GUICCIARDINI, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUICCIARDINI, Luigi

MM. Doni

Figlio primogenito di Piero di Iacopo e di Simona di Bongianni Gianfigliazzi, nacque a Firenze il 5 luglio 1478. Oltre al G., la numerosa prole di Piero comprendeva altri quattro figli maschi: Girolamo, Francesco (lo storico e teorico politico), Iacopo e Bongianni.

Mentre si ha notizia degli incarichi pubblici ricoperti dal G. nel periodo successivo al ritorno dei Medici a Firenze nel 1512, non vi sono che poche tracce documentabili per gli anni giovanili. Si sposò, presumibilmente nel 1500, con Isabella di Niccolò Sacchetti (1480-1559), da cui ebbe sei figli.

Alcuni morirono giovani: Guglielmetta e Lorenzo ancora bambini nel 1509, Piero sedicenne nel 1527. Margherita sposò nel 1519 Francesco Tornabuoni e poi, nel 1533, Piero Bini; Simona sposò Pierantonio de' Nobili. L'unico figlio maschio rimasto, Niccolò fu professore di diritto allo Studio pisano e senatore nel 1554.

L'8 sett. 1507 il G. fu eletto fra i Sedici gonfalonieri di compagnia; per il bimestre novembre-dicembre 1508 ricevette il primo incarico nel priorato. Non anteriori al 1509 sono le lettere, edite negli imponenti Carteggi di Francesco Guicciardini, scritte dal padre Piero al G. e a Francesco, e da quest'ultimo al fratello all'epoca del suo primo importante incarico diplomatico in Spagna. Da questa corrispondenza si ricava che almeno fino al luglio del 1513 il G. viveva con la propria famiglia fra la casa in città e la tenuta di Poppiano in Val di Pesa. La lettera di Francesco del 29 marzo 1514 lo raggiunse a Pisa, dove allora risiedeva avendo appena conseguito la carica di console del Mare.

Le lettere scritte da Francesco rivelano una forte intesa con il fratello, anche in merito alle opinioni politiche che il G. gli manifestava subito dopo il ritorno dei Medici: in quella del 23 ott. 1512, indirizzata a Logrogno in Spagna, che seguiva una precedente missiva inviata il 5 ottobre con la quale aveva aggiornato Francesco sugli ultimi sviluppi della situazione a Firenze, il G. fa riferimento alla nomina dei Venti accoppiatori e ai bandi di confino comminati dal nuovo governo ai fautori del vecchio regime, esprimendo apprezzamenti sulla "liberalità et humanità de' Medici" (Le lettere, II, p. 3). Le lettere del G. dell'ottobre 1512, tuttavia, raggiunsero il destinatario soltanto al principio del 1513. Francesco nel frattempo aveva chiesto più volte notizie sulle personalità emergenti, nella situazione politica che si era venuta a creare, e "chi è in miglior grado o li amici vecchi o li nemici riconciliati" (14-17 dic. 1512; I, p. 317), pressato dalla corte spagnola che seguiva con apprensione l'evolversi della situazione a Firenze.

I Carteggi di Francesco Guicciardini fanno luce anche sull'operato del G. come console del Mare a Pisa: una fitta corrispondenza tra la fine del 1514 e l'intero anno successivo documenta una stretta collaborazione fra i due fratelli su questioni di natura fiscale relative al territorio pisano. Il G., alle prese con il riordino dell'estimo per la definizione delle portate, risulta avere comunicato agli uffici di Firenze i dati relativi per riceverne indicazioni operative. La relazione del G. compare fra gli scritti raccolti nel Magl., VIII.1422 della Biblioteca nazionale di Firenze, cc. 109-119r, con il titolo Discorso sopra le mancanze del contado di Pisa.

Le cariche esterne si alternarono all'alto ufficio del priorato, del quale il G. fece parte di nuovo nel 1518 (gennaio-febbraio), nel 1520 e poi nel 1531, mentre fu ancora per una riforma degli uffici amministrativi che ricevette la carica di commissario di Borgo San Sepolcro nel 1517. Nella lettera a Francesco del 22 maggio di quell'anno (II, p. 540) annunciò di avere appena accettato di sostituire il commissario in carica, Francesco Pandolfini, gravemente malato, e di essere in procinto di partire per Borgo (la lettera di Goro Gheri a F. Guicciardini del 24 maggio 1517 contiene un cenno alla recente partenza del G. "andato commissario generale ad Arezzo", II, p. 548).

In quegli stessi giorni il G. aveva confessato al fratello le sue preoccupazioni per la situazione politica, descrivendo la difficile difesa dei territori pontifici dall'incombente minaccia degli Spagnoli. Pur avendo ricevuto notizie confortanti circa le intenzioni del re di Francia di osservare l'accordo con il papa, egli si dichiara dubbioso sull'effettivo rispetto di questa politica. La sua opinione è che "la fortuna insino al presente havere seguito tucto, senza essere aiutata o impedita mai, et sia per seguire facilmente tucto el suo disegno" (lettera del 18 maggio 1517, II, p. 522).

Il 18 settembre il G. scriveva che l'incarico a Borgo San Sepolcro gli pesava già e non vedeva l'ora di ricevere la licenza di tornare a Firenze. Vi è poi un silenzio nella corrispondenza con Francesco fino al 19 giugno 1519, quando il G., da Firenze, scrisse al fratello, che si trovava allora a Modena.

Nella missiva (IV, pp. 172-174) il G. non è avaro di ragguagli e di commenti sugli echi della recente morte di Lorenzo de' Medici duca di Urbino, a proposito del quale egli non condivide l'opinione diffusa che fosse intenzionato a insignorirsi di Firenze; aggiunge alcune osservazioni sull'ammontare della liquidità da lui lasciata e sulla sua destinazione, nonché sulle opinioni correnti riguardo alle responsabilità di Lorenzo nel concedere prestiti con i denari del Comune. La lettera è densa di giudizi sulla situazione che si è prodotta in città in conseguenza della morte del duca e sulle pretese della parte popolare. Il G. si mostra preoccupato del fatto che si è concessa troppa licenza all'infima plebe di esprimersi in merito, alimentando propositi di rivolta come al tempo dei ciompi; ma è fiducioso nelle buone intenzioni e nella capacità del cardinale Giulio de' Medici, che si trovava a Firenze in qualità di legato pontificio.

Nel 1521 il G. era commissario di Castrocaro (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, filza 129, cc. 178, 183), carica che gli verrà rinnovata nel 1524. Nel 1526 era commissario di Pisa (ibid., cc. 134-135, 138-139, 184). Nel 1527 venne eletto gonfaloniere di Giustizia per i mesi di marzo-aprile. In tale circostanza il G. ebbe il difficile compito di mettere ai voti nella Signoria il decreto di bando per i Medici.

Il 26 aprile, giorno del cosiddetto "assedio del venerdì", si consumarono a Firenze eventi pieni di concitazione e incertezza, nell'incombente minaccia dell'invasione dei lanzi, accampati nella vicina Montevarchi. A proposito della questione delle armi da distribuire al popolo per la difesa della città, il ruolo del G. fu assai ambiguo, mai completamente chiarito dagli storici né da lui stesso, quando ne scrisse nel Sacco di Roma. Alla difesa della libertà cittadina dalle mire imperiali si sovrapposero i tumulti contro i Medici: il favore con cui il G. - in termini non dissimili dalla teoria machiavelliana sulla milizia - valutava l'idea di armare i cittadini, lo pose in una situazione poco chiara rispetto sia alla linea aggressiva degli antimedicei, sia alle opzioni difensive da concordare con il cardinale Silvio Passerini e Ottaviano de' Medici. Le armi furono infine concesse, ma senza che egli chiarisse del tutto la sua posizione. Subito dopo, le forti pressioni popolari costrinsero il G. a procedere al voto sul bando contro i Medici, i quali furono costretti a lasciare la città. La notizia dirompente del sacco di Roma sorprese i Fiorentini quando, dopo un tentativo di far rientrare il cardinale e i nipoti con la forza, si era raggiunto un accordo per annullare gli effetti del bando; ma l'evento improvviso e sconcertante riportò definitivamente i Medici sulla via dell'esilio.

Il G., scaduto il mandato nel maggio, venne a trovarsi in una situazione difficile a causa dell'ostilità del nuovo governo repubblicano, che continuava a vedere in lui il sostenitore dei Medici. Questa difficile congiuntura costituisce il periodo più complesso che il G. si trovò ad affrontare e che nei suoi scritti è rievocato con maggiore enfasi e sofferenza. Nel maggio 1527 si ritirò a Poppiano, dove in settembre ricevette le missive del fratello Francesco (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, filza 129, cc. 167-175) e per due anni non si allontanò dal territorio fiorentino. Furono le nuove turbolenze politiche e militari, culminate nel lungo assedio della città a opera delle truppe di Clemente VII e di Carlo V, a costringerlo a lasciare Firenze, nel novembre 1529, quando Francesco si era già trasferito in Casentino per sottrarsi alle minacce dei Fiorentini, come il 20 settembre aveva scritto al G. e all'altro fratello Iacopo rimasti a Firenze. Il G. ne seguì l'esempio di lì a due mesi, raggiungendo la vicina Pisa, ormai prossima anch'essa a capitolare. Si trovava a Lucca, dove si era rifugiato clandestinamente al principio di giugno, quando, caduta la Repubblica fiorentina il 12 ag. 1530, anche Pisa cedette, ed egli fu mandato a sostituire il commissario repubblicano Pier Adovardo Giachinotti. Assunta il 19 agosto ufficialmente la carica, pose in opera misure intransigenti nei confronti del suo predecessore, condannandolo a morte. Il motivo che addusse furono certe condanne fatte eseguire da Giachinotti, mentre alcuni storici sono portati a considerare quest'ultimo il semplice esecutore di un mandato della Quarantia e ritengono che il G. volesse in tal modo procurarsi credito presso i Medici, dopo la condotta ambigua tenuta a Firenze nell'ultimo atto della loro permanenza al governo (Varchi, pp. 518 s.).

Il periodo pisano dette un impulso particolare all'impegno scrittorio del Guicciardini. Nel segno di una riflessione tutta immersa nella concretezza dei fatti, per valutare l'opportunità delle scelte operative possibili, egli si dedicò ai dialoghi politici scrivendo il Dialogo di Francesco Capponi e Piero Vettori disputanti del governo di Firenze (ambientato nel 1530, ma si è anche supposto che la data sia fittizia), e poi, alla fine del 1530 o forse l'anno successivo, il Dialogo del Savonarola. Nel febbraio 1532 scrisse il Discorso al duca Alessandro intorno alla riforma dello Stato di Firenze.

Troviamo il G. investito di incarichi pubblici nel marzo e aprile 1532 e poi, una volta varata la nuova costituzione il 27 aprile, facente parte del Consiglio dei duecento in rappresentanza del quartiere di S. Spirito e del Collegio dei quarantotto senatori a vita.

Le questioni politiche aperte all'inizio degli anni Trenta furono di grande rilevanza per la vita del G., ed è ora che il suo ruolo assunse contorni più definiti rispetto alle prospettive di Firenze sotto il profilo istituzionale. R. von Albertini percepisce negli scritti del G. duttilità politica e intuito di scrittore, che gli consentono di emergere dalla schiera di consiglieri ed esperti delle cose di Stato raccoltisi intorno ai Medici in quel delicato momento. Il parere circa l'assetto da dare al nuovo governo, che egli scrisse in occasione della seconda tornata dei pareri richiesti da papa Clemente VII fra il 1531 e il 1532, ottenne la massima considerazione e fu di fatto attuato.

Gli anni successivi videro il G. reintegrato nelle cariche amministrative, che gli erano congeniali in virtù delle numerose esperienze passate: nel 1534-35 fu commissario di Arezzo, nel 1536-37 di Firenze, nel 1537-38 di Pistoia, nel 1540 di nuovo commissario di Pisa, nel 1542-43 di Castrocaro; nel semestre 24 sett. 1548 - 24 marzo 1549 tornò ad Arezzo come commissario e capitano. Fu questo, probabilmente, il suo ultimo incarico, a conclusione di una lunga attività svolta nella prospettiva di una giurisdizione unitaria estesa a tutto il territorio soggetto al governo ducale. Si era nella piena stagione del nuovo principato, quando, superate le incertezze dei primi anni, la politica di Cosimo si orientò verso programmi di ampio respiro per la creazione del nuovo assetto territoriale. Essi prevedevano il riordino delle amministrazioni locali per il superamento delle differenze giuridiche nella comune sudditanza al governo centrale. In quest'ottica il G. risultò essere uno degli uomini più adatti a soddisfare le esigenze del principe, come dimostra il difficile compito affidatogli di sedare a Pistoia le lotte tra le fazioni dei Cancellieri e dei Panciatichi.

Il G. morì a Firenze il 27 maggio 1551.

Durante il secondo soggiorno ad Arezzo, nel 1548-49, il G. ebbe modo di frequentare G. Vasari (conosciuto a Pisa nel 1529) e di assisterlo nell'acquisto di una tenuta. Nel luglio 1548 il Vasari eseguì un ritratto del G., oggi perduto (ne esiste una riproduzione eseguita a Settecento inoltrato, ma riferita non al G., bensì a Ludovico Guicciardini). I tratti somatici fissati nel dipinto si ritrovano, come ha dimostrato P. Guicciardini, nel ritratto del G. raffigurato nel 1559, sempre dal Vasari, nella scena della creazione di Cosimo duca di Firenze in palazzo Vecchio nella sala dedicata a Cosimo I: il G. vi è effigiato con un'espressione di assorta malinconia.

Per gran parte degli scritti del G., soprattutto per gli inediti, la datazione è incerta o controversa. Tre codici sono conservati nel fondo Magliabechiano della Biblioteca nazionale di Firenze: VIII.1422; XIX.54; XXV.636; numerose lettere e appunti, invece, presso l'Archivio di Stato di Firenze, nelle Carte Strozziane. Nel poco noto Dialogo della pecchia (Magl., VIII.1422, cc. 69-108), databile al 1529, sulla situazione dell'Italia negli ultimi trentacinque anni, il G. adotta la forma dialogica, impiegata anche in seguito in scritti dedicati a temi di attualità politica, composti dopo il 1530, nel periodo in cui i problemi politici e istituzionali di Firenze si posero con particolare urgenza, mentre le due opere principali posteriori alla lunga crisi costituzionale hanno struttura trattatistica: il Sacco di Roma (dedicato a Cosimo I de' Medici, ambientato nel 1527, ma composto probabilmente dieci anni dopo) e il Delle cagioni della differenza della natura che è fra Toscani e Romagnoli (Magl., VIII.1422, cc. 51-58, probabilmente del 1542-43).

Nel Dialogo di Baccio Valori, Giovanni Rucellai, Paolo Vettori e Luigi Guicciardini delle azioni della vita loro (ibid., cc. 1-7r) e in quello Di Francesco Capponi e Piero Vettori disputanti del governo di Firenze (ed. von Albertini, pp. 428-435) il G. intende rappresentare il dibattito interno al gruppo dei sostenitori della Repubblica, nel quale il tema della profezia, persistente oltre la passata stagione savonaroliana, nasconde in realtà l'intenzione di far emergere le lacerazioni prodottesi in ambienti caratterizzati in passato da un'omogeneità di valori ideali e politici. La fiducia nella verità profetica caratterizza gli elementi più radicali della parte repubblicana, ai quali si contrappone il realismo dei moderati. Sulla denuncia, fatta dal moderato Piero Vettori dopo la morte di Francesco Ferrucci nel 1530, dei modi tirannici di alcuni fautori della Repubblica si incardinano le tesi dei due Discorsi, che costituiscono le risposte del G. ai due cicli di consultazioni disposti da Clemente VII per la riorganizzazione dello Stato. Dopo avere esorcizzato per bocca di Francesco Zati, nel Dialogo del Savonarola (ed. Simonetta), il sogno di una restaurazione repubblicana accarezzato dai savonaroliani, il G. sembra intenzionato a liquidare tutta la passata stagione politica fiorentina, per poter prospettare nel parere del 1532 al duca Alessandro le tre note soluzioni possibili per il futuro governo e scegliere quella che meglio si confaceva ai progetti del papa, ai quali era ormai necessario adeguarsi. All'inefficace politica papale dei mesi antecedenti il 1527 il G. non risparmia critiche nel Sacco di Roma, scritto verosimilmente dieci anni dopo gli eventi e di netta propensione filoimperale. È forse possibile posdatare a questo stesso periodo anche la Comparatione del giuoco degli scacchi alla arte militare (datato al 1527-28 nel Magl., XIX.54), che testimonia della rilevanza che trovano, presso il G., temi machiavelliani di maggior valore programmatico. L'amicizia fra il G. e il Machiavelli, documentata da alcune lettere e ricordata dagli storici (Villari, I, p. 122), trova riscontro negli scritti dell'uno (Machiavelli è un personaggio del dialogo Del libero arbitrio dell'huomo del G., in Magl., VIII.1422, cc. 59-68) e dell'altro (al G. è dedicato il Capitolo dell'ambizione machiavelliano).

Uno degli aspetti più significativi del profilo intellettuale del G. riguarda l'astrologia, alla quale sono dedicati alcuni fra gli scritti frammentari contenuti nel Magl., VIII.1422. In particolare, il trattatello incompiuto Prodigia diversa e quello Delle cagioni della differenza della natura che è fra Toscani e Romagnoli. Il primo è una sorta di diario in cui sono descritti fenomeni insoliti legati all'influenza degli astri; il secondo tratta degli influssi celesti che, agendo in modo diverso sulle due popolazioni in ragione della loro posizione geografica, ne determinano le differenze. Vi sono inoltre numerose testimonianze dell'interesse del G. per l'alchimia (soprattutto nei carteggi conservati fra le Carte Strozziane dell'Archivio di Stato di Firenze), e per la cabala, come si evince dalla lettera scrittagli da Giulio Camillo nel 1536 (I Guicciardinie le scienze occulte…, pp. 374-383). Un cospicuo numero di lettere sull'astrologia furono indirizzate al G. da Ramberto Malatesta (1521-31), Marchion Cerrono (1534-39), fra Giovanni Bersano (1539-40), edite anch'esse dalla Castagnola (ibid., pp. 229-372). La curiosità del G. per questi argomenti e la competenza che vi acquisì rappresentano una sua peculiarità rispetto ai suoi fratelli, in particolare Francesco, che manifestò avversione o almeno scetticismo nei confronti delle previsioni astrologiche. La totale sfiducia nelle facoltà profetiche del Savonarola, che emerge particolarmente nei dialoghi del G., sembra perciò scaturire, oltre che da una scelta di carattere ideologico e politico, anche da una non ingenua e ben radicata propensione per la filosofia naturale.

Del contenuto dei tre codici magliabechiani vanno segnalati inoltre: Magl., VIII.1422, cc. 11-16r, Proemio delle differenze de' pontefici antichi e moderni, del 1527 (un altro scritto polemico sulla politica dei pontefici moderni dello stesso anno, Gesta diversorum pontificum, autografo è in Carte Strozziane, s. 3, filza 230, c. 38); cc. 23-24r, Fatto al Sabato santo avanti giorno 1525 (databile al 1525); cc. 27-28r, Lettera di Luigi Guicciardini in nome del papa; cc. 29-32, Expositione del Miserere fatto nel 25 pel Sabato santo; cc. 121-124, Dei modi di sviare il porto di Viareggio (databile al 1515); c. 131, Significato dei numeri; cc. 143-145r, Dyalogo della notomia delle piante (in latino); cc. 156-157r, Exortatione all'amicitia (testo poetico); Magl., XXV.636, cc. 15-16r, Narrazione della cacciata di Piero (cfr. Guidi, pp. 135, 212).

Opere edite: Il sacco di Roma, Parigi 1664; ibid. 1758 con il nome di Francesco Guicciardini; Firenze 1867; Discorsi intorno alla riforma dello Stato di Firenze, a cura di G. Capponi, in Arch. stor. italiano, I (1842), 1, pp. 459-467; Discorso al duca Alessandro, in F. Gilbert, Alcuni discorsi di uomini politici fiorentini e la politica di Clemente VII per la restaurazione medicea, ibid., XCIII (1935), 2, pp. 3-24; Dialogo del Savonarola, ed. parziale in U. Dorini, Dialogo tra Francesco Zati e Pier Adovardo Giachinotti commissari a Pisa dopo la rotta del Ferruccio a Gavinana, in Riv. stor. degli archivi toscani, II (1930), pp. 89-118, poi a cura di B. Simonetta, Firenze 1959; il Dialogo di Francesco Capponi e Piero Vettori disputanti del governo di Firenze, in R. von Albertini, Firenze dalla Repubblica al principato, Torino 1970, pp. 428-435. Le lettere al fratello Francesco sono edite in gran parte in F. Guicciardini, Opere inedite, a cura di G. Canestrini, IX, Firenze 1866 e Le lettere, a cura di P. Jodogne, I-IX, Roma 1986-99; le lettere scritte al G. dalla moglie Isabella sono edite in I. Guicciardini, Lettere al marito L. negli anni 1535 e 1542, a cura di I. Del Lungo, Firenze 1883.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, filza 129, cc. 134-135, 138-139, 167-175, 178r, 183-184; s. 3, filza 230, c. 38; G. Cambi, Istorie fiorentine, in Delizie degli eruditi toscani, XXI (1785), p. 228; XXII (1786), pp. 113, 301; XXIII (1786), pp. 62 s., 113, 118; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, II, Firenze 1844, pp. 518 s., 536, 589; F. De' Nerli, Commentarj dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno 1215 al 1537, Trieste 1859, pp. 203 s.; F. Guicciardini, Carteggi, a cura di R. Palmarocchi - P.G. Ricci, Roma 1938-72, ad indices; Id., Le lettere, cit., ad indices; I Guicciardini e le scienze occulte. L'oroscopo di Francesco Guicciardini - Lettere di alchimia, astrologia e cabala a L. G., a cura di R. Castagnola, Firenze 1990, pp. 374-383 e passim; P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi, I, Firenze 1930, p. 122; R. Ridolfi, L'Archivio della famiglia Guicciardini, Firenze 1931, pp. 8, 66, 94, 101; P. Guicciardini, Il ritratto vasariano di L. G. Contributo per la iconografia fiorentina all'avvento di Cosimo I, in La Rinascita, V (1942), pp. 247-272; R. Starn, Francesco Guicciardini and his brothers, in Renaissance. Studies in honor of Hans Baron, a cura di A. Molho - I.A. Tedeschi, Firenze 1971, pp. 409-444; R. Ridolfi, Studi guicciardiniani, Firenze 1978, ad ind.; G. Guidi, Ciò che accadde al tempo della Signoria di novembre-dicembre in Firenze l'anno 1494, Firenze 1988, pp. 135, 137, 212; M. Bardini, L. G. e Cosimo de' Medici. Il racconto esemplare del sacco di Roma, in Italianistica, XVIII (1989), pp. 121-141; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Guicciardini di Firenze.

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