MACETTI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MACETTI (Masetti, Massetti, Mazzetti)

Fausta Franchini Guelfi

Famiglia di marmorari, scultori e stuccatori lombardi originari di Rovio (Canton Ticino). La prima notizia riguarda Pietro, che nel 1592 lavorò alla decorazione a stucco della chiesa di S. Croce nel borgo ticinese di Riva San Vitale. Non si conosce il rapporto di parentela fra Pietro e gli stuccatori Carpoforo (Bissone, 1684 - Venezia, 1748), attivo soprattutto in Veneto e in Friuli, e Vincenzo (Rovio, 1741-96), in Francia.

Più documentata è l'attività dei M. marmorari, attivi a Genova dagli inizi del Seicento alla seconda metà del Settecento, nell'ambito dell'arte degli scultori di nazione lombarda, che avevano il monopolio della produzione di manufatti scultorei e del commercio dei marmi.

La loro solidarietà di mestiere e di nazione era costantemente rafforzata da una prassi di legami di parentela che dava la possibilità di proficue collaborazioni fra le botteghe degli artisti e offriva alla struttura delle botteghe stesse un modello di compattezza familiare.

I primi M. a stabilirsi a Genova sembra siano stati Giovanni Angelo e suo figlio Giovanni (Rovio, 1575 circa - Genova, 1649 circa). La madre di quest'ultimo, Maddalena Carlone, era sorella di Battista, Bartolomeo, Andrea e Francesco Carlone da Rovio, affermati marmorari e commercianti di marmi che da tempo operavano in città. Nel 1605 Giovanni lavorava nella bottega degli zii; la sola sua opera nota è la fontana già in piazza Ponticello, oggi in piazza Campetto, eseguita nel 1642 in collaborazione col figlio Francesco (Rovio, 1619 - Genova, 1687). Dopo la morte del padre, Francesco continuò a produrre arredi marmorei spesso in collaborazione con altri due lombardi, Giorgio Scala e Carlo Solaro: rivestimenti di cappelle, altari con colonne e frontone classicheggiante, paliotti a tarsie policrome. Si segnalano, in particolare, la cappella (distrutta) di N.S. del Rosario nella chiesa parrocchiale di Loano (1663-64) con Scala, il monumentale altare di N.S. del Rosario in S. Domenico a Taggia (1665) con Scala e Solaro e l'altare della cappella Morando nella chiesa genovese della Ss. Annunziata del Vastato (1673) con Solaro. In quella chiesa eseguì anche lavori al pavimento, alla balaustra del presbiterio (1682) e alle cappelle Baliani e Spinola (1673-85). Il suo lavoro per arredi e parati marmorei lo portò sempre a collaborare con colleghi dell'arte, con i quali aveva rapporti strettissimi anche come testimone di nozze, battesimi e testamenti e come garante per contratti.

La bottega compì un salto di qualità con il rapporto instaurato con Pierre Puget che, giunto a Genova nel 1660 per acquistare marmi pregiati, si affidò alla mediazione di Scala e assegnò a quest'ultimo e a Francesco l'esecuzione di camini e portali marmorei per i palazzi dei suoi committenti francesi.

Su disegno e per conto di Puget, Francesco realizzò l'apparato marmoreo, andato in seguito in gran parte disperso, della cappella Deydé nella cattedrale di Montpellier (1668-79) e della cappella del palazzo genovese di Stefano Lomellini (1679-80), decorata con marmi pregiati e pietre dure in forme di aulica sontuosità per ospitare la statua dell'Immacolata Concezione di Puget, oggi nell'oratorio di S. Filippo Neri. Il dettagliatissimo contratto per la cappella Lomellini, affidata alla direzione di Solaro, definiva chiaramente il ruolo e i limiti di esecutore di Francesco.

Alla sua morte il figlio Bernardo ereditò la bottega, nella quale lavorava anche Giacomo che, forse figlio di quel Domenico documentato a Genova nel 1637 e nel 1645, aveva collaborato ai lavori della cappella Lomellini e aveva accompagnato negli anni 1677-79 i marmi della cappella Deydé a Montpellier per dirigerne la messa in opera.

Documentato a Marsiglia nel 1694 presso Puget, fu probabilmente quest'ultimo ad aprire bottega in Provenza e a stabilirvi quel ramo della famiglia, che fra la fine del Seicento e la fine del Settecento fornì numerosi, splendidi arredi marmorei per le chiese di Avignone, Dax, Carpentras, Nîmes, Montaut, Perpignan, Commensacq, Maillane, Eyragues. Furono soprattutto i figli di Giacomo, Bernardo Virgilio e Giacomo Antonio, e poi Giuseppe Bernardo figlio di quest'ultimo, a realizzare, nella loro bottega di Avignone (nell'epigrafe sull'altare eseguito nel 1765 per la cattedrale di Dax si definirono "Avenione comorantes") numerosissimi altari ed elementi architettonici, servendosi spesso di marmi liguri come il verde Polcevera.

A Genova il figlio di Francesco, Bernardo (1664-1703), dalla morte del padre condusse la bottega insieme con il fratello minore Giuseppe Maria, nato nel 1680. La sua capacità tecnica ed esecutiva risalta nelle due opere note, il grande altare maggiore della chiesa parrocchiale di Pedemonte di Serra Riccò (1690), sontuosa struttura architettonica caratterizzata dal raffinato disegno decorativo delle coloratissime tarsie marmoree, e l'altare di S. Erasmo nella chiesa parrocchiale di Sestri Levante, eseguito poco prima della morte di Bernardo in più aggiornate forme settecentesche nelle colonne tortili e nel paliotto bombato. Sono andati distrutti la decorazione marmorea della cappella della villa Lomellini a Pegli, eseguita su disegno di Gregorio De Ferrari (1688) e, tra i lavori genovesi, gli altari maggiori delle chiese di S. Pancrazio (1691) e di S. Leonardo (1700) e l'altare dell'oratorio dei Ss. Gregorio e Orsola (1701), del quale resta il bellissimo disegno allegato all'atto notarile. Nel 1694 Bernardo presentava anche un progetto, non accolto dalla committenza, per il completamento dell'altar maggiore della chiesa genovese di S. Filippo Neri. Alla sua morte la bottega passò sotto la direzione di Giuseppe Maria, che nel 1704 si trasferì a Cagliari, dove fino al 1707 lavorò alla nuova facciata del duomo, mentre la sua bottega a ponte Calvi, sul porto di Genova, veniva gestita dal nipote Giovanni Andrea, figlio di suo fratello Pietro Cristoforo, nato nel 1673 e finora non documentato come scultore.

Dal 1711 al 1733 la bottega cagliaritana di Giuseppe Maria fornì splendidi arredi marmorei per numerose chiese dell'isola: l'acquasantiera per la chiesa parrocchiale di S. Sperate (Cagliari; 1711), il monumentale, scenografico altare per la cappella di S. Michele nella cattedrale cagliaritana (1727), dove aveva eseguito due altari (1716-18) per i quali aveva ordinato dalle cave di Portovenere otto colonne del prezioso marmo Portoro. E inoltre, il coloratissimo altare maggiore del duomo di Alghero (1727), la balaustra della chiesa parrocchiale di Sestu (1733). Il grandioso complesso presbiteriale (altare maggiore, balaustre, credenza) della cattedrale di Ales (1728-37) fu portato a termine dall'allievo Pietro Pozzo dopo il ritorno a Genova di Giuseppe Maria nel 1734.

Giuseppe Maria morì a Genova il 3 febbr. 1734, come attesta l'inedito atto di morte (a p. 55 del Libro dei defunti della chiesa di S. Agnese, conservato nell'Archivio parrocchiale di N.S. del Carmine). Frattanto suo nipote Giovanni Andrea si era stabilito a San Remo, dove è documentato dal 1716, presso la bottega del compaesano Giovanni Andrea Manni da Rovio, del quale sposò la figlia, determinando il definitivo trasferimento di questo ramo della famiglia nel Ponente ligure. Fra il 1722 e il 1752 eseguì numerosi arredi marmorei per le chiese di San Remo, di Piani di Imperia, di Ceriana, di Vallecrosia, di Vasia, di Triora, di Bussana, fino a Saorge in Val Roya. Suo figlio Pietro dal 1772 al 1778 fornì anch'egli altari e decorazioni marmoree per il Ponente (Ceriana, Castelvittorio), a volte, come nell'oratorio della Ss. Concezione a San Remo (1772), portando a termine un lavoro iniziato da Giovanni Andrea.

Rimase invece nella bottega di ponte Calvi la linea familiare di Ignazio (1668-1732), figlio di Cristoforo, che portò avanti la prassi operativa che aveva sempre caratterizzato la bottega: la costruzione di arredi in marmi policromi per chiese e oratori, quasi sempre in collaborazione con altri marmorari di origine lombarda e con scultori ai quali era affidata l'esecuzione degli inserti di "figura", dalle testine angeliche sui tabernacoli ai medaglioni a rilievo sui paliotti.

L'altare maggiore della chiesa di S. Biagio (1704), quello di Traso (1709), quello finora inedito della cappella di N.S. del Rosario della chiesa di Palmaro (Arch. di Stato di Genova, Notai della Valpolcevera, 595, notaio Paolo Francesco Repetto, 15 genn. 1712), la realizzazione dell'altare maggiore della basilica di Carignano su progetto del fiorentino Massimiliano Soldani Benzi (1713-14), l'altare dell'Angelo Custode nella chiesa delle Scuole pie su progetto di Antonio Haffner (1720), quello della chiesa di S. Vittore (1728) e, infine, il portale della chiesa di Borgomaro (1730) e gli scenografici altari della chiesa dei carmelitani a Savona (1730-32) segnano una graduale trasformazione in senso barocco dei caratteri strutturali e architettonici di questa tipologia di arredo. Nel frattempo, come tutti i marmorari operosi a Genova, commerciava marmi, inviandone anche a Marsiglia (1720), forse a quei M. da tempo attivi in Francia.

Di Giovanni Battista, figlio di Ignazio, è nota una sola opera, inedita, l'altare maggiore della chiesa di Canepa presso Recco (Arch. di Stato di Genova, Notai antichi, 12634 (notaio Ambrogio Roccatagliata, 13 maggio 1740).

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