SIGNORELLI, Luca

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SIGNORELLI, Luca

Cecilia Martelli

– Nacque a Cortona intorno al 1450, figlio unico di Gilio (o Egidio) di Luca di Angelo di maestro Ventura e di Bartolomea di Domenico di Schiffo. Il padre e i suoi avi furono per diverse generazioni pittori a Cortona (Bornstein, 2000).

Sposò Gallizia di Piero Carnesecchi, da cui ebbe quattro figli: Antonio, Felicia, Tommaso e Gabriella. Svolse nel corso della sua vita un’intensa attività al servizio dell’amministrazione di Cortona, ricoprendo tra il 1480 e il 1523, in dodici occasioni, la carica di priore; fu inoltre eletto dieci volte nel Consiglio dei diciotto e dodici volte nel Consiglio generale (i documenti noti riguardanti l’artista sono menzionati in Henry, 2012, pp. 315-323, e pubblicati integralmente nel sito http://archive.casanovaumbria.eu).

Giorgio Vasari colloca la biografia di Signorelli alla fine della seconda parte delle Vite; lo storiografo elogia l’artista quale ispiratore di Michelangelo e riconosce in lui il culmine dei raggiungimenti dell’arte del XV secolo: «quella persona che col fondamento del disegno e delli ignudi particolarmente, e con la grazia della invenzione e disposizione delle istorie, aperse alla maggior parte degli artefici la via all’ultima perfezzione dell’arte» (Vasari, 1550 e 1568, 1966-1987, III, p. 640). Il ritratto di Signorelli fu inoltre incluso fra i ritratti di artisti dipinti da Vasari stesso nella camera della Fama e delle Arti della sua casa aretina, assieme a quelli dei pittori che maggiormente si distinsero ad Arezzo e che contribuirono in modo significativo alla sua formazione.

Numerosi documenti attestano che a partire dal 1470 Signorelli fu attivo a Cortona come pittore indipendente e che nel corso dell’ottavo decennio fu impegnato in città in commissioni artistiche di non altissima levatura, come gonfaloni per confraternite religiose e oggetti di arte decorativa, in linea con una tradizione familiare di pittori-artigiani. Tutte queste opere sono perdute. Parimenti non resta alcuna traccia dei dipinti che Vasari ricorda in riferimento alla prima attività dell’artista ad Arezzo: affreschi nella cappella di S. Barbara in S. Lorenzo, datati 1472, un gonfalone per la confraternita di S. Caterina, affreschi e un’ancona per S. Agostino, un gonfalone processionale per la confraternita della Ss. Trinità (ibid., p. 634). Non si conoscono dunque opere riferibili con certezza alla mano di Luca risalenti agli anni Settanta, e altrettanto oscure sono ancora oggi le vicende della sua prima educazione artistica.

Autorevoli fonti attestano che, probabilmente già nel corso della seconda metà degli anni Sessanta, Signorelli fosse allievo di Piero della Francesca: nel 1494 Luca Pacioli riferisce che egli fu «del nostro maestro Pietro degno discipulo» (Pacioli, 1494), e Vasari ricorda, nella Vita di Signorelli, che «fu costui creato e discepolo di Pietro dal Borgo a San Sepolcro, e molto nella sua giovanezza si sforzò d’imitare il maestro, anzi di passarlo. Mentre che lavorò in Arezzo con esso lui, [...] imitò in modo la maniera di detto Pietro, che quasi l’una dall’altra non si conosceva» (Vasari, 1550 e 1568, 1966-1987, III, pp. 633 s.). Il sopra menzionato gonfalone per la confraternita della Ss. Trinità, ricordato dallo storiografo aretino tra le prime opere eseguite da Luca ad Arezzo, e dallo stesso giudicato non sembrare «di mano di Luca ma di esso Pietro dal Borgo» (p. 634), è documentato peraltro per esser stato commissionato nel 1464 e pagato nel 1465 a Piero (Franklin, 1991; Dabell, 1991).

Lo stretto legame che dovette unire il giovane cortonese al maestro di Sansepolcro ha indotto parte della critica, a partire da un importante contributo di Bernard Berenson del 1926, a riconoscere gli esordi di Signorelli in un gruppo di opere verosimilmente risalenti agli anni Settanta e fortemente debitrici nei confronti dello stile tardo di Piero: la Madonna col Bambino e tre angeli della Christ Church Picture Gallery di Oxford, la Madonna col Bambino già in collezione Villamarina e oggi presso la Fondazione Cini di Venezia, la Madonna col Bambino e un angelo del Museum of fine arts di Boston, la Presentazione al Tempio su tela già in collezione Cook a Richmond e poi presso Morandotti a Roma, oggi in una raccolta privata americana. Il riconoscimento a Signorelli di questi dipinti è reso possibile dal confronto con l’affresco già sulla torre del Vescovo a Città di Castello, datato 1474 e tradizionalmente assegnato al pittore cortonese, di cui oggi resta un molto frammentario S. Paolo nella Pinacoteca comunale.

Conclusa la fase giovanile pierfrancescana, in cui Signorelli seguì da vicino i modelli del maestro, ben diverso è lo stile della sua prima opera certa giunta sino a noi, in cui egli si trovò a collaborare con Bartolomeo della Gatta, pittore e miniatore camaldolese, fiorentino di origine e aretino di adozione, certamente incontrato nel decennio precedente tra Arezzo e Cortona: nella primavera del 1482 i due pittori parteciparono al completamento degli ultimi affreschi vetero e neotestamentari sulle pareti della Cappella Sistina, convocati verosimilmente dal Perugino.

Il loro intervento ebbe inizio nel riquadro peruginesco della Consegna delle chiavi, in cui spettano a Signorelli le figure di Giuda e dei due apostoli anziani alle spalle di Cristo (salvo, forse, il dettaglio delle mani incrociate al petto dell’apostolo in secondo piano, bagnate dalla luce e costruite con un tratteggio obliquo tipico di Bartolomeo della Gatta), per proseguire, sulla parete opposta, nell’affresco del Testamento e morte di Mosè, in cui Luca assimilò dal collega la temperatura espressiva più accesa e la materia diafana e scintillante; il cortonese dovette dipingere i numerosi gruppi di figure maschili – a eccezione di quelle sull’estrema sinistra raccolte attorno a Giosuè, di un anonimo peruginesco, e di quelle della Morte di Mosè collocate in secondo piano, che Roberto Longhi (1964, p. 5) attribuiva al Maestro di Griselda –, mentre il monaco camaldolese eseguì il bellissimo gruppo delle donne con i bambini in primo piano e probabilmente, nel fondo, l’angelo che addita al patriarca la terra promessa e parte del paesaggio (per queste distinzioni attributive cfr. Martelli, 2013, pp. 133-152). Da Vasari (1550 e 1568, 1966-1987, III, p. 638) si ricava inoltre che Luca dipinse l’affresco raffigurante la Lotta tra gli angeli e i diavoli per la salma del patriarca già sulla parete d’ingresso della cappella, danneggiato nel 1522 dal crollo dell’architrave del portale e rifatto in seguito da Matteo da Lecce.

In stretta contiguità con gli affreschi sistini Signorelli eseguì lo stendardo opistografo oggi nella Pinacoteca di Brera, prima sua opera firmata, proveniente dalla confraternita dei Raccomandati, già annessa alla distrutta chiesa di S. Maria del Mercato a Fabriano, e la pala Vagnucci destinata all’altare della cappella di S. Onofrio nel duomo di Perugia (ora al Museo diocesano), sotto alla cui cornice perduta un’iscrizione riportava la data 1484 (Crispolti, 1648). L’aggiornamento sulle novità del verrocchismo fiorentino, che determinò la maturazione stilistica del Signorelli di questi anni, si accompagna ancora in queste opere al forte influsso di Bartolomeo della Gatta, evidente anche nella Madonna della Misericordia del Museo diocesano di Pienza, che Gabriele Fattorini (in corso di stampa) propone di datare ai primi anni Ottanta, e nel ciclo di affreschi della sagrestia di S. Giovanni nella basilica di Loreto (in particolare gli angeli al sommo della volta), vasta impresa non documentata ma che, verosimilmente, dovrebbe risalire alla metà del decennio. Una commissione, quest’ultima, strettamente legata a quella della Cappella Sistina, poiché promossa dal vescovo Girolamo Basso Della Rovere, nipote di Sisto IV.

Ancora nell’ottobre del 1482, conclusa l’impresa sistina, l’artista ricevette l’incarico di dipingere gli sportelli dell’armadio contenente l’Albero di s. Francesco a Lucignano, oggi perduti. Nel 1484 si recò a Gubbio per incontrare Francesco di Giorgio Martini, incaricato dal Comune di Cortona di fornire un disegno per la chiesa di S. Maria delle Grazie al Calcinaio. Nel 1485 fu incaricato di dipingere la pala d’altare per la chiesa di S. Agata a Spoleto, forse mai eseguita, e tra il 1486 e il 1488 ricevette pagamenti per un gonfalone processionale, pure perduto, per la confraternita della Vergine Maria a Città di Castello, grazie al quale ottenne nello stesso 1488 la cittadinanza tifernate.

Signorelli pervenne a questo punto a una cifra stilistica autonoma e originale, caratterizzata da figure monumentali delineate con forte tensione plastica e tratteggiate con incisive tinte scure e rossastre, affatto distanti dai personaggi dagli incarnati chiari e trasparenti delle opere giovanili; negli anni compresi tra la fine del nono decennio e l’inizio del successivo egli ottenne numerose e prestigiose commissioni nei più importanti centri toscani.

A Firenze, per Lorenzo il Magnifico, eseguì la famosa tela con la Corte di Pan già a Berlino, andata distrutta nel 1945, e la Madonna Medici, ricordata da Vasari (1550 e 1568, 1966-1987, III, p. 636) nella villa medicea di Castello (oggi agli Uffizi); dipinse inoltre il grande tondo con la Sacra Famiglia che lo stesso Vasari (ibid.) descrive nella sala delle udienze del palazzo di Parte guelfa (anch’esso agli Uffizi), in cambio del quale ottenne entro il 1492, grazie ai buoni uffici dello stesso Lorenzo, una bottega a Cortona già di proprietà dei Capitani di parte guelfa (Mazzalupi, 2017).

A Siena, verosimilmente tra il 1488 e il 1489, assieme a Francesco di Giorgio partecipò al cantiere della decorazione della cappella di S. Cristoforo in S. Agostino, voluta da Antonio Bichi e dalla figlia Eustochia in memoria del marito di lei Cristoforo Bellanti, dipingendo due lunette con figure di Sibille ad affresco monocromo e la pala d’altare, le cui tavole principali (oggi divise tra Berlino, Staatliche Museen, e Toledo, Ohio, Museum of art) incorniciavano un S. Cristoforo in legno policromo dello scultore senese oggi al Louvre (Seidel, 1984; Sricchia Santoro, in Francesco di Giorgio..., 1993, pp. 420-423, 444-447). Decisivo fu tra l’altro l’impatto esercitato da questa decorazione sugli artisti senesi attivi nell’ultimo decennio del secolo (Maestro di Griselda, Pietro Orioli, Bernardino Fungai, Pietro di Domenico).

A queste opere fiorentine e senesi si avvicinano stilisticamente la Vergine col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Girolamo (?) della collezione Pallavicini-Rospigliosi di Roma, la Vergine col Bambino, s. Giovanni Battista e un santo maschile del Musée Jacquemart-André di Chaalis, la Sacra Famiglia della National Gallery di Londra, i tondi della Galleria Palatina e della Galleria Corsini di Firenze, del Musée Jacquemart-André di Parigi (ora trasformato in ovale) e dell’Alte Pinakothek di Monaco, il Ritratto virile della Gemäldegalerie di Berlino.

Probabilmente attraverso i rapporti intessuti con Lorenzo il Magnifico, proprietario di una villa a Spedaletto che in quegli anni faceva decorare da Botticelli, Ghirlandaio, Perugino e Filippino Lippi, Signorelli giunse a lavorare a Volterra, città all’epoca sottoposta al dominio fiorentino. Nel 1491 firmò e datò la grandiosa Annunciazione per l’oratorio della confraternita della Vergine Maria, annesso alla cattedrale, e la pala Belladonna per S. Francesco (entrambe oggi nella Pinacoteca civica); allo stesso anno si data un affresco a monocromo in terra verde con S. Girolamo nel palazzo dei Priori, eseguito con la collaborazione della bottega e oggi staccato. Non documentata, e forse di qualche anno precedente, è invece la Circoncisione per l’oratorio della compagnia del Ss. Nome di Gesù annesso alla stessa chiesa di S. Francesco (oggi alla National Gallery di Londra), opera un cui termine cronologico post quem è costituito dal 1485, quando la confraternita ottenne l’autorizzazione a vendere alcune proprietà per finanziare la decorazione dell’oratorio (Henry, 2012, pp. 98, 103). Una datazione allo scadere del nono decennio è confermata dalle tangenze stilistiche che il dipinto presenta nei confronti delle opere di Bartolomeo della Gatta.

Nel corso dell’ultimo decennio del secolo Signorelli intensificò i suoi rapporti con Città di Castello, anche grazie al fatto che i Vitelli, signori della città, erano strettamente legati ai Medici. Numerose commissioni impegnarono l’artista nel centro tifernate tra il 1493 e il 1498, al servizio degli stessi Vitelli e di famiglie della loro cerchia. I ritratti di Niccolò Vitelli pater patriae (oggi a Birmingham, Barber Institute of fine arts) e dei suoi figli Vitellozzo e Camillo (oggi a Settignano, Villa I Tatti) sono quanto resta di una più ampia serie di ritratti della casata eseguiti in questi anni. Fra le opere di destinazione religiosa si annoverano: la pala dell’altare maggiore di S. Maria dei Servi (1493, perduta); l’Adorazione dei Magi per l’altare maggiore di S. Agostino (1493-94, oggi a Parigi, Louvre); una Natività per la cappella di Francesco Feriani in S. Agostino (1493) e una Natività per S. Maria Nuova (per le cui identificazioni si vedano i pareri divergenti di Ricci Vitiani, 2008, pp. 77-79, e Henry, 2012, pp. 129, 133; Id., in Luca Signorelli a Città di Castello, 2013, pp. 36, 61 note 80, 82); l’Adorazione dei pastori per S. Francesco (1496, oggi a Londra, National Gallery); il Martirio di s. Sebastiano per la cappella funeraria di Tommaso Brozzi in S. Domenico (1498, oggi nella Pinacoteca comunale di Città di Castello); e lo stendardo a due facce per la confraternita di S. Giovanni Decollato, eseguito con la collaborazione di assistenti (anch’esso nella Pinacoteca comunale; sui rapporti tra l’artista e i Vitelli si veda anche Benzoni, 2013, pp. 228-243).

Nel 1493 Signorelli ricevette la commissione della pala d’altare per la confraternita di S. Maria della Misericordia a Montepulciano – oggi chiesa di S. Lucia –, di cui resta in loco un frammento con la Madonna col Bambino (in origine affiancata dai ss. Agostino e Giovanni Battista), mentre la predella è agli Uffizi. In parallelo, alcune opere della prima metà degli anni Novanta attestano come l’artista avesse mantenuto vivo anche il rapporto con il territorio marchigiano. Per l’oratorio del Ss. Crocifisso a Pioraco eseguì un’Annunciazione su tavola (oggi nel Museo diocesano di Camerino), destinata a rivestire il prospetto esterno di un’antica edicola viaria includente al centro una venerata immagine mariana di Arcangelo di Cola. A Loreto tornò per affrescare i ventiquattro Profeti monocromi nella volta della navata della S. Casa, ora ampiamente restaurati e ridipinti. Dalla confraternita dello Spirito Santo di Urbino fu incaricato nel 1494 di dipingere un gonfalone processionale a due facce illustrante la Crocifissione e la Discesa dello Spirito Santo (conservato nella Galleria nazionale delle Marche). Alla prima delle due immagini viene avvicinata (Henry, 2012, pp. 147-150) la tela con il Crocifisso e la Maddalena proveniente dal convento di Annalena a Firenze (oggi agli Uffizi), opera di datazione incerta che Laurence B. Kanter (Kanter - Testa - Henry, 2001, p. 26) riferisce invece al periodo fiorentino dell’artista, forse commissionata direttamente da Lorenzo il Magnifico.

Alcuni documenti consentono di circoscrivere al 1498-99 l’intervento di Luca nell’abbazia di Monteoliveto maggiore, casa madre dell’ordine olivetano, dove sul lato occidentale del chiostro grande dipinse nove lunette con storie di s. Benedetto ispirate ai Dialoghi di s. Gregorio (593-594). Le storie rimasero interrotte, verosimilmente per il sopravvenire della commissione orvietana, e furono completate tra il 1505 e il 1508 dal Sodoma. Il 5 aprile 1499 Signorelli firmò infatti il contratto per il completamento della decorazione della volta della cappella Nova, conosciuta anche come cappella di S. Brizio, nel transetto destro del duomo di Orvieto – avviata nel 1447 da Beato Angelico e nel 1489 affidata senza esito a Perugino –, cui ben presto fece seguito l’affidamento, il 27 aprile 1500, della decorazione dell’intera cappella.

Facendo seguito al Cristo giudice dipinto dall’Angelico nella volta, Signorelli estese alle pareti del sacello il tema del Giudizio universale, illustrando i fatti che lo precedono (Finimondo, Fatti dell’Anticristo, Resurrezione della carne) nella campata di ingresso e quelli che lo accompagnano (Chiamata degli eletti, Antinferno, Paradiso, Inferno) nella campata verso l’altare; lesene e cornici riccamente decorate a grottesche, ritratti di autori classici e di Dante e monocromi con storie tratte dalle loro opere decorano il registro inferiore delle pareti. La scala monumentale delle immagini e la loro efficacia narrativa, e la ricchezza e vitalità delle soluzioni anatomiche e figurative ne fanno l’opera più famosa e complessa dell’artista, che qui raggiunse l’apice delle sue qualità di colorista e disegnatore, e fornì inoltre, come rilevava Vasari (1550 e 1568, 1966-1987, III, p. 637), un’importante fonte di ispirazione a Michelangelo.

Il lavoro orvietano impegnò l’artista fino al 1504, anno in cui egli eseguì anche una tavola con S. Maria Maddalena posta in origine nella cappellina omonima all’interno della stessa cappella Nova (oggi nel Museo dell’Opera del duomo). Altre opere videro la luce in quegli anni, fra cui il monumentale Compianto sul Cristo morto per l’oratorio cortonese di S. Margherita (oggi al Museo diocesano), che nel 1502 fu stimato da Bartolomeo della Gatta e per la cui patetica figura di Cristo Vasari racconta che il pittore usò a modello il corpo morto del figlio Antonio (ibid.), in realtà deceduto quando il dipinto era già terminato.

La pala inaugura una nuova fase nella produzione dell’artista, che si distingue per il ricco gusto ornamentale delle vesti e dei decori e la tendenza a ridurre la profondità spaziale delle immagini, enfatizzando altresì la scala monumentale delle figure in primo piano; Signorelli ripeté più volte la composizione del Compianto cortonese, in opere come l’affresco della cappella delle Reliquie nel duomo di Orvieto, la grande pala per l’altare maggiore di S. Agostino a Matelica (1504-05) – di cui oggi sopravvivono sei frammenti – e un affresco nella collegiata di Castiglion Fiorentino. Nel 1507 l’artista donò alla figlia Gabriella la bella Madonna Bache, oggi al Metropolitan Museum di New York, che replica il profilo di una delle pie donne del Compianto di Matelica e si staglia contro un fondo dorato di straordinaria ricchezza decorativa. Risale a questo momento (1505-07) anche lo stendardo a due facce su tela della confraternita di S. Antonio Abate a Sansepolcro, che raffigura la Crocifissione e santi su un lato e i Ss. Antonio abate ed Eligio e quattro confratelli sull’altro, e che andò a sostituire un gonfalone trecentesco di analogo soggetto, oggi al Victoria and Albert Museum di Londra. Nell’oratorio di S. Crescentino a Morra, in Umbria settentrionale, l’artista realizzò un ciclo di affreschi con ampio intervento di assistenti, oggi molto danneggiati; la data 1507, che compare in un’iscrizione sulla facciata dell’edificio in ricordo del suo restauro, costituisce plausibilmente il termine post quem per le pitture.

Il successo dell’impresa orvietana procurò inoltre a Signorelli nuove prestigiose commissioni a Roma, a Siena e nelle Marche, centri dove l’artista aveva già avuto modo di operare prima del volgere del secolo. Verosimilmente nel 1507 lavorò nuovamente nel palazzo vaticano, al servizio di papa Giulio II Della Rovere. Come si evince da Vasari (1550 e 1568, 1966-1987, IV, p. 165), Luca partecipò alla decorazione della stanza di Eliodoro prima dell’intervento di Raffaello, e la sua mano è stata identificata nella figura maschile nuda seduta dipinta nella chiave d’arco sopra l’affresco raffaellesco con l’Incontro tra Leone Magno e Attila (Nesselrath, 1992, pp. 32 s.; Id., 1993, pp. 205-216).

L’attività per Giulio II e il tramite di Marco Vigerio (1446-1516), vescovo di Senigallia e cardinale, intimo amico e parente dello stesso pontefice, portarono inoltre l’artista a operare estesamente per la cittadina marchigiana di Rocca Contrada, attuale Arcevia. Delle cinque opere a lui affidate restano il maestoso polittico tutt’oggi sull’altare maggiore della chiesa di S. Medardo (1507), incastonato in una preesistente carpenteria veneto-adriatica, disegnata probabilmente da Corrado Teutonico; la pala Filippini per la chiesa di S. Francesco (1508), la cui tavola principale è alla Pinacoteca di Brera, il timpano al San Diego Museum of art e la predella al Lindenau Museum di Altenburg; e il Battesimo di Cristo per l’altare maggiore della chiesa di S. Gianne (1508, ora in S. Medardo), eseguito in larga parte da aiuti (forse Girolamo Genga). L’attività di Signorelli nelle Marche si concluse con la commissione, nel 1508, di una Deposizione da parte della confraternita del Buon Gesù a Jesi, per la quale fece da garante lo stesso Genga; l’opera fu eseguita tuttavia nel 1512 da Lorenzo Lotto (oggi è nella Pinacoteca civica).

Nel frattempo, a Siena, nel 1506 Signorelli aveva ottenuto l’incarico di disegnare un Giudizio di Salomone per il pavimento della cattedrale, tuttavia mai realizzato; ‘operaio’ del duomo era ‘il Magnifico’ Pandolfo Petrucci, per il cui palazzo nel 1509 il pittore prese parte alla decorazione della sala conosciuta come la ‘camera bella’, allestita in occasione delle nozze di Borghese Petrucci, primogenito di Pandolfo, con Vittoria Piccolomini. Degli affreschi superstiti che decoravano le pareti dell’ambiente, e che Signorelli realizzò assieme a Pinturicchio e Girolamo Genga, gli sono attribuiti il Trionfo della Castità e la Riconciliazione di Coriolano, oggi, molto danneggiati dallo stacco, alla National Gallery di Londra. Il rapporto con Pinturicchio a Siena è attestato anche dal fatto che nel gennaio 1509 Signorelli fece da padrino al battesimo del figlio dell’artista perugino, Camillo.

Nel 1512 Luca prese parte a una delegazione inviata dal Comune di Cortona a Firenze per rendere omaggio ai Medici rientrati in città; nel 1513 si recò a Roma in visita al neoeletto pontefice Leone X, in cerca di nuove commissioni o di un aiuto che tuttavia non andò a buon fine; in quell’occasione incontrò per l’ultima volta Michelangelo (com’è ricordato in una lettera di quest’ultimo del maggio 1518). Soppiantato sulla scena romana dai successi di Michelangelo e di Raffaello, tramontata la sua fortuna in tanta parte del centro Italia, a partire dal secondo decennio del secolo Signorelli tornò a vivere più stabilmente a Cortona, e alla città natale e al territorio circostante destinò l’attività dei suoi pur prolifici ultimi anni.

Al periodo compreso tra il 1510 e il 1515 risalgono infatti numerose opere cortonesi; fra queste, la tavola dipinta su due facce dell’oratorio di S. Niccolò; un tondo con la Vergine col Bambino e quattro santi patroni di Cortona di committenza civica già nella sala del Consiglio del palazzo pubblico (oggi all’Accademia Etrusca); la grande pala con la Comunione degli Apostoli per l’altare maggiore della chiesa superiore del Gesù (1512, ora al Museo diocesano); una tavola per la confraternita della SS. Trinità (oggi agli Uffizi); la Madonna col Bambino con i ss. Domenico e Biagio (?), due angeli e il committente Giovanni Sernini, vescovo della città dal 1516, per l’altare della famiglia Sernini in S. Domenico (1515, ancora in situ).

Nuove committenze nell’Altotevere, destinate soprattutto a comunità francescane, impegnarono l’artista nei successivi anni del secondo decennio. Nel 1515 dipinse una pala per la cappella di S. Cristina nella chiesa di S. Francesco a Montone (ora alla National Gallery di Londra), in cambio dell’assistenza a lui prestata dal donatore Louis de Rodez, medico francese residente nella cittadina umbra. Per la Compagnia della S. Croce nella vicina Umbertide (già Fratta di Perugia) eseguì l’anno successivo una grande Deposizione tuttora in situ. Realizzò due imponenti tavole con la Vergine col Bambino e santi per la comunità francescana di S. Cecilia a Città di Castello (oggi nella Pinacoteca comunale) e per la chiesa osservante di S. Antonio a Paciano (1517, oggi alla Galleria nazionale di Perugia). L’esecuzione di queste opere, che tendono alla ripetizione di motivi compositivi e all’affollamento in primo piano di figure stilisticamente più rigide e corsive, rivela il progressivo intervento di assistenti, primo fra tutti Francesco Signorelli (1490/95-1553), nipote ed erede artistico di Luca.

La collaborazione di Francesco e della bottega è evidente anche nelle opere risalenti agli ultimi anni di vita dell’artista, il quale continuò strenuamente la sua attività fino alla morte (1523). Le commissioni più significative comprendono tre dipinti per Arezzo: la pala dell’altare maggiore della chiesa delle Ss. Margherita e Maria Maddalena (1518-19), quella della chiesa della confraternita di S. Girolamo (1519-22), entrambe oggi al Museo di arte medievale e moderna, e una tavola proveniente probabilmente dalla cappella Albergotti in duomo, oggi alla National Gallery of art di Washington. A queste si affiancano le ultime commissioni per Cortona, fra cui la prestigiosa Assunzione della Vergine per l’altare maggiore della cattedrale di S. Maria Assunta (1519-21) – chiesa recentemente ricostruita e ornata di vetrate di Guillaume de Marcillat –, la Presentazione al tempio per l’oratorio della Madonnuccia di Piazza (1521), l’Immacolata Concezione (1521-22) e l’Adorazione dei pastori per gli altari laterali della chiesa del Gesù, oggi tutte al Museo diocesano. Giunse a completamento anche una tavola con l’Incoronazione della Vergine per la chiesa di S. Martino a Foiano, commissionata nel 1522 e consegnata nel 1523, mentre altre opere rimasero interrotte alla morte dell’artista, fra cui la decorazione della villa del cardinale Silvio Passerini, detta il Palazzone, fuori Cortona.

Morì a Cortona il 24 ottobre 1523. Fu probabilmente sepolto in S. Francesco, nella sede della confraternita dei Laudesi di cui era membro.

Girolamo Genga, di cui Vasari ricorda un apprendistato presso di lui, fu il più significativo dei suoi allievi. La sua maestria nella resa dei nudi e degli scorci anticipò Michelangelo, ma non meno la sua eredità fu raccolta dal giovane Raffaello. Prolifico pittore attivo in larga parte del centro Italia tra Quattro e Cinquecento, Signorelli deve la sua fortuna soprattutto alle pitture del ciclo orvietano e al suo ruolo di precursore della ‘maniera moderna’.

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