BERNARDI, Luca di Antonio da San Gimignano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967)

BERNARDI, Luca di Antonio da San Gimignano

Cesare Vasoli

Non si conoscono le sue origini, ma è probabile che fosse figlio di uno di quei Bernardi da San Gimignano che, tra la fine del sec. XIV e il principio del XV, furono maestri di grammatica a Pistoia (M. Morici, Maestri valdesani in Pistoia dal sec. XIV al XVI, in Miscellanea storica della Valdelsa, IX[1901], 1, pp. 2-3, 5). La prima notizia sulla sua attività risale al 1449, quando egli era maestro di grammatica a Firenze (P. Caponsacchi, Sommario della vita di Marsilio Ficino…, in Philippi Villani Liber de Civitatis Florentiae famosis civibus, a cura di G. C. Galletti, Firenze 1847, p. 264). Nel 1451 era ancora maestro pubblico di grammatica a Firenze (Arch. di Stato di Firenze, Protocolli del notaio Niccolò Dini, reg. 16 sett. 1451-8 apr. 1452, c. 59 v); ma nel 1458 era a Colle Valdelsa (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Cod. Laur. XC sup. II, cc. 14 r15 r), come risulta da una lettera inviatagli da Antonio di Giovanni Bicci e dalla sua risposta. Insegnante pubblico di grammatica a San Gimignano (ibid.,c. 2 r), tornò di nuovo a Firenze, prima del 1472, in qualità di precettore dei figli di Luca di Maso degli Albizzi. Nel 1472 si trovava a Volterra, come maestro pubblico, e qui fu testimone del famoso "sacco" (18 giugno): in tale circostanza vi ebbe distrutti tutti i suoi beni e le sue scarse ricchezze (ibid.,c. 13 v).

Ridotto in condizioni di estrema povertà, il B. nel 1474 si rivolse a Marsilio Ficino, suo antico scolaro., che lo raccomandò caldamente a Matteo Palmieri, capitano di Volterra (M. Ficino, Opera,Basileae 1561, I, p. 640, e Cod. Laur. XC sup. 11, c. 12 r) Non sappiamo quale esito avesse la raccomandazione del Ficino, ma è certo che nell'aprile dello stesso anno il B. era ancora a Volterra, dove attendeva a copiare la versione ficiniana del Trismegisto (Cod. Laur. XC sup. 11, cc. 189 r-233 v). Quattro anni dopo, nel 1478, egli si trovava a Colle Valdelsa, mentre v'infuriava un'epidemia di peste (ibid., c. 94 r). Da alcuni suoi esametri si può dedurre che in questo periodo Lorenzo il Magnifico gli avesse promesso l'elezione a maestro di grammatica a Firenze, senza però tener poi fede alla sua promessa (A. M. Bandini, Cat. cod. lat. Bibl. Med. Laur., I II, Florentiae 1776, col. 425, e Cod. Laur. XC sup. 11, c. 17 v).

Soltanto nel 1485 il desiderio del B. di insegnare nuovamente a Firenze doveva venir soddisfatto: sappiamo infatti che da quell'anno egli vi aveva ripreso l'insegnamento di grammatica (Arch. di Stato di Firenze, Deliberazioni circa lo Studio fiorentino e pisano dal 1484 al 1492, cc. 114v, 120r., 121r., 131r., 133v, 141v, e le stesse per gli anni 1492-1503, c. 10r, 112r) e che tale incarico conservò fino al 1498, quando dovette lasciarlo probabilmente per vecchiaia. Era però ancora vivo il 1° giugno 1499, allorché, sempre in Firenze, terminava di stendere una genealogia della sua famiglia, apposta in calce al Cod. Laur. XC sup. 11, c. 216 r.

Dopo questa data non abbiamo più alcuna notizia della sua vita e della sua attività.

Tra i fatti più interessanti dell'insegnamento e della vita del B., che in esso si riassunse, bisogna ricordare, oltre alla sua amicizia con Marsilio Ficino, l'uso da lui adottato di far rappresentare ai propri scolari commedie classiche latine nonché azioni drammatiche, cantate e recitate, che egli stesso componeva. Tra queste rappresentazioni ebbe particolare risonanza in Firenze quella di una commedia di Plauto recitata probabilmente tra il 1485 e il 1498, durante l'ultimo periodo del suo insegnamento fiorentino.

Il grosso delle opere del B., costituito principalmente da orazioni, sermoni, epigrammi, epistole, per lo più inedite, è conservato nei Codd. Laur. XC sup. 11 e XC sup. 27. Gli scritti più interessanti sono costituiti da un' "azione" per la solennità di s. Niccolò, composta parte in saffiche latine, parte da ottave italiane; da un prologo latino che doveva precedere la recitazione del dialogo lucianesco De venditione et emptione philosophorum (Cod. Laur. XC, sup. 11, c. 16 r - c. 17 v) e da un ringraziamento per gli spettatori convenuti ad assistere alla rappresentazione della già ricordata commedia plautina (Cod. Laur. XC sup. 27, c. 161 r).

Bibl.: A. Della Torre, Storia dell'Accad. platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 489-494, 515, 795; F. Pintor, Le prime recitaz. di commedie latine in Firenze, in Miscell. per nozze Ferrari-Toniolo, Perugia 1906, pp. 143-145; I. Sanesi, La Commedia, Milano 1954, 1,p. 184; V. Rossi, II Quattrocento, Milano 1956, p. 529; E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino 1966, I, p. 374.

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