PAOLO EMILIO, Lucio

Enciclopedia Italiana (1935)

PAOLO EMILIO, Lucio (L. Aemilius L. f., M. n. Paullus)

Gaetano De Sanctis.

Console romano nel 182 e nel 168. Nacque circa il 228 a. C. Pretore nel 190 ebbe il governo della Spagna Ulteriore dove i Romani erano in lotta con i Lusitani. Ivi toccò una grave sconfitta nel territorio dei Bastetani che riparò vincendo i Lusitani nell'anno seguente e sottomettendo, si dice, non meno di 250 terre nemiche o ribelli. Questi successi, che forse la tradizione a lui favorevole esagera, non valsero a ottenergli il trionfo. Console nel 182 fu inviato contro i Liguri Ingauni e ne compì la sottomissione l'anno seguente 181, dopo la quale ebbe il trionfo. Console per la seconda volta nel 168, gli fu affidata la guerra di Perseo. Il suo predecessore Marcio Filippo era riuscito a superare i passi dell'Olimpo, conducendo l'esercito romano nella Pieria. P. partito da Roma sulla primavera del 168 riordinò l'esercito, vi ristabilì la disciplina come già aveva fatto in Spagna, e si accampò a fronte del nemico sulle sponde del fiume Elpeo. Con una manovra aggirante che fece eseguire da un reparto di milizie italiche, indusse Perseo ad abbandonare la sua fortissima posizione presso l'Elpeo e a ripiegare in direzione della sua base di Pidna. P. lo inseguì e lo raggiunse presso il fiumicello Leuco, dove il 22 giugno 168 ebbe luogo la memoranda battaglia che pose fine al regno di Macedonia. Il valore e la perizia dei soldati romani, il sangue freddo e la prudente sagacia di P. diedero ai Romani una pienissima vittoria sulle falangi macecedoni. In pochi giorni la Macedonia si sottomise quasi senza colpo ferire; il re fuggito con i tesori a Samotrace nell'asilo del sacrario dei Cabiri finì con l'arrendersi a discrezione al vincitore. P. diede ordine alla Macedonia dividendola in quattro repubbliche e, dopo aver visitato i principali santuarî greci, ricevendo dappertutto grandi onori, provvide a un parziale riassetto della Grecia che vi assicurasse senza bisogno di occupazioni territoriali il predominio romano. Dappertutto i partigiani della Macedonia o i sospetti d'essere tali furono ridotti all'impotenza. La lega etolica fu mutilata, richiamando in vita le piccole leghe ch'essa aveva assorbite. L'Epiro fu terribilmente punito d' avere preso parte per Perseo con la distruzione di 80 centri comunali, specie nel paese dei Molossi, e la riduzione in schiavitù dei loro abitanti in numero, si dice, di 150.000. Mille Achei sospetti furono deportati in Italia. Il vincitore tornato in Roma vi celebrò sullo scorcio del 167 uno splendido trionfo in cui il re Perseo fu trascinato coi figli davanti al suo cocchio. P. morì nel 160 e ai suoi ludi funebri furono rappresentate due commedie di Terenzio, gli Adelphoe e l'Hecyra. Valoroso, tenace, prudente in guerra, P. era anche uomo di esemplare probità in materia di denaro (si calcolano a 6000 i talenti che recò dalla Macedonia). Severo coi soldati, egli fu un Romano d'antico stampo, non ignaro però della cultura greca e ammiratore delle opere dell'arte classica. Nonostante il rigore di talune sue repressioni, egli seppe però farsi amare dagli stessi vinti, talché Liguri e Iberi e Macedoni parteciparono a gara al suo accompagno funebre. Della sua vita familiare sappiamo che si separò dalla moglie Papiria dopo averne avuto due figli maschi i quali, adottati dalle famiglie dei Fabî e degli Scipioni, presero i nomi di Q. Fabio Massimo Emiliano e P. Cornelio Scipione Emiliano. Da una seconda moglie, di cui non conosciamo il nome, ebbe altri due maschi che morirono l'uno poco prima, l'altro poco dopo il suo trionfo macedonico. Delle sue figlie, una figlia sposò Q. Elio Tuberone, un'altra M. Porcio Catone, il figlio del censore. Di lui si riferiscono varî aneddoti che, anche se non autentici, caratterizzano però bene la sua figura di Romano antico; così quello che narra come, dopo la vittoria di Pidna, pensando alle vicissitudini della fortuna, pregasse gli dei che, se invidiosi della sua fortuna, volessero colpire non la sua patria ma la sua famiglia. Si vanta la virile fermezza con cui, esaudito, sopportò la sua sventura.

Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, pp. 315 segg., 410 segg., 456 segg.; E. Klebs, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 576 segg.; Cambridge Ancient History, VIII, Cambridge 1930.