MALVEZZI, Ludovico. - Nacque a Bologna nel 1418 da Giovanna Bentivoglio e da Gaspare di Musotto, del ramo della famiglia Malvezzi di Ca' Grande (o Malvezzi da S. Sigismondo) dell'aristocrazia senatoria cittadina.
Formatosi al mestiere delle armi, seguì probabilmente il cugino Annibale Bentivoglio nella compagnia di ventura di Micheletto Attendolo, al soldo di Renato d'Angiò nella guerra di successione contro Alfonso d'Aragona: negli anni 1436-39 la sua presenza è documentata nel Regno di Napoli al seguito di M. Attendolo.
Il 14 ag. 1443, come capitano delle milizie bolognesi, combatté valorosamente nello scontro di San Giorgio di Piano, che vide opposti Annibale Bentivoglio e Luigi Dal Verme, a capo dei Viscontei. Nel novembre partì da Bologna con 25 lance per recarsi al soldo di Guido Antonio Manfredi, signore di Imola e Faenza, che militava per i Veneziani contro i Viscontei.
Nel 1446 al servizio di Venezia nell'esercito guidato da Attendolo combatté contro Francesco Piccinino, a capo delle truppe milanesi. Partecipò alla difesa di Cremona e alla presa della Ghiaradadda. Passato l'Adda a Cassano, si diresse prima contro Pavia, saccheggiando il territorio circostante, e poi a Milano, dove diede prova di grande coraggio giungendo fino alle porte della città, incendiando il castello e sventolando sulle mura gli stendardi della Repubblica di S. Marco nella speranza che i Milanesi si sollevassero contro il duca (10 giugno 1447); per essere stato tra i primi a entrare a Milano fu fatto cavaliere da Attendolo e lodato da Francesco Sforza.
Durante la guerra del 1453-54 tra Milano e Venezia fu nominato governatore di Bergamo per difendere la città dagli attacchi di Bartolomeo Colleoni, capitano dell'esercito milanese. Si scontrò con lui tra i monti Nembro e Albini, lungo il Serio, ma ebbe la peggio e cadde prigioniero insieme con molti altri.
Dopo la sua liberazione continuò a militare con la Repubblica fino al 1460 con una condotta di 400 cavalli, ma dal 1458 tentò di procurarsi un altro ingaggio.
Si ventilarono molte ipotesi sulla nuova condotta del M.: quella che apparve più plausibile ai fratelli era riceverne una con il papa Pio II, impegnato a far rientrare le pretese espansionistiche nella Marca anconetana di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini.
Congedatosi dalla Serenissima, il 23 ag. 1460 il M. si portò nel contado bolognese, dove si trattenne per un mese col consenso dello Sforza in attesa di una nuova condotta. Nonostante Sante Bentivoglio fosse stato messo al corrente dallo stesso duca, l'episodio suscitò un certo imbarazzo nel Senato. I cronisti bolognesi raccontano che, per l'agitazione che percorse Bologna alla notizia del gruppo di armigeri stanziati a ridosso della città, la mattina le porte venivano aperte più tardi. In settembre il papa condusse il M. come generale delle genti della Chiesa con un contratto di condotta che prevedeva 10.000 fiorini di Camera annui, oltre ai proventi dei bottini e dei prigionieri, assicurandogli inoltre le città e i castelli che fossero stati espugnati da lui. Il M. avrebbe dovuto recarsi nella Marca contro gli Anconetani che avevano chiesto l'aiuto di Sigismondo Pandolfo Malatesta, cui erano stati offerti 3000 ducati per portar guerra agli abitanti di Iesi. Il signore di Rimini si era impadronito di buona parte della Romagna e, ottenuto l'appoggio di Giovanni d'Angiò, mirava a distrarre il duca di Milano e Federico da Montefeltro dall'inviare truppe in soccorso di Ferdinando d'Aragona.
Il M. si mise in viaggio a ottobre; passò il 5 novembre per Pergola con la sua compagnia unita a quella di Cecco Brandolini, ai suoi ordini, per un totale di 700 cavalli e 200 fanti e andò ad alloggiare a Rocca Contrada (l'attuale Arcevia). Malatesta assediò Castelmoro sulla riva destra del Chienti, ma il M. di notte assalì il nemico e lo mise in fuga. In difesa degli Iesini conquistò il territorio di Morro e cavalcò nel mese di dicembre contro Fano, facendo un bottino di 1000 capi di bestiame e catturando molti prigionieri.
Recuperò molte terre nella Marca, ma l'estate successiva Malatesta, radunati molti armati, uscì nuovamente in campo e vinse la battaglia di Nidastore (Castelleone di Susa). L'esercito papale, sebbene inizialmente in numero superiore a quello di Sigismondo, subì un grave contraccolpo per la defezione di Cecco Brandolini, che nei primi mesi del 1461 passò alla parte avversa con 200 cavalli.
Nel dicembre 1461 il M. stipulò una nuova ferma fino a marzo e si recò in Abruzzo con Giovan Francesco da Bagni con 60 uomini d'arme e 100 fanti ben in ordine per sostenere le milizie aragonesi di Matteo di Capua nell'attacco decisivo ad Atri contro Giosia Acquaviva. Guadagnata la stima del re Ferdinando, grazie al valido supporto nella pacificazione degli Abruzzi, questi lo prese ai suoi servizi nel marzo 1462. Il 18 maggio il M. firmò i capitoli con il re per una condotta di 100 uomini e una provvisione annua di 12.000 ducati provenienti dalle entrate abruzzesi, oltre alla promessa delle terre strappate ai Caldora. Il M. prese parte alle azioni militari più importanti: nel marzo contro i castelli di Francesco da Ortona; contro Cellino Attanasio nel giugno; a luglio sul Tronto vietò il passo a Sigismondo Pandolfo che con il conte Francesco della Mirandola e 800 cavalli si recava in Puglia per soccorre Iacopo Piccinino; nel settembre con Alfonso d'Avalos in un esercito di circa 4000 tra cavalieri e fanti costrinse i caldoreschi alla resa e in novembre a Popoli si diresse contro Piccinino in difesa della contessa di Celano.
Per i suoi meriti Ferdinando ammise il M. nel Gran Consiglio di Stato e di guerra, lo fece amministratore e luogotenente del figlio Federico e lo insignorì di Torrebruna, Castel San Giovanni, Castel Guidone, Scontrone e Montenero; nel 1462 già lo aveva investito delle terre di Taranta e di Quadri con il titolo di contea e baronia col diritto di lasciarle in successione ai figli unitamente al merum et mixtum imperium. Nonostante le numerose offerte, ritenne, tuttavia, di non essere stato adeguatamente ricompensato, come scrisse al duca di Milano, impetrandone l'intercessione presso il re (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, Potenze estere, cart. 164, lettera del M., 25 genn. 1464). Rimasto senza soldi, aveva infatti impegnato ogni bene per sostentare la sua famiglia militare, dalla quale nell'inverno avevano defezionato ben 20 uomini a causa della scarsità di danaro. Nel giugno 1464 Ferdinando gli offrì 1600 ducati per provvedere temporaneamente alla sua compagnia, promettendogli alcune terre dopo l'estate. Nell'aprile 1465, tuttavia, il fratello Virgilio scrisse al duca che il M. non gradiva la condizione di "cortesano" cui lo costringeva la vita di corte a Napoli e che avrebbe gradito riprendere "el mestiero suo de le arme" (ibid., lettera di Virgilio Malvezzi, 4 apr. 1465). D'altronde il re vittorioso aveva intrapreso una politica di riorganizzazione dell'esercito che mirava a esautorare le compagnie autonome e ridusse il M., con sua insoddisfazione, da "conductero" a "squadrero", ricompensandolo con onorificenze di corte.
Nel 1467, in occasione della guerra contro B. Colleoni, sebbene corresse la falsa voce di un suo nuovo ingaggio con Venezia, il M. rinnovò la condotta col re di Napoli; gli fu aumentata la provvigione annua, ma non gli fu concessa la terra di Mignano, che egli chiedeva, perché era uno dei passi del Regno. Alla fine di giugno il re "spacciò" le sue genti in Terra di Lavoro (zona "Mazzone delle Rose") tra cui anche il M., che fu pagato per 60 lance oltre al soldo di 1000 ducati di provvisione annua e due castelli.
Il M. si mise in viaggio per raggiungere il duca Federico sul fiume Idice, ma ad Ascoli Piceno morì a causa di una febbre alla fine di agosto 1467.
Era stato insignito insieme con i suoi fratelli di molti titoli e onorificenze: il 19 genn. 1453 papa Niccolò V aveva concesso a lui e a Virgilio il giuspatronato e la nomina dei parroci della chiesa di S. Sigismondo; il 27 marzo 1454 il duca Borso d'Este lo aveva nominato cittadino onorario di Ferrara, Modena e Reggio; aveva ricevuto anche la cittadinanza di Firenze (dicembre 1463) e di Padova; Giovanni d'Angiò nel 1456 gli aveva concesso di inquartare sul suo scudo l'insegna di Lorena (un uccello chiamato alurio di colore bianco in campo rosso); con bolla d'investitura dell'8 sett. 1458 papa Pio II aveva conferito ai figli di Gaspare il titolo di conti di Castel guelfo; con privilegio datato 15 luglio 1460 era stato nominato conte palatino e barone dell'Impero da Federico III.
Ercole, fratello del M., nacque a Bologna, presumibilmente agli inizi del terzo decennio del '400.
Nel 1446 Ercole fu uno dei quattro ostaggi, rappresentanti delle famiglie più autorevoli di Bologna, chiesti da Guglielmo di Monferrato (il futuro marchese Guglielmo VIII) a garanzia del rispetto delle condizioni offertegli da Venezia per passare al suo soldo nel Bolognese.
Alleato dei Bentivoglio nel preservare la costituzione politica e conservare la stabilità del regime garantita dai capitoli concessi da Niccolò V nel 1447, nel 1451 respinse i fuorusciti dei Canetoli, Pepoli, Zambeccari, Vizani che, rotta Porta Galliera, con l'ausilio dei Correggio e dei Carpensi erano riusciti a penetrare in Bologna, al grido dei Canetoli di "Cane, Cane".
Ercole fu il protagonista del primo manifesto segnale della rivalità tra i Bentivoglio e i Malvezzi quando, il 21 febbr. 1459, con un manipolo di seguaci liberò dal carcere Giovanni Felisini, amico dei Canetoli, accusato di aver prestato soldi ai fuorusciti per aiutarli a tornare a Bologna.
Presto lo strappo si ricompose quando Felisini fu ricondotto in carcere e Sante Bentivoglio si riconciliò formalmente con i Malvezzi, che subirono una grave caduta di immagine nella città, mentre crebbero la reputazione e il favore di Sante. Forse anche a causa del discredito che si era procurato per il suo appoggio a Felisini, Ercole si allontanò dalla città nel 1461 seguendo Ludovico nella condotta che questi aveva ottenuto nel Regno di Napoli.
Alla morte del fratello, gli subentrò nella condotta napoletana, che subì una riduzione delle iniziali 200 lance. Quando, nel 1468, la compagnia fu ereditata dal nipote Marc'Antonio, Ercole tornò a Bologna.
A cavallo degli anni Settanta l'influenza dei Malvezzi decrebbe sempre di più ed Ercole fu costretto a cercarsi una condotta che fosse sufficientemente prestigiosa per il nome della sua famiglia, senza contare più sull'appoggio dei fratelli Achille e Virgilio che, invece, era stato determinante per Ludovico. Il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza non volle condurlo. Assoldato poi da Venezia con 100 lance, il 24 marzo 1468 partì da Bologna.
Nell'agosto del 1469 la Serenissima lo inviò in aiuto di Alessandro Sforza e della Chiesa contro Roberto Malatesta, figlio di Sigismondo e signore di Rimini, ma il campo della Chiesa fu rotto; Ercole, fatto prigioniero, fu ben presto liberato.
Al servizio di Venezia in Friuli fronteggiò l'invasione turca nell'ottobre 1477; il 30 ottobre quattro squadre di uomini d'arme di Venezia si scontrarono a Gradisca d'Isonzo con i Turchi per il passo sul fiume e subirono una pesante sconfitta. Ercole, a capo di 150 cavalli, fu ferito a morte alla gola da una saetta e fu tradotto a Costantinopoli. Morì in data imprecisata, a Rogatica in Bosnia, durante il viaggio che doveva portarlo a Costantinopoli, nella casa di colui che lo aveva fatto prigioniero.
Nel 1451 Ercole aveva sposato Ludovica di Francesco Bolognini, patrizio di Bologna, e di Elena Griffoni, che portò in dote 1500 lire e una casa posta nella parrocchia di S. Giorgio in Poggiale. I loro figli furono Angelica, Ercole, Pandora e Achille.
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