Magia

Dizionario di Storia (2010)

magia


Tecniche di carattere magico sono presenti nelle religioni antiche. Nell’India vedica la pratica ascetico-magica del tapas conferisce potere anche sopra gli dei (e gli dei stessi vi ricorrono). Nell’antico Egitto la m. (hike) è largamente applicata anche nei riguardi delle divinità o dei defunti. Nell’antica religione babilonese le pratiche magiche dell’esorcismo erano affidate a una particolare categoria di sacerdoti pubblici (ashipu). Nell’antica civiltà greca tecniche magiche si riscontrano nei riti catartici, per es. quello dei pharmakoi, vittime umane destinate a convogliare nella propria persona le impurità accumulatesi nella città e nei riti di m. agraria. La Grecia classica considerava però con diffidenza la m., coltivata privatamente e a fini personali. In parte per questa diffidenza, in parte anche in base a una certa conoscenza delle pratiche magiche diffuse nel vicino Oriente, i greci attribuivano alla m. un’origine straniera (onde anche il termine m., invalso sin dal 4° sec. a.C., è tratto dal nome dei sacerdoti persiani: magi). L’avversione greca per la m. cede, invece, a un interesse vivissimo nell’ellenismo. Molti sono gli scritti «magici» dell’età ellenistica, spesso posti sotto l’autorità di antichi sapienti. Il fondamento comune è una concezione unitaria del cosmo, non scandito secondo un ordine immutabile, ma pervaso di forze spirituali, dominato da occulte leggi di universali «simpatie»; e l’uomo, al centro di questo mondo, può scoprire le corrispondenze nascoste, entrare in rapporto con quelle forze sì da dominarle e indurle a propria e altrui utilità. La m. dell’età ellenistica, nei suoi fondamenti e nelle sue linee essenziali, tornerà a circolare nel Medioevo e nel Rinascimento europei, in connessione alla riscoperta di opere magiche e astrologiche greche e arabe. È soprattutto dal sec. 12° che l’Occidente latino riprenderà a discutere e utilizzare temi  e testi cari all’antica letteratura magico-filosofica: di m. trattarono nel Medioevo dotti famosi, come Pietro d’Abano e Ruggero Bacone, Arnaldo di Villanova e Raimondo Lullo. La m. si presentava loro come la scienza per eccellenza, quella che svelava l’intima struttura del cosmo e dava all’uomo la capacità di operare in esso. Nel Rinascimento l’interesse per la m. aumenta ancora, in relazione alle traduzioni di nuove opere greche, ermetiche e neoplatoniche. Da Marsilio Ficino a Cornelio Agrippa e Paracelso, da Tommaso Campanella a Giordano Bruno, a molti altri minori pratici e sperimentatori, la m. costituisce uno dei cardini del pensiero rinascimentale. Il credito della m. come scienza scompare lungo il Seicento, nella misura in cui progredisce il metodo sperimentale e matematico e nasce la nuova scienza, che pur tanto doveva a quella: si veniva allora a operare quella distinzione tra possibile e impossibile, tra sperimentalmente accertato e generico sentito dire, che è il presupposto – e il risultato – del nuovo sapere scientifico e segna la fine della mentalità magica per la quale quella distinzione non esisteva o era comunque diversamente o equivocamente concepita.

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