MACCABEI

Enciclopedia Italiana (1934)

MACCABEI (in gr. Μακκαβαῖοι, nella Volgata Machabaei)

Elia S. ARTOM
Arnaldo MOMIGLIANO

Con questo nome si sogliono designare i membri della famiglia sacerdotale degli Asmonei che si mise a capo dell'insurrezione, per ciò detta maccabaica, degli Ebrei del partito nazionale conservatore contro il re Antioco IV Epifane di Siria, al quale era soggetta la Giudea, fautore dell'ellenizzazione di questa regione. Il nome di Maccabei deriva dal soprannome individuale di uno di essi (v. più innanzi). L'opera dei Maccabei condusse alla completa indipendenza degli Ebrei della Giudea sotto il governo di principi asmonei che assommarono in sé l'autorità civile e religiosa. Le notizie intorno alla loro attività si desumono quasi esclusivamente dai libri designati come 1° e 2° libro dei Maccabei (v. appresso).

L'ellenizzazione della Giudea, come delle altre regioni del suo regno, faceva parte del programma politico di Antioco IV Epifane. Gli ordini da lui impartiti vietarono la pratica dei principali riti ebraici (circoncisione, sabato, ecc.) sotto minaccia di pena di morte, e imposero il culto alle divinità elleniche; il 25 Kislēw (novembre-dicembre) 168 a. C., venne per la prima volta offerto, sull'altare del Tempio di Gerusalemme, un sacrifizio a una divinità pagana. Gli Ebrei conservatori opposero per qualche tempo a tali ordini una resistenza puramente passiva andando incontro al martirio, pur di mantenersi fedeli alle tradizioni dei padri; episodio notevole di questa resistenza passiva è il supplizio di una madre e dei suoi sette figli; questi sogliono essere designati impropriamente come "i sette fratelli Maccabei". In seguito, i conservatori presero le armi e si sollevarono: il sacerdote Mattatia, della famiglia degli Asmonei, fu l'iniziatore della rivolta. Quando l'esecutore degli ordini del re venne nella piccola città di Modin, dove egli risiedeva con i suoi figli e vi costruì un altare, allo scopo di instaurarvi il culto straniero, Mattatia uccise dapprima un ebreo che stava per sacrificare su esso, poi l'inviato regio, e distrusse quindi l'altare. Si rifugiò quindi con i suoi figli nei monti, raccolse intorno a sé un nucleo di seguaci, fra i quali gli Asidei (v.), respinse alcuni attacchi delle milizie regie, e iniziò l'opera di distruzione degli altari pagani, e di punizione contro gli Ebrei infedeli alla Legge divina. Egli non poté che iniziare la riscossa, e morì vecchio nel 167-66 affidando ai cinque suoi figli (Giovanni, Simone, Giuda, Eleazaro, Gionata) l'incarico di proseguire l'impresa. La direzione di questa venne dapprima assunta da Giuda, soprannominato Maccabeo.

Incerto è il significato di questo soprannome, del pari che l'esatta grafia ebraica. Le ipotesi che appaiono più verosimili sono due: secondo l'una si tratterebbe di una parola formata dalle lettere ebraiche M. K. B. J, iniziali delle prime parole del versetto Esodo, XV, 11, che significa: "Chi fra gli dei è pari a te, o Signore?" e che avrebbe costituito il motto di Giuda e del suo esercito. Secondo l'altra, si tratterebbe di soprannome derivato da una parola ebraica, maqqābāh, che significa martello, e indicherebbe la forza di Giuda nel colpire i nemici.

Organizzato l'esercito, riportò parecchie vittorie su varî generali siri, come Apollonio e Nicanore, e poi quella più importante su Gorgia nella battaglia di Emmaus, a ovest di Gerusalemme (166-65). In conseguenza della vittoria, Giuda poté occupare Gerusalemme e il tempio, lasciando in mano dei Siri la sola cittadella. In seguito a ciò il tempio, che tre anni prima era stato dedicato al culto pagano, venne riconsacrato e restituito al culto nazionale il 25 Kislēw (novembre-dicembre) 165. A commemorare l'avvenimento fu istituita la festa di Ḥanukkāh, da celebrarsi annualmente per otto giorni a partire dal 25 Kislēw. Ottenuto così quello che era il primo obiettivo della rivolta, G., che per qualche tempo rimase quasi padrone della Giudea, portò, coadiuvato dal fratello Simone, aiuto agli Ebrei dei paesi vicini, oppressi dai pagani. Con questi atti, che andavano assai al di là di quello che era stato il movente della lotta contro i Siri, si accrebbero ancora l'importanza e la considerazione di Giuda che, pur non essendo rivestito di alcuna carica ufficiale, agiva come capo di stato. Morto l'Epifane (164-63) e successogli il figlio minorenne Antioco V Eupatore, sotto la tutela di Lisia, questi, che anche prima aveva già combattuto in Giudea, preoccupato dei progressi di Giuda e spinto dal partito degli Ebrei ellenizzanti avverso a questo, mosse contro il M., che mirava a completare la sua opera con l'occupazione della cittadella di Gerusalemme, e lo vinse a Beth-Zakaria. In questa battaglia si segnalò e trovò la morte un altro dei figli di Mattatia: Eleazaro, che fu schiacciato sotto il peso di un elefante che egli stesso aveva ucciso, allo scopo di dare la morte al re, poiché erroneamente egli lo credeva sopra l'elefante. In seguito alla sconfitta di Beth-Zakaria, Giuda dovette abbandonare Gerusalemme, che venne assediata da Lisia. Questi, costretto poi ad accorrere in Siria, dove un pretendente era sorto contro Antioco, fece pace con Giuda concedendogli di diritto ciò che già egli aveva di fatto conseguito con le armi, cioè la libertà per gli Ebrei di osservare la loro legge nonostante i divieti dell'Epifane. Gli Ebrei della Giudea continuavano però ad essere politicamente soggetti al regno dei Seleucidi. I torbidi che agitarono questo regno furono favorevoli a Giuda che cercò di approfittarne per consolidare il proprio potere: la lotta fra il partito nazionale giudaico e il regno di Siria cessa di essere lotta religiosa e diventa esclusivamente politica, cioè lotta per l'indipendenza nazionale giudaica. È probabile che, in seguito a questo cambiamento nel carattere della lotta, gli Asidei si siano allontanati da Giuda, non ritenendo necessaria l'autonomia politica per assicurarsi la libertà religiosa e non avendo quindi alcun interesse a favorire le imprese politiche del condottiero. Così, quando gli Ebrei del partito ellenizzante, sostenuti da un esercito mandato in Giudea dal re Demetrio I, riuscirono a far nominare sommo sacerdote uno di loro, un certo Alcimo, e scoppiò quindi la lotta fra questo e Giuda, gli Asidei appaiono aver riconosciuto Alcimo (162). Ma Giuda prevalse, e Alcimo si vide costretto a recarsi presso il re a cercare nuovi aiuti. Il re mandò un esercito comandato dal generale Bacchide, che dopo qualche tempo fu sostituito da Nicanore. Questi cercò di prendere Giuda con inganno, fingendo intenzioni pacifiche, ma non riuscì nel suo intento. Allora si venne a battaglia campale che ebbe luogo in Adasa, e che fu una grande vittoria per Giuda (161). Nicanore fu ucciso, e per molto tempo il giorno anniversario di questa battaglia, il 13 Adar (febbraio-marzo) fu dagli Ebrei celebrato con una festa. Giuda allora pensò di rendere sempre più salda la sua posizione con nuovi successi politici e, approfittando dell'interesse che i Romani avevano ad evitare la troppa potenza dei Seleucidi, chiese l'aiuto di Roma. Per quanto alcuni storici dubitino della realtà del fatto o la neghino del tutto, è da ritenersi che Giuda riuscisse, mediante ambasciatori inviati a Roma, a ottenere la stipulazione di un patto d'alleanza con la grande repubblica, e di conseguenza un invito del Senato a Demetrio per vietargli di compiere atti ostili agli Ebrei. Ma prima che questo ordine di Roma potesse essere giunto, e prima anche che l'ambasceria giudaica fosse tornata da Roma, Demetrio, forse appunto perché aveva avuto notizia delle trattative di Giuda con Roma, mandò contro di lui un nuovo esercito, comandato da Bacchide. La vista delle schiere nemiche, numerose e forti, fece perdere agli Ebrei ogni fiducia: Giuda cadde combattendo e il suo esercito fu pienamente sconfitto (160). I fratelli Gionata e Simone seppellirono Giuda nella tomba di famiglia a Modin. A suo successore fu nominato il fratello Gionata. Questi incaricò il fratello Giovanni di portare al sicuro presso i Nabatei gli averi degli Ebrei di Giudea, ma Giovanni venne ucciso durante il viaggio dai membri di una tribù della Transgiordania. Gionata vendicò l'uccisione del fratello e quindi lottò vittoriosamente contro un esercito siro comandato da Bacchide e si diede a fortificare e organizzare il partito nazionale ebraico. Egli poi seppe approfittare delle lotte fra i pretendenti al trono di Siria e della debolezza di questo regno, per ottenere esenzioni, concessioni ed onori, fino a raggiungere di fatto la piena indipendenza dai Siri. Nella lotta fra Alessandro Balas, sostenuto dai Romani, e Demetrio I, egli (152), si unì col primo e non lo abbandonò neppure quando il secondo cercò di attrarlo a sé. Così egli assunse il sommo sacerdozio, e, dopo che prevalse definitivamente Alessandro, egli fu, nell'occasione del matrimonio di quest'ultimo con Cleopatra, figlia di Tolomeo Filometore (150), riconosciuto governatore civile e militare della Giudea. Sorto come pretendente al trono Demetrio II, figlio di Demetrio I, Gionata lottò contro di lui e ne ebbe in compenso aumento di territorio. In seguito, dopo la sconfitta e la morte di Alessandro Balas (145), che era stato abbandonato da tutti, eccettuato Gionata, questi si trovò contro Demetrio II, diventato re: mentre egli si preparava a sostenere un eventuale assalto di questo contro Gerusalemme, Demetrio lo chiamò a giudizio a Tolemaide. Gionata ottenne da lui concessioni, esenzioni ed ampliamenti di territorio. In seguito Demetrio, trovandosi in pericolo per essere sorto contro di lui un certo Diodoto, detto Trifone, generale di Alessandro Balas, che sosteneva come pretendente al trono un figlio minorenne di questo, Antioco VI, indusse Gionata ad aiutarlo, ma, vinto Antioco, non mantenne i patti. Gionata allora passò dalla parte di Antioco. Rinnovò l'alleanza con i Romani, e stabilì rapporti amichevoli con gli Spartani e con altre popolazioni. Ma l'accrescersi della sua potenza fu inviso a Trifone, che, appena libero dal pericolo di Demetrio, si volse contro di lui, tanto più che egli ostacolava Trifone nelle sue mire di assumere egli stesso il regno. Incontratisi gli eserciti di Trifone e di Gionata, questi, fidandosi di Trifone che aveva manifestato intenzioni pacifiche, lo seguì a Tolemaide con scarso numero di uomini. Ma appena vi giunse fu preso e i suoi uomini vennero trucidati. Il comando fu allora assunto da Simone, fratello di Gionata; ha le sue prime imprese è specialmente notevole l'occupazione di Joppe, presso il mare; Simone ne scacciò gli abitanti pagani e la trasformò in città giudaica. Egli arrestò quindi la marcia di Trifone che si dirigeva contro la Giudea: Trifone promise a Simone la liberazione di Gionata dietro pagamento di una somma e consegna dei figli di questo come ostaggi. Le condizioni vennero eseguite, ma Gionata, anziché liberato, fu ucciso da Trifone (143).

Il fratello Simone, che gli succedette come sommo sacerdote, ne curò il seppellimento in Modin, e più tardi fece erigere sulla tomba un monumento, che esisteva ancora nel sec. IV d. C. Simone condusse e terminò l'opera iniziata da Gionata e riuscì a far riconoscere l'indipendenza dello stato giudaico. Come era naturale dopo l'uccisione di Gionata, egli si schierò dalla parte di Demetrio II e contro Trifone, che, fatto uccidere Antioco VI, assunse egli stesso il regno. Demetrio confermò agli Ebrei di Giudea l'esenzione perpetua da ogni tributo; data la nessuna potenza di fatto che allora Demetrio aveva in Giudea, a nulla sarebbe servito questo se Simone non fosse riuscito ad affermare il suo effettivo dominio sulla Giudea nonostante le pretese di Trifone che se ne considerava sovrano: con l'occupazione di Gazara e della fortezza di Gerusalemme (primavera del 142) Simone raggiunse l'intento. Del periodo di pace che seguì egli approfittò per riorganizzare il paese all'interno. Le sue benemerenze furono solennemente riconosciute dal popolo che, in un'assemblea tenuta nell'Elul (agosto-settembre) 141, lo nominò sommo sacerdote, comandante supremo dell'esercito e capo dello stato, istituendolo iniziatore di una nuova dinastia: è questa la dinastia dei principi Asmonei; l'autorità di Simone venne pure riconosciuta dai Romani, ed è probabile che Simone abbia coniato propria moneta. Gli ultimi anni di Simone furono agitati da nuove lotte coi re di Siria. Dopo che Demetrio II fu caduto prigioniero dei Parti (138 a. C.), il fratello Antioco VII Sidete continuò la lotta contro Trifone. Simone sostenne Antioco, che gli aveva confermato i privilegi di cui godeva e lo aveva autorizzato a coniare propria moneta, ma che, appena ebbe riportato una vittoria su Trifone, mutò politica e richiese a Simone la consegna di Joppe, di Gazara, della fortezza di Gerusalemme e di tutti i territorî fuori della Giudea occupati dagli Ebrei, oppure il pagamento di 1000 talenti. Simone offerse una decima parte della somma richiesta. Antioco mandò allora contro Simone un esercito, ma questo fu sconfitto da Giuda e Giovanni, figli di Simone. Questi fu, nell'inverno 135, ucciso insieme con due suoi figli, Mattatia e Giuda, dal genero Tolomeo, prefetto della pianura di Gerico, che aspirava alla signoria della Giudea. Con lui si estinsero tutti i figli di Mattatia, e gli succedette il figlio Giovanni Ircano.

Bibl.: E. Schürer, Gesch. d. jüd. Volkes, 5ª ed., I, Lipsia 1909, pp. 199-255; Wolff, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IX, coll. 2461-2464; E. Bevan, in Cambridge Ancient History, VIII, Cambridge 1930, pp. 513-529, 778-780; F.-M. Abel, Topographie des campagnes machabéennes, in Revue Biblique, 1923, p. 495 segg. Gli studî particolari più recenti si trovano registrati in A. Momigliano, Prime linee di storia della tradizione maccabica, Torino 1931.

I libri dei Maccabei.

Col nome di libri dei Maccabei si designano quattro libri del Vecchio Testamento di cui i primi due sono considerati, dalla chiesa cattolica, canonici; gli altri due sono posti tra gli apocrifi. Il canone ebraico e per sua influenza le chiese riformate considerano tutti i quattro libri apocrifi (v. bibbia). Appunto perché il canone ebraico non ha accolto nella Bibbia questi libri, è andato perduto il testo originario del I Maccabei, che era ebraico a differenza degli altri libri, in cui il testo greco conservatoci è l'originario.

Che il I Maccabei fosse stato scritto in ebraico è provato non solo dalla testimonianza di alcuni Padri della Chiesa (S. Gerolamo nel Prologo Galeato e Origene presso Eusebio, Storia eccles., VI, 25, 2, che conserva inoltre il titolo dell'opera in forma incomprensibile: Σαρνὴδ Σαβαναιέλ), ma anche dagli ebraicismi evidenti del testo greco. Un testo ebraico del I Maccabei, ritrovato e pubblicato nel 1896, è stato dimostrato facilmente una retroversione medievale fatta sulla traduzione latina del testo greco. I quattro libri non sono omogenei, né per l'autore, né per il tempo in cui furono composti, né per contenuto: eccettuati, per quest'ultimo aspetto, il I e il II Maccabei, il cui contenuto è assai affine.

Primo e secondo libro dei Maccabei. - Sono i soli due libri, in cui il titolo indichi compiutamente il contenuto, perché l'uno e l'altro sono una storia del popolo giudaico nel periodo dei fratelli Maccabei (170 circa-135 a. C.). Il I Maccabei narra tutte le vicende della Giudea dai tentativi di Antioco Epifane all'assassinio di Simone, per opera del genero Tolomeo, e alla successione di Giovanni Ircano (135-104). Esso tace affatto sui contrasti negli ambienti sacerdotali e invece pone in primo piano la figura di Mattatia come l'iniziator della ribellione; narra poi con intensa simpatia l'opera di Giuda sorvola sul trapasso del sommo sacerdozio in mano di Gionata, ma tuttavia dimostra di aderire sostanzialmente con l'opera sua come con quella di Simone, di cui accentua invece la proclamazione popolare. Giunto all'inizio del regno di Giovanni Ircano, l'autore conclude rapidamente avvertendo, con una formula presa in prestito dai Libri dei Re, che le sue imprese sono scritte "nel libro dei giorni (- nella cronaca) del suo sacerdozio". Da questi caratteri e da altri più specifici, l'autore si rivela un ebreo religioso, se non proprio farisaico, assai vicino ai Farisei e quindi un "pio" che domina i proprî scrupoli sulle vicende del sacerdozio per l'ammirazione verso l'opera complessiva dei Maccabei: e perciò tace su quegli avvenimenti, che avrebbero potuto sembrare giustificazione d'una questione di legittimismo da parte dei sacerdoti di Leontopoli in Egitto, dove si erano rifugiati i membri della famiglia spodestata dai Maccabei. Il suo giudizio su Giovanni Ircano è invece piuttosto ambiguo: se lo si interpreta come favorevole, si deve già per ciò solo ritenere che sia stato scritto prima degli ultimi anni del suo regno, in cui egli perseguitò i Farisei; se lo si interpreta come sfavorevole o almeno di proposito reticente, è invece da ritenere che sia stato scritto negli ultimi anni di quel regno, perché dopo la morte di Ircano gli sarebbe stato possibile, se non proprio di difendere i Farisei, di parlare in altro tono: comunque, il libro va sempre collocato durante il regno di Giovanni Ircano. Questa data ha inoltre una probabile conferma nel passo X, 37, il quale è riecheggiato nella lettera dello pseudo-Aristea, 37, che gli studî più recenti pongono al più tardi negli ultimi anni di Ircano.

Nel I Maccabei è contenuta anche una serie d'importanti documenti: il trattato di Giuda con i Romani; la corrispondenza tra Ebrei e Spartani; una lettera di un console romano Lucio a un Tolomeo d'Egitto; lettere di Demetrio I, Demetrio II, Alessandro Balas e Antioco Sidete a Gionata e a Simone; decreto per Simone.

Sull'autenticità di questi documenti è stato discusso moltissimo. Deve tuttavia restare fuori discussione, quando anche si ritenga che l'autore del I Maccabei abbia potuto accogliere documenti non autentici, che egli non ne ha fabbricato alcuno. Secondo l'opinione che pare più attendibile, tutti i documenti sono autentici, eccetto la lettera di Gionata agli Spartani, quella del re Areo di Sparta a Onia (XII, 6 segg.) e la lettera del console Lucio a Tolomeo (XV, 16 segg.), che, in tale ipotesi, dovrebbe ritenersi elaborazione libera del senatoconsulto citato da Flavio Giuseppe in Antichità giudaiche, XIV, 145 segg. Va infine ricordata la teoria del Destinon, ripresa poi da molti altri, seeondo cui gli ultimi tre capitoli del I Maccabei, a partire da XIII, 42, dove comincia la storia di Simone, sarebbero un'aggiunta posteriore, perché Flavio Giuseppe che nelle Antichità giudaiche ricalca in modo pedissequo fino a quel punto il I Maccabei, lo abbandona poi bruscamente (XIII, 213 segg.). Ma questa teoria cade alla semplice osservazione che Giuseppe torna a questo punto alla fonte già seguita nella Guerra giudaica, che gli offriva pochi elementi per la storia di Giuda e di Gionata e quindi per una trattazione più vasta come quella delle Antichità non gli poteva bastare, ma diventava invece sufficiente per la storia posteriore.

Mentre il I Moccabei è ancora assai affine alle opere della storiografia ebraica classica come i Libri dei Re o anche i Libri dei Giudici, il II Maccabei ha tutt'altro tono e si avvicina invece ai così detti libri festali, come il Libro di Ester, cioè a quei libri scritti per diffondere o celebrare una festa religiosa. L'opera si dichiara un riassunto di una storia in cinque libri di Giasone di Cirene, che non ci è pervenuta: essa svolge con molta ampiezza la preistoria della ribellione maccabaica, insistendo sui vani tentativi di Seleuco IV e del suo ministro Eliodoro contro il tesoro del tempio e poi narrando le contese sacerdotali, di cui il I Maccabei tace. In compenso il Il Maccabei ignora totalmente la persona di Mattatia e invece narra diffusamente le imprese di Giuda sino alla sconfitta e alla morte del generale siriaco Nicanore (161 a. C.), la quale, liberando Gerusalemme, aveva avuto una grande eco in tutto il Giudaismo, anche fuori della Palestina, e aveva portato alla celebrazione di una festa annuale, detta appunto "giorno di Nicanore" il 13 Adar. Ma la stranezza del II Maccabei sta in ciò che, per quanto esso finisca con questo avvenimento e quindi sembri voler spiegare l'origine della festa che gli corrisponde, in verità si preoccupa invece di esaltare e raccomandare la festa delle "Encenie" (ḥanukkāh) che durava otto giorni a cominciare dal 25 Kislēw di ogni anno e celebrava la purificazione del tempio dopo la profanazione di Antioco Epifane. Il libro comincia appunto con alcune lettere (le quali hanno dato assai da fare ai critici per interpretarle e persino per distinguere il loro numero) in cui in sostanza gli Ebrei palestinesi raccomandano agli Ebrei egiziani la celebrazione della festa delle Encenie. Questa singolarità dell'opera non si può spiegare se non congetturando che i cinque libri di Giasone di Cirene avessero lo scopo di spiegare e celebrare "il giorno di Nicanore" e perciò finissero con quell'avvenimento e che l'epitome sia stata compiuta per sostenere invece la celebrazione dell'altra festa del 25 Kislēw e quindi mantenga l'ambito dell'opera da cui dipende, ma con il trasformarne l'intonazione. E si comprende assai bene che un Fariseo ortodosso, quale si rivela l'autore del II Maccabei, tenesse in grande conto la festa del 25 Kislēw e cercasse di sostituirla all'altra o almeno di esaltarla al suo confronto, perché essa era una festa del Tempio di Gerusalemme che valeva a riconfermarne il prestigio di unico santuario legittimo del Giudaismo. Non per nulla l'invito di celebrare questa festa è rivolto nelle lettere iniziali agli Ebrei d'Egitto, che alimentavano in mezzo a loro lo scisma del tempio di Leontopoli. La data del libro non è determinabile: certo è anteriore alla profanazione del tempio da parte di Pompeo (63 a. C.).

Tra le peculiarità del II Maccabei va ricordato che esso contiene già uno spunto ancora indeterminato su un'accensione, non si capisce bene se miracolosa, di un fuoco avvenuta nella purificazione del tempio (X, 3), che poi acquisterà sempre maggiore importanza nel giudaismo posteriore fino a che la festa delle "Encenie" varrà come celebrazione di un miracolo variamente precisato dei lumi o più genericamente del fuoco. Anche, il II Maccabei contiene alcuni documenti nel capitolo XI, riferentisi al periodo in cui Antioco IV Epifane fece una spedizione nelle provincie orientali del suo impero e vi fu ucciso, mentre tentava la spoliazione di un tempio, e il figlio Antioco V a lui succeduto revocò le deliberazioni del padre sul conto degli Ebrei. Di tutti questi documenti si è dubitato perché essi suppongono che la morte di Antioco IV sia avvenuta nell'anno 148 nell'era seleucidica, invece che nel 149, come è accertato da altre fonti, a cominciare dal I Maccabei. Ma è stato dimostrato che già un anno prima della morte del re si era sparsa la falsa notizia della sua uccisione, e quindi non c'è alcun motivo per dubitare dell'autenticità di questi documenti, che per il resto appaiono degni di fede. Va anche notato a questo proposito che tale discrepanza cronologica fra i primi due libri dei Maccabei ha fatto sorgere una grossa questione sull'inizio preciso dell'era seleucidica usata dai due libri: alcuni sostenendo che essa s'inizî con il Nisan (= aprile circa) del 312 a. C., altri con il Nisan del 311, altri col Tishri (= ottobre circa) del 311 e altri sostenendo ancora che l'inizio è differente nei due libri: l'opinione più probabile ci sembra quella che considera comune l'inizio dell'era dei due libri e lo pone al Nisan del 311. Un'altra questione molto dibattuta concerne le relazioni fra il I e il II Maccabei: da alcuni è stato affermato che Giasone di Cirene e il I Maccabei hanno avuto una fonte comune, da altri che il I Maccabei dipende da Giasone di Cirene. In realtà per quasi tutto il racconto non è provata una qualsiasi dipendenza di un libro dall'altro: solo nella preghiera di Giuda prima della vittoria su Nicanore (I Macc., VII, 41; II Macc., XV, 22) la comunanza di fonte è certa, ma può essere dovuta al fatto che una preghiera di Giuda era ben conosciuta e diffusa. Peculiare del II Maccabei di fronte al primo libro è inoltre di dare il massimo rilievo nell'inizio della ribellione agli episodî singoli di rifiuto di ottemperare agli ordini di Antioco: sono classici gli episodî del martirio dei sette fratelli e del vecchio Eleazaro (cap. VI e VII). Per questa concezione individualistica della resistenza, il cui significato per la storia della morale sarà chiarito appresso a proposito del IV Maccabei, che ne svolge i germi, il II Maccabei trascura la figura di Mattatia, in cui la resistenza aveva invece valore e finalità nazionale e politica.

Non ha nulla a che fare con il II Maccabei genuino il cosiddetto II Maccabei arabo, che è una delle rielaborazioni medievali delle Antichità giudaiche e della Guerra giudaica di Flavio Giuseppe e giunge fino a Erode il Grande: in esso, il I Maccabei già usato da Flavio Giuseppe, è contaminato con il II Maccabei, non senza nuove fantasie.

Il terzo libro dei Maccabei. - Il libro racconta una complicata storia, che s'inizia dopo la battaglia di Rafia (218 a. C.), in cui Tolomeo IV Filopatore vincendo Antioco III di Siria, occupò la Palestina: il modo violento con cui il libro ha principio fa però ritenere che un tratto iniziale ne sia andato perduto. Tolomeo si trattiene per alcuni mesi nel territorio occupato percorrendone le città e visitandone i santuarî. Tra i santuarî che egli desiderava visitare c'è anche il sancta sanctorum del Tempio di Gerusalemme, il penetrale, in cui non entrava che il sommo sacerdote una volta all'anno. Gli Ebrei si oppongono al suo desiderio, ma egli vuole entrare ugualmente, e Dio, dopo una preghiera del sommo sacerdote, lo colpisce di una stupefazione e di un irrigidimento, che non ha termine se non quando il re è trasportato fuori. Va qui avvertito, tra parentesi, che la somiglianza di questa scena con quella della cacciata di Eliodoro dal tempio nel II Maccabei ha avuto parte decisiva nel far comprendere il nostro racconto nei libri maccabaici. Si continua poi a narrare che per vendetta Tolomeo ordinò che gli Ebrei non potessero ottenere il diritto di cittadinanza in Alessandria, se non facendo omaggio al culto di Dioniso e portandone sul corpo a segno indelebile il simbolo, l'edera. Gli Ebrei rifiutarono, e allora l'ira del re si riversò sugli Ebrei dell'interno dell'Egitto, che, accusati di tradimento, furono trasportati in Alessandria per essere condannati e giustiziati. E già erano chiusi nell'ippodromo per venire calpestati da cinquecento elefanti inebriati con vino e incenso, quando Dio intervenne in aiuto dei suoi fedeli, mandando due angeli che rivoltarono gli elefanti contro i conduttori e riempirono di terrore gli astanti sì da persuadere il re a liberare i prigionieri. Da allora, ogni anno gli Ebrei d'Egitto celebrarono la loro salvezza.

Anche sulla storicità di queste vicende si è discusso senza fine: e qualcuno ha ritenuto che in esse fosse occultata la persecuzione di Caligola contro gli Ebrei alessandrini per il rifiuto di prestare culto alla sua divinità. Ma, a parte il fatto che una vera persecuzione di Caligola non c'è stata, la congettura è interamente arbitraria.

Gli elementi di cui è costruito il racconto sono nel complesso storici, solo che essi sono esagerati e in parte trasformati per lo scopo speciale del libro, che è anch'esso, come il II Maccabei, festale. La narrazione degli avvenimenti della guerra tra Tolomeo IV e Antioco III è attinta a buona fonte e coincide in sostanza con quella di Polibio. L'indugio di Tolomeo in Palestina è confermato da un decreto trilingue in suo onore del concilio dei sacerdoti egiziani scoperto di recente: da questo decreto si può arguire inoltre che ci siano stati dei torbidi in questo periodo nel territorio occupato, sicché l'agitazione di Gerusalemme in occasione della visita del re è probabilmente da connettersi con quelli. Che poi Tolomeo IV non intendesse concedere la cittadinanza se non a chi compiva atti di culto a Dioniso è cosa credibilissima. Intanto, di regola, l'iscrizione nella cittadinanza implicava atti di culto pubblico, da cui gli Ebrei solo per eccezione potevano essere esclusi. Nel caso particolare sono notissimi da altre fonti la devozione di questo Tolomeo per Dioniso e il riordinamento da lui operato nelle divisioni amministrative della cittadinanza con la costituzione di una tribù dionisia: supponendo che gli Ebrei, e in genere tutti i nuovi cittadini, dovessero essere iscritti in questa nuova tribù, era naturale che il culto da prestarsi fosse quello di Dioniso. E infine non fa meraviglia che gli Ebrei, che formavano delle importanti colonie militari nell'interno del paese, abbiano potuto essere sospettati di tradimento e poi prosciolti, e, in occasione della loro liberazione, abbiano celebrato una festa che si ripeteva poi ogni anno. Se Flavio Giuseppe nel Contro Apione, II, 57 segg., attribuisce una simile persecuzione al tempo di Tolomeo Evergete II, è probabile che egli raccolga una tradizione più tarda in cui è già fatta una confusione tra i varî Tolomei.

Il quarto libro dei Maccabei. - Questo libro non contiene un racconto storico. È invece un trattato di morale, improntato fortemente di idee stoiche, il quale prende ad esempio il martirio di Eleazaro e dei sette fratelli al tempo di Antioco Epifane per provare che la ragione è signora delle passioni. Esso adopera quindi liberamente la storia senza scrupoli di esattezza, solo per dimostrare la sua tesi. Non c'è dubbio che, nel narrare i due episodî, il libro attinga al II Maccabei e non a Giasone di Cirene, come pure da taluno si è creduto. La data di composizione è ignota; non ha valore l'antica attribuzione del libro a Flavio Giuseppe. L'opera ha significato soprattutto per il modo originale con cui la mentalità ebraica dell'autore elabora lo stoicismo col quale era venuta in contatto. I motivi dell'individualismo stoico, dell'impassibilità di fronte ai tormenti, sono qui assorbiti nell'esaltazione del martirio. S'accentua quindi nel IV Maccabei il valore del martirio individuale, che è già spiccato nel II Maccabei. Mentre per il I Maccabei la resistenza è collettiva, e Mattatia ne è solo la guida e l'anima, simbolo quasi della resistenza di tutto il popolo; nel II Maccabei e poi più ancora nel IV Maccabei è esaltata invece la testimonianza singola della legge, il sacrificio dell'individuo, che nel morire per la fede attesta non la devozione di tutto Israele, ma la sua personale. Un valore nuovo è affermato con questo cambiamento, il valore dell'individuo singolo di fronte a Dio. Ciò spiega l'importanza che gli episodî di martirio del II e del IV Maccabei hanno avuto nel Cristianesimo, in cui questa concezione della salvezza individuale, al di sopra del limite nazionale, fu energicamente ripresa e svolta. È quindi accaduto che i sette fratelli martiri siano stati ritenuti i veri fratelli Maccabei, anche per influenza del titolo del IV Maccabei, in cui dei figli di Mattatia non si parla; e si sa che quei sette fratelli sono stati considerati, dalla chiesa, dei santi e sono commemorati il i° agosto. È degno di ricordo anche il processo inverso, che si riscontra in una storia dei Maccabei etiopici, in cui i veri fratelli Maccabei sono diventati essi stessi dei martiri. Ma in questa storia i M. non hanno più conservato nulla della personalità primitiva: sono dei figli di Magabjos che resistono al re Sirusaidan e soffrono il martirio.

Ediz. e trad.: Le migliori edizioni del testo greco in F. Fritzche, Libri Apocryphi Veteris Testamenti, Lipsia 1871; B. Swete, The Old Testament in Greek, III, Cambridge 1912. Delle traduzioni di particolare significato siano qui ricordate la siriaea che si trova in P. de Lagarde, Libri Vet. Test. apocryphi Syriace, Lipsia 1861, la latina del II Maccabei pubblicata dal Ceriani, Monumenta sacra et profana, I, fasc. 3, la parafrasi pure latina del IV Maccabei pubblicata da Erasmo, Opera Josephi interprete Rufino presbytero De insigni Machabaeorum martyrio, Colonia 1524. Per le traduzioni latine v. D. de Bruyne e B. Sodar, Les anciennes traductions latines des Machabées, Maredsous 1932. La Bibbia etiopica ignora i libri dei Maccabei. La storia etiopica di origine recente, a cui si allude nel testo, fu pubblicata dal Horowitz in Zeitschrift für Assyriologie, XIX (1905-06), pp. 194 segg. Il II Maccabei arabo si trova nelle Bibbie poliglotte di Parigi, IX (1628), e di Londra, IV (1657). Migliori commenti: Grimm, Kurzgefasstes exegetisches Handbuch zu den Apokryphen, III-IV, Lipsia 1853-54; E. Kautszch, Apokryphen und Pseudepigraphen, I-II, Friburgo 1900; R. H. Charles, The apocrypha and pseudepigrapha of the Old Testament, I-II, Oxford 1913. Il presunto testo ebraico originario pubblicato da D. J. Chwolson, Auszüge aus einem hebräischen Texte des A Makk., in Schriften des Vereins Mekize Nirdamin, VII (1896-97). Per la sua natura cfr. soprattutto Th. Nöldeke, in Litter. Centralblatt, LII (1901), col. 521 segg. e I. Lévi, in Rev. d. études juives, XLIII (1901), p. 215 segg.

Bibl.: Gli studî critici sui libri dei Maccabei sono innumerevoli. I più importanti si possono trovare sistematicamente ordinati in A. Momigliano, Prime linee di storia della tradizione maccabaica, Torino 1931, p. 173 segg., che non comprende tuttavia il III Maccabei, per cui manca bibl. sistematica. Qui si citano solo gli studî fondamentali. Sui primi due libri: B. Niese, Kritik der beiden des zweiten Makkabäerduchs im Verhältnis zum ersten, in Nachrichten Götting. Gesell. d. Wissensch., 1905, p. 117 segg.; W. Kolbe, Beiträge zur syrischen und jüdischen Geschichte, Stoccarda 1926; A. Büchler, Die Tobiaden und die Oniaden im II. Makkabäerbuche, Vienna 1893; R. Laqueur, Kritische Untersuchungen zum zweiten Makkabäerbuch, Strasburgo 1904; E. Meyer, Ursprung und Anfänge des Christentums, II, Stoccarda 1921; H. Willrich, Urkundenfälschung in d. jüd. hellenist. Literatur, Gottinga 1924; U. Kahrstedt, Syrische Territorien in hellen. Zeit, in Abhandl. Gesell. Wissensch. Göttingen, n. s., XIX, ii (1926); E. Bickermann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, col. 779 segg. (comprende anche il III Maccabei); B. Motzo, Studî di storia e letteratura giudeo-ellenistica, Firenze 1925. Sul terzo libro, I. Abrahams, The third book of the Maccabees, in Jewish Quarterly Review, IX (1897), p. 33 segg.; H. Willrich, Der historische Kern des III. Makkabäerbuches, in Hermes, XXXIX (1904), p. 244 segg.; B. Motzo, Esame storico-critico del III Libro dei Maccabei, in Entaphia Pozzi, Torino 1913, p. 211 segg. Sul IV libro, J. Freudenthal, Die Flavius Josephus beigelegte Schrift über die Herrschaft der Vernunft, Breslavia 1869; L. Heinermann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, col. 800 segg. Per l'accenno del testo al decreto trilingue in onore di Tolomeo IV Filopatore in relazione con il III Maccabei cfr. A. Momigliano in Aegyptus, X (1929), p. 180 segg.; per le relazioni tra il I Maccabei e la Lettera di Aristea, id., ibid., XII (1932), p. 161 segg.