GIUGLARIS, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIUGLARIS (Juglaris), Luigi

Andrea Merlotti

(Juglaris), Nacque a Nizza Marittima nel 1607, da famiglia che sembra appartenesse alla piccola nobiltà locale e che risiedeva nel Nizzardo almeno dal XVI secolo (il cognome si trova anche nella forma Giugularis).

L'11 ag. 1566 un Domenico Giuglaris veniva infeudato di Belvedere da Emanuele Filiberto di Savoia, e in seguito diversi esponenti della famiglia ricoprirono incarichi nell'amministrazione locale: un Clemente Giuglaris (morto attorno al 1690) fu commissario delle ricognizioni a Nizza; un Pietro Giuglaris (1634-89) fu membro, negli anni Ottanta, del Senato cittadino.

Nulla è noto del padre del G., Pietro, già morto nel 1636, anno in cui il G. cedette beni dell'eredità paterna a un fratello minore, Scipione. Entrato nella Compagnia di Gesù il 15 ott. 1622, trascorse i due anni di noviziato in una casa di probazione del Genovese. Nell'ottobre del 1624 si trasferì a Milano, ove completò il curriculum previsto dalla ratio studiorum. Terminati gli studi di retorica (1624-26) e di filosofia (1626-28), nel 1629 il G. fu inviato come docente di retorica e matematica prima nel collegio di Mondovì, ove rimase sino al 1630, poi in quello di Torino, ove il padre Pierre Monod (rettore del convitto torinese, ascoltato consigliere di Vittorio Amedeo I di Savoia) ne apprezzò l'"ingenium optimum" e lo "studium bonum", stimandolo tuttavia "mediocris" quanto a "prudentia et experientia". Lo stimò inoltre di "Complexio impetuosior, cui tamen pro ætate satis moderatur, aptus ad omnia quia studiosissimus". Nel 1633 il G. venne richiamato a Milano per iniziare i quattro anni di studi teologici che concludevano il ciclo della ratio. Rientrato a Torino nel 1635, nel 1637 fu ordinato sacerdote, continuando fino al 1639 l'insegnamento della retorica, cui avrebbe alternato in un secondo tempo quello della logica. Il ritorno nella capitale sabauda permise al G. di esprimere al meglio la propria abilità oratoria. Con l'uscita dall'Ordine di E. Tesauro e di P.P. Orengiano (rispettivamente nel 1635 e 1636) e la cattura da parte francese del Monod (1639) egli rimase il migliore e più richiesto oratore fra i gesuiti piemontesi.

A questi anni risale la stesura di panegirici, quali: Lucifero trionfato (letto il 17 genn. 1636 nella chiesa di S. Antonio Abate a Chieri); Il legato principale nell'eredità terrena lasciata da Cristo in terra (celebrazione della Sindone, presentata l'ultimo venerdì di marzo nel duomo di Torino); La Margarita sfiorita (componimento in morte della marchesa di Tournon, letto a Torino il 17 marzo 1637); La principessa di Masserano e Il nuovo Trismegisto (panegirici letti in pubblico, rispettivamente, il 25 marzo 1638 nella collegiata di Masserano e, in occasione della scomparsa del vescovo di Saluzzo Giovenale Ancina, nel duomo di Saluzzo il 5 sett. 1638). Nel 1637 Cristina di Francia, vedova di Vittorio Amedeo I e reggente (prima per il figlio Francesco Giacinto, poi per il fratello minore di questo Carlo Emanuele II), lo incaricò dell'orazione funebre per il duca (Funerale fatto nel duomo di Torino alla gloriosa memoria dell'invittissimo principe Vittorio Amedeo duca di Savoia, Torino 1638). "Da pianger principi morti ad istruirne altri vivi": così lo stesso G. avrebbe sintetizzato l'evolversi della propria carriera a Torino quando era ormai divenuto precettore di Carlo Emanuele II. In effetti l'incarico per le esequie di Vittorio Amedeo I (17 dic. 1737) costituì la prima spia della stima riposta nei suoi confronti dalla reggente Cristina. Se i grandiosi apparati funebri - tramandati da quattro incisioni del fossanese Giovenale Boetto - furono infatti opera del conte Carlo di Castellamonte, in essi fu presente anche l'influsso del G. e della cultura gesuitica. Come notato da M. Viale Ferrero, la trasformazione delle navate del duomo di Torino in un'autentica galleria genealogica (con tanto di teoria di statue dei principi sabaudi) rappresentò una sorta di anticipazione di quanto il G. avrebbe fatto, una quindicina d'anni dopo, per il grande albero genealogico della casa sabauda. Gli va inoltre attribuita la scelta delle imprese ("fatti gloriosi") del duca scomparso, illustrate da grandi quadri posti sopra le statue dei principi, che avrebbero costituito un modello per altre iconografie sabaude (come per gli affreschi di palazzo Taffini d'Acceglio a Savigliano).

Nel 1640 il G. fu nuovamente chiamato a Milano ove, nella chiesa di S. Federico, pronunciò la professione solenne prima di trasferirsi, sino alla fine del 1642, a Genova. In questa città, pur ricoprendo la carica di consultor per la quale doveva compiere frequenti viaggi di ispezione a case e collegi dell'Ordine, continuò l'attività di oratore, leggendo diversi panegirici (Il Nilo della Chiesa, letto il 30 sett. 1640 nella chiesa del collegio della Compagnia; La salvaguardia di Genova, letto il 21 settembre nella chiesa delle Vigne; Gli spettacoli in lode della vergine e martire s. Agnese, letto nella chiesa di S. Agnese il 21 genn. 1641 e L'incoronazione, letto la terza domenica dopo Pasqua dello stesso anno nella chiesa di S. Siro, per l'incoronazione del "serenissimo duce Giovanni Agostino di Marino").

Dopo un breve soggiorno a Nizza (ove nel 1643 lesse ancora il panegirico La sublimità di s. Basso, glorioso martire e vescovo di Nizza, pubblicato lo stesso anno a Torino), dal 1643 al 1644 il G. fu di nuovo nella capitale sabauda, continuando l'attività di oratore. Anche questo soggiorno torinese fu interrotto da un ciclo di predicazioni che tenne in Toscana nel corso di tre anni. All'inizio del 1645 il G. era a Lucca, da dove (dall'estate all'autunno) sarebbe passato a Firenze e, dopo un breve ritorno a Torino nella quaresima del 1646, a Pisa e Siena (maggio-luglio del 1647). Rientrato a Milano nel 1648, nella quaresima dello stesso anno fu inviato a predicare a Genova (l'11 agosto vi lesse il panegirico La negoziante evangelica della gloriosa vergine s. Chiara). Parallelamente a tali intensi impegni pastorali - di per sé testimoni del prestigio del quale godeva ormai in tutto il Norditalia - il G. lavorava da tempo, per incarico del generale della Compagnia Vincenzo Carafa, a una biografia di centotrentotto padri vissuti nel primo secolo dell'Ordine gesuitico: Breve notizia de' religiosi che nella Compagnia di Giesù alla vocazione sua con più straordinarie virtù corrisposero, data secondo l'ordine de' giorni e mesi ne' quali morirono dal padre Luigi Giuglaris della medesima Compagnia (nota anche come Corona dell'anno santo).

La stesura dell'opera fu interrotta dalla decisione della duchessa Cristina di nominare il G. precettore di Carlo Emanuele II (1648). Il principe, compiuti i quattordici anni, usciva allora dalla minore età, accingendosi ad assumere il governo dello Stato (formalmente, giacché di fatto il potere sarebbe rimasto, sino alla morte della duchessa nel 1663, nelle mani della madre). Le pressioni della duchessa incontrarono in un primo tempo l'opposizione del Carafa, desideroso che il G. coltivasse piuttosto i propri impegni di predicatore e terminasse la Coronadell'anno santo (destinata, invece, a restare incompiuta). Di fronte alle reiterate richieste della reggente, tuttavia, Carafa fu costretto a cedere; alla fine di settembre il G. era nuovamente a Torino, dove prese il posto dell'ex gesuita Orengiano, rimosso dall'incarico per ordine della duchessa per ragioni non del tutto chiare, che egli aveva conosciuto circa quindici anni prima.

La permanenza alla corte sabauda durò all'incirca dal settembre 1648 all'autunno 1652. In questi anni il G. si allontanò dalla capitale subalpina solo per prediche previste dal calendario liturgico. Nella quaresima del 1649 fu a Parma; in quella del 1650 fu chiamato a Nizza dal principe Maurizio di Savoia (che, deposta la porpora cardinalizia, al termine della guerra civile era divenuto governatore della città). Mancano dati sicuri sulle quaresime successive, ma è probabile che in quella del 1651 il G. fosse a Modena e in quella del 1652 facesse ritorno a Siena.

Per l'istruzione dell'allievo egli scrisse, sull'esempio dello Statista regnante composto da don Valeriano Castiglione per Carlo Emanuele I, un trattato politico poi pubblicato a Torino nel 1650: La scuola della verità aperta a' prencipi dal padre Luigi Giuglaris della Compagnia di Gesù con occasione della regia educazione data al serenissimo Carlo Emanuele duca di Savoia… da Madama Cristina sua madre. L'opera era destinata a una considerevole fortuna in Europa (nel corso del Seicento fu pubblicata ben sette volte, con traduzioni in portoghese e in francese; nel 1802 ebbe anche una traduzione in polacco). Fra i motivi dell'interesse che suscitò vi fu anche la polemica antimachiavellica, condotta attraverso un dialogo immaginario fra il G. stesso e il segretario fiorentino, che - come notato da G.M. Barbuto - compendiava stilemi e argomenti sfruttati ormai da decenni da scrittori gesuiti (in particolare l'identificazione fra il principe e l'Anticristo). Nel 1650 il G. scrisse la Regiae celsitudinis Carli Emanuelis secundi Sabaudiae ducis et incliti generis notitia, pubblicata postuma a Monaco di Baviera nel 1655. Sebbene alcuni repertori la presentino come una storia del regno di Carlo Emanuele II, si tratta solo di un dettagliato albero genealogico, concepito in un primo tempo come strumento didattico per Carlo Emanuele II, ma in seguito sviluppato in rapporto alle trattative allora in corso per il matrimonio fra la principessa Adelaide di Savoia, sorella del duca, e Ferdinando Maria Wittelsbach, figlio ed erede del duca di Baviera Massimiliano I. Dopo il matrimonio Adelaide, stabilitasi nella capitale bavarese, affidò l'incisione degli otto rami che componevano la Notitia all'incisore di Augusta Melchior Küsel, che concluse il lavoro nel 1655. La genealogia del G. fu la seconda realizzata sotto l'egida della corte sabauda in età moderna, dopo quella di Filiberto Pingone (1581). Il G. proseguì una tradizione che, dalla Chronique de Savoye del Cabaret (inizio del XV secolo) al Pingone, sosteneva l'origine sassone dei Savoia, e permeò la propria opera di stilemi gesuitici, realizzando per esempio ampi cartigli (in alcuni dei quali erano inseriti brani di documenti) che rispondevano a un preciso scopo didascalico. Diffusa soprattutto in Germania e in Francia, la Notitia fu terminata nello stesso anno in cui la duchessa commissionò a Samuel Guichenon la stesura di una nuova storia della Casa sabauda. Il lavoro del Guichenon, che apportò diverse correzioni ai sistemi genealogici sino ad allora proposti, superò presto quello del G., rendendo necessaria, ad appena trent'anni di distanza, una nuova genealogia che, affidata a P. Gioffredo e a T. Borgonio, avrebbe rappresentato per tutto il XVIII secolo la fonte ufficiale per la storia della dinastia sabauda. La Notitia fu quindi presto dimenticata, mentre le orazioni del G. godettero di una certa fortuna almeno sino ai primi anni del Settecento.

Lasciata Torino nell'ottobre 1652, il G. si portò a Genova, ove lavorò all'edizione completa dei suoi Elogia, sino ad allora editi separatamente (Christus Iesus, hoc est Elogiorum pars prima divina continens; Elogiorum pars secunda humana continens: genetliaca, funebria, eucharistica, panegirica, dedicationes, inscriptiones, Genova 1653). Nel 1653 iniziò la sua ultima missione di predicatore: fu in Toscana, prima a Lucca (Lucca maestra di vera libertà al figliuol prodigo, panegirico letto al Senato della Repubblica nel terzo sabato della quaresima) e, in maggio, a Firenze (L'estatico da Dio rapito e ancora tutto posseduto da gli uomini, presentato nella chiesa di S. Filippo Neri). Nell'autunno dello stesso anno, partito alla volta di Malta, morì improvvisamente per cause sconosciute durante una sosta a Messina, il 25 nov. 1653.

Fonti e Bibl.: Torino, Biblioteca reale, Mss. Vernazza, 47-34: G. Vernazza, Descrizione dell'albero genealogico della Real Casa composto dal G., memoria redatta il 4 ag. 1788 e letta "martedì 5 di agosto 1788 da Sua Maestà [Vittorio Amedeo III] alla Vigna Reale"; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VIII, Modena 1780, pp. 350 s.; O. De Rossi, Scrittori piemontesi, savoiardi, nizzardi, Torino 1790, p. 131; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, Genova 1869, II, pp. 486 s.; Id., Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, Genova 1877-78, I, p. 5; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1911, p. 176; S. Vento, Le condizioni dell'oratoria sacra del Seicento, Milano 1916, pp. 116-122; E. Santini, L'eloquenza italiana dal concilio Tridentino ai nostri giorni, I, Gli oratori sacri, Palermo 1923, pp. 74-76; B. Croce, Storia dell'età barocca, Bari 1929, pp. 238, 267; M. Zucchi, I governatori dei principi reali di Savoia illustrati nella loro serie con documenti inediti, in Miscellanea di storia italiana, s. 3, XXII (1933), pp. 51 s.; G. Pozzi, Saggio sullo stile dell'oratoria sacra nel Seicento, Roma 1954, pp. 158-160; C. Sensi - P. Elia, Per una biografia di L. G., in Studi piemontesi, VII (1978), 2, pp. 367-376; M. Grieco, Gli elogi di L. G., in Riv. di storia e letteraturareligiosa, XV (1979), 3, pp. 372-396; E. Mongiano, Una dinastia e la sua immagine: le genealogie sabaude tra il XVI ed il XVIII secolo, in I rami incisi dell'Archivio di corte: sovrani, battaglie, architetture, topografia, a cura di B. Bertini-Casadio - I. Massabò Ricci, Torino 1982, pp. 71-74, 81, 84 s., 86-91; Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento, a cura di M. Di Macco - G. Romano, Torino 1989, pp. 83 s.; M.L. Doglio, La letteratura di corte, in Storia illustrata di Torino, II, Torino sabauda, a cura di V. Castronovo, Milano 1992, pp. 496 s.; G.M. Barbuto, Il principe e l'Anticristo. Gesuiti e ideologie politiche, Napoli 1994, pp. 54, 123, 252, 260-264; A. Maggi, Memorie ed immagini emblematiche nel "Funerale fatto nel duomo di Torino" di L. G., in Studi secenteschi, XXXIX (1998), pp. 111-124; Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, Bruxelles-Paris 1892, coll. 1470-1477; Dict. d'histoire et de géographie ecclésiastiques, XXI, coll. 56-58.

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