BUGLIO, Ludovico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUGLIO, Ludovico (in cinese, Li Lei-ssu e Tsai-k'o)

Giuliano Bertuccioli

Nacque a Mineo (Catania) nel gennaio 1606, forse il 26, da Mario, barone di Burgio, Bifara e Favarotta e da Antonia Gravina Isfar Corilles dei marchesi di Francofonte. Condotto a Palermo all'età di quattro anni, il 18 maggio 1612 fu accolto tra i cavalieri di Malta, che però lasciò per entrare il 20 nov. 1622 come novizio nella Compagnia di Gesù. A Palermo restò in qualità di studente fino al 1626. Trasferitosi in quell'anno a Roma presso il Collegio Romano, insegnò ad Ancona nel 1630, a Fermo nel 1631 e quindi nuovamente a Roma nel 1632-33, finché, essendo stata accolta la sua domanda di essere inviato in missione "all'India", da lui inoltrata ai superiori fin dal 18 maggio 1626 (Arch. Rom. Soc. Iesu, Fondo Gesuitico 737, f. 380), il 13 apr. 1635, insieme con altri padri, fra cui Francesco Brancati e Girolamo Gravina, si imbarcò a Lisbona diretto in Estremo Oriente.

Arrivato a Macao, si dedicò allo studio della lingua cinese, nella quale doveva divenire particolarmente esperto; fu quindi destinato nella regione del Chiang-nan, situata a sud del fiume Yang-tze e corrispondente all'attuale provincia del Kiangsu (1637); successivamente, a partire dal 1640, in quella dello Szechwan ed in particolare nella città di Chengtu, dove rimase da solo per circa due anni, stringendo amicizia con letterati e mandarini. Nel 1642, essendo caduto malato, ottenne di essere affiancato da un compagno, il portoghese Gabriel de Magalhães (1609-1677), al quale da allora rimase sempre unito, partecipe dei medesimi casi e delle medesime opere. I due religiosi costruirono chiese a Pao-ning e a Chungking e svolsero una intensa opera di evangelizzazione, nonostante l'opposizione del clero buddista e taoista locale, che cercò di sollevare contro di loro la popolazione.

Maggiori pericoli furono però corsi dai due allorché la provincia dello Szechwan venne invasa nel 1643 dalle truppe di Chang Hsien-chung, che stabilì la sua capitale a Chengtu, proclamandovisi il 4 dic. 1644 Ta-hsi-kuo wang (re del grande regno d'Occidente) in opposizione al regime mancese che si andava costituendo nelle altre province della Cina. Chang volle al suo servizio il B. e il Magalhães: concesse loro rango e trattamento di mandarini e li adibì a lavori nel campo della matematica e dell'astronomia, pretendendo fra l'altro che gli costruissero in breve tempo due sfere di bronzo, una terrestre ed una celeste.

I due missionari, che in un primo tempo si erano dimostrati riluttanti dall'accettare tale impiego, finirono per collaborare con lui perché costretti dalle circostanze ed anche perché egli aveva fatto balenare loro la speranza che - una volta divenuto sovrano di tutta la Cina - avrebbe concesso larghi favori alla religione cattolica. Chang Hsien-chung tuttavia si rese colpevole di molti delitti nel governo del suo Stato, che gli alienarono il favore delle popolazioni, cosicché quando i Mancesi decisero di conquistare lo Szechwan egli poté opporre solo scarsa resistenza e il 2 genn. 1647 venne ucciso, nel corso di una scaramuccia.

Il B. e il Magalhães, che avevano già rischiato di rimanere vittime dei suoi capricci sanguinari, corsero adesso nuovi pericoli. Mentre cercavano di sfuggire ai Mancesi invasori, vennero da questi raggiunti, feriti, fatti prigionieri e condotti a Pechino (1648) per esservi giudicati come collaborazionisti di un ribelle.

Il grande astronomo gesuita J. A. Schall von Bell, che godeva di molta influenza alla corte mancese, cercò di interessarsi alla loro sorte, avendo però cura di non identificarsi troppo con loro per non compromettere la sua posizione. Riuscì così a salvar loro la vita, ma non a farli liberare subito, e questo fatto diede origine a risentimenti fra i missionari, che portarono ad una incresciosa polemica e campagna denigratoria nei confronti dello Schall condotta principalmente dal Magalhães. Tali attacchi continuarono anche dopo la liberazione del B. e del Magalhães e fu solo grazie al buon senso di altri missionari, fra cui Francesco Brancati, se il grande astronomo tedesco non venne espulso dalla Compagnia (Arch. Rom. Soc. Iesu, Jap.-Sin. 142, f. 44).

Rimessi in libertà, i due padri eressero in Pechino una nuova chiesa, detta "orientale" (Tung-t'ang), per distinguerla da una più antica, detta "meridionale" (Nant'ang), dove vivevano lo Schall e il belga F. Verbiest. I contrasti fra i missionari apparvero però definitivamente superati allorché, durante la minorità del nuovo imperatore K'ang-hsi, salito al trono nel 1661, vennero rivolti violenti attacchi allo Schall e in genere alla religione cristiana da parte degli astronomi cinesi e maomettani, che erano stati da lui soppiantati nel 1644 nella direzione del tribunale dell'astronomia, cui spettava di compilare il calendario.

Promotore di questa campagna anticristiana fu Yang Kuang-hsien, il quale, pur non essendo astronomo di formazione, volle attaccare i missionari e in particolare lo Schall non soltanto in materia di religione, ma anche in quella più tecnica delle conoscenze astronomiche. Queste sue critiche fecero scendere in campo a difesa dello Schall e della fede il B. e il Magalhães. A un primo scritto di Yang Kuang-hsien, intitolato P'i-hsieh lun (Esposizione di dottrine superstiziose) e pubblicato nel 1658, venne risposto nel 1664 con il T'ien-ksüeh ch'uan-kai. (La dottrina del Cielo divulgata). A un secondo scritto, ancor più polemico, di Yang Kuang-hsien, intitolato Pu-te-i (Non se ne può più) e pubblicato nel 1664, venne risposto nel 1665 dal B. con l'opera Pu-te-i-pien (Confutazione dell'opera "Non se ne può più").

Le accuse di Yang Kuang-hsien avevano però avuto il potere di smuovere la macchina dei tribunali e dal 25 sett. 1664 al 4 genn. 1665 ebbe luogo a Pechino un clamoroso processo contro i missionari cattolici in Cina, accusati di diffondere false dottrine e di fomentare ribellioni contro il governo imperiale con il fine ultimo di preparare la conquista armata del paese partendo dalla base di Macao. Il processo si concluse con la condanna a morte dello Schall e di alcuni suoi collaboratori di nazionalità cinese e con quella dell'esilio di tutti gli altri. Pubbliche calamità fecero tuttavia rinviare l'esecuzione della sentenza, cosicché, con l'eccezione di cinque cinesi che furono decapitati, lo Schall finì per aver salva la vita e restare a Pechino in una specie di larvata prigionia insieme con i suoi confratelli B., Verbiest e Magalhães. Tutti gli altri missionari, che erano stati condotti a Pechino per esservi processati, vennero esiliati a Canton e vi rimasero fino al 1671, quando furono revocati i provvedimenti contro la religione cristiana.

Ottenuta nuovamente la libertà, il B. si dedicò soprattutto alla redazione e alla traduzione in cinese di opere di religione, di filosofia o interessanti comunque la cultura occidentale, nonché all'insegnamento della pittura secondo le regole della prospettiva. In queste attività trascorse i suoi ultimi anni fino alla morte avvenuta il 7 ott. 1682 a Pechino. A stare a una relazione del padre Filippo Maria Grimaldi, i suoi funerali si svolsero per ordine dell'imperatore a spese dello Stato e in forma solenne (cfr. M. Barbera, Onoranze della corte...).

Il B. ha lasciato opere a stampa e manoscritte in lingue occidentali e in cinese, ma ha tratto la sua maggior fama da queste ultime. Come autore in tale lingua egli dispiegò una attività che ha del prodigioso, anche se appare lecito supporre che nella redazione del testo cinese egli, come in genere i missionari stranieri impegnati in simili imprese, sia stato assistito da collaboratori indigeni, i quali si limitavano a far figurare il proprio nome nelle prefazioni o preferivano non farlo figurare affatto per motivi prudenziali. Il sistema di lavoro seguito era probabilmente il seguente: il missionario straniero "dettava" nel semplice cinese colloquiale il testo al collaboratore, il quale lo riscriveva nel più elegante e difficile stile classico. Dipendeva dalle conoscenze sinologiche del missionario controllare poi che il testo finale corrispondesse al pensiero originario. In un'epoca in cui la sinologia era appena agli inizi e mancavano i necessari strumenti di lavoro, rappresentati in primissimo luogo da dizionari, questo sistema di lavoro risultava non privo di inconvenienti per quanto riguarda l'esattezza della traduzione, soprattutto di testi religiosi o filosofici che richiedevano l'impiego di una terminologia esatta e coerente; ma non sembra che abbia influito sulla eleganza dello stile, come provano le accoglienze, non sfavorevoli a questo riguardo, che alle opere dei missionari vennero tributate dai letterati cinesi.

Le opere del B. a carattere non religioso sono soltanto tre: 1)-lan hsi-fang yao-chi (Memoria compendiosa sulle contrade occidentali redatta per l'esame imperiale), ff. 14. Fu scritta nel 1668 in collaborazione con il Verbiest e il Magalhães e presentata all'imperatore. Pubblicata nel 1669 (Pechino?), venne tradotta anche in mancese. In una ventina di capitoletti, gli autori danno notizia della configurazione fisica, della produzione agricola e industriale, delle scienze, dei costumi, dei commerci, della medicina, degli ospizi e palazzi, delle armi, della religione e dei letterati (cioè i gesuiti) dei principali paesi europei. L'opera ricevette l'onore - unica tra tutte quelle del B. - di essere accolta nella grande collezione di libri imperiale Ssu-k'uch'üan-shu (Tutti i libri divisi in quattro sezioni), benché nell'indice descrittivo di essa, intitolato Ssu-k'u ch'üan-shu ts'ung-mu t'i-yao (Sommario dell'indice generale di tutti i libri...) si legga al cap. 78 il seguente commento: "Nel complesso il fine (degli autori) è stato quello di esaltare la loro religione, cosicché l'esposizione è risultata piena di fronzoli e priva di sostanza". 2) Shih-tzu shuo (Discorso sui leoni), ff. 10, scritto e pubbl. nel 1678 (Pechino?) in occasione del dono da parte dei Portoghesi di un leone africano all'imperatore, che ne aveva fatto richiesta. Il leone fu portato nel sett. di quell'anno a Pechino dall'ambasciatore B. Pereira de Faria, la cui missione si proponeva di ottenere la libertà di commercio in Cina per i Portoghesi. Siccome le conoscenze dei Cinesi sulla fiera erano assai scarse, il B. ne fece una descrizione, basandosi in prevalenza sull'opera di Ulisse Aldrovandi, De quadrupedis digitatis viviparis libri tres, pubblicata a Bologna nel 1645, dando fra l'altro consigli circa il modo in cui doveva esser tenuta e nutrita, riassumendo alcune famose leggende concernenti i leoni, come quella di Androclo, e traducendo alcuni detti e modi proverbiali ispirati ad essi. Stremata dal lungo viaggio, la bestia morì però dopo soli quaranta giorni dal suo arrivo a Pechino. 3) Chin-ch'eng ying shuo (Discorso sui falconi, offerto all'imperatore), ff. 88, pubblicato nel 1679 (Parigi, Biblioteca nazionale, N Fonds 3411, 3412, 4901). In quell'anno l'imperatore K'ang-hsi visitò la biblioteca dei gesuiti ed in tale occasione mostrò di ammirare in modo particolare la bellezza delle illustrazioni dell'Ornithologiae sive de avibus historiae dell'Aldrovandi, esprimendo il desiderio di poter leggere tradotta in cinese la parte relativa a falchi e sparvieri, al fine di poter essere meglio ragguagliato sui metodi praticati in Occidente per la caccia con tali rapaci. A tale compito si accinse il B., che in breve tempo lo condusse a termine con grande soddisfazione dell'imperatore. L'opera del B. venne poi utilizzata con l'indicazione del nome dell'autore per la compilazione del capitolo sui falchi (Ying pu) nella grande enciclopedia Ku-chin t'u-shu chi-ch'eng (Sintesi completa di libri e di illustrazioni dei tempi antichi e moderni) del 1728.

Le opere religiose o filosofiche, pubblicate in lingua cinese sotto il nome del B. o a lui attribuite, possono suddividersi in due gruppi.

Al primo gruppo appartengono opere a carattere apologetico, pubblicate in risposta alle accuse di Yang Kuang-hsien. La prima è T'ien-hsüeh ch'uan-kai, ff. 12, di cui figura come autore un convertito, Li Tsu-po, e che porta una prefazione datata all'inizio del 1664 a firma di un censore, Hsü Chi-chien. Basandosi evidentemente su materiali fornitigli dai missionari, l'autore cinese si lasciò imprudentemente andare a scrivere tali elogi della religione cristiana da offrire il pretesto a Yang Kuang-hsien per lanciare nuovi e più violenti attacchi. Inutilmente sia il B. sia il Magalhães cercarono di scagionare lo Schall ed i due cinesi da ogni responsabilità assumendosi la paternità dell'opera: Li Tsu-po venne decapitato nel 1665 insieme con altri quattro convertiti; Hsü Chi-chien venne privato di ogni carica, mentre lo Schall fu condannato a morte, ma, come si è già detto, successivamente graziato. Della seconda opera, Pu-te-i-pien, ff. 54, datata 1665, risulta autore il B., che cercò di ribattere senza troppo successo le accuse di Yang Kuang-hsien. La terza opera, infine, Ch'ung-cheng pi-pien (Necessaria disquisizione sulla nobile verità) del 1672 è di un cinese, Ho Shih-chen, ma la prefazione porta la firma del Buglio. Scritta quando ormai la fase più dura della persecuzione era stata superata, essa contiene documenti relativi al successivo processo ed alla condanna di Yang Kuang-hsien, che finì per essere punito per le sue accuse.

A un altro gruppo appartengono opere scritte dal B. con il fine di predisporre gli strumenti necessari per la formazione del clero cinese e per permettere ad esso di esercitare il suo ministero nella propria lingua. Si trattava infatti di favorire l'esecuzione del breve di Paolo V del 27 giugno 1615, che autorizzava la traduzione delle Sacre Scritture nella lingua cinese letteraria (a condizione che dai traduttori fosse impiegata una "summa et exquisita diligentia ut translatio fidelissima sit") e l'impiego da parte dei sacerdoti cinesi della propria lingua per la celebrazione della messa, la recitazione delle ore canoniche e l'amministrazione dei sacramenti. Purtroppo tra le più alte gerarchie ecclesiastiche ed i missionari dei diversi ordini v'era molta incertezza in materia e mentre nel complesso i gesuiti che si trovavano in Cina erano favorevoli a riforme ed innovazioni per quel tempi rivoluzionarie, altri missionari, più conservatori, erano decisi a mantenere la superiorità del latino. Tali contrasti ed incertezze finirono per determinare la mancata messa in effetto del breve suddetto.

Il B., che era nettamente in favore della ordinazione di sacerdoti cinesi, tanto da raccomandare l'istituzione di un collegio da aprirsi a tal fine nella città di Hangchow sotto la direzione dei gesuiti (Arch. Rom. Soc. Iesu, Jap.-Sin. 199, f. 21), si accinse al gigantesco compito di tradurre in cinese i testi liturgici d'ordine dei suoi superiori (Arch. Rom. Soc. Iesu, Jap.-Sin. 124, f. 131). Apparvero così a Pechino nel 1670 la traduzione (non completa) del Messale col duplice titolo cinese e latino Mi-sa ching-tien. Missale Romanum auctoritate Pauli V Pont. M. Sinice redditum a P. Ludovico Buglio Soc. Iesu Pekini in Collegio eiusd. Soc. An. MDCLXX, in cinque tomi; nel 1674 quella del Breviario, anch'essa col duplice titolo Jih- k'o kai-yao. Breviarium Romanum Sinice redditum...; nel 1675 del Rituale sempre col duplice titolo Sheng-shih li-tien. Manuale ad sacramenta ministranda juxta ritu S. Rom. ecc. sinice redditum... Oltre a queste opere maggiori, il B. ne preparò altre di minor mole, come I-wang-che jih-k'o-ching (Ufficio dei morti), ff. 28, c. 1670; Shan-chung i-ying li-tien (Ufficio degli agonizzanti), ff. 24, c. 1671; Sheng-mu hsiao-jih- k'o (Ufficiodella Madonna), ff. 71, del 1676; Ssu-to tien-yao (Compendio di regole per il sacerdote), in due tomi di ff. 131, del 1676, basato prevalentemente sull'opera del cardinale Francisco Toledo, De instructione sacerdotum et peccatis mortalibus, Douais 1617. Di carattere dottrinale sono infine le seguenti tre opere minori: Chu-chiao yao-chih (Il significato essenziale della dottrina del Signore), ff. 28, del 1668, intitolato anche Sheng-chiao yao-chih (Il significato essenziale della santa dottrina); Cheng-chiao yo-cheng (Prove della vera dottrina), ff. 8, del 1669; Sheng-chiao chien-yao (Compendio della santa dottrina), ff. 8, c. 1671. Molte di queste opere sono state ristampate nel periodo tra le due guerre mondiali.

La maggiore impresa del B. fu però la traduzione in cinese di buona parte della Summa Theologica di s. Tommaso. Intitolata Ch'ao-hsing-hsüeh yao (Compendio della scienza del soprannaturale), l'opera consiste di trenta tomi (più quattro di indici) pubblicati a Pechino tra il 1654 ed il 1677 (nuova edizione ibid., 1930-32 in otto volumi) e così ripartiti: I-VI, T'ien-chu hsing-t'i (De Deo et attributis divinis); VII-IX, San-wei i-t'i (De Trinitate); X, Wan-wu yüan-shih (De rerum, principio); XI-XV, T'ien-shen (De angelis); XVI, Hsing-wu chih-tsao (De creatione); XVII-XXII, Jen-lin-hun (De anima); XXIII-XXIV, Jen-ju-shen (De corpore); XXV-XXVI, Tsung-ch'ih wan-wu (De gubernatione materialium mundi); XXVII-XXX, T'ien-chu chiang-sheng (De incarnatione), a sua volta divisa in quattro parti e cioè: 1, T'ien-chu chiang-shen (De incarnatione); 2, Sheng-mu chih sheng-lun (De Deipara); 3, Yeh-su chiang-tan (De nativitate); 4, Yeh-su hsing-shih chih i-lun (De vita D.N.J.C.).

Opere di così vasta mole e impegno non potevano andar esenti da critiche. Lo stesso B. se ne rendeva conto allorché in una sua lettera al visitatore scriveva: "sapendo noi benissimo che sarebbero a trovarsi molti i quali non approverebbero ch'una tal traduttione fosse fatta da nostri padri e che cercarebbe di riformarla ponendola alla censura di molti giudici, perciò siamo stati cautelatissimi e scrupolosissimi nel seguitare il senso proprio e letterale delle parole latine contenute nel sacro testo" (Appendice al Messale cinese, in Arch. S. Congr. Prop. Fide, Diverse scritture della China,1686-1689, ff. 123 e 124). Come egli aveva previsto, infatti, tra il 1727 ed il 1737 i francescani Francesco Jovino d'Ottajano e Carlo Orazi da Castorano, incaricati dalla Congregazione de Propaganda Fide, sottoposero le opere liturgiche del B. ad un esame che si concluse con un giudizio negativo ai fini di un eventuale loro impiego (Arch. S. Congr. Prop. Fide, Scritt. Orig. Congr. Partic. dell'Indie Or. 1738-41, ff. 240-249 e 253-270). Neppure la versione della Summa Theologica ricevette dalle gerarchie ecclesiastiche quella considerazione che meritava, come opera che per la prima volta "rivelava ai Cinesi la saldezza logica della religione cristiana" (G. Tucci, Italia e Oriente, Milano 1949, p. 124) e che se opportunamente diffusa avrebbe forse potuto lasciare qualche traccia sulla cultura cinese del sec. XVIII. Invece essa fu stampata in un numero limitato di esemplari, che restarono sepolti per quasi due secoli nel fondo delle biblioteche, ignoti anche alla maggior parte dei missionari (G. J., La Somme de St. Thomas, in Collect. Comm. Synodalis [Pechino], III [1930], n. 11, p. 829). D'altra parte P. Demiéville (Letteratura cinese, in Civiltà dell'Oriente, II, Roma 1957, p. 976) aggiunge che finora non è stato rilevato tra le grandi personalità culturali della Cina del tempo un interesse per il pensiero filosofico occidentale che superasse quello meramente utilitario per la tecnica e l'arte europea. Basterà citare al riguardo quanto scrisse Lu Lung-chi, uno dei maggiori confuciani dell'epoca, in occasione di visite da lui fatte nell'estate 1675 al B. ed al Verbiest, i quali gli mostrarono orologi occidentali ed una sfera celeste, regalandogli vari libri scritti dai gesuiti. Il B. gli mostrò anche alcuni volumi della sua versione della Summa Theologica che era allora in corso di stampa. Nel suo diario egli annotava che "mentre la scienza occidentale gli appariva degna di fede, non altrettanto gli sembravano le storie di Adamo ed Eva e della nascita di Cristo" (Sanyu-t'ang jih-chi [Diario della sala dei tre pesci], in Lu-tzu ch'üan-shu:[Opere complete del Maestro Lu], Chiahsing 1890, c. III, f. 13b); il che conferma gli ostacoli che l'azione dei missionari incontrava da parte della mentalità dei letterati cinesi, razionalista e scettica.

Restano infine i seguenti scritti pubblicati del B.: 1) una breve biografia del padre G. de Magalhães pubblicata nella Nouvelle relation de la Chine dello stesso Magalhães, Paris 1688 (nuova edizione ibid. 1690, pp. 371-385). Di essa è citata una versione cinese manoscritta, dal titolo An hsien-sheng hsing-shu (H. Cordier, L'imprimérie,Sino-Européenne en Chine, Paris 1901, p. 10 n. 65). 2) Due suppliche all'imperatore K'ang-hsi in data 21 giugno 1669 e 31 dic. 1670, redatte insieme con F. Verbiest e con G. de Magalhães, pubblicate nel testo latino e cinese in Innocentia victrix di A. de Gouvea, Canton 1671, pp. 3-9 e 30-34 e di recente, nel solo testo latino, in Correspondance de F. Verbiest, Bruxelles 1938, pp. 155-159 e 184-187. 3) Varie lettere: tre, datate 16 maggio 1626, 31 dic. 1637 e 5 ott. 1639, pubblicate da M. Barbera, Il p. L. B. S. J., Roma 1927, pp. 9, 31 e 32; due, datate 2 genn. 1669 e 11 ag. 1670, pubblicate da P. Intorcetta, Compendiosa narratione dello stato della missione cinese, Roma 1672, pp. 77-114 e 116-123; una del 3 genn. 1678 in Correspondance de F. Verbiest, cit., pp. 470-72; due, datate 19 e 25 maggio 1678, pubblicate in F. Bontinck, Lalutte autour de la liturgie chinoise aux XVIIe et XVIIIe siècles, Louvain 1962, pp. 462-470.

Restano infine lettere e memoriali manoscritti in Arch. Rom. Soc. Iesu, Fondo Gesuitico e Jap.-Sin., facilmente reperibili nell'inventario.

Oltre all'attività di scrittore e traduttore, il B. ne svolse anche un'altra come insegnante di pittura e in particolare delle regole della prospettiva ignote ai Cinesi, precedendo di vari anni i più famosi pittori italiani alla corte imperiale di Pechino, come Gherardini, Moggi e Castiglione. Il padre Verbiest in una sua lettera del 20 ag. 1670 (Correspondance de F. Verbiest, cit., pp. 174-179) e nella sua Astronomia Europaea, Dillingen 1687, pp. 78 s., scrive che il B. dipinse tre grandi quadri rappresentanti rispettivamente delle case cinesi, delle case europee ed un giardino all'occidentale, nei quali le regole della prospettiva erano rispettate alla perfezione. Li donò poi all'imperatore e ne espose tre copie nel giardino dei gesuiti a Pechino. I mandarini, che venivano nella capitale da ogni parte dell'Impero, si recavano a vederli per curiosità restandone meravigliati. Questi quadri (che non ci sono pervenuti) sono forse gli stessi di cui parla il letterato Kao Shih-chi (1645-1703) nel suo diario P'eng-shan mi-chi (Diario intimo del monte delle fate), edito in Ku-hsüeh hui-k'an (Collezione di erudizione), serie 1, VII, Shanghai 1912, p. 4b. Egli scrive infatti che nel 1703, in occasione di una sua visita a corte, l'imperatore K'ang-hsi gli donò tre quadri europei.

Merita infine di ricordare che, quando il B. era ancora in vita, l'imperatore diede ordine che ne fosse dipinto il ritratto (P. Couplet, Catalogus Patrum S.J., Parisiis 1686, p. 30). Un ritratto del B. in abito da mandarino si conserva tuttora a Mineo nell'edificio della direzione didattica: proviene dal soppresso collegio della Compagnia di Gesù, cui era stato inviato da Pechino dopo la morte del B. (A. Minutolo, Memorie del gran priorato di Messina, Messina 1699, p. 30).

Fonti e Bibl.: Arch. Rom. Soc. Iesu, Jap.-Sin. 126: G. de Magalhães, Relaçao das viagens que fes o Pe Luis Buglio no ano de 1639,e o Pe de Magalhães no de 1642pera a Provincia de Suchuen e da grande perseguiçao que na Metropolilevantarão os Bonzos contra a Ley de Deos et seus Pregadores, ff. 129-152; Ibid., ibid. 127: Id., Relaçao da perda e destituiçao da Provincia e Christiandade de Su Chuen e do que os pes Luis Buglio e Gabriel de Magalhães passarão em seu cativ, ff. 1-36; D. Bartoli, Della Historia della Compagnia di Giesù. La Cina, Roma 1663, p. 1117; A. di Santa Maria Caballero, Relaçion de la persecuçion que en este reyno de la Gran China se levanto contro nuestra Santa Fee,y sus predicadores (1664), in Sinica franciscana, II, Firenze 1933, pp. 502-606; A. de Gouvea, Innocentia victrix, Canton 1671, pp. 3-9, 30-34; A. Greslon, Histoire de la Chine sous la domination des Tartares, Paris 1671, passim;P. Intorcetta, Compendiosa narratione dello stato della Missione cinese 1581-1669, Roma 1672, pp. 77-114, 116-123; J. A. Schall von Bell, Historica relatio de ortu et progressu fidei orthodoxae in Regno Chinensi per missionarios Societatis Iesu ab anno 1581usque ad annum 1669, Ratisbonae 1672, p. 368; J. D. Gabiani, Incrementa Sinicae Ecclesiae a Tartaris oppugnatae, Viennae 1673, passim;F. de Rougemont, Historia Tartaro-Sinica nova, Lovanii 1673, pp. 216 ss.; Han Lin e Chang Keng, Sheng-Chiao hsin-cheng (Testimonianze della religione cristiana), Pechino (forse 1674), f. 18; D. Fernandez Navarrete, Controversias antiguas y modernas de la Misión de la Gran China, Madrid 1679, passim;P. Couplet, Catalogus patrum Societatis Iesu qui post obitum S. Francisci Xaverii primo saeculo sive ab anno 1581usque ad 1681in Imperio Sinarum Iesu Christi fidem propagarunt, Parisiis 1686, pp. 28-30; F. 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