1445 l'Opera di S. Maria del Fiore invitò il D. a collaborare con Michelozzo alla realizzazione della porta bronzea della sagrestia delle messe, precedentemente (1437-1445) affidata, come quella della sagrestia dei canonici, a Donatello, il quale, trasferitosi nel 1443 a Padova, ben poco vi aveva lavorato. E, forse nell'agosto e proprio in funzione di un tale incarico, i due costituirono con Maso di Bartolomeo, scultore specializzato in fusioni e già collaboratore e "socio" di Michelozzo, una "compagnia" cui l'opera venne formalmente commissionata il 28 febbr. 1446.

A due ante, con 10 specchiature raffiguranti la Madonna col Bambino, S. Giovanni Battista,gli evangelisti e i dottori della Chiesa, adorati da coppie di angeli, e ventiquattro testine in aggetto di profeti e sibille, la porta bronzea costituisce, con la cantoria, il principale impegno di Luca scultore con tecniche tradizionali, ma, anche a causa della lunga e discontinua vicenda esecutiva, un frutto non altrettanto felice, seppure ben rappresentativo dell'austera rarefazione e degli orientamenti arcaicistici che ne caratterizzano l'attività estrema. Il progetto, che prevedeva figure entro tabernacoli e cornici decorate alla "damaschina", poi non realizzate, era stato elaborato da Michelozzo nel giugno 1445.

I telai, pagati a Michelozzo e Maso di Bartolomeo, furono gettati nel 1446 e così forse le relative testine, variamente attribuite anche a Michelozzo e Maso (Pope-Hennessy, 1980; Haines, 1983), ma connessi e rinettati soltanto fra l'aprile 1461 e il maggio 1464 dal fratello di Maso (deceduto nel 1457) Giovanni di Bartolomeo. Finalmente, il 4 ag. 1464, assente Michelozzo da Firenze, si stipulò un nuovo contratto con il solo D. per la realizzazione dei rilievi, modellati entro l'anno seguente e fusi, con la collaborazione del bronzista Pasquino da Montepulciano, tra il 1465 e gli ultimi mesi del 1467. La rinettatura richiese ancora alcuni anni e la porta fu collocata solamente nel dicembre 1475 (Haines, 1983).

La compagnia con Michelozzo e Maso di Bartolomeo, protrattasi almeno fino a tutto il 1451 (se non oltre, giacché il 26 ag. 1455 il D. si faceva garante col banco Cambini per un prestito a Maso), assicurò al D. ulteriori incarichi: i due Dolenti in terracotta dipinta per l'altare della cappella Villani alla Ss. Annunziata, eretta da Michelozzo nel 1445 (Casalini, 1978; Gentilini, 1981); uno "spiritello" per la porta della Cancelleria del palazzo dei Priori, disperso, ma documentato al settembre-ottobre 1449; l'importante lunetta invetriata con la Madonna col Bambino fra quattro santi,oggi a Urbino nella Galleria nazionale delle Marche, realizzata fra il giugno 1450 e l'agosto 1451 per il portale, disegnato da Maso, del S. Domenico di Urbino; la "banda" in maiolica policroma dello stemma di palazzo Vettori in via S. Spirito, scolpito da Maso fra l'ottobre 1450 e il gennaio 1451 (Maso di Bartolomeo [1449-1456], pp. 65 s.). Inoltre, fu proprio tale collaborazione a favorire la prestigiosa committenza di Piero di Cosimo de' Medici, "fra i primi che facessero lavorare a Luca cose di terra colorita" (Vasari [1568], p. 174), per il quale decorò due architetture michelozziane con originali rivestimenti in maiolica: il tetto a squame e il soffitto a cassettoni della cappella del Crocifisso in S. Miniato al Monte, edificata a spese di Piero nella seconda metà del 1448, e la volta e il pavimento dello studiolo di Piero in palazzo Medici, databile nei primi anni Cinquanta.

Descritto e lodato già dal Filarete (1464, p. 696) come "ornatissimo il pavimento, e così il cielo, di vetriamenti fatti a figure degnissime" e dal Vasari (1568, p. 174) che lo ricordava "singolare, e molto utile per la state" e di tale perfezione che "la volta come il pavimento paiono non di molti, ma di un pezzo solo", lo studiolo di Piero fu demolito poco dopo il 1659, e degli invetriati del D. si conservano oggi solo i dodici pannelli del soffitto (Londra, Victoria and Albert Museum) che raffigurano, entro cornici circolari con indicazioni astrologiche, i Lavori dei mesi, dipintiin bianco su fondo azzurro, secondo una rara iconografia tratta probabilmente dal De re rustica di Columella (Pope-Hennessy, 1980). Questo inconsueto ambiente, dove il richiamo alle volte a stucco romane si combinava con la luminosa frescura delle stanze maiolicate arabe, risulta assai rappresentativo di quel clima fiorentino, raffinato ed eclettico, che sulla metà del secolo arricchì la consueta moderazione del D. con elementi preziosi ed esotici (Del Bravo, 1973). Già attribuiti a Domenico Veneziano (Salmi, 1936), i Lavori dei mesi si ritengono oggi dipinti dallo stesso D., il quale secondo Vasari (1568, pp. 176, 185) ebbe "bonissimo disegno e grazioso" - come testimoniavano un autoritratto e altre "carte ... lumeggiate di biacca" possedute dallo storico (Chatsworth, coll. Duca di Devonshire), avvicinate oggi a Lorenzo di Credi (Ragghianti Collobi, 1974) - e, "poco prima che morisse", cominciò "a fare storie e figure dipinte in piano" (al tempo conservate dagli eredi) sperimentando un insolito uso pittorico della maiolica apprezzato dallo stesso Leonardo (1492 c.) e riproposto, intorno al 1490, anche da Andrea Della Robbia.

Altre sculture invetriate collegabili alla committenza medicea e, almeno in parte, alla collaborazione con Michelozzo sono: gli interventi in S. Maria a Impruneta (vedi oltre), la lunetta del Bode Museum di Berlino Est, raffigurante la Madonna col Bambino e due angeli (1450-55),che sembra provenire dalla cappella michelozziana del castello di Trebbio; il busto reliquiario di Giovane santa (1450-55),già nel convento di S. Marco ed oggi al Bargello; e, sempre al Bargello, ma provenienti dalle collezioni medicee, la Madonna della Mela (1440 c.)e quella, a figura intera, detta "del Roseto" (1450-55),identificabili con i due rilievi robbiani citati nell'inventario di Lorenzo il Magnifico (1492), e una Giovane gentildonna (1465-70)forse attribuibile ad Andrea Della Robbia.

È inoltre possibile' che il D. eseguisse un qualche ritratto di Cosimo il Vecchio, analogo a quello che il Vasari volle presso l'immagine dello scultore nel Cosimo circondato da letterati e artisti dipinto in Palazzo Vecchio nel 1557 da Marco da Faenza: forse il profilo marmoreo oggi a Berlino Ovest (Staatliche Museen Preuss. Kulturbesitz), altrimenti avvicinato al Verrocchio giovane.

Il sepolcro del vescovo di Fiesole Benozzo Federighi, in origine nel transetto settentrionale di S. Pancrazio, poi in S. Francesco di Paola e dal 1896 in S. Trinita, è l'ultima opera monumentale in marmo del Della Robbia. Commissionato il 2 maggio 1454, fu scolpito entro il 1456, forse con l'intervento di collaboratori, lasciando insoddisfatta la committenza che, prima della sua collocazione, richiese una perizia, condotta fra l'agosto e il settembre 1459 da uno scultore da tempo in contatto col D., il Buggiano.

Ne ravviva l'austera semplicità formale e compositiva, dettata in parte dal gusto tradizionalista del defunto ed accentuata oggi dalla perdita delle dorature e dell'alto basamento con specchiature in marmo rosso, una cornice piana in maiolica dipinta a festoni di frutta e fiori su fondo aureo (ottenuto con tecnica assai ricercata, ed inserito ad opus sectile), ilcui sorprendente pittoricismo suscitò le entusiastiche lodi del Vasari (1568) ed un'attribuzione, peraltro infondata, al Baldovinetti (R. W. Kennedy, A. Baldovinetti, New Haven 1938, pp. 81 ss.).

Il 31 ag. 1446 il D. ed il fratello Marco acquistarono per loro abitazione un'ampia casa, con corte, loggia, pozzo e orto, in via Guelfa, ai margini della città. Questo trasferimento, motivato in parte dall'incremento della famiglia di Marco, rivela le nuove esigenze dell'attività del D., orientata verso un'intensa produzione in terracotta. E questa casa, dove documenti successivi (1522; Marquand, 1922, p. LVI) ricordano esplicitamente "forno" e "truogoli" riservati all'"arte vetraria", ospiterà d'ora in poi la bottega robbiana.

Intorno alla metà del secolo il D., col quale già collaborava attivamente il nipote Andrea, si concentrò infatti sulle molteplici, inedite possibilità scultoree e decorative offerte dalla terracotta invetriata: genere che stava ottenendo un rapido successo e una diffusione europea, favorita dalle richieste dei mercanti fiorentini (Vasari, 1568), dai costi contenuti e dai notevoli vantaggi che queste opere offrivano alla spedizione, essendo più leggere di quelle in marmo e più impermeabili di quelle in terracotta, stucco o legno dipinto e, se di grandi dimensioni, cotte in vari pezzi e quindi facilmente scomponibili.

Il D. si giovò del contributo di Andrea soPrattutto nella realizzazione di nuove e più elaborate tipologie in terracotta invetriata: statue, come l'esuberante Madonna col Bambino in S. Maria della Fraternità a Foiano del 1460c. (Cantelli, 1970); pale d'altare, le più antiche delle quali concepite in forma di trittico, come la Madonna col Bambino tra i ss. Biagio e Jacopo Maggiore richiesta dai Capponi verso la fine del sesto decennio per la chiesetta di S. Biagio a Pescia (ora nel palazzo vescovile); tabernacoli, cibori, monumenti funebri, come la tomba del vescovo di Tournai Guillaume Il Fillastre, commissionata presumibilmente nel 1436 e spedita a Saint-Omer nel 1469 (smembrata, se ne conservano frammenti nel locale, museo e nelle chiese di St-Denis e St-Martin au Laert); complesse decorazioni architettoniche con rivestimenti a piastrelle e figure a bassorilievo. Opere in buona parte delle quali è difficile definire il livello di collaborazione tra i due Della Robbia (sub voce Della Robbia, Andrea).

Nel repertorio dei rilievi di devozione privata accanto alle consuete immagini della Madonna col Bambino in grembo, tanto a mezzagura (Madonna Altmann, New York, Metropolitan Museum, 1455-60), che a figura intera, in trono (già Berlino, Kaiser-Friedrich Museum, distrutta, 1455 c.; Atri, Museo della collegiata, 1464 c.: Matthiae, 1959), o "dell'Umiltà" (S. Andrea a Rovezzano; Londra, Victoria and Albert Museum, n. 4411; Princeton University Art Museuml ed altri esemplari di tali tipologie, databili al 1450-60) i Della Robbia svilupparono in questi anni nuove composizioni, suggerite dall'iconografia domestica e serafica della spiritualità francescana cui essi aderirono con crescente partecipazione, che godranno nell'ultimo quarto del secolo di un'eccezionale fortuna: come la Vergine inadorazione del Bambino, fra angeli e cherubini (AdorazioneFoulc, Philadelphia Museum of Art, 1460 c.), allusiva spesso all'Incarnazione (Museo naz. del Bargello, n. 48, 1460-65; n. 21, 1465-70), il Presepio (Boston, Museum of Fine Arts), e l'Adorazionedei pastori (Monaco, Bayerisches Nationalmuseum, 1460-65).

In S. Miniato al Monte, per la cappella del cardinale di Portogallo, Iacopo di Lusitania, l'ambiente più prezioso e raffinato del Quattrocento fiorentino, cui collaborarono il Baldovinetti e i Pollaiolo per la parte pittorica e Antonio Rossellino per quella marmorea, il D. eseguì tra il 14 apr. 1461, data della commissione, e il luglio dell'anno successivo, il celebre rivestimento invetriato della cupoletta, costituito da mattonelle policrome a cubetti illusionistici e cinque medaglioni a bassorilievo con le Virtù cardinali e la Colomba dello Spirito Santo. Ancora più elaborata, ma meno elegante e coerente, è la decorazione delle due edicole michelozziane del santuario di S. Maria a Impruneta, erette entro il 1468, forse coi suggerimenti di Piero de' Medici, a spese dei Buondelmonti e del pievano Antonio Agli, intimo dei Medici e letterato di inclinazioni neoplatoniche, la cui personalità sembra aver avuto un significato non trascurabile per lo scultore (Pope-Hennessy, 1980).

Le edicole risultano il frutto di interventi diversificati. Ad una prima fase appartengono il tabernacolo marmoreo della cappella della Madonna con la relativa predella raffigurante l'Invenzione dell'immagine miracolosa,opere problematiche riferite anche allo stesso D., (Procacci, 1947), ma di cultura donatelliana e la predella vicina al Filarete (Middeldorf, 1973) che l'avrebbe potuta scolpire nel 1448; di questa data, o di poco successivi, sembrano i due altorilievi in terracotta invetriata del D. (S. Luca e S. Paolo) che arricchiscono l'altare. Per gli invetriati della cappella della Croce (tabernacolo col Crocifisso e i dolenti;figure di S. Agostino e S. Giovanni Battista pure ad altorilievo; predella con angeli; rivestimento parietale azzurro; soffitto policromo a cassettoni e coppe) ragioni stilistiche e storiche suggeriscono invece una datazione dopo l'agosto 1464; e così per l'analogo soffitto ed il fregio (festone di frutta con due immagini della Madonna replicate a calco) che decorano la cappella della Madonna, cui è da collegare un pagamento al D. in data 20 novembre 1466 da parte del camarlingo della Compagnia di S. Maria Impruneta (Mather, 1918). In questo documento il D. viene ricordato anche quale autore di un perduto stemma in terracotta invetriata del capitolo di S. Maria del Fiore destinato alla pieve di S. Lorenzo a Signa.

Alla committenza di Antonio Agli, che fra il 1466 e il '67 fu vescovo di Fiesole e, dal 1470, di Volterra, si possono collegare altre due importanti opere robbiane meno note, frutto di una stretta collaborazione fra il D. e Andrea: la pala invetriata raffigurante la Madonna col Bambino fra i ss. Cosma e Damiano oggi nell'Arciconfraternita della Misericordia - la prima con la struttura di una pala dipinta, con predella e cuspide - che Francesco Sassetti, altra significativa figura del circolo mediceo e ficiniano e in più occasioni committente dei Della Robbia, fece eseguire nel 1466 per la propria cappella nella badia fiesolana, come palese omaggio ai Medici (Gentilini, 1981); e i due gruppi statuari in terracotta dipinta, raffiguranti il Presepio e l'Adorazione dei magi, nella cappella della Madonna del duomo di Volterra (Valentiner, 1926), databili, anche per motivi storici, al 1474c., la cui ricca policromia si deve al Gozzoli, autore dello sfondo ad affresco delle nicchie che li accolgono.

Dal settimo decennio consistente fu anche la produzione di stemmi invetriati, assai efficaci per la resa intensa e stabile dei colori araldici. Sono manufatti in cui, il più delle volte, è impossibile distinguere l'autografia del D. da quella di Andrea o di eventuali altri collaboratori.

I più antichi e celebri esemplari sono quattro medaglioni all'esterno di Orsaninichele: lo stemma della mercanzia, accolto da una coppa sbaccellata cinta da una ricca ghirlanda di fiori e frutta, che fu commissionato al D. nei primi mesi del 1463 e concluso entro il settembre; gli stemmi dell'arte dei maestri di pietra e legname (1440 c.) e dell'arte dei medici e speziali (1455 c.), eseguiti anch'essi dal D. ma di più problematica datazione; e lo stemma dell'arte della seta, riferibile ad Andrea intorno al 1465-70 (è inoltre plausibile che l'Incredulità di s. Tommaso del Museo di Budapest sia un modello del D. per il gruppo bronzeo del tabernacolo della mercanzia, la cui esecuzione, affidata nel 1466 al Verrocchio, era stata decisa nel 1463 contestualmente a quella del relativo stemma).

La tipologia a ghirlanda, emblematica dell'arte robbiana, fu utilizzata nella bottega del D. per altre innumerevoli armi gentilizie, destinate ad ornare edifici privati (stemmi già in palazzo Della Stufa, 1465 c., ora nella villa di Castagnolo e nella coll. Contini Bonacossi a palazzo Pitti), religiosi (tre stemmi del vescovo Federico Manfredi nel duomo di Faenza, 1474-77), e, in versioni ridotte, i palazzi pretori (stemma di A. Buondelmonti, San Giovanni Valdamo, 1475), per i quali già da tempo i Della Robbia realizzavano stemmi invetriati nelle più consuete tipologie a scudo con cartiglio (stemma di R. Leoni, San Giovanni Valdarno, 1463) e a targa (stemma di B. Dell'Antella, Signa, 1469). Rimarchevoli i grandi stemmi invetriati che in questi anni il D. eseguì, con la collaborazione di Andrea, per Iacopo Pazzi: lo stemma di re Renato d'Angiò, realizzato verso il 1470 per la villa Pazzi a Montughi (Londra, Victoria and Albert Museum) e replicato in un esemplare, oggi disperso, già nel palazzo reale di Aix (Evans, 1982 c.), e gli stemmi di Iacopo e della moglie, Maddalena Serristori (1465 c.), che decoravano il palazzo Pazzi di via del Proconsolo (ora in palazzo Serristori) edificato da Giuliano da Maiano, il quale sull'esempio del Brunelleschi accolse spesso nelle sue architetture opere invetriate. Giuliano da Maiano è documentato anche (23 apr. 1464) quale autore di un tabernacolo ligneo per una Madonna del D. destinata al mercante Giovanni Benci (Neri di Bicci, 1453-75).

I rapporti del D. con Andrea non furono sempre armoniosi e i notevoli profitti che il nipote poté presto trarre dagli insegnamenti artistici e dai segreti tecnici del D., e dalla ormai collaudata struttura produttiva e commerciale della bottega di via Guelfa, dovettero alla lunga infastidire l'anziano scultore, che infatti intorno al 1470 rivendicava una somma assai considerevole (Andrea Della Robbia, Catasto 3470: Marquand, 1922). Così, il 19 febbraio dell'anno successivo, revocata ogni precedente volontà che si può supporre più favorevole ad Andrea, istituì erede universale il nipote Simone di Marco, dichiarando che questi beni materiali mai avrebbero potuto eguagliare i considerevoli guadagni e gli onori che Andrea otteneva, e avrebbe anche in futuro ricavato, dai suoi insegnamenti.

Piuttosto esigua risulta l'attività estrema del D., che, nel settembre 1471, doveva declinare per l'età e le malattie la carica di console nell'arte dei maestri di pietra e legname, designando quale procuratore Simone. Ed infatti le sue finanze, floride e in sensibile crescendo fino al 1469, risulteranno dimezzate nel Catasto del 1480.

Possiamo ritenere opere sostanzialmente autografe dell'ultimo decennio il Presepe del Victoria and Albert Museum di Londra, grande rilievo circolare, e la lunetta di S. Pier Buonconsiglio,oggi nel palazzo di Parte guelfa (1470-75); così altri due rilievi raffiguranti la Madonna col Bambino e due angeli in adorazione conservati al Bargello - la lunetta di via dell'Agnolo ed il tondo delle cappuccine (1475-80) - che, seppure recentemente riferiti ad Andrea (Pope Hennessy, 1980), rivelano l'intensità scultorea e il rigore compositivo del D., risultando estranei ai modi sensibilmente più pittorici, descrittivi e sentimentali che già caratterizzano l'arte del nipote (Gentilini, 1983). Qui il D. ha superato ogni esuberanza formale ed il precedente, variegato naturalismo di matrice classica, per un recupero di stilemi della tradizione gotica, di atmosfere rarefatte e di elementi simbolici, possibile riflesso del clima ficiniano di quegli anni (Del Bravo, 1973) e comunque dichiarata espressione di una sensibilità volta al trascendente. "Fieramente di mal di renella aggravato" (Vasari, 1550, p. 235) il D. morì il 20 febbr. 1482 a Firenze, dove, tre giorni dopo, fu sepolto secondo le tradizioni familiari in S. Pier Maggiore.

Per quanto figura sostanzialmente solitaria e concentrata sulla propria attività artistica, il D. non disdegnò una certa presenza pubblica: fu più volte consigliere (1466-'68, '71, '74-'75, '77, '80), console (1434, '45, '53, '56-'57, '60, '66, '75) e sindaco (1467, '71, '76) nell'arte dei maestri di pietra e legname; e nel 1472 il suo nome compare nei registri della Compagnia di S.Luca o Confraternita dei pittori, dove forse ricoprì varie mansioni. Per incarico dell'Opera del duomo fu tra i testimoni nella commissione al Ghiberti della Cassa di S. Zanobi (18 aprile 1439), al Buggiano del lavabo della sagrestia dei canonici (21 luglio 1442), poi stimato insieme a Donatello (15 ottobre 1445), a Mariotto di Giuliano di una campana (5 ottobre 1469), e nel 1471 (6 marzo) tra i maestri che deliberarono sulla costruzione del coro (Poggi, I, 1909, pp. 187, 241; II, 1988, pp. 14, 18, 186). Sembra inoltre che dal 1435 fosse fra gli ascritti alla Confraternita della Misericordia (Bargellini, 1965).

Le sue frequenti e feconde relazioni artistiche, ben documentate con architetti e scultori, dovettero estendersi anche a numerosi pittori: si sono infatti individuate significative tangenze stilistiche con opere del D. in Masaccio, nell'Angelico, in Filippo Lippi, Domenico di Bartolo, Domenico Veneziano, Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Benozzo Gozzoli, Alessio Baldovinetti e nel Perugino, tramite quest'ultimo per le simpatie robbiane di Raffaello giovane.

E, ancora prima della morte, il suo nome, già avvolto di leggenda, entrava nelle testimonianze letterarie sull'arte del Rinascimento, concordi, a partire dall'Alberti (1436) e dal Filarete (1464), nel lodarlo "gran maestro" (Dei, 1470, p. 72) in marmo, bronzo e terracotta, ma soprattutto come "il primo che trovò lo invetriare le figure" (Manetti, 1485 c., p. 168), "onde ne venne arricchito il mondo ... d'un arte nuova, utile e bellissima" (Vasari, 1568, p. 185). Merito questo che, ben più delle altissime doti di scultore, garantì al D. un'imperitura notorietà, presto ulteriormente dilatata dall'attribuzione di ogni successiva plastica robbiana di un qualche pregio (Baldinucci, 1681-1728). La vastissima produzione di Andrea Della Robbia ereditando, con toni più espliciti, anche il gradevole naturalismo e l'affabile religiosità delle opere del D. ne assicurava del resto anche un continuo gradimento popolare; in epoca moderna l'arte del D. potrà quindi godere di una fortuna critica e di gusto particolarmente precoce ed intenso (Pelli Bencivenni, 1773), tanto da alimentare nel clima purista e preraffaellita di primo Ottocento un consistente e duraturo revival robbiano con esiti significativi in molte manifatture ceramiche europee (Gentilini, 1984, e in Omaggio, 1986).

Fonti e Bibl.: La monografia di Pope Hennessy (1980) ha sostituito il catalogo ragionato di A. Marquand (1914) che però è ancora il solo a riportare per esteso i documenti relativi alle opere; a questi si rimanda anche per una più ampia bibliografia, limitandoci qui ai contributi principali ed a quelli richiamati nel testo, con alcune integrazioni successive al 1980. L. B. Alberti, Della pittura [1436], a cura di C. Grayson, Bari 1973, p. 7; Maso di Bartolomeo, Libro di ricordi [1449-1456], a cura di C. Yriarte, Paris 1894, pp. 64, 66, 91; Neri di Bicci, Le ricordanze [1453-1475], a cura di B. Santi, Pisa 1976, p. 224; A. Averlino [Filarete], Trattato di architettura [1464], a cura di A. M. Finoli-L. Grassi, Milano 1972, pp. 170, 267, 696; B. Dei, Memorie notate [1470], a cura di C. Romby, Firenze 1976, p. 72; P. Cennini, Lettera a Pirrino Amerino [1475], a cura di G. Mancini, Milano 1909, p. 39; A. Manetti, XIV huomini singhulari in Firenze ... [1485 c.], a cura di G. 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