CASSOLA, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASSOLA, Luigi

Giuseppe Gangemi

Della illustre famiglia dei Cassola (o "Cassoli"), originaria di Reggio Emilia e trapiantatasi a Piacenza verso la fine del sec. XIV (probabilmente con il famoso giurista Filippo Cassoli), in questa città nacque verso il 1480 come si può arguire da alcuni elementi, quali la partecipazione nel 1513 all'importante delegazione piacentina che a Roma rende omaggio al nuovo pontefice Leone X, l'essere già verso il 1535 suo figlio Iacopo in età di servire alla corte del cardinale Guido Ascanio Sforza, e il fatto che l'Aretino - nato nel 1492 - lo definisca "mio maggior fratello".

Niente si sa della sua formazione letteraria; di una produzione poetica giovanile per Eleonora Visconti, cantata col nome di Anmasalia (o Annasalia), resta solo la notizia. Al centro del cenacolo letterario piacentino con Ludovico Domenichi - dal '43 vi si associerà per breve tempo Anton Francesco Doni - ospita nella sua casa, oltre ai poeti ("Come potreste allontanarvi mai dalla dolce e virtuosa compagnia del magnifico cavalier signor L.C.? Della casa del quale fanno i -poeti, come d'una chiesa i falliti..." scrive Giuseppe Betussi al Doni nella lettera inserita nel suo Raverta), anche i personaggi illustri di passaggio da Piacenza: nel 1526 Pietro Aretino al seguito di Giovanni dalle Bande Nere - in questa occasione si stabilisce il legame per il quale l'Aretino parlerà poi di lui chiamandolo "mio compare", presumibilmente per averne tenuto a battesimo un figlio -; nel 1527 il cardinale Alessandro Famese inviato da Clemente VII a Carlo V, che, ammalatosi, riceve presso il suo ospite sollecite cure. Anche in nome di tale episodio nel 1534 il C. si reca a Roma per congratularsi di persona col Farnese eletto pontefice (come Paolo III) e per raccomandare il figlio Iacopo che infatti l'anno successivo - o nel '36 - passa al servizio di Guido Ascanio Sforza, cardinale di Santa Fiora e nipote del papa.

Nel 1538, credendolo morto, l'Aretino scrive una lettera di condoglianze (23 giugno) a Iacopo, che gli risponde smentendo la notizia. L'anno dopo lo stesso Aretino prega il conte Agostino Landi piacentino (scrivendogli il 15 novembre) di salutargli "l'onorato e splendido cavalier C., mio maggior fratello e onorando compare". Nel 1544 escono a Venezia i Madrigali, unica opera a stampa del C., pubblicati da Giuseppe Betussi per i tipi dei Giolito con una dedica a Pietro Aretino, che già nel gennaio, mentre si preparava l'edizione del volumetto, aveva scritto una lettera colma di stima e reverenza all'autore in cui tra l'altro rievocava l'antica ospitalità.

Nello stesso anno e sempre presso il Giolito escono le Rime del Domenichi e il dialogo Raverta del Betussi; entrambi gli amici fanno menzione del C., il primo dedicandogli un sonetto, il secondo unendo al dialogo una lettera a lui indirizzata, ricordandone, come si è visto, il mecenatismo e riportandone per intero un madrigale ("Questo è pur ver, questo è pur ver, madonna"): sia nel sonetto che nella lettera si allude chiaramente all'età ormai senile del Cassola.

Sicuramente vivo nel 1547, anno in cui Anton Francesco Doni gli scrive da Roma (27 maggio), lo è probabilmente anche nel 1550: lo lasciano intendere le parole di elogio che lo stesso Doni gli riserva nella sua prima Libraria. È solo nel 1560 che si trova un'esplicita menzione della sua morte in un sonetto di Anton Maria Braccioforte, suo nipote, pubblicato in tale anno nel Nono libro delle Rime di diversi eccellentissimi autori (stampato in Cremona da Vincenzo Conti): "Tu Cassola se' morto, almo sostegno / De gli honorati amanti di Parnaso".

Del figlio Iacopo, cortigiano e letterato, resta un madrigale inserito nel manoscritto del canzoniere paterno dedicato a uno Sforza, forse il cardinale suo protettore; morì nel 1570 a Piacenza.

Del C. furono pubblicati soltanto i Madrigali per due volte: la prima ediz. (Madrigali del magnifico signor cav. Luigi Cassolapiacentino, in Vinetia appresso Gabriel Giolito di Ferrarii MDXLIIII) si apre con una lettera di Giuseppe Betussi al "divinissimo signor Pietro Aretino", datata 5 marzo 1544; il volume è costituito da trecentosessantaquattro madrigali (e non trecentosessantadue come erroneamente segnala il Bongi seguito in ciò dal Flamini) ai quali sono mescolate alcune ballate (ventiquattro); seguono due sonetti e, sotto il titolo "Al serenissimo Carlo Quinto Imperatore", trentaquattro stanze che invitano Carlo a prendere le armi contro i Turchi. Dopo l'indice si trova una lettera del Doni che esalta i madrigali, seguita da sei sonetti di diversi letterati amici in lode dell'autore (l'ultimo dei quali è ancora del Doni). La scorrettezza di questa edizione, che valse al Betussi severe critiche da parte del Doni, giustifica la immediata ristampa del 1545 presso il medesimo editore, che tuttavia non appare molto emendata e la cui maggior novità è di concludersi con l'indice (cioè senza gli scritti del Doni e gli altri sonetti).

Altri componimenti del C. si trovano in alcuni dei tanti volumi miscellanei che a Venezia e altrove si vennero pubblicando intorno alla metà del Cinquecento a partire dal 1545 (cfr., tra gli altri, Rime diverse di molti eccellentissimi auttori nuovamente raccolti. Libro primo, Venezia 1545, pp. 351-53, e Nono libro delle rime di diversi eccellentissimi autori, Cremona 1560, pp. 245-52). Un canzoniere inedito sicuramente del C. è il cod. Capponiano 74 della Bibl. Vat., manoscritto cinquecentesco per molti indizi steso in vista di una pubblicazione; un sonetto del C. compare in un manoscritto settecentesco (n. 90, p. 77) della Biblioteca Carducciana di Bologna.

Non è un caso che alla pubblicazione giungessero i soli madrigali; il canzoniere (che per alcuni riferimenti interni è da credere dello stesso periodo) riflette fedelmente l'immagine di un verseggiatore di formazione provinciale, sollecitato soprattutto nei componimenti stilisticamente più ricercati e difficili - indicative in questo senso le sestine -, al quale il gusto per l'immagine poco consueta suggerisce a volte versi di notevole incisività; mentre il repertorio di tenii e moduli petrarcheschi risulta impiegato alquanto fiaccamente e senza impennate. Un verseggiatore attento al modello bembesco e, nello stesso tempo, non dimentico di Panfilo Sasso o di Serafino Aquilano, poteva nell'impresa dei trecentosessantaquattro madrigali esercitare l'attitudine al cimento formale col gioco delle infinite variazioni entro lo schema metrico tenue e breve. La scelta esclusiva del madrigale, inoltre, evitando il confronto con i tanti, tantissimi canzonieri circolanti, lo metteva al riparo dal rischio di perdersi in così numerosa schiera e privilegiava un metro di impiego galante e mondano recentemente delineato dalla illustre trattazione bembiana delle Prose (dallo stesso Bembo esemplificata nelle sue Rime)che ne sanciva una nuova vita compositivamente più libera e che trovava subito (1533) un'eco nella pubblicazione a Roma di madrigali di autori diversi, notevole nella storia della musica oltre che in quella della letteratura. Fu una scelta confortata dal consenso dei contemporanei e dei posteri: già nel 1557 nei suoi Souspirs scritti a Roma, Olivier de Magny - poeta assai vicino alla Pléiade - tiene presenti i madrigali cassoliani; Pier Iacopo Martello, nel Comentario premesso al suo Canzoniere (1710). indica il C. come modello per chi voglia comporre madrigali; il Crescimbeni lo definisce "eccellente madrigalista" nella Storia della volgar poesia.

Fonti e Bibl.: L. Domenichi, Rime, Vinegia 1544, p. 21a; A. F. Doni, La libraria [1550], Vinegia 1580, p. 34a; Id., La seconda libraria, Vinegia 1551, p. 82b; G. Betussi, Il Raverta, in Trattati d'amore del Cinquec., a c. di G. Zonta, Bari 1968, pp. 54, 76, 149; P. Aretino, Lettere, Il primo e il secondo libro, a cura di F. Flora, Milano 1960, pp. 477 s., 607 5.; Id., Il terzo libro delle lettere, Parigi 1609, pp. 68b-69a; P. I. Martello, Comentario, in Scritti critici, a cura di H. S. Noce, Bari 1963, p. 147; G. M. Crescimbeni, Comentari del can. G. M. Crescimbeni custode d'Arcadia intorno alla sua storia della volgar poesia, IV, Roma 1711, p. 91; Giornale de' letterati d'Italia (Venezia), XIII (1713), pp. 300 s.; G. Poggiali, Mem. Per la storia letter. di Piacenza, II, Piacenza 1789, pp. 161-69; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari da Trino di Monferrato stampatore in Venezia, I, Lucca 1890, pp. 71 s.; L. Mensi, Diz. biografico piacentino, Piacenza 1899, p. 114; F. Flamini, IlCinquecento, Milano s. d., pp. 448, 575; A. Meozzi, Ilpetrarchismo europeo, Pisa 1934, p. 124. Notizie e descrizioni dei manoscritti contenenti opere del C. in: G. Salvo-Cozzo, I Codici Capponiani della Biblioteca Vaticana Roma 1897, pp. 70-74; G. Mazzatinti, Inventario dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, LXII, p. 119.

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