Luni

Enciclopedia Dantesca (1970)

Luni

Adolfo Cecilia

Antica città dell'Etruria nord-occidentale, ai confini con la Liguria; fu centro di civiltà etrusca, poi ligure; nel 177 a.C. divenne colonia romana, importante per il porto, identificabile forse con quello della Seccagna prossimo alla foce della Magra (Revelli, Italia 158), e per i marmi delle vicine Alpi Apuane. Fu in seguito città bizantina, importante anche perché sede vescovile.

Subì disastrose incursioni da parte dei Saraceni (848), dei Normanni (860), di nuovo dei Saraceni (1016). La sua decadenza, iniziata con il progressivo interramento del porto, culminò con il trasferimento della diocesi a Sarzana, ordinato da una bolla di Innocenzo III del 1204. Ai tempi di D. la città era quindi completamente decaduta, e la zona circostante era malsana e inospitale (Buti, nel commento a Pd XVI 73: " unde si dice: In misera Luna morti nox sufficit una ") a causa dell'impaludamento dei corsi d'acqua bloccati alla foce dai detriti, resi più abbondanti anche da inconsulti disboscamenti (Davidsohn, Storia I 155; Bassermann, Orme 324).

D., che quasi certamente vide le rovine di L. e conobbe le numerose leggende nate attorno alla sua sorte (v. anche G. Villani I 50), ricorda la città in Pd XVI 73, ove Cacciaguida, per illustrare la caducità delle cose terrene, dice: Se tu riguardi Luni e Orbisaglia / come sono ite, e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, / udir come le schiatte si disfanno / non ti parrà nova cosa né forte, / poscia che le cittadi termine hanno; elenco simile di città cadute è in Ovidio (Met. XV 287 ss.). I monti di Luni, le Apuane, sono ricordati, sulla scorta di Lucano (v. Aronta), in If XX 47, come il luogo ove Aronta, aruspice e indovino etrusco, ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca (v. 49); di una leggendaria " grotta di Aronta " parlano alcuni scrittori, ma probabilmente la leggenda è sorta sulla scorta dei versi della Commedia.

Bibl. - U. Mazzini, L., i monti di L. e Carrara, in D. e la Lunigiana, Milano 1909, 109-130 (rec. di F. Maggini, in " Bull. " XVI [1909] 251-252).

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