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Alamanni, Luigi

di Roberto Weiss - Enciclopedia machiavelliana (2014)
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Alamanni, Luigi

Roberto Weiss

Nacque a Firenze il 6 marzo 1495 da Piero di Francesco (1434-1519), filomediceo e gonfaloniere nel 1490 e nel 1512, e dalla sua quarta moglie, Ginevra di Iacopo Paganelli, e fu battezzato con il nome di Luigi Francesco. Studiò grammatica sotto l’umanista Niccolò Angelio da Bùcine; nello Studio fiorentino frequentò i corsi di Francesco Cattani da Diacceto. Ma la vera formazione dell’A. ebbe luogo nella società degli Orti Oricellari, dove il Diacceto occupava una posizione simile a quella di Ficino nell’Accademia Platonica.

Fu appunto nelle riunioni degli Orti che l’A. lesse le sue prime produzioni poetiche e fece amicizia con Zanobi Buondelmonti e con Machiavelli. Non è da confondere, tuttavia, come talora è avvenuto, Luigi A. col fratello Ludovico, destinatario della famosa lettera machiavelliana del 17 dicembre 1517.

All’A. e al Buondelmonti «suoi amicissimi» M. dedicò la Vita di Castruccio Castracani; nella lettera di ringraziamento del Buondelmonti, del 6 settembre 1520, l’A. è citato insieme agli altri sodali degli Orti, poi eletti da M. a interlocutori dell’Arte della guerra, stampata l’anno successivo. Non risultano altre menzioni dell’A. nelle opere machiavelliane.

In questi anni l’A. si occupava già della sua professione di lanaiolo, ma trovava tempo per l’attività letteraria e per lo studio del latino e del greco. Intanto nel 1516 aveva sposato Alessandra di Battista Serristori, che gli dette vari figli, tra cui Battista e Niccolò.

Nel 1518 copiava antichi scoli in margine a un esemplare dell’Omero fiorentino del 1488, ora a Eton College, e fu probabilmente allora che cominciò a tradurre in italiano l’Antigone di Sofocle.

Nel 1522 alcuni dei frequentatori degli Orti Oricellari, animati da ideali antitirannici, che coniugavano istanze politiche e ispirazione letteraria, tentarono di concretizzarli: tra questi l’A., che in quell’anno fece parte, insieme con Zanobi Buondelmonti, Iacopo da Diacceto e altri, della congiura che si riprometteva di uccidere il cardinale Giulio de’ Medici e di cambiare il governo di Firenze. La congiura venne però scoperta: Luigi di Tommaso Alamanni, un congiunto del poeta, e Iacopo da Diacceto furono decapitati il 7 giugno 1522, mentre l’A. e il Buondelmonti riuscirono a fuggire. Dichiarati ribelli, chiunque li uccidesse avrebbe ricevuto 500 ducati.

L’A. trovò il suo primo rifugio a Venezia. Durante l’estate del 1522 era però già a Lione. Al servizio di Francesco I, fu inviato in settembre in missione a Venezia, ma, passando per i Grigioni, venne imprigionato dagli svizzeri, che lo rilasciarono soltanto alla fine dell’anno, dopo il pagamento di un riscatto.

Nel gennaio 1523 era tornato a Lione, ma in agosto era di nuovo in viaggio per l’Italia, con le truppe condotte dal maresciallo di Montmorency. Pochi mesi dopo, alla fine dell’anno, si trovava in Provenza, dove gli giungeva la notizia dell’elezione del cardinale Giulio de’ Medici al trono pontificio, con il nome di Clemente VII.

Appartengono a questi anni liriche amorose per varie figure femminili e due egloghe scritte per la morte di Cosimo Rucellai (rimpianto anche da M. all’inizio dell’Arte della guerra), redatte certamente nel 1519. Nel 1522-25 compose tre libri di Elegie, sul modello di Properzio e di Tibullo; con l’esilio compaiono sue poesie piene di amor di patria, di nostalgia e di amarezza, ma anche di speranza in Francesco I per la libertà di Firenze, nonché testi di ispirazione moraleggiante, dove ha accenti personali di sconforto e di dolore (per la esecuzione dei congiurati del 1522, per la morte del fratello Ludovico, avvenuta nel 1526, per quella del Buondelmonti). Ad Ariosto è fatta esplicitamente risalire l’ispirazione delle tredici Satire in terzine (1524-27), la seconda delle quali costituirebbe per Carlo Dionisotti «l’atto di nascita dell’antimachiavellismo» (Dionisotti 1980, p. 153): per Domenico Chiodo (2008) piuttosto l’attestazione di un’attardata ispirazione savonaroliana.

L’espulsione dei Medici da Firenze, nel 1527, pose termine a questo suo primo esilio; in maggio era già tornato in patria. Ai concittadini che contavano, allora, di ottenere aiuti dalla Francia, l’A., al corrente della situazione politica, consigliò invece un’alleanza con l’imperatore, restando però inascoltato; ma considerate le sue relazioni d’oltralpe, fu nominato commissario generale presso i luogotenenti del re di Francia, con il compito di soddisfarli e allo stesso tempo salvaguardare gli interessi fiorentini. In novembre era di nuovo a Firenze, dove intanto la peste gli aveva tolto il suo amico e compagno d’esilio, Zanobi Buondelmonti. Durante questo soggiorno fiorentino l’A. fu impiegato specialmente in negozi diplomatici.

Nel 1530 si rifugiò di nuovo in Francia, dove gli giunse notizia della resa di Firenze e del ritorno dei Medici, che si affrettarono a bandirlo in Provenza per tre anni.

Rendendosi conto che la sua vita ormai doveva svolgersi in Francia, volle conquistarsi il favore di Francesco I: già nel 1531 il re gli concedeva il Jardin du Roi ad Aix, cedendogli poi la signoria di Tullins nel Delfinato per dieci anni, con altre munifiche largizioni.

L’edizione delle Opere toscane, che l’A. pubblicò nel 1532-33 a Lione, fu dedicata al re, che non mancò di compensarlo generosamente. Nel 1539, tornato in Italia al seguito del cardinale Ippolito d’Este, intrecciò importanti contatti letterari: nelle sue visite a Padova, Roma e Napoli s’incontrò con Benedetto Varchi, Daniele Barbaro, Sperone Speroni, Pietro Bembo e Vittoria Colonna.

Il grande favore di cui l’A. godeva a corte continuò sotto Enrico II e Caterina de’ Medici, dalla quale nel 1544 fu nominato Maître d’Hôtel, carica che tenne anche dopo che la delfina diventò regina. Gli ultimi anni della vita dell’A. furono caratterizzati da un’intensa attività letteraria. Gli scritti più significativi furono sicuramente tre poemi: quello didascalico in versi sciolti, la Coltivazione, inviato nel 1546 a Caterina de’ Medici; quello cavalleresco, Girone il Cortese, 3590 stanze in ventiquattro libri (rimaneggiamento del Guiron le Courtois), dedicato il 1° gennaio 1548 a re Enrico II; e quello epico, ispirato all’Iliade e all’Eneide, l’Avarchide, pubblicato post mortem dal figlio Battista con dedica a Margherita, duchessa di Savoia e di Berry.

Dopo un’ultima missione diplomatica a Genova nel 1551 e un viaggio in Inghilterra nell’autunno 1553, con lo scopo di portare doni e congratulazioni a Maria Tudor in occasione della sua incoronazione, l’A. si dedicò alla revisione delle sue opere. Nel 1555 terminò quella della commedia Flora, d’ispirazione terenziana, che fece rappresentare a Fontainebleau durante il carnevale di quell’anno. Il 1° aprile 1555 fece testamento. Era ancora intento alla revisione dell’Avarchide, quando morì ad Amboise, dove era allora la corte, il 18 aprile 1556.

Bibliografia: Per le edizioni complessive delle opere si vedano: Opere toscane, 2 voll., Lione 1532-1533 (con varie ristampe); Versi e prose, a cura di P. Raffaelli, 2 voll., Firenze 1859; C. Rucellai, L. Alamanni, F. Guidetti, Rime, a cura di D. Chiodo, Torino 2009. Singoli testi: La coltivazione, Paris 1546; Girone il Cortese, Paris 1548; Avarchide, Firenze 1570, tutte ristampate più volte; recente l’edizione della Tragedia di Antigone, Torino 1997.

Per gli studi critici si vedano: H. Hauvette, Un exilé florentin à la cour de France au XVIe siècle. Luigi Alamanni (1495-1556), sa vie et son oeuvre, Paris 1903; F. Flamini, Le lettere italiane alla corte di Francesco I, in Id., Studi di storia letteraria, Livorno 1905, pp. 270 e segg.; H. Hauvette, Nuovi documenti su Luigi Alamanni, «Giornale storico della letteratura italiana, 1908, 51, pp. 436-39; E. Frege Gilbert, Luigi Alamanni, Politik und Poesie. Von Machiavelli zu Franz I., Frankfurt am Main 2005.

Sulle opere: C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980, ad indicem; P. Floriani, Il modello ariostesco. La satira classicistica nel Cinquecento, Roma 1988, pp. 95-123; F. Tomasi, Appunti sulla tradizione delle Satire di Luigi Alamanni, «Italique», 2001, 4, pp. 31-59; S. Jossa, Dal romanzo cavalleresco al poema omerico: il Girone e l’Avarchide di Luigi Alamanni, «Italianistica», 2002, 31, 1, pp. 13-37; D. Chiodo, Luigi Alamanni tra Machiavelli e Savonarola: a proposito di un giudizio di Carlo Dionisotti, «Giornale storico della letteratura italiana», 2008, 612, pp. 570-76. Per l’atteggiamento politico: C. Corso, Un decennio di patriottismo di Luigi Alamanni, Palermo 1898; R. von Albertini, Das florentinische Staatsbewusstsein in Übergang von der Republik zum Prinzipat, Bern 1955 (trad. it. Firenze dalla Repubblica al Principato. Storia e coscienza politica, Torino 1970, ad indicem); P. Cosentino, L. de los Santos, Un nuovo documento sul fuoriuscitismo fiorentino: undici lettere inedite di Luigi Alamanni a Filippo Strozzi (aprile 1536-febbraio 1537), «Laboratoire italien», 2001, 1, pp. 141-67.

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