PELLOUX, Luigi Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PELLOUX, Luigi Girolamo

Costanza D'Elia

PELLOUX, Luigi Girolamo. – Nacque a La Roche (oggi La Roche-sur-Foron), un piccolo centro nell’Alta Savoia, il 1° marzo 1839 da François-Joseph e Virginie Laffin.

Il padre (1799-1866), di professione medico, prese parte ai moti del 1821 e per tale ragione fu esiliato in Francia; rientrato in Savoia nel 1828, fu sindaco (poi maire) di La Roche dal 1841 fino alla morte e deputato al Parlamento sardo per due legislature dal 1857 al 1860 in rapresentanza del collegio di Bonneville.

Secondogenito quindi di un’importante famiglia borghese, il giovane Luigi, che aveva perso la madre all’età di due anni, ricevette una buona educazione in Savoia, ma ben presto, influenzato anche dalle scelte del fratello Leone, fu attratto dalla vita militare.

Il racconto della sua vita, dei suoi studi, della sua carriera nell’esercito e nella vita politica venne affidato alle pagine di uno scritto autobiografico, edito da Gastone Manacorda quarant’anni dopo la sua morte con il titolo Quelques souvenirs de ma vie (Roma 1967).

Dall’ottobre 1852 all’agosto 1857 studiò alla prestigiosa Scuola militare di Torino e poi alla Scuola d’applicazione. In quegli anni, grazie alle amicizie familiari, partecipò alla vita mondana della capitale e fu vicino agli ambienti della corte. Nel 1857 entrò nell’esercito sabaudo come sottotenente di artiglieria.

Quando la Savoia e Nizza furono cedute alla Francia nel marzo 1860, il padre François-Joseph, favorevole all’annessione, lasciò il Parlamento sabaudo e divenne cittadino francese, mentre i due figli optarono per la cittadinanza italiana, scegliendo di vivere a Torino.

Come ufficiale di artiglieria Pelloux partecipò alla seconda e alla terza guerra d’indipendenza, prendendo parte alla battaglia di Custoza nel 1866. In seguito, fu in servizio a Crema, dove nel 1868 sposò la nobildonna Caterina Terni de Gregory, con la quale ebbe tre figli: Alberto (1868-1948), il primogenito, fu un noto mineralogista, professore all’Università di Genova e direttore del Museo civico di storia naturale. Pelloux fu poi a Pavia, dove divenne ufficiale superiore, e, infine, a Firenze. Nel settembre 1870 partecipò alla spedizione italiana per la liberazione di Roma ed ebbe il comando dei cannoni che aprirono la breccia di Porta Pia.

Nei Souvenirs vergò questa testimonianza di prima mano sull’episodio: «Toutes les divisions (il y en avait 5) avaient l’ordre d’ouvrir le feu avec leur artillerie, contre différents points de l’enceinte; plus pour faire du bruit, et attirer de plusieurs côtés l’attention de la garnison, que pour chercher à faire brèche; car il était bien entendu, pour tout le monde que la brèche serait pratiquée par l’artillerie de réserve, la mienne, la seule du reste qui eût des pièces assez puissantes pour être sûrs qu’elle aurait renversé tous les obstacles qu’on pouvait rencontrer. À peine arrivé en position, quelques minutes aprés 5 heures et demie, je fis ouvrir le feu. L’ordre que j’avais reçu était: de tâcher de faire brèche dans le mur d’enceinte, compris entre Porta Pia, et Porta Salaria, et plus précisément, à droite du premier torrione qui se trouve à droite de Porta Pia. Je fis de mon mieux pour exécuter l’ordre reçu; et en moins de 4 heures, chaque pièce ne devant tirer qu’un coup toutes les 5 minutes, une large brèche était ouverte, qui pouvait donner passage aux colonnes d’assaut. Nous avions tiré en tout 845 obus» (p. 85).

Membro dello stato maggiore, Pelloux iniziò una rilevante carriera nella struttura politico-amministrativa dell’Esercito italiano e poi del ministero della Guerra. Nel 1872 pubblicò sulla Rivista militare un importante studio sul rapporto tra l’eventuale mobilitazione delle truppe e l’allevamento e la produzione di cavalli, poi stampato anche in estratto (Della questione equina in Italia considerata sotto il punto di vista della mobilitazione dell’esercito, Roma 1872). Fu direttore dell’Accademia militare di Torino dal 1873 al 1876 e ricoprì l’incarico di aiutante di campo onorario del re Vittorio Emanuele II.

Fra il 1879 e il 1880 iniziò una fitta collaborazione con la rivista L’Italia militare, su cui pubblicò numerosi interventi, senza firmarsi: gli articoli furono raccolti nel volume Appunti sulle nostre condizioni militari (Roma 1880). Nel 1879 fu in missione in Russia, dove visitò San Pietroburgo e varie altre città, in Polonia e in Germania. Dal 1880 al 1884 fu segretario generale del ministero della Guerra. Entrato in politica su invito di Benedetto Cairoli, fu eletto nel 1881 e nel 1892 per il collegio uninominale di Livorno II, mentre dal 1882 al 1892 – durante l’intermezzo dello scrutinio di lista – fu deputato per la circoscrizione plurinominale di Livorno. Per tre anni, dal 1884 al 1887, comandò la brigata di Roma, mentre nel 1895 fu designato comandante del V corpo d’armata a Verona e, per decreto reale, fu posto a capo della 3a armata in caso di guerra.

Fu ministro della Guerra nel primo (9 febbraio 1891 - 15 maggio 1892) e nel terzo (11 luglio 1896 - 14 dicembre 1897) governo di Rudinì e nel primo governo Giolitti (15 maggio 1892 - 28 novembre 1893). La sua chiamata al governo fu accolta con favore da molti intellettuali che confidavano nel suo liberalismo rispetto alle idee retrive che si manifestavano senza molta prudenza fra i militari.

Tuttavia, Vilfredo Pareto, in un articolo apparso sul Giornale degli economisti nel 1893, espresse tutta la propria insoddisfazione per l’azione di un ministro che si era presentato come un avversario della conservazione: «L’opera del ministro Pelloux è nota. Salito al potere con fama di uomo moderno, d’uomo capace di affrontare le più alte idealità e di combattere per esse col più strenuo ardore, fu, dopo pochi mesi di potere, oggetto della più grande disillusione che si possa immaginare. Attivo e intelligente egli si fidò delle sue forze e del suo ingegno come l’uccello si fida delle sue ali. Librossi a voli altissimi, e dalle supreme altezze mal gli riuscì di discernere l’opera di discrasia generale che si preparava nel bel mezzo dell’organismo a lui affidato» (in V. Pareto, Cronache italiane, a cura di C. Mongardini, Brescia 1965, p. 125). In un intervento precedente, Lettre d’Italie. La crise ministérielle. Persécution contre les économistes libéraux, apparso in Le Monde économique del 23 aprile 1892, aveva approvato la dura opposizione del ministro delle Finanze Giuseppe Colombo contro le scelte e i nuovi stanziamenti per l’esercito richiesti da Pelloux (in V. Pareto, Lettres d’Italie, a cura di G. De Rosa, Roma 1973, pp. 441-444).

Lo scontro fra i due fu una delle cause della caduta del ministero di Rudinì il 15 maggio di quell’anno. Nel discorso tenuto agli elettori di Livorno il 20 ottobre 1892, mentre era nuovamente ministro della Guerra nel gabinetto Giolitti, caduto a seguito del clamoroso scandalo della Banca Romana, Pelloux ribadì le ragioni delle sue scelte e delle difficoltà incontrate nel precedente governo.

Nel 1896 sia lui sia il fratello Leone, generale di corpo d’armata a Genova, entrarono a far parte del Senato. Erano anni complicati per la politica del Regno sabaudo dal punto di vista sia interno sia internazionale. Il 1° marzo 1896 Oreste Baratieri e i suoi soldati furono massacrati ad Adua e il quarto governo Crispi (14 giugno 1894 - 5 marzo 1896) dovette immediatamente dimettersi; seguirono momenti difficilissimi e si tentò di uscire dalla crisi affidandosi nuovamente a di Rudinì, che in successione, fra il 10 marzo 1896 e il 1° giugno 1898, presiedette tre ministeri. Il generale savoiardo anche in quella circostanza tragica manifestò il suo antiafricanismo motivandolo sia sul piano tecnico e amministrativo sia dal punto di vista delle sue concezioni politiche, fedeli alla «monarchia costituzionale prodotta dal Risorgimento» (G. Manacorda, Introduzione a Quelques souvenirs de ma vie, cit., p. LV).

Nel secondo governo di Rudinì fu chiamato per la terza volta a ricoprire la carica di ministro della Guerra: «Je me trovais à Venise, en visite d’inspection, quand un matin au moment où je sortais de l’Hôtel, on me remit une dépéche, renvoyée à moi de Vérone, qui était du Marquis de Rudinì, et qui commençait per ces mots: Decifri da sé (déchiffrez vous même). On m’appelait à Rome, et l’on me priait de partir immédiatement» (Quelques souvenirs de ma vie, cit., p. 168). Lasciato il governo nel dicembre 1897, divenne comandate di corpo d’armata prima a Firenze e sucessivamente a Roma, dove giunse nel marzo 1898 il giorno dei funerali di Felice Cavallotti, ucciso in duello dal deputato Ferruccio Macola.

Durante il maggio del 1898, mentre molte città erano sconvolte da assembramenti popolari e moti di piazza, fu inviato alla prefettura di Bari in qualità di commissario regio, con poteri straordinari su tre compartimenti meridionali. In quella veste si oppose alla proclamazione dello stato di guerra in tutte le province della Puglia, della Basilicata e della Calabria. In quello stesso periodo iniziò a circolare con insistenza la notizia di una sua imminente chiamata alla guida del governo. Il re Umberto I, dopo aver sondato Gaspare Finali, Giuseppe Saracco ed Emilio Visconti Venosta nonché il generale Cesare Ricotti Magnani, vero obiettivo del partito di corte, gli affidò l’incarico di formare un dicastero. Nel corso della XX legislatura presiedette due gabinetti: dal 29 giugno 1898 al 14 maggio 1899 e dal 14 maggio 1899 al 24 giugno 1900. Tenne per sé il ministero dell’Interno in entrambi, mentre nel secondo fu anche ministro della Guerra. La chiamata di Pelloux, ritenuto vicino alla Sinistra parlamentare, servì «per far passare le leggi volute dalla Destra» (Levra, 2001, p. 180). Per mezzo dei governi di Rudinì, la corona voleva imporre una politica autoritaria e sperava di proseguirla con il nuovo gabinetto. Il primo ministero Pelloux, al lavoro dal 15 luglio 1898, apparì quanto mai deciso a proseguire sulla strada della repressione. I tragici fatti di Milano del maggio 1898 avevano determinato le condizioni per una possibile e definitiva svolta autoritaria. Il direttore del Corriere della sera Eugenio Torelli-Viollier aveva scritto il 3 giugno 1898 al vecchio meridionalista Pasquale Villari: «siamo in pieno colpo di Stato fatto a beneficio della borghesia contro il popolo» (cit. in Villari, 1967, p. 548).

La politica conservatrice sul modello prussiano imposta dai governi fra il 1897 e il 1900 tendeva all’abolizione della libertà di espressione e a limitare i poteri parlamentari ma, secondo parte della storiografia, la tesi di un tentativo di colpo di Stato, così come sostenuta da taluni osservatori contemporanei e da studiosi come Umberto Levra (1975), è apparsa ad altri storici discutibile (Ragionieri, 1976; Cammarano, 1999; Malatesta, 2001).

Il 4 febbraio 1899 il governo presentò alla Camera il disegno di legge sui «provvedimenti politici», detti dalle opposizioni «provvedimenti cosacchi» (Levra, 1975, p. 299), che inasprivano le leggi sulla pubblica sicurezza e sulla libertà di stampa rispetto alle misure temporanee, imposte da Crispi, di Rudinì e dallo stesso Pelloux. Quei provvedimenti passarono anche con il voto della Sinistra liberale guidata da Giuseppe Zanardelli e da Giovanni Giolitti, mentre radicali, repubblicani e socialisti restarono fermamente contrari, interpretando gli umori maggioritari dell’opinione pubblica. In seguito ai contrasti con il governo cinese e la pessima figura fatta con la Gran Bretagna dopo l’ultimatum della baia di San-Mun – conseguenza d’improvvisazione e scarsa conoscenza delle questioni internazionali, che si rivelò un vero disastro per la diplomazia italiana già provata dai fallimenti nel continente africano – il presidente del Consiglio, anziché affrontare il richiesto dibattito in Parlamento, dove probabilmente sarebbe uscito sconfitto, si dimise; il re subito lo reincaricò. Il nuovo ministero fu decisamente spostato a destra perdendo di conseguenza il possibile appoggio del fronte meno intransigente della Sinistra: Visconti Venosta, indicato da Sidney Sonnino, Antonio Salandra, Giuseppe Mirri e poi Coriolano Ponza di San Martino ne costituirono il solido fronte conservatore. Pur non accettando in prima persona il dicastero degli Esteri, il vero ispiratore del governo fu Sonnino, principale sostenitore del decreto-legge sui «provvedimenti politici» emanato il 22 giugno 1899, utilizzando una serie di artifici procedurali, allo scopo di ridurre notevolmente le libertà personali e quelle di espressione.

Nei Souvenirs, Pelloux evidenziò che l’accordo era stato collegiale e che avevano accettato di sostenere il decreto anche i ministri Guido Baccelli e Pietro Lacava, indicati dalla Sinistra. Egli continuò quindi a trovare ingiustificati i motivi della forte contestazione parlamentare: «Ce décret royal portait que si le 20 juillet 1899, le projet de loi sur les mesures politiques n’avait pas encore obtenu la sanction du Parlament, ces mesures entreraient de plein droit en vigueur. Bien libre toutefois, le Parlement d’y porter toutes les modifications qu’il reconnaîtrait opportunes. O ciel, ouvre toi!! Qui pourra jamais dire le déchaînement de la violence et tous les anathèmes lancés contre nous! L’horizon politique s’obscurcit de plus en plus» (p. 197). Nel ricordare quelle complicate giornate non mancarano anche aspre critiche verso i saboteurs, coloro che avevano, a suo parere, capeggiato la rivolta contro la Camera, il suo presidente e il governo, ma soprattutto «contre le bon sense, et contre la dignité!» (p. 200).

L’estrema sinistra, guidata dal radical-repubblicano Edoardo Pantano, ricorse alla tecnica dell’ostruzionismo parlamentare e costrinse il governo a chiudere frettolosamente i lavori al termine della seduta pomeridiana del 30 giugno 1899: «Le soir même de cette jounée honteuse un décret Royal fermait la deuxieme Session de la XXème Législature; le 30 juin 1899. Puis, les vacances!» (p. 198).

Durante il forzato periodo di inattività della Camera, che fu riaperta solo il 14 novembre, fu reso operativo il decreto al fine di attuare tutti i provvedimenti liberticidi voluti dalla Destra: le opposizioni impugnarono l’atto presso la seconda sezione penale della Corte di cassazione di Roma, che il 20 febbraio del 1900 lo dichiarò inapplicabile, essendo intervenuta la chiusura della sessione parlamentare prima della conversione in legge del decreto stesso. A Milano intanto, traumatizzata dalle cannonate di Bava Beccaris, i partiti dell’estrema sinistra vinsero per la prima volta le elezioni amministrative ed elessero sindaco un radicale, Giuseppe Mussi, padre del giovane studente Muzio Mussi ucciso a Pavia dalle forze dell’ordine.

Un anno dopo il secondo ministero Pelloux presentò nuovamente il tanto discusso decreto sui «provvedimenti politici», sfidando l’ostruzionismo dell’estrema sinistra. Le convulse sedute parlamentari della primavera del 1900, rese ancora più confuse per la mancanza di autorità del presidente della Camera, il conservatore Colombo, divennero sempre più violente. La tensione altissima e la pressione dell’opinione pubblica finalmente costrinsero il governo e i partiti di Destra a ritirare il disegno di legge; a quel punto il gabinetto Pelloux dovette dimettersi. Il 18 maggio fu sciolta la Camera e vennero fissate le elezioni per il 3 e il 10 giugno 1900. Il voto sancì la sconfitta delle politiche reazionarie e premiò i partiti di Sinistra soprattutto al Nord. Pur conservando ancora una maggioranza in Parlamento, Pelloux preferì passare la mano. Su sua indicazione Umberto I diede l’incarico a Saracco.

La devastante notizia dell’uccisione del re a Monza il 29 giugno 1900 lo raggiunse a Wengen in Svizzera all’alba del giorno successivo. Chiuse la carriera da generale di corpo d’armata nella sua Torino all’età di sessantaquattro anni: nel 1905 su sua richiesta, Pelloux fu collocato a riposo con il grado di tenente generale.

Continuò a essere presente nel dibattito politico su questioni relative all’esercito nei primi anni del secolo nell’aula del Senato e fece sentire la sua voce durante la guerra libica nel 1911-12: sostenne l’‘impresa’ militare senza, tuttavia, condividere le scelte colonialiste di Giolitti, del quale fu sempre fiero avversario. Anche se a malincuore, durante la Grande Guerra prese atto della fine della Triplice alleanza; quindi sostenne con convinzione le scelte di Salandra, già ministro di Agricoltura, Industria e Commercio nel suo secondo gabinetto. Negli ultimi anni, spostatosi su posizioni sempre più nazionaliste e cattolico-conservatrici, ritenne che i valori della Destra erano ormai destinati a essere vincenti sul giolittismo e ogni forma di avventurismo rivoluzionario.

Morì a Bordighera il 26 ottobre 1924.

Scritti e discorsi. Oltre ai testi citati, si segnalano: Discorsi del deputato P. pronunziati alla Camera dei Deputati nelle tornate delli 28 e 30 aprile 1882 sul riordinamento dell’esercito, Roma 1882; L’onorevole L. P. agli elettori del collegio di Livorno nelle elezioni generali del 23 novembre 1890, Livorno 1891; Discorso dell’onorevole L. P. agli elettori di Livorno, Roma 1892 (rist. anast. Bologna 1972); Progetto di legge presentato dal ministro della guerra (P.) nella tornata del 22 dicembre 1891. Codice penale per il regio esercito italiano, Roma 1892; Discorsi pronunciati al parlamento del Regno nella discussione del bilancio della Guerra, esercizio 1893-94, Roma 1893; Discorso pronunciato alla Camera il giorno 8 maggio 1894 discutendosi il bilancio della Guerra, Roma 1894; Discorsi del senatore L. P. pronunziati in Senato nelle tornate del 27 e 30 giugno 1903, Roma 1903; Discorso pronunziato in Senato nella tornata del 29 giugno 1905, Roma 1905; Lettera del senatore P. al Presidente del Senato e lettera aperta agli onorevoli senatori, Roma 1912.

Fonti e Bibl.: Le carte Pelloux sono conservate presso la famiglia a Bordighera. Uno dei documenti più interessanti, oltre all’epistolario, è costituito dai tre manoscritti dei Souvenirs. La stesura definitiva è quella citata sopra, pubblicata nel 1967 a cura e con introduzione di Gastone Manacorda; a essa si rinvia per un ulteriore approfondimento della sua biografia. Necrologi, La morte del gen. L. P., in Corriere della sera, 28 ottobre 1924; La morte del sen. L. P., in La Stampa, 28 ottobre 1924.

V. Caravella, Il generale L. P. Cenni biografici, Giarre 1885; G.B. Gifuni, Fu reazionaria la politica del P. ?, in Il Risorgimento, XIII (1961), 2, pp. 106-110; E. Frattini, I ministeri P. e l’ostruzionismo parlamentare, in Montecitorio. Rivista di studi parlamentari, III (1963), 1-2, pp. 13-27; L. Villari, I fatti di Milano del 1898. La testimonianza di Eugenio Torelli-Viollier, in Studi storici, IX (1967), 3, pp. 534-549; A. Moscati, P. presidente del Consiglio, in Rassegna storica del Risorgimento italiano, LV (1968), 1, pp. 3-19; Storia del Parlamento italiano, X, Dalla guerra d’Africa all’accordo di Racconigi, a cura di F. Brancato, Palermo 1973, ad ind.; U. Levra, Il colpo di stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo 1896-1900, Milano 1975, ad ind.; A. Canavero, Milano e la crisi di fine secolo (1896-1900), Milano 1976, ad ind.; A. Moscati, I ministri del Regno d’Italia, VI, Roma 1976, pp. 187-213; E. Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, IV, 3, Torino 1976, pp. 1844-1846; M. Doglio, P., il ministero dell’Interno e la crisi di fine secolo, in Nuova rivista storica, LXI (1977), 3-4, pp. 307-332; R. Cambria, Alle origini del Ministero Zanardelli-Giolitti. L’ordine e la libertà, Perugia 1989-90, ad ind.; R. Romanelli, L’Italia liberale, Bologna 1990, pp. 365, 369 s.; R. Cecchini, Il potere politico a Livorno. Cronache elettorali dal 1881 al fascismo, Livorno 1993, pp. 17, 36-38, 43 s., 47 s., 57 s., 60, 72-75, 87, 99, 126 s., 153, 156 s.; F. Cammarano, Storia politica dell’Italia liberale. L’età del liberalismo classico, 1861-1901, Roma-Bari 1999, ad ind.; P. Colombo, Storia costituzionale della monarchia italiana, Roma-Bari 2001, pp. 81 s.; U. Levra, Il Parlamento nella crisi di fine secolo, in Storia d’Italia. Annali 17, Il Parlamento, a cura di L. Violante con la collaborazione di F. Piazza, Torino 2001, pp. 163-195; M. Malatesta, Introduzione, in Cheiron, 2001, n. 35-36, n. monografico: La morte del re e la crisi di fine secolo, pp. 43-83; F. Rossi, Saggio sul sistema politico delll’Italia liberale. Procedure fiduciarie e sistema dei partiti fra Otto e Novecento, Soveria Mannelli 2001, pp. 55, 57 s., 105-108, 115; L. Lacché, La lotta per il regolamento: libertà politiche, forma di governo e ostruzionismo parlamentare. Dalle riforme Bonghi al regolamento Villa del 1900, in Giornale di storia costituzionale, 2008, vol. 15, pp. 35-52; I. Rosoni, 3 aprile 1900. L’Aventino di Zanardelli, Bologna 2009, ad indicem. Si vedano inoltre: Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/luigi-girolamo-pelloux-18390301#nav (24 gennaio 2015); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/P_l2?OpenPage (24 gennaio 2015).

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