DEVOTO, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DEVOTO, Luigi

Francesco M. Biscione

Nacque a Borzonasca (Genova) il 23 ag. 1864 da Giacomo e Candida Marrè. Compiuti gli studi medi e classici a Chiavari, presso le scuole degli scolopi, si iscrisse alla facoltà di medicina di Genova, dove si laureò nel 1888, divenendo assistente presso l'istituto di anatomia patologica di Genova.

Nel 1889-90 frequentò gli istituti di chimica biologica e di clinica medica di Praga. Nel periodo 1891-98 fu dapprima assistente e poi aiuto nell'istituto di clinica medica di Genova, diretto da E. Maragliano. Nel 1895 vinse il concorso di primario medico negli ospedali civili di Genova e ottenne il giudizio di maturità nel concorso per la cattedra di patologia medica di Palermo. Nel 1897 conseguì la libera docenza in clinica medica generale e nel 1898 in patologia medica; nel 1899 ottenne il giudizio di maturità nel concorso per la cattedra di patologia medica dell'università di Napoli. Nell'anno accademico 1899-1900 venne nominato straordinario di patologia medica nell'università di Pavia e nel 1902 ordinario. Nel 1904 vinse il concorso per la cattedra di clinica medica dell'università di Messina, ma rifiutò per rimanere a Pavia, dove aveva in corso ricerche e iniziative in collegamento con Milano.

Tra le sue pubblicazioni di questi anni, svolse il capitolo Malattie dei reni nel Trattato italiano di patologia e terapia di A. Cantani - E. Maragliano (V, Milano s.d., pp. 175-392), e quello delle Malattie del fegato, della milza, del pancreas, della vena-porta e del peritoneo nel Trattato completo di patologia e terapia speciale medica (Milano s.d.) di A. De Giovanni. In questo periodo pubblicò un Manuale di tecnica medica (I-II, Milano 1900, ripubblicato nel 1926 con la collaborazione di L. Preti).

Di formazione positivista (sono rinvenibili le influenze del filosofo belga Hector Denis) e allievo del Maragliano (il clinico che aveva studiato la diversa incidenza delle malattie a seconda delle classi sociali), il D. indagò a fondo la patologia legata alle condizioni socioeconomiche dei lavoratori. Già in quel periodo comparvero i primi studi relativi alla medicina del lavoro, che avrebbero caratterizzato tutta l'attività scientifica e pratica del D.: partendo dalle ricerche sulla patologia di un ambiente di lavoro particolarmente insalubre quale la risaia, egli ne studiò le implicazioni sanitarie quali la patologia e la clinica della pellagra e della malaria, le pancreatiti, la patologia digestiva legata alle carenze alimentari, le cloroanemie, i deperimenti organici.

Le pionieristiche e, nella pratica clinica del tempo, inedite escursioni sul territorio circostante dell'istituto di patologia di Pavia segnarono l'inizio di un'attività volta a creare uno stabile legame tra un'istituzione e la morbilità socialmente prevalente in Lombardia: nacque così, con un sussidio della Cassa di risparmio di Milano, il reparto pellagrosi annesso all'istituto con conseguente ampliamento dell'attività didattica.

Contemporaneamente al corso di patologia medica, il D. tenne a Pavia un corso libero di malattie professionali e organizzò un corso sulla pellagra. Nel 1901 organizzò corsi popolari di igiene professionale a Pavia e Milano, di patologia e clinica della pellagra a Mantova, dove, con il sostegno della Deputazione provinciale, fondò un centro stabile per l'insegnamento sulla pellagra. Altri corsi sullo stesso argomento avrebbe svolto a Rovereto, dal 1905 al 1914, su invito del governo austriaco.

Le sollecitazioni provenienti da parte del mondo del lavoro e la nuova attenzione che i problemi sociali della salute trovarono nella sensibilità del ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, il medico G. Baccelli (che lo invitò a far parte della Commissione per lo studio dell'assicurazione degli operai contro le malattie professionali), indussero il D. ad allargare il campo d'intervento: fondò nel dicembre 1901 la rivista bimestrale Il Lavoro (poi La Medicina del lavoro), la prima rivista di fisiologia, clinica e assistenza sociale del lavoro, edita innanzitutto per diffondere tra i medici la conoscenza del problema.

Si andavano contemporaneamente chiarendo i fondamenti teorici dell'iniziativa del D.: in una situazione in cui lo sviluppo industriale italiano era stato accompagnato soltanto, nel migliore dei casi, da un intervento legislativo volto alla tutela e al risarcimento relativi agli incidenti sul lavoro, egli estese il concetto di malattia del lavoro a tutte le condizioni morbose pur non direttamente causate dalla specifica attività lavorativa ma favorite da fattori in qualche modo a questa correlati come la insufficiente alimentazione, il prolungato orario di lavoro, le disagiate condizioni salariali, l'ambiente malsano, le condizioni abitative, la mancata osservanza delle norme igieniche. E poiché la patologia del lavoro nasce dal conflitto fra le esigenze produttive e le condizioni dei lavoratori che debbono provvedervi, la malattia professionale divenne per il D. sinonimo di malattia sociale.

Questo atteggiamento non aveva un fondamento ideologico-politico classista (del resto, ben scarsa era stata sin allora l'attenzione del movimento socialista ai problemi della salute), ma era consapevolmente funzionale al progetto giolittiano di "ordinato progresso civile" che prevedeva - e in ciò la novità di quella fase politica - l'integrazione delle classi lavoratrici in un quadro di sviluppo economico e sociale, anche al costo di comprimere talora il profitto, in nome di una visione meno angusta dell'interesse della produzione e al fine di rimediare ad alcune delle più stridenti e costose contraddizioni dell'organizzazione capitalistica del lavoro.

"Consideriamo pure l'uomo - scriveva il D. - da un punto di vista materiale: il malato che mangia, richiede cure e non produce è una forte passività per una società. Chi può calcolare il minore lavoro esplicato annualmente dai nostri malarici, dai nostri pellagrosi, dai saturnini, dai tubercolotici e via dicendo? ... se le malattie fanno lagrimare l'animo nostro ... turbano l'economia e la fortuna materiale di una nazione" (Patologia e clinica del lavoro, Pavia 1902, p. 18): posizione, questa, che coincideva con quella espressa da alcuni settori industriali lombardi (soprattutto della grande industria) che già si erano mostrati sensibili ai problemi della sicurezza sul lavoro e sostennero l'iniziativa del D. (cfr. R. Romano, Gli industriali e la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Salute e classi lavoratrici..., 1982, pp. 129-145, soprattutto p. 134).

La rivista contribuì ad allargare l'area d'ascolto delle teorie e delle ricerche del D., che iniziarono presto ad avere un certo credito anche a livello governativo e legislativo. Fin dal dicembre 1902 il D. sollecitò l'istituzione a Milano di una clinica delle malattie professionali che, approvata dall'Associazione medica lombarda nella prospettiva della riforma degli istituti clinici di perfezionamento operata da L. Mangiagalli, fu deliberata dalla giunta comunale (giunta di sinistra guidata dal sindaco radicale G. Mussi) e finalmente votata dal Parlamento con legge 5 luglio 1905. Nel giugno 1906 il D. organizzò a Milano il I congresso internazionale per le malattie del lavoro (Atti..., Milano 1906), che promosse la commissione internazionale per le malattie professionali in cui furono rappresentate le maggiori nazioni europee e americane (la sezione italiana, presieduta dal D., avrebbe provveduto ai congressi nazionali annuali). In quell'occasione il D. annunciò di aver ricevuto dal Comune di Milano l'incarico dell'organizzazione della nuova clinica.

Nelle intenzioni del D. la clinica del lavoro (come si sarebbe chiamata) avrebbe dovuto formare i medici alle nuove metodologie di indagine e di terapia, istruire il personale sanitario degli stabilimenti industriali e dei servizi pubblici, fornire l'assistenza sanitaria, le informazioni preventive e la documentazione degli stati morbosi ai lavoratori, integrare l'attività clinica, didattica e preventiva con l'intervento sociale a favore delle classi lavoratrici, giovandosi del concorso dei lavoratori quanto di quello degli imprenditori.

Nel 1908 il D. si trasferì come ordinario di clinica delle malattie professionali presso gli istituti clinici di Perfezionamento di Milano (la facoltà di medicina fu istituita nel 1924), città nella quale avrebbe terminato nel 1935 la carriera accademica. L'anno stesso prese a funzionare, affidato ai medici Ciovini e Carozzi, un servizio di informazioni professionali che, oltre all'attività ambulatoriale, organizzò le prime statistiche della morbilità del lavoro.

Prima ancora che iniziasse l'attività vera e propria della clinica i collaboratori del D. intervennero in alcune vertenze (verniciatori, operaie di una fabbrica di stagnola) nelle quali denunciarono, con pubblicazioni sul Lavoro e opuscoli, l'uso della biacca come causa del saturnismo; presso i lavoratori dell'industria serica per appurare l'origine dei frequenti stati di cloroanemia, e poi, dopo l'inaugurazione della clinica, presso gli operai tipografi, su richiesta delle organizzazioni sindacali.

L'inaugurazione della clinica, situata in via S. Barnaba a Milano, ebbe luogo nel marzo 1910 (alla realizzazione contribuirono la Cassa di risparmio e un gruppo di industriali milanesi tra i quali Pirelli, Cantoni, Gnecchi). L'attività del D. crebbe così in influenza ed efficacia: gli ambulatori e le corsie accolsero numerosi gli operai in cerca di diagnosi o di cura; si intensificarono gli interventi negli ambienti di lavoro per il rilievo degli inquinamenti ambientali e delle misure preventive; si organizzarono corsi rapidi, semestrali o annuali -, per la trattazione delle malattie professionali e a carattere sociale; per l'insegnamento popolare fu istituito un museo di igiene e patologia del lavoro.

La clinica, la cui realizzazione si era scontrata all'inizio con gli atteggiamenti conservatori di parte dell'ambiente medico lombardo, ebbe fin dai primi tempi una larga risonanza in campo nazionale e internazionale; essa fu oggetto di studio ed ebbe riconoscimenti e numerose imitazioni in Italia e all'estero.

Durante la prima guerra mondiale, la clinica venne trasformata prima in ospedale militare, quindi in asilo per i bambini profughi dal Veneto; furono organizzati corsi di igiene e pronto soccorso e pubblicati quaderni e volantini, costituiti gruppi di propaganda e, dopo Caporetto, venne creata l'Unione universitaria Pavia-Milano per la resistenza e la vittoria. In particolare il D., consulente medico del III corpo d'armata, si interessò alle malattie belliche e promosse ricerche e studi per attenuare la morbilità dei soldati.

Tranquilli furono i rapporti del D. con il fascismo (accettò nel 1923 la tessera ad honorem che gli conferì la federazione fascista di Mantova); anzi il regime non lesinò prestigiosi riconoscimenti personali al fondatore di un'istituzione la cui fama travalicava largamente i confini nazionali: nell'aprile del 1929 il D. fu chiamato a far parte del rettorato provinciale di Milano e il 24 febbr. 1934 - su proposta di Mussolini - venne nominato senatore per i meriti in campo scientifico, sociale e organizzativo. Per parte sua il D., oltre a intitolare alla Carta del lavoro il convalescenziario di Salice (1931), non mancò di magnificare provvedimenti quali il regolamento di igiene industriale e l'assicurazione obbligatoria per le malattie del lavoro in cui riconobbe echi delle proprie elaborazioni e dei propri sforzi.

Nel gennaio 1930 la clinica ricevette in donazione un'area di 11.000 mq presso la stazione climatica di Salice, dove fu eretto un convalescenziario (del quale la clinica era priva) con 90 posti letto, e nel 1935 fu realizzato per ragazzi gracili dai 7 ai 14 anni l'asilo-collegio sul monte Zatta, presso Chiavari.

Dal maggio 1906 e fino al 1929 il D. fu membro del Consiglio superiore della sanità; nello stesso 1906 fece parte della Commissione per l'assicurazione contro tutte le malattie. Nel febbraio 1922 venne nominato membro effettivo del R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Dal 1920 al 1931 fu presidente della Società italiana di idroclimatologia, talassografia e terapia fisica. Nel 1929 venne fondata la Società italiana di medicina del lavoro e il D. ne fu eletto presidente, carica che mantenne fino alla morte. Fu inoltre consulente igienista dell'Associazione internazionale di Basilea per la protezione legale dei lavoratori, presidente della Commissione internazionale permanente per la medicina del lavoro, presidente della sezione di medicina del lavoro presso il Consiglio nazionale delle ricerche, membro del Consiglio superiore di previdenza.

Alla sua scuola si formarono insigni studiosi quali M. Aresu, M. Ascoli, D. Cesa Bianchi, F. Perussia, L. Preti, L. Carozzi, C. Moreschi. Tra le altre opere, diresse il Trattato della tubercolosi, I-V, Milano 1931-32, e pubblicò Medicina del lavoro. Conferenze, lezioni, scritti…, ibid. 1935, e Per le vie della Liguria, ibid. 1935. La clinica del lavoro della facoltà medica di Milano è ancora operante e la sua pubblicazione è tutt'ora La Medicina del lavoro.

Il D. morì a Milano il 20 luglio 1936.

Fonti e Bibl.: Necrol., in La Medicina del lavoro, XXVI (1936), 7, pp. 194-210; Riforma medica, 1º ag. 1936, pp. 1071 s.; Rassegna della previdenza sociale, luglio 1936, pp. 47 s. Cfr. inoltre: G. Aiello, La nomina a senatore di L. D., in Riv. di idroclimatologia, talassografia e terapia fisica, II (1934), pp. 5-12; G. P. Arcieri, Figure della medicina contemp. it., Milano 1952, ad Indicem; S. Maugeri, Sviluppi e compiti della medicina del lavoro, in Folia medica, XXXIX (1956), pp. 197-216;L. Belloni, La medicina a Milano dal Settecento al 1915, in Storia di Milano, XVI, Milano 1962, pp. 1022 s. (con ulteriore bibliogr.); E. C. Vigliani, L. D. e la clinica del lavoro di Milano, in La Medicina del lavoro, LVI (1965), pp. 411-418 (altri interventi celebrativi del centenario della nascita alle pp. 401-411); D. Casula, Commem. di L. D. nel 70º anniversario del I corso ufficiale di medicina del lavoro, in Lavoro umano, XXIV (1972), pp.65-72; A. Carbonini, L. D. e la clinica del lavoro di Milano, in Salute e classi lavoratrici in Italia dall'Unità al fascismo, a cura di M. L. Betri-A. Gigli Marchetti, Milano 1982, pp. 489-516;G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia, Roma-Bari 1987, ad Indicem; Enc. Ital., App. I, Roma 1949, p. 513; J. Fischer, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte... [1880-1930], I, p. 312.

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