GUALTIERI, Ludovico Gualtiero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUALTIERI (Gualterio), Ludovico Gualtiero

Valentina Gallo

Nacque a Orvieto il 12 ott. 1706. Si ignora l'identità dei genitori. La famiglia era imparentata con i Pamphili e annoverava due cardinali, Carlo e Filippo Antonio, zio del G., creato cardinale appunto nel 1706.

Il G. studiò nel collegio Clementino di Roma e, al più tardi nel 1730, conseguì la laurea in utroque iure presso la Sapienza.

Secondo R. Aubert, nel 1726 si sarebbe recato in Francia, ove lo zio Filippo Antonio conservava molte relazioni, e "se lia notamment avec le duc de Saint-Simon". Con quest'ultimo intrattenne, infatti, "une correspondance suivie" dal 1727 al 1742. Le lettere del duca di Saint-Simon al G. sono edite nell'edizione Pléiade (vol. VII).

Forte del patrocinio Pamphili, appena un mese prima della morte di Benedetto XIII il G. divenne referendario utriusque Signaturae (24 genn. 1730) e nello stesso anno, regnante Clemente XII, fu nominato vicelegato di Ferrara, dove giunse il 23 febbr. 1731. Qui affiancò il legato uscente Tommaso Ruffo e, da novembre, il cardinale Alessandro Aldobrandini, sotto la direzione del quale il G. operò fino alla fine del 1734, quando fu trasferito a Spoleto con la carica di governatore.

Gli incarichi di governatore a Spoleto e, nel 1736 di commissario apostolico dell'irrequieto territorio beneventano, lo impegnarono fino a tutto il 1738 e gli consentirono di affinare le sue competenze in materia di diritto canonico attraverso l'esercizio delle funzioni di giudice laico e religioso.

Il 9 apr. 1739 il G. fu nominato inquisitore, delegato apostolico, rappresentante della congregazione di Propaganda Fide e commissario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro a Malta. I suoi compiti andavano dall'istruzione dei processi contro gli ecclesiastici e contro gli aderenti all'Ordine di Malta al contenimento delle pretese autonomistiche dei cavalieri gerosolimitani; da quelli di referente per questioni religiose e di amministratore dei possedimenti pontifici nell'isola fino al delicatissimo ruolo di informatore della S. Sede in uno snodo importante di interessi internazionali: l'isola maltese di Gozo era al centro del commercio mediterraneo, perno del traffico con la Porta ottomana e scalo marittimo per le navi mercantili e militari. La situazione era diventata più ardua in seguito alla crescente influenza della componente francese in seno all'Ordine maltese, che aveva favorito la diffusione della spiritualità giansenista (sulla quale il 2 genn. 1742 relazionava preoccupato il G.) e l'infiltrazione della massoneria.

Il G. seppe fronteggiare le crescenti pretese del gran maestro dell'Ordine di Malta, degli Inglesi e degli Spagnoli, il confronto con i gesuiti, le delicate questioni di etichetta in merito alla priorità del ruolo dell'inquisitore o del vescovo. Il suo operato non dovette essere esente da critiche, se il 12 dic. 1740 un contemporaneo poté scrivere: "Non è venuto mai in Malta un Inquisitore più altiero; egli ha nell'idea d'essere soprintendente del Governo temporale di questo Principato" (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Malta, 108, c. 266r).

L'elezione di Benedetto XIV fu dal G. accolta con particolare soddisfazione: il nuovo pontefice risvegliò in lui la speranza di un pronto ritorno in patria, anche a fronte delle complicazioni familiari accusate nel dispaccio del 13 marzo 1742 e della crescente insofferenza per il microcosmo maltese. La situazione si aggravò ulteriormente nell'estate del 1743, quando l'epidemia di peste, da Messina propagatasi in Sicilia e in Calabria, rese ancora più difficile l'approvvigionamento alimentare dell'isola. Il 2 ott. 1743 il G. poteva ringraziare il segretario di Stato, Silvio Valenti, per la promozione alla nunziatura napoletana, e si affrettò a chiedere il permesso di raggiungere al più presto la famiglia: il 23 novembre lasciò Malta alla volta di Civitavecchia.

Al ritorno dalla sua lunga missione, il G. fu eletto all'arcivescovato di Mira (Myra) in partibus infidelium, il 16 dic. 1743, e assistente al soglio pontificio, il 19 genn. 1744. Lasciata Roma all'inizio del 1744 e ufficializzato il suo incarico il 21 marzo, il G. viaggiò attraverso l'Italia meridionale; raggiunse Napoli soltanto il 19 maggio.

Le relazioni del Regno con lo Stato pontificio, in crisi acuta nel 1736 con l'espulsione del nunzio, erano migliorate con Benedetto XIV.

Il G. fu un docile esecutore delle direttive romane, e svolse soprattutto, come era già successo a Malta, il ruolo di informatore della S. Sede. Egli si trovò a fronteggiare la delicata questione della massoneria, che a Napoli e nell'esercito reale aveva un grande seguito. I suoi ragguagli sono fonte preziosa per la storia dei liberi muratori meridionali.

La questione occupò il G. dalla fine del 1750, quando fu costretto a segnalare al segretario di Stato Valenti la presenza di nuclei massonici nel Regno di Napoli: da allora egli intrattenne frequenti contatti con il primo ministro e il referente per gli Affari esteri Giovanni Fogliani, tentando di esercitare una rispettosa pressione e di carpire le intenzioni della Corona.

I dispacci del G. riferiscono le posizioni tranquillizzanti della corte napoletana (nella quale prevaleva un tono da "barzelletta": Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Napoli, vol. 234, c. 218), sostanzialmente condivise dal G., che tuttavia era in grado di denunciare quei religiosi aderenti alla loggia, fra cui il frate teatino Paolo Maria Paciaudi che, a dispetto delle disposizioni pontificie, dispensavano l'assoluzione ai loro sodali.

Di particolare valore è l'anonima relazione inviata dal G. a Valenti sul rito di iniziazione alla società segreta e sugli statuti dei liberi muratori; in essa si sosteneva il carattere limitato del fenomeno, comunque considerato di matrice cristiana, e si consideravano grotteschi i riti. Il G. fece inoltre pervenire a Valenti il Catechismo della setta (ibid., c. 337, 26 giugno 1751) informando del proposito del re di pubblicare una prammatica che accogliesse le condanne di Benedetto XIV contro la massoneria.

Il G. intervenne nella polemica tra il gesuita padre Francesco Pepe e il massone e gran maestro della loggia napoletana, il principe Raimondo di Sangro di San Severo; il G. non dubitò mai della buona fede del nobile napoletano, soprattutto in relazione alla sua ritrattazione e in seguito alla consegna al sovrano dei nomi degli aderenti alla massoneria. La confidenza e la reciproca fiducia fra il massone e il G. sono confermate dall'appello al papa del 3 ag. 1751 - di cui il G. fu ispiratore - da parte del principe di San Severo. Nel consegnare la lettera di abiura il G. poté dunque sollecitare presso il segretario di Stato un segno distensivo "anche perché veda il Signor Principe che colle debite umiliazioni a tutto si può riparare" (ibid., vol. 235, c. 3).

Lo zelo del G. fu tale da riscuotere l'adesione dell'arcivescovo di Capua, attraverso il quale fece pervenire a Valenti la denuncia di Domenico Pica, soldato del reggimento provinciale di Abruzzo, che indicava come membri della loggia napoletana molti esponenti dell'esercito borbonico (ibid., vol. 237, cc. 214-215).

I contatti maturati con la corte francese favorirono certamente l'affidamento, il 2 marzo 1754, della nunziatura parigina al Gualtieri. "Non crediamo che sia nato per commentare Aristotele, ma ha la sua sufficienza, ha buona intenzione", scriveva di lui Benedetto XIV al cardinale le Toncin, il 17 luglio 1754 (III, p. 152).

Sfumata la candidatura di mons. A. Branciforte Colonna, troppo coinvolto nelle fazioni interne alla corte francese, il nunzio dimissionario Carlo Durini si vide costretto ad affidare al nipote Pier Angelo Maria Durini, arcivescovo di Ancira, il compito di istruire il G., augurandosi di poter incontrare personalmente il proprio successore nel viaggio di ritorno dalla Francia, per poterlo avvertire "circa la qualità degli intrighi dei Ministri, le loro cabale e divisioni, ed anche molte altre cose che ponno influire nella condotta d'un prudente ministro della Santa Sede, le quali non si ponno, né si debbono metter da me per iscritto per degni riflessi" (Calvi, p. 286, lettera del 22 ott. 1753).

Partito nell'aprile del 1754 alla volta di Parigi, il G. prese contatto con la corte solo il 18 giugno, constatando personalmente quanto ci fosse di vero nello scenario prospettato dal Durini. Al centro della nunziatura parigina del G. c'era ancora una volta la questione giansenista e il rispetto della bolla Unigenitus, pubblicata nel 1713 da Clemente XI.

Nel 1749 l'arcivescovo di Parigi, C. Beaumont, aveva imposto per i giansenisti il divieto della confessione in punto di morte: era necessario presentare il "billet de confession" per dimostrare di aver ricevuto il sacramento da un sacerdote autorizzato.

Il problema si era oltremodo complicato a causa delle tensioni fra la Corona, tradizionalmente vicina alla Chiesa romana, e il Parlamento, geloso della sua autonomia, con la conseguenza di un crescente malessere dell'opinione pubblica verso il clero. La prima questione per il G. fu dunque la pacificazione fra le parti, operazione che parve concludersi il 2 sett. 1754 con l'imposizione regia al Parlamento del silenzio sulle questioni religiose (la Déclaration du roi qui ordonne que le silence imposé… soit inviolablement observé, fu trasmessa dal G. soltanto il 17 febbraio). L'esito fu che finivano nelle mani del Parlamento i preti che rifiutavano l'estrema unzione a coloro che rimanevano ostili alla bolla Unigenitus.

Il G. assistette dunque a una serie di processi contro ecclesiastici senza riuscire a sottrarre il re all'influenza di Jeanne Antoinette Poisson, la marchesa di Pompadour. Forse anche in seguito all'inefficacia della mediazione del G., le trattative fra Benedetto XIV e il re proseguirono attraverso é.-F. de Choiseul, conte di Stainville, l'ambasciatore straordinario presso la S. Sede.

Alla preoccupante situazione si aggiunsero problemi di minore incidenza, sui quali il G. informava regolarmente la corte romana: dal tentativo di far rispettare ai corrieri francesi la tassa d'importazione del tabacco (7 apr. 1755) alle misure contro il contrabbando del ferro (1° sett. 1755); dalle pretese della Corona a scapito dell'Ordine di Malta, alle faide interne all'Ordine gesuitico intorno all'opera di Isaac-Joseph Berruyer sulla quale nel 1755 cadrà la censura ecclesiastica. È infatti nella veste di informatore che il G. operò con continuità, facendo pervenire a Roma copia dei libri e dei periodici stampati in Francia, tra cui il Mémoire sur les libertés de l'Église Gallicane (Amsterdam 1755) di Étienne Mignot che suscitò l'ira del G., tanto che il plico fu accompagnato con un indignato commento: "è uno de più infami che siano comparsi, attaccando direttamente, e indirettamente i Punti essenziali dell'autorità pontificia, e per quanto sento lo stesso primo presidente di questo parlamento è rimasto alquanto meravigliato" (Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Francia, vol. 494, c. 77, 18 ag. 1755).

Il 10 febbr. 1755 il G. scriveva a Valenti dello stato di salute di Montesquieu, allora in punto di morte. Che il G. conoscesse personalmente l'illuminista francese sembra probabile perché una lettera di presentazione dell'abate P.-J. Alary, indirizzata al G. in data 9 maggio 1729, accompagnò Montesquieu nel suo viaggio in Italia di quell'anno (British Library, Add. Mss., 20670, cc. 73-77). In quello stesso dispaccio il G. avvertiva il segretario di Stato della volontà di Montesquieu di rivedere quei luoghi dell'Esprit des lois che più avevano sollevato le proteste della censura ecclesiastica ("ha pubblicamente ritratte alcune proposizioni del suo Libro, ed ha protestato di darvi riparo, se Dio gli concede vita; anzi questo monsignor arcivescovo mi ha assicurato, che da sei mesi egli travagliava alla correzzione di tutte le proposizioni censurategli da questa facoltà […]", Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Francia, vol. 493, c. 90). La morte improvvisa di Montesquieu, annunciata dal G. in calce alla medesima missiva, avrebbe troncato qualsiasi speranza di vedere riformata l'opera.

Tornato a Roma già nel 1759, il G. fu elevato alla porpora il 28 settembre con il titolo di S. Giovanni a Porta Latina. Il pontefice ricorse ai suoi uffici ancora in diverse occasioni: membro della congregazione dei Vescovi e regolari, di Propaganda Fide, d'Avignone e delle Acque, egli fu nominato legato di Romagna nel 1761.

Il G. non poté ottemperare che per pochi mesi al nuovo incarico, perché morì il 24 luglio 1761 a Frascati. I funerali furono celebrati a S. Andrea della Valle e il corpo fu sepolto nella chiesa titolare.

Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Brevi, 2735, c. 498; Segreteria di Stato, Ferrara, 151, cc. 144-146, 234; Malta, 109, cc. 5r, 7, 74v; 110, cc. 202r, 214r, 322-323, 337, 364v; Napoli, 233-238, 324, 337, 364; Francia, 492, cc. 1, 8r, 9r, 48r; 493, cc. 99-101v, 211r, 349; 494, cc. 70r, 99r; Saint-Simon, L. de Rouvroy, duc de, Mémoires (ed. Pléiade), VII, Paris 1961, pp. 486-523; Le lettere di Benedetto XIV al card. de Tencin, I-III, a cura di E. Morelli, Roma 1955-84, ad indices; F. Calvi, Curiosità storiche e diplomatiche del secolo decimottavo, Milano 1878, p. 286; S. Pompei, Ritratti poetici con note biografiche di alcuni uomini illustri d'Orvieto, Orvieto 1841; P. Sposato, Documenti vaticani per la storia della massoneria nel Regno di Napoli al tempo di Carlo III di Borbone, Tivoli 1959; L. Karttunen, Les nonciatures apostoliques permanentes de 1650 à 1800, Genève 1912, p. 246; A. Moretti, Appunti intorno all'albero genealogico della famiglia Gualtieri di Adernò-Messina e Orvieto, Catania 1928, pp. 23 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1933, ad ind.; P. Falcone, La nunziatura di Malta dell'Archivio segreto della S. Sede, Roma 1936; L. Zambarelli, Il nobile Pontificio Collegio Clementino di Roma, Roma 1936, p. 64; E. Papa, Padre Francesco Pepe S.I. e la sua attività apostolica a Napoli nel giudizio del nunzio G., in Archivum historicum Societatis Iesu, XXVII (1958), pp. 307-326; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, p. 45; R. Shackleton, Montesquieu. A critical biography, Oxford 1961, pp. 92, 394 s.; M. Signorelli, Le famiglie nobili viterbesi nella storia, Genova 1968, pp. 82-85; A. Bonnici, Evoluzione storico-giuridica dei poteri dell'inquisitore nei processi in materia di fede contro i cavalieri del Sovrano Ordine di Malta, in Annales de l'O.S.M. de Malte, XXVI (1968), pp. 92-102; XXVII (1969), pp. 5-13, 57-80; G. Beltrami, Notizie su prefetti e referendari della Segnatura apostolica desunte dai brevi di nomina, Città del Vaticano 1972, p. 151; R.F. Esposito, Benedetto XIV e la massoneria nel carteggio con Carlo III ed altri personaggi del Regno delle Due Sicilie, in Benedetto XIV (Prospero Lambertini), Convegno…, Cento… 1979, a cura di M. Cecchelli, II, Ferrara 1982, pp. 1225-1272; R. Aubert, G., L., in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXII, Paris 1988, coll. 519 s.; A.J. Agius, The genesis of freemassonery in Malta (1730-1843), Malta 1993; A. Bonnici, Medieval and Roman inquisition in Malta, Malta 1998, pp. 272 s.; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XXXIII, pp. 89 s.; XLIX, pp. 207 s.; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, VI, Patavii 1958, pp. 21, 44, 299; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di C. Weber, Roma 1994, p. 716.

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