VENIER, Maffio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VENIER, Maffio

Francesca Favaro

– Nacque a Venezia il 6 giugno 1550 da Lorenzo, morto poco dopo la sua nascita a circa quarant’anni, e da Maria Michiel, andata in sposa a Lorenzo nel 1544.

Durante la giovinezza, prima di rivestire mansioni di governo in Dalmazia, Lorenzo, spinto anche dall’esigenza di consolidare una situazione economica non florida, aveva servito in mare agli ordini di Alvise Sanudo.

Maffio manifestò una precoce inclinazione per le lettere, una dimestichezza con la penna almeno in parte favorita da una parentela culturalmente attiva. Lo zio Domenico (v. la voce in questo Dizionario), petrarchista ortodosso e animatore, a S. Maria Formosa, di un cenacolo letterario, lo introdusse in ambienti culturali improntati a una stretta osservanza bembiana; al contrario, il padre, amico di Pietro Aretino e autore del poemetto pornografico La puttana errante (stampato anonimo nel 1531) gli trasmise l’insofferenza per i modelli letterari elaborati da Pietro Bembo sull’esempio di Francesco Petrarca.

Venier effettuò numerosi viaggi entro la penisola e fuori dai suoi confini. Negli anni Settanta fu a Roma, Firenze, Parma e Bologna e frequentò le corti, conoscendo letterati (tra gli altri Torquato Tasso), aristocratici ed ecclesiastici. Strinse rapporti con i principi di Firenze, destando i sospetti della Serenissima: nei fatti egli svolse per Francesco I gli uffici di informatore. Contribuì alla sua lontananza dalla patria (a rapidi ritorni, tra il 1574 e il 1576, seguirono altrettante partenze) la peste che vi imperversò in quegli anni. Nel 1576 il contagio gli ispirò la dolente canzone Col cor pien di pietade e di spavento. Concepì l’idea di partire alla volta di Costantinopoli al seguito del bailo, ma, accolto nella magistratura dei Savi agli Ordini, rinunciò al progetto; si trattò solo di un rinvio: a Costantinopoli Venier si recò successivamente, insieme a Paolo Contarini, traendo dall’esperienza il materiale per una Descrizione dell’Impero turchesco (1580) e per un ulteriore saggio, risalente al 1585, su richiesta del pontefice Sisto V, sulle strategie migliori da adottare nel caso di conflitto contro i turchi, il Discorso dello stato presente del Turco e modo di fargli una guerra reale.

Il suo legame con la Firenze di Francesco I divenne ben accetto alla Serenissima in seguito alle seconde nozze del granduca: rimasto vedovo di Giovanna d’Austria nell’aprile del 1578, egli sposò – dapprima in segreto, poi pubblicamente – l’amante che da tempo gli era accanto, la nobile veneziana Bianca Cappello, amica di Venier. L’unione matrimoniale sembrò suggellare, sulla scia della fortuna di Bianca, anche la prosperità dell’amico veneziano, ma le autorevoli protezioni non valsero a garantire a Venier i benefici ecclesiastici cui aspirava. Solo dopo anni d’incertezza, il 9 luglio 1583, il papa lo consacrò arcivescovo di Corfù. Resosi rapidamente conto delle numerose difficoltà che doveva fronteggiare nella sede vescovile assegnatagli, Venier si adoperò invano allo scopo di ottenere una sistemazione più tranquilla e remunerativa, ma ogni vescovato vacante (particolarmente appetibile, quello di Brescia) su cui puntasse l’attenzione gli veniva negato. Un ultimo soggiorno in Italia, fra la Toscana, Roma e Tivoli, lo vide oppresso dalla sifilide, che lo tormentava dall’epoca di Costantinopoli.

Trasse qualche sollievo dalla poesia condivisa con gli amici (a Firenze, in casa Salviati, lesse parte della sua tragedia, l’Idalba), ma il male lo condusse alla morte l’11 novembre 1586, a Torrenieri, vicino a Siena.

Francesco I ordinò che gli si desse sepoltura nel duomo cittadino. Poco prima della morte aveva ottenuto dalla Curia il provvedimento che avrebbe alleviato le sue preoccupazioni economiche: la coadiutoria di S. Miniato e l’esenzione dal pagamento delle decime al papa.

Lasciò varie prove della sua versatilità di scrittore. Annoverato – e anche, in qualche modo, confinato – a lungo fra gli autori irregolari del Cinquecento, Venier è stato riscoperto nel suo valore di poeta grazie agli studi realizzati da Giorgio Padoan, Armando Balduino, Alvise Zorzi e Manlio Dazzi. I suoi componimenti, considerati con uno sguardo più obiettivo a prescindere dal pregiudizio sull’oscenità di molti suoi versi, sono ritenuti tra i migliori prodotti della poesia vernacolare del secolo, in grado di valorizzare mirabilmente la vivacità e la duttilità espressiva del dialetto veneziano. In questo campo Venier raggiunse gli esiti più convincenti, in particolare quando evita eccessi di sguaiataggine restando entro la misura di una fresca, popolareggiante cordialità umana. Il suo testo più apprezzato è la Strazzosa, canzone in cui si celebra l’amore per una donna umile, ma attraente, sebbene rivestita di cenci. Un plateale esempio della virulenza espressiva cui Venier sapeva spingersi si ha nella tenzone che intorno al 1575 lo contrappose alla cortigiana e poetessa Veronica Franco, pupilla di Domenico Venier. Gli strali lanciati contro di lei, ben illustrati da Manlio Dazzi (Il libro chiuso..., 1956), mostrano la ripresa di una tradizione misogina in genere e ferocemente ostile alle donne di piacere, cui anche il padre Lorenzo aveva dato linfa con la Puttana errante. Nonostante le esagerazioni rancorose e scurrili in cui l’autore di frequente cadde, la poesia in dialetto di Venier prevale, per originalità e forza stilistica, sulle liriche in toscano. Piuttosto fredda e convenzionale, obbediente al modello di Giovan Battista Giraldi Cinzio, risulta la tragedia Idalba (1585), di cui esistono due redazioni; la vicenda, un intreccio di odi e passioni familiari che diventano lotte per il regno, è incorniciata da un’ambientazione esotica, nelle regioni di Frisa e Dania, e ne sono protagoniste due donne rivali, Idalba e Armilla.

Grazie ai suoi rapporti burrascosi con Franco, Venier è tra i personaggi della pièce Veronica Franco, meretrice e scrittora, composta da Dacia Maraini nel 1991.

Opere. Il libro chiuso di Maffio Venier. La tenzone con Veronica Franco, a cura di M. Dazzi, Venezia 1956; Tre liriche: I Do donne me se drio quasi ogni dì; II Amor, son co’ xe un can da scoassera; III M’ho consuma aspettandote, ben mio, a cura di G. Padoan, in Quaderni veneti, I (1985), pp. 7-30; Canzoni e sonetti, a cura di A. Carminati, Venezia 1993; Poesie diverse, a cura di A. Carminati, Venezia 2001.

Fonti e Bibl.: A. Pilot, Canzoni inedite di M. V., in Pagine istriane, IV (1906), pp. 101-110, 155-162, 225-230; N. Ruggieri, M. V. (arcivescovo e letterato veneziano del Cinquecento), Udine 1909; V. Rudmann, Lettura della canzone per la peste di Venezia di M. V., in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali e lettere, CXXI (1962-1963), pp. 599-641; A. Balduino, Restauri e recuperi per M. V., in Medioevo e Rinascimento veneto. Con altri studi in onore di Lino Lazzarini, II, Padova 1979, pp. 231-263 (poi in Periferie del petrarchismo, a cura di B. Bartolomeo - A. Motta, Roma-Padova 2008, pp. 141-176); T. Agostini Nordio, La Strazzosa, canzone di M. V., in T. Agostini Nordio - V. Vianello, Contributi rinascimentali. Venezia e Firenze, Abano 1982, pp. 9-131; F. Bandini, La letteratura pavana dopo il Ruzante, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, IV, 1, Vicenza 1983, pp. 327-362; T. Agostini Nordio, Rime dialettali attribuite a M. V. Primo regesto, in Quaderni veneti, V (1985), pp. 7-23; G. Belloni, M. V., in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di V. Branca, IV, Torino 1986, pp. 389-393; T. Agostini Nordio, Per un catalogo delle rime di M. V. Secondo e terzo regesto: II. Rime dialettali anonime di ambito venieresco. III. Rime in lingua letteraria attribuite a M. V., in Quaderni veneti, 1987, n. 5, pp. 7-20; Ead., Poesie dialettali di Domenico Venier, ibid., 1991, n. 14, pp. 33-56; D. Maraini, Veronica Franco, meretrice e scrittora, Milano 1992, passim; M. Ferrari, Il Lamento dei pescatori veneziani e il ms. Marc. It. IX 173 (=6282), tesi di laurea, Università di Venezia Ca’ Foscari, a.a. 2011-12.

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