GOTTARDI, Luciano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GOTTARDI, Luciano

Mauro Canali

Nacque il 19 febbr. 1899 a San Bartolomeo in Bosco, presso Ferrara, da Antonio ed Elvira Volta.

Il padre, un piccolo agricoltore, aveva diretto per molti anni a Ferrara un'azienda agricola di proprietà dei conti Minutoli di Lucca.

Da documenti ufficiali risulta che partecipò alla prima guerra mondiale nel genio telegrafisti, come soldato semplice, poi in cavalleria, col grado di sottotenente di complemento. Ma, molti anni dopo, nel memoriale che inviò ad A. Pavolini per aderire alla Repubblica sociale italiana (RSI), il G. sostenne di aver partecipato alla guerra al comando di "un plotone di Arditi ed una sezione di lanciafiamme".

Diplomato in ragioneria, dopo la guerra si iscrisse alla facoltà di scienze economiche e commerciali dell'Università di Trieste, dove si era trasferito nell'agosto 1920, ma la passione per la politica gli fece interrompere anzitempo gli studi universitari, che non terminò mai. Nel settembre del 1920 si iscrisse al fascio triestino, partecipando a tutte le azioni più rilevanti condotte dal fascismo giuliano, allora diretto da F. Giunta.

Fu anche tra i protagonisti delle manifestazioni di protesta, a Trieste particolarmente accese, per gli eventi che portarono alla caduta della Reggenza del Carnaro, il cosiddetto "Natale di sangue", nel corso delle quali il G. venne lievemente ferito, arrestato e trattenuto per alcune settimane nel penitenziario di Capodistria, insieme con Giunta e gli altri dirigenti del fascismo triestino.

Nel 1921 si occupò presso la prefettura di Trieste (già commissariato civile) al Servizio ricostruzioni danni di guerra, dove rimase fino al 1925, quando venne chiamato all'Ufficio provinciale dei sindacati fascisti di Trieste.

Ebbe così inizio la sua carriera di burocrate e uomo di apparato, che, con una lenta ma sicura ascesa, lo portò a ricoprire, alla fine del ventennio fascista, le massime cariche delle organizzazioni sindacali e corporative del regime.

A Trieste rimase fino al 1927. Nel 1927-28 fu vicesegretario dei sindacati fascisti di Caltanissetta, la stessa carica ricoprì nel biennio 1928-29 a Bari. Nel 1929-30 fu nominato vicesegretario della Federazione nazionale sindacati fascisti acqua gas ed elettricità. Nel 1931 si spostò a Treviso, dove ricoprì la carica di commissario dell'Unione provinciale dei sindacati fascisti dell'industria; l'anno successivo venne inviato a Firenze con le stesse mansioni. Nel 1933, e fino al gennaio 1934, fu di nuovo a Trieste come segretario generale dell'Unione dei sindacati dell'industria della città giuliana. Nel gennaio 1934 venne la nomina alla direzione degli Affari amministrativi e generali della Confederazione nazionale dei lavoratori del commercio. Quindi, dal 1935 al 1941, fu segretario della Federazione lavoratori del commercio alimentare e, in seguito, segretario dell'Unione provinciale lavoratori dell'industria di Genova.

Egli trascorse, quindi, buona parte della sua vita pubblica nelle organizzazioni sindacali; e quando per una volta il regime cercò di utilizzarlo altrove, l'esperienza risultò disastrosa. Ciò accadde nel settembre del 1942, quando, mentre ricopriva la carica di segretario della Federazione nazionale dei lavoratori delle industrie estrattive, gli venne affidata la presidenza della Società mineraria carbonifera sarda (Carbosarda), che mantenne fino al 28 apr. 1943.

Per il G. la breve esperienza alla presidenza della Carbosarda fu traumatica, poiché si trovò presto in conflitto con la dirigenza dell'Azienda carboni italiana (ACaI) a causa di alcune scelte di fondo da questa operate - prese senza consultare la dirigenza della Carbosarda e che la penalizzavano - riguardo all'entità della produzione e ai criteri di distribuzione tra le diverse affiliate del naviglio adibito al trasporto del carbone. In una lettera a B. Mussolini, in data 16 febbr. 1943, con la quale chiedeva di essere sollevato dall'incarico, il G. poneva in modo esplicito la questione delle competenze dell'ACaI. Scriveva il G.: "O l'ACaI - sempreché debba continuare ad esistere - viene radicalmente riformata e trasformata in uno strumento puramente finanziario (per dare modo alle Società affiliate di esplicare autonomamente e con piena responsabilità la loro funzione, che non ammette interferenze, sovrapposizioni, mezzadrie e palleggiamenti) oppure deve conservare il governo totale - e relativa responsabilità - della produzione del carbone con, o meglio senza, il tramite artificioso delle predette affiliate" (Segr. particolare del duce, Cart. ordinario, f. 548.853).

Nel suo lungo periodo di impegno sindacale il G. collaborò a diverse riviste. Suoi lavori videro la luce sulla fiorentina Vita sindacale e, in particolare, su Il Lavoro fascista. Temi specifici del suo interesse di organizzatore sindacale furono quelli relativi agli uffici di collocamento e ai contratti collettivi di lavoro. Il G. non fu particolarmente presente nel dibattito sindacale che pure, in diversi momenti della vita del regime, si sviluppò con vivacità e talvolta originalità, ma si può dire che egli, quando si espresse, manifestò sulla "questione operaia" posizioni di stampo "riformista", o comunque antagoniste delle posizioni più conservatrici.

A Firenze, nel 1932, il G. si era già reso protagonista di una iniziativa che aveva suscitato molte perplessità in campo fascista. In un articolo apparso su Vita sindacale, esaminando l'atteggiamento della classe imprenditoriale nei confronti dei contratti collettivi di lavoro, egli ne aveva denunciato in modo insolitamente esplicito la grettezza e l'eccessivo opportunismo. I toni dell'articolo erano talmente accesi che furono addirittura accolti dall'antifascismo in esilio come un segnale incoraggiante delle divisioni che stavano prendendo corpo nell'organizzazione sindacale fascista, investita da contraddizioni legate alla grave crisi economica mondiale che da tempo faceva sentire i suoi effetti anche in Italia. Molti anni dopo, nel memoriale a Pavolini, il G. tornò sul valore e le finalità dei contratti collettivi, che, scrisse, si erano rivelati, a suo avviso, l'unico mezzo per sottrarre i rappresentanti sindacali "alle eventuali rappresaglie (quante sono state!) dei datori di lavoro". Infine, nell'ambito del dibattito suscitato, nel 1942, da V. Panunzio sulla crisi di rappresentatività del sindacato fascista, il G., nel promemoria allegato agli atti del processo di Verona, affermava di aver preso posizione a favore del ritorno alla prassi elettiva delle cariche sindacali. Il suo sostegno alla elezione diretta da parte della classe operaia di fiduciari e dirigenti sindacali venne da lui ribadito anche dopo la nomina a presidente della Confederazione dei lavoratori dell'industria. Il suo memoriale del settembre 1943 è costellato di giudizi molto severi verso il capitale, che una volta arriva a definire "resistente e perfido".

Forse il più verosimile profilo del G. è in una breve relazione anonima inviata al capo della polizia da un fiduciario della polizia politica, che così lo descriveva: "È un vecchio fascista di fede. Troppo passionale. Difficilmente egli si adatta alla collaborazione con i datori di lavoro. Il Sindacalismo fascista più che istradarlo verso il corporativismo tende a portarlo sulla lotta di classe. Moralmente a posto. Buon oratore".

E, molto probabilmente, è proprio in questa sua genuina ispirazione "riformistica", che va colto il motivo della sua chiamata alla presidenza della Confederazione fascista dei lavoratori dell'industria (CFLI) il 29 apr. 1943, quando al regime occorreva recuperare, almeno parzialmente, il consenso delle masse operaie, dopo i grandi scioperi del marzo precedente. Egli giungeva alla presidenza della CFLI in sostituzione di G. Landi; con la nomina assumeva anche la direzione della Rivista del lavoro, organo della Confederazione.

L'incarico confederale comportava l'ingresso di diritto al Gran Consiglio del fascismo. Pertanto con la riunione del 24 luglio 1943, che determinò la caduta di Mussolini, il G., come del resto diversi altri membri, partecipava per la prima volta al Gran Consiglio, in quanto tale organismo non si riuniva più dal 7 dic. 1939.

È accertato che il G. non concertò la sua adesione all'ordine del giorno Grandi con i promotori dell'iniziativa. Nel più volte ricordato memoriale a Pavolini del settembre 1943, egli sostenne, anzi, di non aver mai avuto alcun contatto ("mai stretta la mano o parlato, durante 23 anni") con quelli che sarebbero stati i protagonisti della "notte del Gran Consiglio". Egli si recò alla riunione senza sapere di cosa si sarebbe discusso; cercò di raccogliere qualche informazione da T. Cianetti, ma questi non seppe o non volle dirgli nulla. Tuttavia, finì per aderire all'ordine del giorno Grandi, poiché, come spiegò nella deposizione al processo di Verona, si convinse che il documento presentato da Grandi, auspicando un ritorno nelle mani del re della conduzione della guerra, "sgravava il Duce di molte responsabilità" (Cianetti, p. 467).

Il 16 agosto, P. Badoglio sollevò il G. dall'incarico confederale; egli non si allontanò da Roma ma, appena seppe della liberazione di Mussolini e della costituzione della RSI, inviò a Pavolini, segretario del neonato Partito fascista repubblicano, la sua entusiastica adesione, accompagnando la richiesta con quel promemoria con cui intendeva in sostanza fornire spiegazioni circa il suo comportamento alla seduta del Gran Consiglio. Ma, evidentemente, le spiegazioni non sortirono l'effetto desiderato. Il nuovo regime lo considerava ormai, insieme con gli altri firmatari dell'ordine del giorno Grandi, un traditore.

Agli inizi di ottobre, venne arrestato dalla banda Pollastrini e rinchiuso a Regina Coeli, e successivamente trasferito nel carcere di Padova. Durante tutta la detenzione, il processo a Verona, e davanti al plotone d'esecuzione il G. mantenne un contegno sereno e coraggioso.

Il G. fu giustiziato a Verona la mattina dell'11 genn. 1944.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Divisione polizia politica, b. 620, f. G. L.; Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, ff. 511.341, 548.853; Carte Cianetti; vedi anche: V. Cersosimo, Dall'istruttoria alla fucilazione, Milano 1949, pp. 118-150; T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, Milano 1983, ad indicem; G. Parlato, La sinistra fascista, Bologna 2000, ad indicem.

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