FERRARIS, Maggiorino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FERRARIS, Maggiorino

Rosanna De Longis

Nato ad Acqui (Alessandria) il 6 apr. 1856 da Giuseppe, fornaio, e da Lutgarda Ricci, si laureò in giurisprudenza nel 1876 presso l'università di Torino, avviandosi all'esercizio dell'avvocatura. Dopo una collaborazione al Diritto e alla Gazzetta del popolo, trasferitosi a Roma, vi fu segretario di redazione della Nuova Antologia nel 1881-82. Nel 1886 fu eletto deputato nelle file liberali per il collegio di Alessandria, con un ottimo successo sul candidato locale più accreditato. Da allora fu eletto ininterrottamente alla Camera per quel collegio fino alla XXIII legislatura (1909-1913). Non rieletto nel 1913, il 24 novembre dello stesso anno fu nominato senatore per la III e la V categoria.

La sua militanza politica si snodò nell'ambito dell'esperienza liberale, alle cui vicende partecipò in modo intenso e vivace con un'attività parlamentare particolarmente assidua affiancata da una copiosa produzione giornalistica. Come parlamentare e come pubblicista privilegiò le questioni economiche e finanziarie, e specialmente agrarie, ma non trascurò altri campi cruciali del dibattito politico di quegli anni, dai problemi dell'istruzione e della scuola a quelli di politica estera, da quelli dell'emigrazione e dell'assetto delle aree urbane a quelli ferroviari. Il suo attivismo fu addirittura oggetto di ironia da parte di alcuni suoi illustri contemporanei; D. Farini, nel suo Diario, lo imputò, con malcelato disprezzo, all'ansia di protagonismo derivatagli dalle umili origini familiari.

Nei primi anni del suo mandato parlamentare partecipò alle varie fasi del riordinamento bancario. Fu membro della commissione incaricata di esaminare i disegni di legge Miceli e Giolitti del 1889 e del 1890, esprimendosi, sia come relatore della commissione stessa sia in vari articoli e interventi sulla stampa, a favore del regime vigente e contro l'unificazione degli istituti di emissione. Più tardi, nel 1893, non risparmiò critiche ai progetti di riforma di G. Giolitti, e si pronunciò contro la politica dei salvataggi che, lungi dall'essere una reale soluzione dell'anarchia bancaria, rappresentavano a suo avviso solo una grave collusione tra interessi privati e manovre ministeriali. Contrario al monopolio della Banca d'Italia propose, in alternativa all'unificazione, una sene di aggiustamenti e razionalizzazioni ottenuti con la fusione di alcuni istituti e la liquidazione della Banca romana.

Il suo nome comparve nelle carte Tanlongo che andarono a formare il cosiddetto "plico" Giolitti, come uno dei parlamentari compromessi e sospettati di favori verso la Banca romana; nell'inchiesta che seguì non gli fu mosso però alcun addebito. Schierato in Parlamento con il centrodestra riformista, in occasione della vicenda bancaria fu un fiancheggiatore, e non di secondo piano, della campagna antigiolittiana orchestrata da N. Colajanni. Nel dicembre del 1893, al momento della formazione del terzo ministero Crispi, a cui avevano in un primo tempo accordato i radicali il loro favore, F. Cavallotti suggerì il suo nome come quello di uno dei possibili componenti del gabinetto. Vi entrò, infatti, come titolare del dicastero delle Poste e Telegrafi, rimanendovi fino alla caduta nel marzo 1896, solidale con Crispi anche dopo i fatti di Adua.

Da sempre interessato ai problemi dei bilancio, fu da ministro assertore della necessità di restaurare le finanze statali attraverso la conversione della rendita, l'abolizione del corso forzoso, il contenimento delle spese militari e sostenne con vigore la politica finanziaria di S. Sonnino, di cui era un fervido ammiratore. Nel presentare i bilanci in attivo del suo ministero, che era stato istituito solo pochi anni prima, ebbe modo di dimostrare come la gestione fosse meno dispendiosa e più razionale rispetto ai tempi in cui le poste e telegrafi rientravano nelle competenze del ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio e di prospettare l'opportunità di numerose innovazioni tecniche e di riforme relative all'amministrazione dei personale.

Il pareggio dei bilancio e il rafforzamento delle finanze erano per il F. conditio sine qua non di una politica di riforme a favore delle classi popolari e soprattutto del Mezzogiorno, che fu costantemente al centro dei suoi interessi, specialmente a partire dagli ultimi anni dei secolo in connessione con le agitazioni contro il caroviveri. Ma il dazio sui cereali, sottoposto agli attacchi dei socialisti e dei liberisti, fu dal F. giudicato come una delle misure necessarie, sia pure in via transitoria, a conseguire l'obiettivo del risanamento finanziario; ne propose perciò correttivi e limitazioni ma fu contrario all'abolizione. Per questo V. Pareto ebbe a ironizzare sull'effettiva solidità delle convinzioni liberiste del F. che pure lo avevano portato a partecipare, nel 1892, alla fondazione dell'Associazione economica liberale.

Nel 1897 rilevò la proprietà della Nuova Antologia, che diresse dal luglio di quell'anno fino al 1926 e che divenne da allora tribuna d'elezione delle sue battaglie politiche.

Al pari di molti conservatori riformisti fu convinto che a garantire la stabilità dell'assetto sociale fosse indispensabile un piano di riforme mirate a risollevare lo stato dell'agricoltura e le condizioni delle popolazioni agrarie, di quelle meridionali in primo luogo. Le agitazioni del 1898 gli apparvero come un drammatico segnale del distacco che divideva i ceti popolari dalle istituzioni. Da allora si fecero perciò più insistenti i suoi appelli per una riforma agraria, a cui diede organica sistemazione in una serie di interventi apparsi tra il 1898 e il 1901 sulla Nuova Antologia, e che si concretizzarono in un disegno di legge più volte ripreso negli anni successivi fino al conflitto mondiale.

Si schierò inizialmente a favore del governo Pelloux, nel cui programma economico credette di individuare una certa contiguità con la propria linea riformista. Ma gli sottrasse in un secondo momento l'appoggio: sostenitore dell'assoluta priorità delle rifonne economiche, votò contro il passaggio alla seconda lettura dei provvedimenti politici sulla pubblica sicurezza e la stampa. Come componente della commissione per il regolamento della Camera fu contrario all'ostruzionismo e favorevole alle misure proposte per combatterlo, ma giudicò scorretto e inopportuno applicarle alla discussione in corso.

Nei primi anni del secolo diversificò i suoi interventi sulla politica di riforme e la questione meridionale, non limitandosi a riproporre il programma agrario, ma tracciando anche uno schema di riforma tributaria mirante ad alleviare gli oneri fiscali e i debiti ipotecari che pesavano sulle terre meridionali e ne limitavano la produttività.

Tra il 1903 e il 1907 dedicò molta attenzione alle questioni relative alle ferrovie, seguendo le varie fasi del passaggio all'amministrazione dello Stato e denunciando con toni allarmati le insufficienze e i disservizi, fattore non secondario dell'arretratezza e dell'isolamento del Mezzogiorno.

L'allargamento dell'area di utenza e l'intensificazione del traffico potevano rappresentare, a suo giudizio, una prima soluzione al male che da sempre le affliggeva, la scarsità di capitali reinvestibili nell'ammodernamento degli impianti e nell'ampliamento della rete. Per questo propose l'adozione di una serie di facilitazioni tariffarie, quali i biglietti "popolari", la III classe, i biglietti chilometrici.

All'opposizione nei governi giolittiani, si avvicinò decisamente a Sonnino alla vigilia delle elezioni del 1919, in occasione delle quali rivolse al partito costituzionale l'appello a rinnovarsi e a battersi per uno Stato "moderno, attivo e fattivo, che integra con la scuola i pubblici servizi. con il credito le forze produttive dei cittadini; che prosegue ... la progrediente e felice restaurazione delle ferrovie dello Stato; che presidia l'operaio colle leggi tutelatrici del lavoro, dell'invalidità, della vecchiaia; che rafforza con il decentramento le autorità locali... che pone termine al periodico saccheggio del risparmio popolare da parte di società anonime malsane; che organizza la difesa della piccola proprietà" (I costituzionali al bivio: o rinnovarsi o morire, in Nuova Antologia, 1º apr. 1909, p. 512).

Antigiolittiano in politica interna, condivise in larga parte gli indirizzi di politica estera di Giolitti e Tittoni. Preoccupato degli squilibri creati nel bilancio statale dalle spese militari, incompatibili con una politica di pacificazione sociale., fu tiepido sostenitore dell'impresa libica e approvò nel 1914 la scelta di neutralità dell'Italia, pur prospettando la possibilità della guerra con l'Austria per la difesa degli interessi territoriali italiani. Nel corso della guerra, a più riprese sottolineò la gravità delle conseguenze economiche del conflitto, l'aumento incontrollato dei prezzi e soprattutto il rincaro dei generi di prima necessità; sollecitò perciò dallo Stato un'azione regolatrice dei consumi e calmieratrice dei prezzi.

Nel dopoguerra fu membro e vicepresidente dalla seconda delegazione italiana alla conferenza di pace, e fece una men che breve esperienza di governo nel giugno 1919 come ministro per gli Approvvigionamenti e Consumi alimentari negli ultimi giorni del gabinetto Orlando.

In quegli anni ritornò con rinnovato vigore, attraverso le pagine della Nuova Antologia, sulla riforma agraria e sulla necessità di un coinvolgimento dello Stato nelle funzioni di controllo e di indirizzo del mercato, con proposte che L. Einaudi, da un'ottica schiettamente liberista, criticò duramente giudicandole depressive dell'economia.

Dal marzo al luglio 1922 fu ministro per la Ricostruzione delle terre liberate nel primo ministero Facta. Negli anni successivi si occupò soprattutto dei problemi monetari sostenendo che solo con rigorose economie, con il raggiungimento del pareggio e con la deflazione si poteva compiere un'opera di "difesa della lira" sul piano internazionale: apprezzò, dunque, la politica monetaria di A. De Stefani che si muoveva secondo queste linee.

Nel 1926 lasciò la direzione della Nuova Antologia cedendone la proprietà alla "Società della Nuova Antologia" presieduta da Tittoni.

Morì a Roma il 23 giugno 1929.

Un elenco di tutti i suoi articoli firmati apparsi sulla Nuova Antologia fupubblicato di seguito a T. Tittoni, M. F. In memoriam, in Nuova Antologia, 1º luglio 1929, pp. 4-10. Altri scritti, però, non citati nell'elenco, apparvero anonimi o contrassegnati dagli pseudonimi "Artifex", "Ausonius", "Bibliofilo", "Italicus", "Mercator", "Nautilus", "Politicus", "Spectator", "Victor". In ogni caso si rinvia agli Indici per autori e per materie della Nuova Antologia dal 1866 al 1930, a cura di L. Barbieri, Roma 1934.

Il F. collaborò a molti giornali e riviste, tra cui Il Diritto; Credito e cooperazione; L'Eco dei campi e dei boschi; Roma. Rivista politica parlamentare (poi Rivista di Roma politica parlamentare sociale e artistica); Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali; La Tribuna.

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