OMODEI, Luigi Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

OMODEI, Luigi Alessandro

Andrea Spiriti

OMODEI (Homodei, Hamadei, Amodei, Amadei), Luigi Alessandro. – Nacque a Milano l’8 dicembre 1608, settimogenito di Carlo I e di Beatrice Lurani.

La famiglia di origine pavese, attestata forse dal 1178, divenne nota nel XIV secolo con Signorolo, giurista, docente nell’Ateneo pavese e alto funzionario visconteo. Cresciuti d’importanza nel XVI secolo con accorte politiche matrimoniali e acquisti terrieri nell’Alessandrino e in Brianza, gli Omodei si affermarono nel XVII secolo con i fratelli Emilio, finanziere legato alla plutocrazia genovese, e Carlo I, che nel 1613 acquisì dai Balbi il marchesato di Piovera. Fra i figli di quest’ultimo, Agostino III e Carlo Giovanni Battista III fecero carriera civica; Beatrice Eleonora divenne priora del monastero di S. Maria della Vittoria; Lucrezia sposò in seconde nozze Bartolomeo III Arese, presidente del Senato e figura decisiva nel panorama della monarchia cattolica.

Omodei percorse il cursus per la carriera ecclesiastica. Studente a Parma, laureato in utroqueiure a Perugia, protonotario apostolico (1627), referendario (1638) e chierico di camera (1642), decano di camera (1644), divenne membro di numerose congregazioni. Seguirono incarichi politico-militari (provveditore generale alle fortezze pontificie e commissario a Fermo nel 1648, commissario capo per la seconda guerra di Castro nel 1649), il decanato della Camera apostolica, la prefettura dell’annona, nuove partecipazioni a congregazioni, infine il cardinalato.

Nominato il 19 febbraio, ricevette il 12 marzo il titolo dei Ss. Bonifacio e Alessio sull’Aventino, che mutò in quelli di S. Maria in Trastevere (1676), S. Prassede (1677) e S. Lorenzo in Lucina (1680) come cardinale protoprete; dal 1678 alla morte fu cardinale protettore dei serviti.

Creatura di Innocenzo X, partecipò al conclave del 1655 e venne nominato dal nuovo papa Alessandro VII prolegato a Urbino (1655-58): in tale veste promosse un vigoroso riassetto amministrativo e curò il trasferimento dei codici urbinati presso la Biblioteca Alessandrina romana. A Roma giocò un ruolo importante nella definizione dello ‘Squadrone volante’, il gruppo di cardinali decisi a sottrarre l’elezione pontificia dalle influenze delle grandi monarchie europee e in pratica a fornire una visione più politica (e legata a Cristina di Svezia tramite il proprio leader Decio Azzolino): la vittoria della fazione condusse all’elezione di Clemente IX nel 1669, mentre più discontinui appaiono i rapporti di Omodei con Clemente X.

Nel 1676 l’elezione dell’amico comasco Innocenzo XI Odescalchi rese Omodei una delle personalità più influenti del Sacro Collegio ed è intuibile il suo ruolo nelle grandi tappe della prima fase innocenziana (filoquietismo, antigiansenismo, alleanza austro-polacca, liberazione di Vienna nel 1683 e riconquista dell’Ungheria, politica antifrancese).

Malgrado gli incarichi prevalentemente amministrativi e militari, Omodei fu uomo di acuta sensibilità nei confronti dei grandi problemi teologici del suo tempo: ostile al giansenismo ma anche al progressivo strapotere della corona francese, fu invece vicino alle posizioni quietiste di Miguel de Molinos, del resto protetto dall’ambiente milanese cominciando dal cognato Bartolomeo III Arese, tramite per l’unione fra il nuovo molinismo e le vecchie venature panpsichiste ed eremitiche rappresentate da Francesco Giuseppe Borri, oltre che per gli spunti filoebraici.

Ma la sua massima tensione culturale fu l’incontro fra il linguaggio artistico lombardo (soprattutto degli artisti dei laghi) e quello romano (lacuali inclusi), emblematicamente rappresentato dalle operazioni incrociate di S. Maria della Vittoria a Milano (con le opere romane di Gian Lorenzo Bernini, Giacinto Brandi, Salvator Rosa, Gaspard Dughet accanto a quelle dei romanizzati Antonio Raggi, Ercole Ferrata, Pier Francesco Mola, Giovanni Ghisolfi e dei lombardi Dionigi Bussola e Carlo Bono) e dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso a Roma (con le opere dei romani Girolamo Troppa, Pasquale De Rossi, Brandi, Giovanni Battista Benaschi, Guillaume Courtois il Borgognone, Ludovico Gimignani, Francesco Cavallini, accanto a quelle del romanizzato Mola e del lombardo Morazzone; e in architettura il toscano romanizzato Pietro da Cortona, il lombardo romanizzato Francesco Borromini e lo stesso Omodei, architetto della facciata, a subentrare ai lombardi Onorio e Martino Longhi); operazioni entrambe declinate dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, nel secondo caso ultimate dopo la morte del presule con la pala di Carlo Maratta (1685-90). La collezione personale comprende opere del prediletto Ghisolfi e di Mola, Dughet, François Duquesnoy; e soprattutto i due ritratti del cardinale di Troppa (oggi in collezione privata) e del Baciccio (oggi al museo di Rio de Janeiro).

L’attività di committente si esplicò in numerosi altri episodi nello Stato di Milano e in quello pontificio. A Milano la chiesa di S. Giovanni Decollato alle Case Rotte, sede della confraternita dedita ai condannati a morte vede pale contrapposte di Francesco Cairo (oggi alla Casa Professa dei gesuiti di S. Fedele) e di Salvator Rosa (oggi a Brera) dei primi anni Sessanta. Sempre a Milano, la chiesa dei Ss. Cosma e Damiano (di cui Omodei era protettore) fu qualificata da un altare alla romana purtroppo distrutto; la pala di S. Paola di Giuseppe Nuvolone in S. Maria dei Servi (oggi a Brera) fu di sua committenza; palazzo Marino – residenza principale degli Omodei – conteneva parte delle collezioni d’arte familiari. Sul territorio, la principale residenza presso Milano era palazzo Omodei di Cusano, con gli affreschi di Ghisolfi e del Montalto, nonché la pala di Johann Christoph Storer e le copie pittoriche del ciclo del Domenichino a Grottaferrata (oggi nella parrocchiale di Milanino): un esempio chiaro di adesione a quel classicismo romanista che, sull’esempio di palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno, cementava la consorteria Arese grazie alle quadrature di Ghisolfi. Varese fu città cara a Omodei, che nel 1652 venne festeggiato come neocardinale e nel 1676 diresse i festeggiamenti per il neopapa Innocenzo XI; nel 1662 fece ultimare il ciclo ghisolfiano della IV cappella al Sacro Monte, perno di quel filoebraismo espresso a Varese nella chiesa di S. Giuseppe, pure legata a Omodei. Ad Albate l’altare maggiore ligneo (molto simile a quello di Cusano) fu frutto di una sua committenza giovanile. A Pesaro gli anni della sua legazione videro la ricostruzione della chiesa dei cappuccini, con le pale di Mola e di Gentile Cousin, e le accoglienze trionfali del 1655 alla neoconvertita Cristina di Svezia. A Roma fin dal 1645 commissionò una pala (non identificata) al Borgognone per S. Lorenzo in Lucina e nello stesso anno iniziò quel rapporto coi francescani irlandesi di S. Isidoro che portò agli affreschi di Emanuele da Como; nel 1648 fu presente nella committenza a Dughet del ciclo ad affresco e a Mola delle pale di S. Martino ai Monti; nel 1663 fu coinvolto nella committenza a Maratta della pala immacolista di S. Isidoro, secondo il modello iberico della Purísima più tardi diffuso in Lombardia per influsso di Innocenzo XI; dal 1678 il suo ruolo di protettore fu decisivo per la facciata di S. Marcello al Corso (sede generalizia dei Serviti), opera del lombardo romanizzato Carlo Fontana. Risulta inoltre documentato come finanziatore di opere architettoniche o figurative per l’oratorio del Gonfalone, l’arciospedale di Santo Spirito, l’ospedale della Pietà, la confraternita del Rosario alla Minerva, quella degli osti e barcaioli a S. Rocco e quella della dottrina cristiana a S. Maria del Pianto. A Frascati la costruzione di un luogo di ritiro presso l’eremo camaldolese è ricordata solo dal dipinto di Dughet (Londra, collezione Intesa San Paolo); né mancarono rapporti con Grottaferrata, come dimostrano le tele di Cusano.

Morì a Roma, nel suo palazzo all’arco della Ciambella, il 26 aprile 1685.

Per sua volontà, fu esposto e sepolto nella chiesa nazionale lombarda dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso, nel deambulatorio, sotto una lastra terragna ai piedi del reliquiario del cuore di s. Carlo Borromeo.

Il nipote Luigi jr. (1657-1706) fece carriera ecclesiastica sotto l’egida dello zio, divenendo poi cardinale nel 1690; e fu anche il continuatore del collezionismo familiare.

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