Bruto, Lucio Grunio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Bruto, Lucio Grunio

Manlio Pastore Stocchi

Secondo la tradizione fu l'anima della rivolta popolare contro Tarquinio il Superbo, e dopo la cacciata del re e l'istituzione della repubblica venne eletto console insieme con L. Tarquinio Collatino (Livio I LVI-LX). Durante il suo consolato fu inflessibile difensore dei nuovi ordinamenti repubblicani, fino a ottenere la destituzione e l'esilio del collega solo perché omonimo del tiranno, e sventò vari tentativi di restaurazione regia. Scoperta una congiura cui avevano aderito i suoi stessi figli, non esitò a farli giustiziare (Livio II V); in seguito affrontò un esercito etrusco raccolto da Tarquinio, e rimase ucciso in duello da Arrunte figlio del re (II VI).

La figura di B. è frequentemente celebrata dagli scrittori antichi come modello di ferma virtù civile, soprattutto per la condanna inflitta ai figli: cfr. per es., oltre al già citato racconto di Livio, Aen. VI 817 ss., Val. Mass. Dici. et fatt. mem. V VIII 1, [Aur. Vittore] Liber De viris illustribus X, ecc.; s. Agostino tuttavia, in un contesto che mira a negare la consistenza delle virtù pagane, dà sul personaggio un giudizio severo (Civ. V XVIII), e altrove giunge a definire " detestanda iniquitas et nihilo utilis rei publicae " il bando di Collatino e la condanna dei propri figli (Civ. III XVI; cfr. anche Orosio Hist. II IV-V). Più tardi peraltro questa interpretazione polemica viene generalmente lasciata cadere, e B. appare anche presso gli scrittori medievali con i tratti fortemente esemplari che erano venuti delineandosi nella tradizione storiografica e letteraria classica. Proprio confutando s. Agostino, per esempio, Giovanni di Salisbury osserva: " Ego quidem, etsi parricidium perhorrescam, consulis non possum non approbare fidem, qui maluit salutem liberorum suorum periclitari quam populi " (Policrat. IV XI). E in tempi più vicini a D., Tolomeo da Lucca, che pur legge e cita il De Civitate Dei, non vede nell'episodio che un esempio dello " zelus iustitiae apud Romanos " (continuazione di s. Tommaso, Regim. princ. III V, ediz. Spiazzi, 950).

In questa linea favorevole si pone anche D., non solo con la menzione di quel Bruto che cacciò Tarquino fra gli altri grandi antichi posti nel Limbo (If IV 127), ma soprattutto con la celebrazione della sua virtuosa inflessibilità, in Cv IV V 12 e 14, e Mn II V 13; dove, se non in opposizione diretta a s. Agostino certo in una direzione diversa da quella agostiniana e orosiana, B. è considerato uno strumento essenziale per lo svolgimento dei disegni divini circa il fine dell'Impero. Il suo amore di patria, non amore umano, ma divino (Cv IV V 12), prova che non pur per umane ma per divine operazioni andò lo suo [di Roma repubblicana] processo (§ 10); e conferma la legittimità dell'istituto imperiale giacché Quicunque... bonum rei publicae intendit, finem iuris intendit (Mn II V 1; cfr. § 8).

È da osservare che pur riferendosi all'autorità di Livio tanto nel Convivio (cfr. IV V 11) quanto nella Monarchia), D. sente soprattutto la suggestione del passo virgiliano da cui cita due versi (VI 820-821; cfr. Mn II V 13). E non è affatto necessario supporre con il Pézard (v. " Romania " LXX [1948-49] 28) che la citazione virgiliana giungesse a D. attraverso Giovanni di Salisbury; probabile è invece, per il giudizio su B., l'accostamento a Tolomeo da Lucca proposto dal Silverstein. Nessun fondamento ha infine l'opinione di L. Filomusi - Guelfi (cfr. " Giorn. d. " XIX [1911] 150), secondo cui sarebbe B. lo spirto del cerchio di Giuda di If IX 27 (v. CINNA; ERITÓN; LUCIFERO; PALAMEDE).

Bibl. - H.T. Silverstein, On the Genesi: of ‛ De Monarchia ' II v, in " Speculum " XIII (1938) 326-349; C. T. Davis, D. and the Idea of Rome, Oxford 1957, 72.

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