LUXOR

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

LUXOR

F. Tiradritti

Museo di arte antico-egizia. - Nel 1962 il Ministero della Cultura egiziano approvò un progetto per la creazione di un museo di arte antico-egizia a L. nell'intento di raccogliere sul luogo del ritrovamento una serie di reperti in grado di fornire un quadro completo sullo sviluppo storico, artistico e culturale di uno tra i siti archeologici più importanti e più noti di tutto l'Egitto. Il museo è stato inaugurato nel 1975.

Tra gli oggetti più antichi, la statua in calcare dipinto di un leone accucciato (inv. J. 177), datata all'epoca protodinastica. Il frammento di architrave (inv. J. 183), risalente alla VI dinastia e proveniente dalla tomba di Unisankh (tomba tebana 413), esibisce un rilievo di stile provinciale concettualmente assai distante da quanto veniva contemporaneamente realizzato in campo artistico nella regione memfita, allora centro politico e culturale di tutto l'Egitto.

La statua osiriaca di Mentuhotep III (inv. J. 69), il pilastro osiriaco e la testina in diorite di Sesostris I (inv. J. 174 e J. 32) mettono bene in risalto la spiccata tendenza all'idealizzazione, caratteristica dell'arte tebana a cavallo tra la fine del Primo Periodo Intermedio e l'inizio del Medio Regno. Opera di estrema importanza è invece la testa in granito rosso di Sesostris III (inv. J. 34), la quale testimonia il profondo cambiamento intervenuto nella ritrattistica regale durante il regno di questo sovrano. La scultura mostra l'abbandono dell'idealizzazione a favore di un realismo estremamente meditato.

Ricchissimo è il repertorio di oggetti appartenenti al Nuovo Regno: proprio alle soglie di quest'epoca Tebe diviene capitale dell'intero paese. Testimonia questa crescita d'importanza la stele di Ramose (inv. J. 43), il cui testo narra le vicende che condussero i sovrani tebani sul trono dell'Egitto nuovamente riunito. La statua in schisto verde di Thutmosis III (inv. J. 2) è invece un bellissimo esempio di scultura e segna il ritorno all'idealizzazione delle forme. Un cospicuo gruppo di sculture appartiene al regno di Amenophis III, un'epoca in cui l'arte egizia tocca uno dei suoi più alti vertici. Il gruppo statuario in calcite rappresentante Amenophis III e il dio Sobek (inv. J. 155) può essere considerato un vero e proprio capolavoro. Nasce da un desiderio di innovare senza abbandonare le esperienze artistiche passate; ne risulta un insieme ben equilibrato, dove l'immobilità e la pesantezza dell'immagine divina si contrappongono al movimento e alla leggerezza di quella del sovrano. Vi è in esso una predilezione per le forme aggraziate che si ritrova anche nella scultura privata della stessa epoca, come dimostra la statua in granito nero di Amenophis figlio di Hapu (inv. J. 4).

Tra le testimonianze più preziose conservate nel museo figura la ricostruzione di una parete (inv. J. 223) di uno dei templi che Amenophis IV/Ekhnaton fece erigere a Karnak in onore del dio Aton nei primi anni del suo regno. Gli edifici cultuali da lui fatti costruire furono successivamente smontati e i blocchi in calcare, oggi noti con il termine arabo di thalathāt, furono riutilizzati come riempimento nella costruzione dei piloni del Tempio di Aminone a Karnak. Il muro ricostruito nel museo di L., composto da duecentottantatre blocchi, rappresenta il solo tentativo coronato da successo di risolvere l'enorme rompicapo che le circa quarantamila thalathāt propongono. A destra vi sono scene di vita quotidiana che ricordano molto da vicino la decorazione parietale delle tombe egizie dei privati; a sinistra vi è invece raffigurato il sovrano mentre compie atti di adorazione al dio Aton.

In un museo nato per descrivere la storia di Tebe e delle scoperte archeologiche che vi vengono compiute, non potevano non figurare oggetti provenienti dalla tomba di Tutankhamon. Tra gli altri, una testa di vacca ritraente la dea Mehet-uret (inv. J. 5), esempio assai notevole di scultura composita: il muso e le orecchie sono in legno dorato, le corna in rame e gli occhi in lapislazzuli.

Il ritrovamento durante alcuni lavori per il consolidamento del tempio di L., agli inizî del febbraio 1989, di una serie di sculture ha portato un notevole arricchimento alla collezione di oggetti conservati nel museo. Il locale seminterrato a destra dell'ingresso è stato interamente adibito ad accogliere questo eccezionale lotto di statue ed è stato aperto al pubblico nel dicembre 1991. Si tratta di una ventina di sculture rappresentanti divinità e sovrani. Erano state sotterrate nel cortile di Amenophis III, proprio davanti al colonnato occidentale, probabilmente in un momento in cui si era deciso di rinnovare l'arredo cultuale del tempio. Trattandosi di immagini sacre, le statue erano state adagiate sul fondo di una fossa, piuttosto che gettate al suo interno, ed è a questo che si deve l'ottimo stato in cui la maggior parte di esse si sono conservate. Il pezzo di scultura più notevole è senz'altro la statua in quarzite rosa di Amenophis III che, compreso il pilastro dorsale, supera abbondantemente i due metri. Il sovrano è rappresentato in dimensioni naturali, incedente e con le braccia distese lungo il corpo, i pugni stretti intorno al mekes, il «testimone» sim- boleggiante la trasmissione della regalità; l'abbigliamento è composto da una shenedyt (gonna corta) molto elaborata e dalla doppia corona con ureo, emblema della sovranità sull'Alto e Basso Egitto; i piedi calzano sandali. Intorno al collo, sulle braccia e sugli avambracci, in corrispondenza di dove dovevano trovarsi la collana e i bracciali, la superficie della pietra risulta finemente scalpellata: segno evidente che i gioielli, probabilmente in foglia d'oro o in altro materiale prezioso, dovevano essere applicati alla scultura. Sulla gonna e sulla corona si sono conservate tracce di colore chiaro. L'ovale del viso è largo, al mento è attaccata una barba posticcia, le labbra sono carnose, il naso minuto, gli occhi grandi e di forma allungata, le sopracciglia si sollevano in un'ampia curva. Questi tratti fisiognomici sono caratteristici delle sculture appartenenti alla prima parte del regno di Amenophis III; le proporzioni degli occhi e del naso rispetto al viso inducono a ritenere che si tratti di un ritratto del sovrano adolescente. Particolare degno di nota è che la figura poggia su un piedistallo posto sopra la stilizzazione di una slitta da traino. La statua è la rappresentazione di una statua. Era posta nel tempio di Luxor dove veniva adorato il ka (entità spirituale) del sovrano e ne riproduceva la materializzazione, ottenibile soltanto attraverso la figurazione piana o scultorea. La statua non è quindi da considerare l'effigie del sovrano, ma del suo doppio spirituale, il ka.

Altra opera degna di menzione è il gruppo in diorite di Horemheb che offre i vasetti nu al dio Atum. Il sovrano è in ginocchio, con gli avambracci distesi sulle cosce; le mani stringono i vasetti nu e i piedi calzano sandali. Il capo è coperto dal nemes, il pezzo di stoffa che ricopriva la parrucca, e sulla fronte si trova l'ureo. I tratti del viso sono estremamente sottili. Gli occhi leggermente sporgenti, l'assenza delle sopracciglia, il labbro superiore arcuato, il mento allungato, sono chiari riferimenti all'esperienza artistica amarniana che, seppur rifiutata, continua a persistere in opere come questa, appartenenti al periodo immediatamente successivo al regno di Ekhnaton. Nel complesso, l'effigie di Ḥoremheb comunica un senso di rilassatezza, accentuato dalla prominenza del ventre, inteso a significare la tranquillità e la familiarità del sovrano di fronte al dio. Di proporzioni maggiori è invece la statua di Atum, seduto su un trono ai cui lati è incisa la rappresentazione araldica dell'unione tra Alto e Basso Egitto. Il dio è rappresentato secondo canoni volutamente arcaici: porta un gonnellino e ha sulla testa una parrucca che ricade sulle spalle e sul petto, sormontata dalla doppia corona. Al mento è attaccata una barba posticcia, gli avambracci riposano sulle cosce: la mano destra è distesa con il palmo aperto verso il basso, la sinistra stringe il geroglifico della vita. I lineamenti del viso richiamano da vicino quelli del sovrano che gli sta di fronte. Effigi di divinità e sovrani come quelle appena descritte sono abbastanza frequenti nell'arte antico-egizia. È però la prima volta che vengono ritrovate posizionate di fronte e poste in stretta connessione da un singolo piedistallo in cui venivano inserite le due sculture, scolpite separatamente l'una dall'altra. Questa tipologia risultava sin qui attestata soltanto per opere statuarie di piccole dimensioni.

Tra le altre statue ritrovate nel tempio di L., tutte di fattura pregevolissima, degne di essere ricordate sono anche l'immagine in granito della dea Iunit, quella in diorite di Hathor, entrambe dai tratti estremamente delicati, e il cobra acefalo, anch'esso in diorite, recante i cartigli del sovrano Taharqa della XXV dinastia.

Bibl.: AA. VV., Musée d'Art Égyptien Ancien de Louxor. Catalogue (Bibl- IFAO, XCV), Il Cairo 1985; M. el- Saghir, Das Statuenversteck im Luxor Tempel (AW, n. speciale), Basilea 1991.

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