MAGNETISMO

Enciclopedia Italiana (1934)

MAGNETISMO

Giovanni GIORGI
Mario TENANI
Eugenio MODENA
Emilio SERVADIO

. Con la denominazione di magnetici si denota un gruppo di fenomeni che ora si sa essere tutt'uno con fenomeni elettrici veduti da un punto di vista particolare e in condizioni particolari, ma che a lungo sono stati conosciuti come entità del tutto a parte (v. anche elettricità; elettromagnetismo).

Ai Greci e ai Romani era nota semplicemente, in questo gruppo, la proprietà che i magneti naturali (formati da Fe3O4= magnetite) hanno di attrarre il ferro. Lucrezio (95-92 a. C.) in De Rerum Natura dà, fra gli antichi, il resoconto più completo di questi fenomeni, arrivando fino a menzionare gli effetti prodotti sulla limatura di ferro e qualche caso di azioni ripulsive, e s'indugia a cercare di spiegare gli uni e gli altri per mezzo della sua teoria atomica.

Abbiamo vaghe indicazioni che ricerche scientifiche sul magnetismo furono intraprese da autori lombardi, e da Pietro Peregrino di Maricourt (1269) con metodo sperimentale veramente sistematico. Ma il primo trattato sul magnetismo fu pubblicato nel 1600 da W. Gilbert di Colchester col titolo Physiologia nova, seu Tractatus de Magnete, Magnetisque Corporibus, et de magno magnete Tellure. In questo libro vengono distinte le forze magnetiche da quelle elettriche, viene spiegato il magnetismo terrestre paragonando la terra a un magnete, vengono esposti i risultati di esperimenti molteplici sul modo di agire dei magneti, affermando la distinzione tra poli magnetici positivi e negativi, e il modo come avvengono le reciproche attrazioni e repulsioni.

Seguirono ricerche di fisici varî, con risultati più completi specialmente per quanto riguarda esplorazioni del campo magnetico terrestre: così fino al Treatise on Artificial Magnets di J. Michell (1750), che contiene risultati di esperimenti fatti con una bilancia di torsione, i quali indicano che le attrazioni e repulsioni magnetiche seguono la legge newtoniana dell'inverso dei quadrati delle distanze. Questa legge fu confermata da John Robinson, e finalmente con miglior precisione da Ch.-A. Coulomb (1785-1787).

Con questo era aperta la via per uno studio matematico, e per escogitare ipotesi fisiche sulla natura intima dei fenomeni magnetici. Come per l'elettricità si erano ideati i fluidi elettrici, così le attrazioni e repulsioni delle calamite si ascrissero a carico di altri ipotetici fluidi magnetici, nelle stesse due forme, di fluido semplice o doppio. La teoria del fluido magnetico unico fu esposta da U.T. Aepinus nel suo Testamen Theoriae Electricitatis et Magnetismi (1759); quella del fluido semplice, positivo e negativo, fu adottata da Coulomb. Precisamente, il fisico francese supponeva che in ogni molecola di corpo magnetico, o magnetizzabile, fossero imprigionate eguali quantità di due fluidi magnetici opposti (fluido boreale e fluido australe); due siffatte cariche omonime si respingerebbero, due eteronime si attirerebbero. La differenza dal comportamento dei fluidi elettrici sarebbe consistita in ciò, che questi in certi corpi (nei conduttori) si potrebbero muovere liberamente da molecola a molecola, mentre i fluidi magnetici resterebbero sempre imprigionati nella molecola a cui appartengono. Nei magneti permanenti le due cariche di fluido opposto sarebbero localizzate a due estremità di una molecola; nei corpi magnetizzabili, come il ferro dolce, i fluidi si muoverebbero con un certo grado di libertà entro la molecola, e si porterebbero ai poli di essa per effetto di azioni speciali.

Le leggi sperimentali e le ipotesi speciali di Coulomb divennero una teoria matematica completa per opere di S.-D. Poisson (1820). Questo scienziato sviluppò la teoria del potenziale magnetico, calcolò gli effetti di magneti di data forma e costituzione, mostrò come si calcola la forza di campo dovuta a un magnete di tipo qualunque, tanto nello spazio esterno, quanto in una cavità qualunque del suo interno; investigò le leggi matematiche del magnetismo indotto. La maggior parte del suo schema magnetico, quantunque edificato sull'ipotesi dei fluidi magnetici, o delle particelle imponderabili a essi equivalenti, ne è in realtà indipendente, e rimane valido ancora oggi che quell'ipotesi è abbandonata. G. Green, portando oltre la teoria matematica (1828), la espresse in forma indipendente da ipotesi particolari sulla natura del magnetismo.

Intanto si rivelavano in modo inatteso i rapporti tra fenomeni magnetici e fenomeni elettrici, attraverso le scoperte di G. B. Romagnosi, di H. C. Ørsted, e le investigazioni di A.-M. Ampère, di D.-F. Arago e dei successori (v. elettromagnetismo).

La costruzione degli elettromagneti potenti, che seguì a questi progressi, rese possibile investigazioni di fenomeni magnetici in campi intensissimi. Valendosi di questi mezzi, M. Faraday, nella serie delle sue ricerche compiute dal 1825 in poi, riscontrava che generalmente tutti i corpi sono capaci in qualche modo e in qualche misura di risentire azioni magnetiche, cioè di acquistare temporaneamente magnetismo indotto: alcuni, come i metalli affini al ferro, i sali di ferro, e in misura molto più piccola il platino, l'ossigeno, e molti altri corpi, si magnetizzano nello stesso senso del ferro, e vengono detti paramagnetici; altri, come lo zinco, l'acqua, lo zolfo, il mercurio, l'oro, e soprattutto il bismuto, sono capaci di acquistare un lievissimo magnetismo indotto di senso opposto a quello del ferro, per cui vengono respinti dalle calamite; e a essi fu dato il nome di diamagnetici. Nella quasi totalità dei corpi la proprietà di risentire questi effetti è debolissima, e percepibile solo con esperimenti delicati: ma il ferro e le sue leghe, e in scarsa misura qualche metallo affine, si distaccano dagli altri corpi paramagnetici perché possono acquistare magnetismo indotto in misura rilevante, e in parte conservarlo; e furono distinti col nome di ferromagnetici.

Nel 1827, la scoperta che lo stesso Faraday fece delle forze elettromotrici indotte per effetto di campi magnetici completava le conoscenze fondamentali sull'elettromagnetismo.

A quest'epoca, diversi schemi teorici e diverse ipotesi fisiche si contesero il campo, succedendo alle teorie di Coulomb e Poisson.

W. Weber modificò le ipotesi fisiche fondate sui due fluidi, supponendo che in ogni corpo magnetizzabile le molecole siano altrettanti magneti permanenti elementari, anche prima dell'applicazione della forza magnetizzante; nello stato neutro, queste molecole avrebbero gli assi orientati in tutte le direzioni possibili, e i loro effetti esterni si eliderebbero: invece, sotto l'azione di un campo, si orienterebbero in misura sempre maggiore per un verso unico, e allora i loro effetti si addizionerebbero e diverrebbero sensibili. Questa teoria aveva il vantaggio di mettere da parte definitivamente i fluidi magnetici; questi fluidi erano stati inventati solamente per imitazione di quelli elettrici, e per far dipendere tutto da leggi d'attrazione del tipo newtoniano, ma non corrispondevano a nessuna realtà fisica, perché i poli magnetici positivi e negativi isolati non si possono avere: in un magnete aghiforme lungo (una verghetta sottile e lunga, es. un ferro da calze, magnetizzata longitudinalmente) sembra che si abbia un polo boreale concentrato a un'estremità, uno australe all'altra estremità; ma quando si rompe la verghetta in due, non si ottiene un frammento con solo magnetismo boreale, un altro con magnetismo australe, bensì due nuovi magneti come il primitivo, ognuno dei quali ha alle due estremità due poli uguali e di segno opposto. Questo risultato è ben differente da quello che si verifica rompendo una bacchetta metallica elettrizzata, e mostra che, a differenza dall'elettrizzazione, la magnetizzazione non consiste in un accumulo di magnetismo positivo in una parte del corpo e negativo in altra parte, bensì in una polarizzazione di ogni molecola. La teoria di Weber mette questo in evidenza, pur non portando a conseguenze diverse da quelle della teoria dei due fluidi. Le conseguenze diverse venivano quando Weber, per arrivare a determinare con quale legge un corpo si magnetizza, supponeva che nei corpi ferromagnetici allo stato vergine la polarizzazione delle singole molecole preesistesse col suo valore definito e invariabile, e che l'azione magnetizzante valesse solamente per orientare le molecole per un verso comune, e in conseguenza di ciò si arrivava a calcolare, per ogni data azione magnetizzante, quale sarebbe stata la distribuzione statistica delle orientazioni molecolari sottoposte alle loro azioni mutue e all'azione direttrice del campo inducente, e quindi quale magnetizzazione sarebbe risultata. Alcune di queste ipotesi erano divinazioni del vero, e precorrevano i tempi; ma non erano complete; e quindi la previsione dell'andamento della magnetizzazione e smagnetizzazione dei corpi si accordava solo parzialmente coi fatti osservati. A ogni modo, spiegava assai bene come in tutti i corpi magnetizzabili esista un limite di magnetizzazione indotta che può essere avvicinato ma non oltrepassato: la saturazione magnetica, osservata prima da J.P. Joule (1850), e confermata nel modo più preciso da W. v. Beetz (1860).

Una divinazione più importante ancora, che si sovrapponeva, come spiegazione fisica, alla teoria di Weber, fu quella di Ampère, il quale seppe prevedere che in ogni molecola il fatto della magnetizzazione è dovuto a una corrente permanente che circola attorno alla molecola (correnti di magnetizzazione, o correnti amperiane). Si riconduceva così il magnetismo all'elettricità, fugando ogni riferimento a ipotetici fluidi magnetici o poli magnetici effettivi, ed eliminando la necessità di considerare la polarizzazione molecolare come un fatto fisico irriducibile agli altri già conosciuti. La conoscenza, già acquisita sperimentalmente, delle relazioni tra fenomeni magnetici ed elettrici veniva così completata con un'ipotesi fisica precisa, che spiegava il perché dell'equivalenza tra magneti e solenoidi.

La teoria amperiana fu enunciata nel 1825. Quella di Weber, elaborata nello stesso tempo, fu pubblicata nel 1852 in forma tale che poteva coesistere con quella di Ampère o esserne indipendente.

Attraverso le ricerche sperimentali successive di Faraday e dei suoi continuatori, quelle di Arago, di sir William Thomson, di C. Matteucci, di Joule, di G. Wertheim, dello stesso Weber, e di molti altri, furono investigate più completamente le proprietà e leggi del magnetismo terrestre (così importante praticamente per le bussole dei naviganti), quelle dei magneti permanenti, quelle dei corpi magnetizzabili. E la tecnica delle misure magnetiche salì a un grado di precisione elevato. In relazione a queste misure, ai sistemi di unità magnetiche elaborati da C.F. Gauss e da Weber e agli sviluppi delle trattazioni matematiche, le nozioni quantitative inerenti alla teoria del magnetismo furono precisate una dopo l'altra. Molte di queste nozioni possono venire spiegate nel modo più semplice attraverso la fittizia concezione dei poli magnetici; perché un magnete effettivo si comporta ugualmente come se i poli esistessero, e solo l'esperimento citato di rompere un magnete in frammenti rivela che questi poli non hanno esistenza fisica indipendente. Seguendo questa traccia, fu definito come polo unitario quello che respinge con una forza uno un altro polo uguale posto alla distanza uno; e un polo qualunque si dice che ha la misura m quando respinge con la forza m un polo unitario alla distanza uno; in altre parole, quando equivale a m poli unitarî sovrapposti. L'ultima convenzione rimane inalterata anche quando, cambiando sistema di unità, si adotta altra definizione del polo unitario. Se un magnete, o frammento di magnete, si comporta come dotato di due poli puntiformi (necessariamente uguali e contrarî), si definisce come momento magnetico il prodotto del comune valore dei poli per la loro distanza; e questo momento è un vettore diretto dal polo negativo al polo positivo. Una molecola magnetica si lascia sempre concepire in questo modo e definire per mezzo del suo momento magnetico. Per un magnete comunque composto, il momento magnetico totale è la risultante (vettoriale) dei momenti di tutte le singole molecole; ma può essere anche definito considerando il magnete come dotato di una distribuzione di poli positivi verso un'estremità, di poli negativi verso l'altra estremità: si sommano tutti i poli dello stesso segno per ottenerne il valore complessivo, e si determina il loro baricentro; il prodotto del comune valore delle somme dei poli per la distanza dei due baricentri dà il momento magnetico.

In un magnete omogeneo, e quindi anche in un piccolo intorno di un punto prefissato di un magnete qualunque, il momento magnetico di una particella è proporzionale al volume. Si può quindi definire in ogni punto di un magnete un vettore che si chiama intensità di magnetizzazione, e che è il rapporto fra il momento magnetico e il volume di una particella qualunque circostante al punto. In un corpo non magnetizzato omogeneamente, l'intensità così definita è variabile da punto a punto.

Si aggiunse a queste nozioni quella d'intensità di campo magnetico, o forza magnetica. Questo è un vettore definibile facilmente in ogni punto di uno spazio vuoto in cui si manifestino azioni magnetiche. Nelle trattazioni matematiche antiche, tipo Poisson, si potrebbe ricavarlo considerando in ogni punto dello spazio il potenziale magnetico dovuto a tutte le masse magnetiche (poli magnetici) circostanti. Il gradiente del potenziale equivale a quello che ora si chiama forza magnetica del campo. E se il campo era prodotto anche da correnti, il calcolo si effettuava ugualmente immaginando sostituita ogni spira di corrente da un'equivalente lamina magnetica; oppure applicando la formola di Laplace (v. elettromagnetismo). Ma la nozione di campo magnetico venne in piena evidenza fisica attraverso gli scritti di Faraday, il quale si rifiutava di concepire gli effetti magnetici come azioni a distanza, e preferiva riguardarli come azioni mediate trasmesse attraverso l'ambiente interposto. Questo ambiente, anche se spazio vuoto, veniva da lui riguardato come un mezzo fisico (etere) che per effetto dei magneti e delle correnti circostanti entrava in un particolare stato di polarizzazione: per effetto di questo stato, un polo magnetico, portato in un punto di quello spazio, subisce una forza meccanica (ponderomotrice), la quale si lascia esprimere come prodotto dei due fattori: uno di essi è la misura del polo, l'altro è un vettore, dipendente solamente dalla condizione locale del campo, e questo vettore è precisamente la forza magnetica del campo, o intensità del campo. Il vocabolo "forza" non deve indurre in equivoco, perché l'aggettivo "magnetica" esprime appunto che non si tratta di una forza meccanica: la forza magnetica è una grandezza fisica particolare che misura lo stato fisico del campo, ed è il quoziente di una forza meccanica per una massa magnetica. Se come nozione fondamentale si assume più correttamente il momento magnetico di una particella magnetica elementare (ago magnetico) anziché l'irrealizzabile polo magnetico isolato, la legge fondamentale diviene questa: l'ago magnetico portato in un campo subisce una coppia meccanica che tende a orientarlo in modo particolare, e il momento di questa coppia è il prodotto vettoriale di due vettori, di cui uno appartiene all'ago con cui si esperimenta e definisce il suo momento magnetico, l'altro appartiene al campo e definisce la forza magnetica del campo nel punto in cui si esperimenta.

Ma queste varie definizioni degli elementi di un campo magnetico non si lasciavano applicare senz'altro nell'interno dei corpi materiali, perché non si può concepire di esperimentare con un polo o con un ago nell'interno di un corpo, senza asportare una porzione di questo. Per i corpi magneticamente indifferenti (come sono, con approssimazione grandissima, tutti quelli non ferromagnetici) questo non portava difficoltà, perché fare una cavità di forma qualsiasi in uno di questi corpi non perturba nulla; e allora si può definire come campo magnetico in un punto interno al corpo quello che si troverebbe in una cavità qualsiasi che circondasse quel punto. Ma nei corpi magnetici propriamente detti il risultato dipenderebbe dalla forma e dalle dimensioni della cavità. Si presentava così una lacuna nello schema fisico-matematico, e questa lacuna fu completata felicemente da sir W. Thomson (lord Kelvin), il quale stabilì queste convenzioni: a) in un corpo magnetizzato s'immagini eseguita una prima volta una cavità in forma di tubo infinitesimo il cui asse sia diretto secondo il vettore intensità di magnetizzazione; l'intensità del campo misurato in quel tubo darà la definizione polare della forza magnetica; b) una seconda volta, si esperimenti in una cavità in forma di spaccatura sottilissima perpendicolare all'intensità di magnetizzazione; e l'intensità ivi misurata darà quella che l'autore inglese chiamava definizione elettromagnetica della forza magnetica. Si dimostrava che, indicando la prima con H, la seconda con B, e l'intensità di magnetizzazione con J, i tre vettori restavano legati dall'equazione.

La dottrina matematica del magnetismo quale si presentava con tutti i progressi realizzati fino al decennio 1870-1880 fu ripresa e codificaia da J. Clerk Maxwell: i primi otto capitoli del secondo volume del suo Treatise of Electricity and Magnetism possono venire consultati ancora con molto profitto da chi voglia conoscere bene la struttura teorica che ha servito come base e punto di partenza per gli studî successivi. Maxwell riservò il nome di forza magnetica al vettore B, e dette quello di induzione magnetica al vettore B. Per determinare queste due entità, prese come punto di partenza le definizioni del suo predecessore, in base alle quali H e B sarebbero state due grandezze fisiche della stessa natura e si sarebbero identificate nello spazio vuoto. Ma dopo avere così sviluppato la dottrina del magnetismo secondo gli schemi che allora erano classici, fece entrare poi in conto le grandezze magnetiche nei capitoli ulteriori, dove trattò dell'elettromagnetismo, portandovi il riflesso dei punti di vista suoi proprî. Dettando le equazioni del campo elettromagnetico, fu condotto a far intervenire in forma ben diversa i due vettori B, H, i quali si presentarono spontaneamente così distinti, che Maxwell finì per assegnare loro dimensioni fisiche differenti, almeno nel sistema elettrostatico. Ciò equivaleva implicitamente a dare per l'uno e l'altro vettore altre definizioni, di carattere elettromagnetico. Il vettore B ha come insigne proprietà l'essere non solamente privo di divergenza (solenoidale) ma anche circuitale: cioè è distribuito come la velocità di un fluido incompressibile, e le linee che seguono il suo andamento sono sempre rientranti; esso è il vettore che interviene per determinare le forze elettromotrici indotte lungo i conduttori, e le forze ponderomotrici trasversali che li sollecitano (v. elettromagnetismo); mentre B è il vettore determinato dalla legge di Laplace, e che è collegato da relazione circuitale con la corrente elettrica. L'inseparabilità dei fenomeni elettrici da quelli magnetici risultò evidente da questa trattazione.

Queste posizioni teoriche aprirono la via alle ricerche sperimentali di J. A. Ewing sul magnetismo indotto nel ferro, condotte nel decennio dal 1880 al 1890. Ewing ricercò l'andamento dell'induzione magnetica B (e non più dell'intensità di magnetizzazione J) nel ferro e nei metalli magnetici, quando la forza magnetizzante H varia da zero fino a un massimo, e quando successivamente H ritorna indietro fino a zero o ad un valore negativo, e così via. Risultò in evidenza che in tutti i corpi ferromagnetici, non solamente B non è proporzionale ad H, ma non riprende nella fase di magnetizzazione decrescente gli stessi valori assunti nella fase crescente (fenomeno d'isteresi). L'andamento è rappresentato dalla curva tracciata in figura; e si vede che, quando H oscilla alternativamente fra un massimo positivo e un massimo negativo, il punto rappresentativo del valore di B percorre ciclicamente una curva in cui il ramo discendente non coincide col ramo ascendente (ciclo di isteresi); l'area racchiusa fra i due rami rappresenta un lavoro che viene trasformato in calore, in modo irreversibile, durante il ciclo: questo è in accordo con la nozione che la magnetizzazione consiste in un orientamento delle molecole, e che questo orientamento non avviene senza attrito interno, donde ritardo di fase (ma non di tempo) e dissipazione di energia. Le proprietà dei diversi metalli affini al ferro, delle più note leghe di essi, e dei più tipici acciai e ferri adatti per costruzioni magnetiche furono investigate quantitativamente da Ewing, che ideò a questo scopo apparecchi adatti.

La tecnica della progettazione delle macchine dinamoelettriche si sviluppava in quel tempo, in seguito all'invenzione di A. Pacinotti e alle prime applicazioni industriali di Z. T. Gramme e W. Siemens (v. elettrotecnica); e richiedeva un sussidio efficace dalla teoria. I vecchi metodi di studio, fondati sulla considerazione dei momenti magnetici e delle azioni esercitate in funzione della distanza, si rivelarono presto sterili. Ma le idee feconde di Faraday e Maxwell condussero a mettere in evidenza le linee d'induzione magnetica e i flussi d'induzione, o flussi magnetici. Di qui un passo conduceva all'elaborazione teorica di H. A. Rowland, che insegnò a considerare il circuito magnetico, paragonando le sue leggi matematiche, sotto un certo punto di vista, a quelle del circuito elettrico: donde anche la nozione di riluttanza magnetica, grandezza che si ricava matematicamente, nello stesso modo come si ricava la resistenza in un conduttore elettrico. Quando un circuito magnetico, come quello di una dinamo, è magnetizzato per effetto di un avvolgimento induttore, si ha una forza magnetomotrice proporzionale alla corrente magnetizzante e al numero di spire di avvolgimento, e il flusso magnetico generato è dato dal rapporto tra la forza magnetomotrice e la riluttanza totale del circuito magnetico: legge paragonabile a quella di Ohm, con la sola differenza che, a causa dell'andamento dei fenomeni studiati da Ewing, la riluttanza non è indipendente dalla magnetizzazione, ma cresce a mano a mano che i materiali ferrici del circuito si avvicinano alla saturazione.

Quest'ordine di idee, applicato dai fratelli Hopkinson e da Gisbet Kapp allo studio del macchinario elettrodinamico, verso il 1890, condusse a una costruzione razionale delle macchine, in cui i materiali ferro e rame erano bene utilizzati, e una conoscenza adeguata delle leggi e dell'andamento dei fenomeni magnetici divenne generale fra i tecnici. L'inquadramento teorico inspirato dalla dottrina maxwelliana veniva intanto completato per opera di Oliver Heaviside; questi, perfezionando il distacco dalle dottrine di antico tipo, insegnava a impostare la teoria su queste basi semplici. In ogni punto dello spazio, vuoto od occupato da materia, si lascia individuare un vettore B che misura lo stato di perturbazione magnetica del mezzo, la deviazione dallo stato naturale o dall'assenza di campo: quando il vettore B varia di un incremento elementare δB (spostamento magnetico), gli agenti esterni eseguono un lavoro che va a immagazzinarsi nel mezzo come energia di magnetizzazione. Il lavoro eseguito nell'unità di volume del mezzo può essere posto sempre sotto la forma di prodotto scalare

oppure in unità razionalizzate, δw = H × δB. Questa formula definisce un nuovo vettore H come coefficiente dello spostamento magnetico nell'espressione del lavoro; questo vettore è quello che si chiama forza magnetica nel campo. L'integrale di linea, o circuitazione di H lungo una linea, è la forza magnetomotrice; l'integrale di superficie di B attraverso una regione superficiale è il flusso magnetico. Nello spazio vuoto e nei materiali non ferromagnetici, B è proporzionale ad H, e il rapporto fra le grandezze dei due, μ = B/R è una costante fisica del mezzo (etere libero od occupato da corpi materiali) che prende il nome di induttività o permeabilità; e attraverso questo parametro si costruisce la induttanza o permeanza di un tronco finito di circuito magnetico nello stesso modo come mediante la costante reciproca μ-1, o riluttività, si costruisce la riluttanza. Il comportamento dei corpi ferrici può essere schematicamente rappresentato, agli effetti macroscopici, supponendo che μ sia molto più grande che nel vuoto, e variabile con H; ma questo vale solo in quanto essi corpi si presentino magneticamente molto "dolci" cioè con isteresi trascurabile; più conforme al vero è ritenere invece che l'induttività sia dovunque uguale a quella dello spazio vuoto, e che nell'interno dei corpi si presenti una particolare distribuzione di forza magnetica impressa, funzione del campo attuale e dei trattamenti antecedenti; sotto questa forma rivive l'antico concetto d'intensità di magnetizzazione, e viene così schematizzata l'azione delle correnti amperiane distribuite nelle molecole.

Lo schema di Heaviside mette inoltre in evidenza una dualità che esiste tra fenomeni elettrici e magnetici; e la dottrina si completa con la nozione di corrente magnetica e con l'enunciato delle due leggi circuitali (v. elettricità). Con questo la trattazione matematica dei fenomeni macroscopici dell'elettromagnetismo era arrivata alla massima perfezione, così come era progredito lo strumentario per la loro misura e l'esperimentazione delle proprietà effettive dei singoli materiali, e ne erano sviluppate le applicazioni tecniche di ogni natura, dal grande macchinario elettrodinamico fino agli strumenti elettrici di misura ove si applica il magnetismo.

La conoscenza approfondita dei fenomeni macroscopici ha aperto la via allo studio delle strutture intime da cui dipendono i fatti magnetici. L'ipotesi di Ampère sulle correnti molecolari aveva additato la via giusta per comprendere il vero. Un primo tentativo di trattarne matematicamente l'applicazione per rendere conto quantitativo dei fenomeni era stato fatto da Weber nel 1854; ma con successo embrionale. In quella fase delle conoscenze fisiche era indifferente parlare di correnti molecolari o di magneti elementari. Limitandosi a quest'ultima raffigurazione, cioè considerando un corpo magnetico come un insieme di magneti microscopici, orientabili sotto l'azione di un campo magnetico, ma intralciati dalle loro mutue attrazioni e repulsioni, J.A. Ewing (nel 1892) era riuscito ad andare molto più oltre: i suoi calcoli, suffragati anche da esperienze che si lasciavano istituire su gruppi di aghi magnetici vicini, rendeva conto abbastanza bene anche dei complicati fenomeni del ferromagnetismo, inclusi anche i fatti dell'isteresi, e soddisfece ampiamente alle esigenze dell'elettrotecnico. Ma il fisico chiedeva di più. Quando H. A. Lorentz nel suo memorabile Versuch del 1895 (v. elettricità) insegnò a ricondurre tutti i fenomeni fisici a movimenti di particelle elettriche, le correnti amperiane furono concepite come elettroni rotanti nelle molecole (così detti elettroni di magnetizzazione), e si fece luogo allo studio "microfisico", cioè a quell'investigazione che potrebbe essere fatta da un osservatore capace di distinguere gli atomi e gli elettroni, anziché semplicemente la materia estesa, o la singola particella considerata come un tutto unico. Per quell'osservatore non esistono più i poli magnetici, le permeabilità e le riluttività, e le proprietà dei diversi mezzi: ma si presenta un solo "mezzo fisico", lo spazio-etere, entro cui si muovono le particelle elettriche elementari. Le semplici equazioni del Lorentz stanno allora a fondamento della descrizione dei fenomeni; solamente come risultato di media e d'insieme risultano le equazioni di Maxwell-Heaviside e tutte le concezioni che vi si collegano; ma risulta anche la spiegazione di fenomeni della materia che la teoria macroscopica doveva registrare senza poterli spiegare.

Un elettrone rotante in un atomo o in una molecola equivalendo a una corrente chiusa elementare, dà luogo, in diretta dipendenza dalla teoria classica, a quel tipo di campo che si riguardava caratteristico della particella magnetica: viene a costituire il vero magnete elementare. Se la carica elettrica del granulo viene indicata con e (in misura elettromagnetica) e se il granulo percorre un circuito di area σ con la frequenza di γ giri al secondo, il momento magnetico dell'elemento, in misura elettromagnetica, risulta espresso da

In generale, nella materia, gli elettroni dei singoli atomi e delle singole molecole hanno i loro circuiti orientati per tutti i possibili versi, e i loro effetti esterni approssimativamente si annullano. Ma se nell'unità di volume vi è un gruppo di N elettroni che ruotano irl orbite parallele e nello stesso senso, la materia così dotata viene ad avere nel suo complesso un'intensità di magnetizzazione

diretta secondo la normale comune alle orbite, nel verso determinato dal senso della rotazione comune. Ma il quesito difficile era studiare come può avvenire questo orientamento comune, e quali leggi segue, quando in luogo di supporre tanti magneti permanenti singoli, quali aveva considerati Ewing, si tiene conto delle proprietà effettive degli elettroni rotanti e del modo come essi reagiscono allo stimolo dei campi magnetici e alle altre influenze.

Dovevano allora entrare nel campo della teoria non solo i fatti puri e semplici di magnetizzazione (dia-, para-, ferro-), ma anche il complesso dei fenomeni magnetoottici (v. magnetoottica) e magnetofisici in generale della materia ponderabile. Fra questi ultimi:

1) Il fenomeno di Hall, scoperto nel 1878: quando una lamina conduttrice è percorsa da correnti nel proprio piano, ed è investita da un campo magnetico normale al piano, le linee di percorso della corrente si modificano secondo leggi complicate.

2) I fatti d'interdipendenza fra temperatura e magnetizzazione. Una prima serie di fatti era stata appurata attraverso le ricerche di Faraday, di J. Plücker, di A.-C. Becquerel (1851), di A. von Ettingshausen (1882), di A. Rowland, dei fratelli J. ed E. Hopkinson, di J. A. Ewing, di J. Dewar e altri. In vista di ciò che interessa la fisica pura, una serie completa d'investigazioni, a temperature variabili fra 25° e 1360°, fu compiuta da P. Curie e pubblicata nel 1895. Ne risulta: i°, che nei corpi diamagnetici la suscettività è generalmente indipendente dal campo e dalla temperatura; 2°, che nei corpi paramagnetici la suscettivid è ancora indipendente dal campo, ma varia generalmente in ragione inversa della temperatura assoluta (così detta legge di Curie); 3°, che i ferromagnetici hanno un decremento abbastanza rapido di suscettività, secondo una legge complicata (i cui elementi erano già in parte noti), fino a una certa temperatura critica che varia da metallo a metallo, e che non è mai molto discosta dal calor rosso; a questa temperatura accade un cambiamento, e al di là il corpo ferromagnetico si comporta come un paramagnetico ordinario, così fino a un altro punto di passaggio, verso i 1200° o 1300°, dove subentrano proprietà nuove.

3) L'influenza del campo magnetico sulla polarizzazione della radiazione di risonanza.

4) I fenomeni di magnetostrizione.

Tenendo conto di questi svariati fenomeni, e degli altri congeneri, a mano a mano che vennero scoperti, si cercò di costruire teorie fisiche atte a rendere conto non solamente del comportamento magnetico della materia, ma delle relazioni che risultavano esistere fra magnetismo atomico e proprietà fisiche varie, rendendone ragione in base alla costituzione elettronica degli atomi. Si ebbero così successivamente: lo schema di J. Larmor (1900) che enunciò il teorema sulla precessione delle orbite elettroniche nei campi magnetici: quelli di W. Voigt (1902), di J. J. Thomson (1903), e di P. Langevin (1905). Quest'ultimo è il più completo nell'ambito della fisica prequantistica, e vi si fa tuttora riferimento per alcune rappresentazioni semplici. Il fisico francese, fermo tenendo il presupposto che in ogni molecola o atomo le proprietà magnetiche siano dovute a elettroni percorrenti orbite, come poco fa si è accennato, ammette che questi elettroni seguano le leggi dell'elettrodinamica classica; nell'ambito di queste leggi calcola l'effetto prodotto da un generico campo magnetico ambiente. Si arriva per questa via a spiegare senza troppa difficoltà il diamagnetismo come proprietà di origine atomica, comune a tutti i corpi, e presso che invariabile con la temperatura. Il paramagnetismo sarebbe un secondo effetto che si sovrappone al primo, e dipenderebbe da molecole o gruppi di molecole aventi un momento magnetico totale proprio e fisso e capaci di orientarsi per effetto del campo.

Su queste ipotesi veniva ricavata una teoria matematica, applicabile però più specialmente ai corpi gassosi, perché nella trattazione si ammetteva che le influenze mutue dei singoli magneti elementari fossero trascurabili; il che può avvicinarsi al vero solamente quando le singole molecole sono assai distanti fra loro e molto debolmente magnetiche. Non si può a meno di osservare che i metodi di deduzione applicati in questa teoria erano poco rigorosi e contenevano ipotesi sottintese, non sempre d'accordo fra loro. Con qualche sforzo di adattamento si ricavavano formule che mettevano in relazione: il momento magnetico intrinseco dell'atomo-grammo col diametro dell'atomo; l'intensità di diamagnetizzazione di un gas col detto momento e col numero di Avogadro; quella di paramagnetizzazione, quando ne sia il caso, coi dati caratteristici di un gas e con la temperatura: la legge di Curie ne risultava come caso particolare.

Nel 1907, P. Weiss estese la teoria di Langevin per applicarla ai corpi in cui le molecole sono ravvicinate e dotate di magnetismo abbastanza intenso. Concetto dominante del Weiss fu il postulare l'esistenza di un "campo molecolare" proporzionale all'intensità di magnetizzazione acquistata: egli poté così predire le proprietà dei corpi paramagnetici solidi, e anche di quelli ferromagnetici, avvicinandosi ad alcune delle realtà rivelate dall'esperimento.

Le teorie successivamente date da J. Kroo, da K. Honda (1914), da Honda e J. Okubo insieme (1915), da P. Weiss di nuovo (1914), da R. Gans (1916) svilupparono più oltre lo stesso ordine d'idee; e nel tempo stesso le ricerche sperimentali di P. Sève, di A. Piccard, di Devaud, di L. Bauer, di H. Kamerlingh Onnes, di B. Cabrera, di E. Bose e di P. Debye, di A. Webster e di moltissimi altri estendevano grandemente il campo di Curie, portando le investigazioni su un grande numero di corpi, su temperature anche molto basse, e su intervalli estesi di variazione delle pressioni.

Ma le dottrine fondate sull'elettrodinamica classica erano ormai impotenti a seguire i progressi nei risultati sperimentali. La fisica quantistica intervenne a portare un elemento teoretico nuovo e a render conto dei legami più intimi tra magnetismo atomico e struttura dell'atomo. In base alla quantistica, i momenti magnetici dovuti alle orbite elettroniche non possono variare con continuità, né come grandezza né come orientazione: si arriva a prevedere che tutti i momenti magnetici sono multipli di una grandezza elementare a cui fu dato il nome di magnetone (v.) di Bohr, e che fu calcolato uguale a 0,917•10-20 unità C.G.S. elettromagnetiche. Nel caso più semplice (singola orbita uniquantica in un campo magnetico preesistente) sono possibili per il momento magnetico le sole direzioni parallele al campo, nel medesimo senso o in senso inverso: nel caso più generale, le orientazioni orbitali devono essere tali che la proiezione del momento risultante sulla direzione del campo ambiente, sia un multiplo del magnetone.

La prima conferma sperimentale di questi principî, in quanto interessano il magnetismo atomico, fu ottenuta attraverso le esperienze di O. Stern e W. Gerlach (1921), che consistettero nel sottoporre un getto di atomi d'argento o di altri metalli, nel vuoto, all'azione di un campo magnetico inomogeneo, e verificare le deviazioni ottenute. Fu ricavato che gli atomi di argento, rame, oro posseggono un momento, che dalla misura risulta assai vicino al magnetone di Bohr; quelli di piombo, stagno, zinco, mercurio mostrano non possedere momento; altri metalli dànno luogo a fatti più complicati. Nel 1933 con dispositivo più raffinato W. Meissner e H. Scheffer si accinsero alla misura sperimentale del momento magnetico degli atomi degli alcalini e lo trovarono eguale al magnetone di Bohr, con un errore di misura dell'ordine di 0,5%.

Altre esperienze avevano sembrato additare un altro quanto elementare di momento magnetico, a cui fu dato il nome di magnetone di Weiss, e che sarebbe stato uguale a 1/5 di quello di Bohr; ma un'analisi più accurata mostrò che si trattava di un'apparenza.

La teoria quantistica che si collega coi magnetoni portò a una spiegazione più approfondita del fenomeno Zeeman e delle sue anomalie e degli altri fenomeni consimili (effetto di Paschen e Back; v. zeeman) e permise di completare il calcolo del comportamento delle righe spettrali, lasciando naturalmente a molta distanza le teorie pre-quantiche (v. atomo; quanti). Ma attraverso questo studio sono risultati fatti ulteriori, che hanno condotto a modificare il modello semplice accettato nei primi anni. Oltre a riconoscere il momento magnetico dovuto alla rotazione orbitale dell'elettrone, si dovette ammettere un momento magnetico proprio dell'elettrone, come se l'elettrone girasse intorno a sé stesso (ipotesi di G. E. Uhlenbeck e S. Goudsmit, 1925); e in tempi più recenti è stato anche riconosciuto un momento magnetico proprio anche al nucleo dell'atomo.

Nel tempo stesso sono state indagate, mettendo in opera mezzi sperimentali sempre più raffinati, altre conseguenze delle teorie. Una di queste riguarda l'effetto giromagnetico, cioè l'influenza mutua che può esistere fra momento magnetico e momento meccanico di rotazione di una sbarra magnetica intorno al proprio asse.

L'esperimento era stato già tentato da Maxwell, ma coi mezzi che si avevano a disposizione nel 1860 non poteva riuscire. O. W. Richardson nel 1914 precisò la previsione calcolando che quando una sbarra viene magnetizzata con intensità J, essa deve acquistare una quantità di moto rotatoria interna 2Jm/e, per unità di volume; e quindi per effetto di magnetizzazione istantanea deve ricevere un uguale impulso rotatorio macroscopico che la spinge a rotare in senso opposto alla quantità di moto angolare interna. E reciprocamente, una rotazione rapida deve produrre una magnetizzazione interna. Il secondo effetto è stato constatato da A. Einstein e W. de Haas (1915-1916), da S. e L. Barnett (1909-1917) e successivamente da altri sperimentatori. L'altro effetto, che qui abbiamo descritto per primo (effetto giromagnetico inverso), è stato constatato da J. Q. Stewart nel 1917 e da A. P. Chattock e L. F. Bates nel 1922. Gli accertamenti quantitativi non vanno però d'accordo con la previsione che il magnetismo sia dovuto semplicemente a elettroni negativi rotanti.

Altre ricerche hanno messo a prova la teoria attraverso gli esperimenti: così quelle sul comportamento magneticamente dissimmetrico dei cristalli.

Tipico fra gli altri è il caso della pirrotite FeS "normale" del Brasile, i cui cristalli si magnetizzano più facilmente in una direzione particolare che in tutte le altre. Così ancora i fenomeni, più complicati, dell'ematite, della magnetite e di altri minerali.

Le spiegazioni teoriche del magnetismo nella materia sono poi influenzate, necessariamente, dall'evoluzione ulteriore della fisica quantistica. Alle antiche rappresentazioni di elettroni assimilati a corpuscoli percorrenti orbite o rotanti su sé stessi, e soggetti in parte all'elettrodinamica classica, in parte a leggi di eccezione, sono subentrate le nuove dottrine di M. de Broglie, di W. Heisenberg, di E. Schrödinger, di P. Dirac, le quali insegnano a studiare il mondo dei fenomeni atomici ed elettronici attraverso schematizzazioni elevate di simboli, matrici, operatori, abbandonando i modelli geometrico-meccanici troppo semplicisti. In relazione a queste nuove meccaniche le costruzioni teoriche più speciali, di W. Pauli, di W. Jordan, di E. Fermi, di Dirac stesso e di altri hanno condotto a discutere i fenomeni di fisica molecolare e atomica, e fra gli altri anche i magnetici, attraverso deduzioni sempre più approfondite.

Heisenberg nel 1929 ha dato una spiegazione quantistica del "campo molecolare" che almeno qualitativamente sembra render conto del ferromagnetismo. L'ultima novità sperimentale (non ancora pubblicata nel luglio 1933) è la misura, che O. Stern e R. Frisch hanno eseguito, del momento magnetico del nucleo atomico; per il nucleo dell'idrogeno o protone, questo momento risulta circa uguale a 1/900 del magnetone di Bohr.

La teoria dei campi magnetici nello spazio vuoto non ha dato luogo a molte oscurità e incertezze; la teoria di relatività, nelle sue diverse fasi, e la quantistica moderna hanno portato a scriverne diversamente le equazioni caratteristiche e a concepirne nuove rappresentazioni più complesse, ma più soddisfacenti (vettori del campo sostituiti da matrici, torsioni dello spazio, assimilazione di forze elettromagnetiche a forze di Coriolis, ecc.), su cui non dobbiamo qui riferire.

Per contro, la conoscenza di quanto riguarda il magnetismo nella materia ponderabile, nonostante il lavoro fatto e i risultati ottenuti, resta ancora intramezzata da gravi oscurità. E molto progresso dovrà ancora fare la teoria, molti risultati d'investigazioni sperimentali occorrono ancora affinché questo ramo della fisica si possa avvicinare a quel grado di completezza e di perfezione che è stato raggiunto nella conoscenza di altri gruppi di fenomeni.

Unità magnetiche e misure. - Dei sistemi di unità elettriche, che comprendono quelle magnetiche, è stato reso conto nella voce elettricità; i sistemi che più interessano pel magnetismo sono quello C. G. S. elettromagnetico e quello elettrotecnico assoluto (M. K. S.). Secondo lo schema più antico, da cui deriva il primo di questi due sistemi, si parte dalla formula di Coulomb, uguagliandone all'unità il coefficiente per definire l'unità di polo magnetico; ne seguono il momento magnetico (polo × lunghezza) e l'intensità di magnetizzazione (momento magnetico per unità di volume), indi la forza magnetica di campo, H, grandezza tale che il suo prodotto per un polo magnetico dia una forza meccanica; nello spazio vuoto non si fa distinzione fra B e H; e solamente nella materia magnetica queste due grandezze si distinguono in base all'accennata definizione di lord Kelvin, ma vengono considerate come della medesima natura fisica; quindi la permeabilità magnetica μ = B/H risulta un numero puro, al pari della suscettività χ. L'equazione classica

la quale dividendo per H diviene

traduce questa concezione. La grandezza flusso magnetico resta definita come prodotto di B per un'area.

Nei sistemi razionalizzati, come quello elettrotecnico assoluto, la definizione di B è indipendente da quella di H, e si ottiene attraverso il collegamento coi fenomeni elettrici. Si può partire dal flusso magnetico Φ abbracciato da una linea chiusa nello spazio, definendolo uguale all'impulso elettromotore che si riceverebbe in un circuito conduttore il quale seguisse inizialmente quella linea, e che venisse improvvisamente ridotto ad area nulla (misura che effettivamente si fa con l'apparecchio detto flussometro). Dividendo flusso per area si ha la grandezza B; e allora si definisce H come il coefficiente per cui bisogna moltiplicare la variazione di B per ottenere la corrispondente variazione dell'energia comunicata all'unità di volume del mezzo. Allora le due B, H risultano fino dall'origine due grandezze fisiche di natura differente; e il loro rapporto μ = B/H denota una proprietà fisica del mezzo, non più un numero puro. L'equazione caratteristica dei corpi magnetizzabili si scrive in questi sistemi razionalizzati

dove μo è la costante magnetica dello spazio vuoto; e corrispondentemente

formule che si contrappongono a quelle scritte sopra.

Negli antichi come nei nuovi sistemi, la forza magnetomotrice è l'integrale di linea della forza magnetica, la permeanza d'un circuito magnetico è il rapporto tra flusso e forza magnetomotrice, la riluttanza è l'inverso della permeanza, e così via. Ma nei sistemi razionalizzati la permeanza coincide con l'induttanza di un circuito elettrico che sia avvolto, in una sola spira, su quello magnetico, mentre in quelli antichi vi è un moltiplicatore 4π che le fa differire.

Nuove complicazioni sorgono poi da quando si è voluta modificare l'impostazione del sistema C. G. S. facendone un sistema semi-razionalizzato, avente in comune con quelli razionalizzati il riconoscimento della distinzione fisica, ma non numerica, delle grandezze B, H nello spazio vuoto.

Ecco le denominazioni delle principali unità magnetiche nei due sistemi più in uso. Per il sistema C. G. S. si riportano i nomi sanzionati dal congresso di Oslo, quantunque non tutti d'accordo con l'uso; reciprocamente, nel sistema elettrotecnico assoluto, usiamo la denominazione weber per indicare il volt-secondo, vocabolo la cui ratifica è ora in corso.

Le unità di polo magnetico, di momento magnetico e d'intensità di magnetizzazione non sono qui comprese, perché le rispettive grandezze erano ben definite solamente fino a che non si distingueva B da H; accettando questa distinzione, la definizione di ognuna di quelle grandezze può sdoppiarsi in due altre; e non sono ancora stabilite convenzioni precise per fissarle.

Dati d'origine sperimentale e dati d'interesse tecnico. - a) Corpi diamagnetici. - Hanno proprietà diamagnetiche, in ordine decrescente, i seguenti corpi per i quali si riportano i valori trovati della suscettibilità magnetica (col segno cambiato) in milionesimi di unità C.G.S. per atomogrammo: Bi (293); Sb (99,5); Tl (49,1); I (45,7); Sn (41,5); Zr (40,9); Hg (38,1); Br (32,0); Au (29,6); P (27,9); Se (25,4); As (25,3); Pb (24,8); Ag (21,6); Cd (20,2); Sr (17,5); Ga (16,8); S (16,0); Cs (13,3); In (12,6); Zn (10,2); Be (9,0); Ge (8,7); B (7,6); C (6, o); Cu (5,4); Si (3,8); ma alcuni di essi variano il potere diamagnetico secondo lo stato di aggregazione. Fra i gas, sono diamagnetici: H, N, He, Ne, A, CO2, NH4, Cl, CN, SO2, ecc. Per i sali in soluzione, le proprietà dipendono in gran parte da quelle degli ioni componenti, che sono state investigate con metodi varî. Quelle dei sali allo stato cristallino, e di molte sostanze organiche, hanno fatto oggetto delle ricerche di varî sperimentatori.

b) Corpi paramagnetici. - Attraverso i lavori sperimentali accuratissimi di Honda, continuati da M. Owen, sono state investigate a fondo le proprietà di circa 60 elementi e il loro andamento in funzione della temperatura. I più fortemente paramagnetici si trovano fra i metalli delle terre rare, poi fra quelli del gruppo del platino, del manganese, e affini. Ecco una lista, in ordine decrescente, con le suscettibilità magnetiche per atomo-grammo, in milionesimi di unità C.G.S., a temperatura ordinaria: Nd (5200); Er (3700); Pr (3520); Ce (2100); Pd (870); U (620); Mn (495); Pt (156); Cr (151); Ta (145); La (144); Mo (131); Ba (123); V (76); Ti (59); Ca (44); Ir (25); Th (18,6); Al (16,2); K (15,6); Na (11,8); O (7,6); Mg (6,3); Li (3,5); Sn (2,36).

La variazione con la temperatura si mantiene positiva per alcuni, negativa per altri.

Fra i gas allo stato molecolare, l'ossigeno O2 e l'ossido nitrico NO sono stati quelli più sottoposti alle esperienze di H. Kamerlingh Onnes, di E. Bauer e di A. Piccard, attraverso scarti estesissimi di temperature e di pressioni.

Per i sali, in soluzione e allo stato solido, si hanno i lavori dei seguaci di Weiss, quelli di B. Cabrera e di altri. Sono stati così investigati i composti di Fe, Ni, Co, Cu, Cr, Mn, V, Pd, Pt. È notevole che in generale sono paramagnetici i sali dei metalli ferromagnetici, quelli del gruppo del platino e delle terre rare.

c) Corpi ferromagnetici. - Hanno comportamento ferromagnetico: il ferro e la maggior parte delle sue leghe, e in misura di gran lunga minore il nichel e il cobalto.

Per le applicazioni tecniche s'impiegano composti in cui predomina il ferro; e interessa conoscere: la curva di magnetizzazione (B in funzione di H), la magnetizzazione residua, la forza coercitiva (intensità di campo occorrente per annullare il magnetismo residuo), l'energia dissipata per unità di volume e per ciclo. Questi ultimi dati possono riferirsi al caso di magnetizzazione che sia spinta fino a un valore determinato oppure fino a un valore prossimo alla saturazione; essi risultano tutti come conseguenze della curva normale ciclica d'isteresi relativa a quel valore: in particolare l'energia dissipata per ciclo è proporzionale all'area di tale curva. Tutte le proprietà magnetiche sono soggette a variare molto, e generalmente in modo inesplicabile, per piccole variazioni della composizione chimica, del modo di fabbricazione e del trattamento termico. Si dispone di questi fattori per ottenere proprietà speciali, in vista delle applicazioni. I materiali che hanno curva d'isteresi ristretta sono i materiali "dolci" adatti per magnetizzazioni temporanee, quindi per nuclei di dinamo, di alternatori, di trasformatori, di elettromagneti: quelli con ciclo d'isteresi molto largo (cioè dotati di molta forza coercitiva) si adoperano per magneti permanenti.

Come materiali ferromagnetici del primo gruppo si usano: l'acciaio dolce fuso (in sostituzione della ghisa, usata anticamente per i gioghi di macchine); il ferro laminato extra-dolce, prodotto generalmente al forno Martin-Siemens, e con l'intervento o no di processi speciali; il ferro elettrolitico e altre qualità di ferro purissimo; il ferro con lega di silicio a tenore più o meno elevato (Hadfield e simili); il ferro-alluminio; le varianti ai materiali precedenti, ottenute col processo Yensen (fusione nel vuoto) e altri processi più moderni. Salvo il caso dell'acciaio dolce e sue varianti, che si adoperano per quei pezzi massicci che devono essere fatti di fusione, e del ferro di fucinazione che si adopera forgiato per i nuclei massicci, gli altri materiali si adoperano quasi sempre in forma di lamierini, di ⅓ fino a ½ millimetro di spessore. La suddivisione in lamierini, con isolamento fra lamierino e lamierino, è necessaria per tutti i nuclei che devono essere soggetti a magnetizzazione periodica. I lamierini più dolci (senza silicio) si adoperano negl'indotti di macchine a corrente continua e nei nuclei di elettromagneti ordinarî; quelli con silicio (e talvolta con alluminio) che raggiungono permeabilità meno elevate, ma hanno perdite cicliche più basse, si usano per nuclei di trasformatori e altri organi soggetti a magnetizzazione rapidamente alternante.

Ecco alcuni dati relativi a materiali di uso corrente:

La perdita d'isteresi per chilogrammo e per ciclo, per magnetizzazione alternativa avente Bmax = 10.000, si aggira intorno a 0,07) joule nei lamierini più dolci, e discende a o,034 circa per quelli a tenore più elevato di silicio. Variando gli estremi di magnetizzazione, la perdita varia approssimativamente come la potenza 1,6 di Bmaz (legge di Steinmetz). Nell'ultimo decennio (1923-1933) si sono ottenute leghe speciali che hanno proprietà magnetiche singolarissime. Così il permalloy (contenente 78% circa di Ni e 21% circa di Fe, e ricotto con trattamento termico speciale) il quale arriva all'enorme valore di μ = 87.000 per B = 5000, per decrescere poi rapidamente (μ = 5000 per B = 10.000). Più recentemente sono stati ottenuti altri materiali, coi nomi commerciali di permanorm, megaperm, radiometal, mumetal. Quest'ultimo (contenente 76% di Ni, 17% di Fe, 5% di Cu, 2% di Cr) è forse il più notevole, perché ha una permeabilità iniziale μ = circa 20.000, e massima μ = circa 100.000 per H = 0,05, decrescendo poi rapidamente, tanto che raggiunge la saturazione con B = 9000 circa; è quasi esente da isteressi.

Questi materiali speciali si adoperano come avvolgimenti magnetici nei cavi di trasmissione telefonica, come nuclei in trasformatorini telefonici, e simili applicazioni; e il mumetal anche per strumenti di misura. Il perché delle loro proprietà singolarissime, le quali si possono perdere in modo brusco per piccole variazioni della composizione o per cattivo trattamento termico e talvolta anche meccanico, è sconosciuto; e questo mostra quanto mistero vi è ancora in ciò che si chiama ferromagnetismo.

Per magneti permanenti in antico si usavano acciai duri, a percentuale di carbonio piuttosto elevata, temperati opportunamente; dopo il 1900 circa è venuto in uso quasi universale l'acciaio al tungsteno (con tenore da 2,5 sino a 8% di W) per tutti gli usi di qualche importanza; dopo la guerra mondiale si è adoperato assai l'acciaio al cromo, che raggiunge la stessa forza coercitiva di quello al tungsteno e costa circa la metà: una composizione frequente è 2% di cromo con 1% di carbonio; i migliori magneti permanenti (ma anche i più costosi) sono quelli che si fanno con acciaio al cobalto. K. Honda nel 1920 preconizzò un materiale con 30-40% di Co, 5-9% di W, 1-3% di Cr, 0,4-0,8% di C, che da allora è stato studiato e applicato estesamente, con molte varianti. La migliore composizione prodotta da allora raggiunge una forza coercitiva Ho = circa 300, con un'induzione residua Br = 10.000, in unità C. G. S., mentre gli acciai al tungsteno e cromo, pur raggiungendo la stessa induzione, non sorpassano Ho = 70 circa. Proprietà intermedie hanno gli acciai al molibdeno, studiati dalla signora Curie, e quelli al cobalto-cromo.

Gli acciai al tungsteno e al cromo sono oggi molto usati nei magneti per automobili, e in quelli per telefoni e altri apparecchi di segnalazione. Quelli di più alto valore si usano negli strumenti elettrici di misura, dove un trattamento speciale, con ripetuta applicazione di azioni smagnetizzanti, li conduce a uno stato di permanenza grandissima (entro 1-3 per mille, attraverso l'uso prolungato per molti anni).

Fra le numerose ricerche sul modo di ottenere e trattare gli acciai per magneti, sono da segnalare quelle di K. Honda, di S. Saito, di F. A. Mathews, di E. A. Watson, ecc. Si deve in particolare a J. Evenshed l'aver segnalato che certe determinate temperature elevate sono grandemente nocive alle proprietà dei magneti, e devono essere accuratamente evitate nella fabbricazione.

Quanto al nichel e al cobalto puri, le loro proprietà sono da menzionare solo a titolo di conoscenza fisica, perché da soli sono metalli assai poco magnetici, ed esaltano le loro proprietà solamente in lega col ferro. Il nichel ha una permeabilità iniziale μ = 250, che raggiunge μ = 400 circa per B = 1000 ÷ 2000, e poi decresce di nuovo; il valore di saturazione è B = 6500 circa, cioè meno di un terzo di quello del ferro. Il cobalto ha la massima permeabilità μ = 150 circa per B vicino a 3000; l'induzione di saturazione si ritiene raggiunga B = 17.000.

Il comportamento delle leghe di nichel e ferro è stato studiato da T.D. Yensen e da altri autori, che hanno messo in evidenza proprietà notovolissime nelle leggi di dipendenza fra comportamento magnetico e tenore percentuale di composizione.

Bibl.: M. Faraday, Experimental researches in electricity, voll. 3, Londra 1839-1855; Sir W. Thomson (lord Kelvin), Reprints of papers on electricity and magnetism, Londra 1872; J.C. Maxwell, A treatise on electricity and magnetis, voll. 2, Oxford, 1ª ed., 1873; 2ª ed., 1881; 3ª ed., 1892; O. Heaviside, Electromagnetic theory, voll. 2, Londra 1893 e 1899; J.A. Ewing, Magnetic induction in iron and other metals, Londra 1892 e 1900; H. Du Bois, Magnetische Kreise, Berlino e Monaco 1894; P. Curie, Propriétés magnétiques des corps à diverses températures, in Ann. de Chimie et Phys., 1895; J. Larmor, Aether and Matter, Cambridge 1900; P. Langevin, scritti varî, in Ann. de Chimie et Phys., 1905; R. Gans, Über Paramagnetismus, in Ann. der Physik, 1916; F. Auerbach, Moderne Magnetik, Lipsia 1921; Theories of magnetism, in Bulletin of National Research Council, Washington 1922; E.C. Stoner, Magnetism and Atomic Structure, Londra 1926; A. Sommerfeld, Atombau u. Spektrallinien, edizioni varie; V. Karapetoff, The magnetic circuit, New York, ediz. varie; Th. Spooner, Properties and testing of magnetic materials, New York 1927; H. A. Wilson, Modern physics, Londra e Glasgow 1930; R. Brunetti, L'atomo e le sue radiazioni (cap. 8°: "I momenti magnetici dell'atomo"; cap. 12°: "Magnetismo e spettroscopia"), Bologna 1932.

Magnetismo terrestre.

Descrizione del campo magnetico terrestre. - Il campo magnetico generale della terra è accessibile alle misure solo in vicinanza della superficie: tuttavia l'analisi di tali misure è sufficiente a dimostrare che la massima parte di tale campo è dovuto a cause interne alla terra: C. F. Gauss, infatti, per primo (1835), e più recentemente Adolf Schmidt (1885) e A. Dyson (1922), sviluppando in serie di funzioni sferiche i valori osservati alla superficie, hanno trovato e verificato che solo una piccola parte (i %) del campo terrestre deve attribuirsi a cause esterne alla terra e precisamente (se, come non è ancora escluso, ciò non è dovuto a piccoli errori delle osservazioni analizzate) a un campo uniforme E, in cui sarebbe immersa la terra, avente per asse il diametro 75°8′ N. 121°4′ O., e avente l'intensità di pochi millesimi di gauss. Esclusa questa piccola parte E, e un'altra piccola parte N, che risulta priva di potenziale (di esistenza pure dubbia, e attribuibile a correnti elettriche verticali permanenti, dell'ordine 10-12 ampère/cmq., cioè 104 volte più forti di quelle realmente osservate, dirette ai poli verso il basso, all'equatore verso l'alto), risulta che la parte più importante del campo terrestre ha presso a poco, in ogni punto e in ogni tempo, la direzione e l'intensità che vi si presenterebbero se la terra fosse unifomemente magnetizzata: nell'interno della terra le linee di forza risultano parallele al diametro terrestre che ha la sua estremità boreale B in lat. 78°5′ N., 69° O., e la sua estremità australe A nel punto antipodo: si completano esternamente attraverso linee curve. (Un potente magnete fittizio, costituito da una cortissima sbarra magnetica posta al centro della terra, darebbe luogo esternamente a un identico campo magnetico).

L'intensità di questa magnetizzazione unifomie (o il momento del magnete fittizio) variano lentissimamente col tempo: sul cerchio massimo normale al diametro suddetto (equatore della magnetizzazione uniforme) le linee di forza esterne risultano orizzontali e l'intensità ha alla superficie un certo valore Ho (nel 1885, 0,32 gauss); ai poli, B e A, sono verticali e l'intensità è 2Ho (nel 1885, 0,65 gauss). In generale, l'inclinazione e delle linee di forza di tale campo rispetto all'orizzonte, nei varî luoghi, è data da tg e = 2 tg h, ove h è la latitudine magnetica e cioè contata rispetto ai poli suddetti: le linee di forza sono rivolte verso il basso nell'emisfero N, verso l'alto nell'emisfero S.

i unità C.G.S. = 1 gauss = 1 Γ è quella di un campo magnetico che esercita su un polo magnetico 1mitario la forza di

di grammo-peso: un polo magnetico si dice unitario quando respinge un polo identico, posto alla distanza di 1 cm., con la forza di una dina; le piccole variazioni del campo terrestre si valutano con un'unità 100.000 volte più piccola del gauss, designata con γ.

Le osservazioni forniscono, nei varî luoghi, valori del campo differenti da quelli competenti a questo schema: le differenze si dicono anomalie magnetiche, e possono considerarsi dovute ad altri deboli campi magnetici che si compongono con la parte principale suddetta: essi possono considerarsi la causa sia delle vaste anomalie sistematiche che si notano su ampie regioni (come quella della Siberia, che è circa del 10%), sia delle anomalie strettamente locali e irregolari. Le anomalie localizzate (massima fra queste quella di Kursk, a 400 km. a sud di Mosca) possono fisicamente interpretarsi (A. Nippoldt, 1927) come dovute a depositi di minerali magnetici o magnetizzati; spesso sono connesse con anomalie della gravità: esse si estinguono a breve distanza orizzontale e verticale dai punti occupati da tali minerali; le anomalie più vaste sarebbero da interpretarsi pur esse con la mancanza di omogeneità del nucleo terrestre.

Questi campi secondarî, componendosi col campo magnetico principale, fanno sì che i poli magnetici risultanti (osservabili) siano alquanto discosti (v. inclinazione; isocline) dai poli, diametralmente opposti, della magnetizzazione uniforme: la corda che li congiunge passa a circa 1100 km. dal centro della terra.

La componente orizzontale dell'intensità del campo terrestre, sia perché l'asse della magnetizzazione uniforme è inclinato rispetto all'asse di rivoluzione, sia per tali campi secondarî, non è generalmente diretta secondo il meridiano, ma forma con esso un angolo detto declinazione (v. declinazione; isogone). L'intero campo terrestre ruota solidalmente con la terra, sicché i poli magnetici compiono ogni giorno un giro intorno all'asse terrestre.

Anche il Sole possiede un analogo campo magnetico: lo studio del fenomeno di Zeeman presentato dalle righe spettrali della luce emessa da punti posti a differente livello (da 250 km. in su) entro l'atmosfera solare, ha condotto alla conclusione (G. Hale, 1908) che, in ogni livello, la direzione del campo corrisponde a quella di una sfera uniformemente magnetizzata; l'intensità però sembra diversamente distribuita. Inoltre si è osservato che l'intensità diminuisce molto rapidamente con l'altezza (da 50 gauss a 250 km., a 10 gauss a 450 km., e cioè da 5 a 1, invece di o,1%, come nell'ipotesi di una magnetizzazione uniforme). Del resto, il senso della magnetizzazione del sole, è, rispetto al senso di rotazione, lo stesso di quello della terra; anche il suo asse magnetico è inclinato (6°) rispetto all'asse di rotazione e non è stazionario, ma dotato di rapido moto precessionale (periodo 8 mesi) da E. verso O. (opposto alla rotazione). Non parleremo qui dei campi magnetici locali che si manifestano nelle macchie solari.

Analogamente, l'asse della magnetizzazione uniforme terrestre (astrazione fatta dalle variazioni dei campi secondarî) precede, secondo M.V. Carlheim-Gyllensköld, da E. a O., ma con grande lentezza: i poli magnetici risultanti, però, in seguito alle variazioni che ne conseguono o che si manifestano negli altri campi secondarî, descrivono traiettorie che non risultano né circolari, né centrate sull'asse di rotazione: il polo magnetico boreale dal 1600 al 1850 ha descritto, secondo van Bemmelen, una linea leggermente curva diretta verso S. (da 85° a 77° ½), poi verso O., e poi verso N. Le variazioni dei campi secondarî rendono le variazioni secolari del campo terrestre (e cioè le variazioni col tempo del valore normale delle singole località, valore medio ottenuto dai 12 mesi comprendenti un determinato istante), molto diverse a seconda della regione della terra che si considera e, anche nello stesso luogo, molto irregolari. In generale le variazioni secolari della direzione sono molto superiori alle variazioni dell'intensità del campo: per modo che le componenti orizzontali e verticali del campo variano considerevolmente e con esse la declinazione; ma l'intensità totale varia poco. Nelle sue linee generali la parte più importante (7/8) del campo della variazione secolare, può interpretarsi fisicamente come un campo magnetico d'origine esterna alla terra, dovuto a una corrente circolante a grande distanza dalla terra, nel piano dell'equatore magnetico. In Europa le variazioni secolari delle componenti variano poco da luogo a luogo e anche in modo molto più regolare dei valori stessi delle componenti; sicché basta determinare tali variazioni secolari in pochi punti, anche a distanze di 500-1000 km.; per quanto riguarda le variazioni secolari anche le località anomale sembrano non presentare un comportamento diverso.

Attualmente in Italia la declinazione (occidentale, compresa tra 8° a 4°) varia annualmente ovunque di circa 10′ verso E.; la componente orizzontale (che si aggira intorno a 0,2 gauss) è attualmente in diminuzione annua di circa 10 γ; l'inclinazione (che si aggira intorno ai 60° boreali) aumenta di circa 1′ (L. Palazzo, 1923).

Cause del magnetismo terrestre. - L'ipotesi che la terra sia composta in gran parte di ferro o di composti ferromagnetici, permanentemente magnetizzati lungo l'asse magnetico (W. Gilbert), sembrerebbe fornire la più semplice spiegazione del campo magnetico terrestre: si può calcolare (A. Schuster) che basterebbe, a tale scopo, che l'intensità di magnetizzazione avesse un valore piccolissimo (J = 0,08, unità C. G. S.); oppure che una piccola frazione del suo volume fosse magnetizzata più fortemente, pur sempre lungi dalla saturazione magnetica.

Ora, anche ammettendo un grado geotermico di 40 m., a ben piccola profondità in confronto al raggio terrestre si raggiunge la temperatura a cui la magnetite e il ferro perdono le loro proprietà magnetiche; pare inoltre che un aumento di pressione diminuisca tali temperature critiche: si è trovato necessario pertanto ammettere (A. Nippoldt, 1925) l'esistenza di una sottile calotta sferica esterna (20-100 km. di spessore), fortemente magnetizzata, di grande forza coercitiva, e vicina alla superficie: la variazione secolare potrebbe in tal caso ritenersi anche come dovuta a variazioni della composizione della crosta, o, forse meglio, a variazioni della suscettività per temperatura (v. L. Palazzo, Atti della Soc. it. per il progr. delle scienze, Catania 1923).

Resta da spiegare la causa di tale magnetizzazione e la relazione tra l'asse magnetico e l'asse di rotazione.

L'induzione dei campi esterni per quanto si è detto è da escludersi: né una sfera comunque costituita e immersa in un campo esterno uniforme produrrebbe un campo del tipo descritto. Neppure l'ipotesi che la parte attiva della terra costituisca un elettromagnete eccitato da correnti in essa circolanti può essere sostenuta: escluso, infatti, che tali correnti permanenti possano essere la conseguenza di cause che abbiano ormai cessato di esistere, perché (A. Schuster), in un corpo come la terra, l'intensità di tali correnti diminuirebbe rapidamente, sarebbe difficile comprendere come esse potessero essere mantenute e a quale fonte fosse sottratta l'energia necessaria a colmare le perdite per effetto Joule: forze termoelettriche, eccitate dalla ineguale distribuzione della temperatura, non agirebbero nel modo richiesto. J. Larmor (1919), riguardo al problema analogo solare, avanzò l'ipotesi che possa sussistere una circolazione di materia fluida nel senso dei meridiani (come può essere nel sole): in presenza di un campo magnetico preesistenti, si avrebbe allora, in tale materia, una corrente indotta nel senso dei paralleli, tale cioè da aumentare il campo inducente, come in una dinamo ad autoeccitazione; nel sole una tale circolazione nel nucleo, e un'opposta corrente negli alti strati, darebbe ragione del rapido indebolimento radiale del campo: applicata alla terra, tale ipotesi condurrebbe a ritenere che i materiali profondi fossero fluidi; la variazione secolare sarebbe facilmente spiegabile supponendo che la conducibilità lungo i paralleli potesse mutare.

La stretta relazione tra l'asse di rotazione e quello del campo terrestre ha condotto ad esaminare la possibilità (A. Schuster e lord Kelvin) che la magnetizzazione possa essere determinata dalla sola rotazione della terra (e del sole); A. Schuster eW.F. Swann (1912 e 1917), seguendo le idee di J.C. Maxwell, hanno infatti considerato che i costituenti (molecole e elettroni) degli elementi magnetici possono agire, in un corpo rotante, come microscopici giroscopî: i loro assi tenderebbero a disporsi paralleli all'asse di rotazione del corpo di cui fanno parte e questo apparirebbe magnetizzato in tale direzione: questo effetto dovrebbe essere uguale per tutti i volumi elementari e indipendente dalle dimensioni del corpo: opportune esperienze (S.J. Barnett, 1918) dimostrarono infatti che un corpo ferromagnetico in rotazione è accompagnato da una magnetizzazione proporzionale alla velocità angolare e indipendente dalle dimensioni del corpo, e di senso tale da conciliarsi con l'ipotesi che intorno agli ultimi costituenti degli elementi magnetici ruotino particelle di elettricità negativa: e cioè concorda col senso della magnetizzazione della terra e del sole. Ma, data la piccola velocità angolare della terra (1/86400 di giro al secondo), il campo così prevedibile è assai più piccolo di quello terrestre (circa 1010 volte); a meno che l'alta temperatura interna non attenui i vincoli degli elementi giroscopici sopra accennati: il che sembra ammissibile, se i costituenti suddetti sono gli elettroni, le cui orbite sono minime di fronte al diametro molecolare. Risulta pertanto possibile che la magnetizzazione della crosta terrestre, o il campo terrestre e la sua variazione secolare, possano essere così originati.

Si sono naturalmente tentate altre possibili spiegazioni, ma inutilmente: la rotazione di una sufficiente carica negativa della superficie terrestre (o della superficie solare) o distribuita nel nucleo non potrebbe influire (A. Schuster, 1912; O. Venske, 1920), su un ago in rotazione con la terra, nel modo voluto, anzi prevarrebbe l'induzione elettrostatica che tende a dare all'ago una direzione diversa; si è pure immaginato che tale campo elettrostatico (occorrerebbe ammettere 108 V.1/cm.) potesse essere compensato qualora nell'atmosfera esistesse una carica uguale e di segno contrario a quella del nucleo; allora però per generare un campo del senso di quello terrestre, occorrerebbe (W.F. Swann, 1917) che lo strato negativo fosse l'esterno e l'elettricità positiva diffusa nell'interno della terra: e per dar conto della sua entità le cariche in giuoco dovrebbero essere molto più grandi di quelle constatate e tali che il campo elettrico fra esse ne provocherebbe la riunione.

Difficoltà non minori escludono che si possa attribuire il campo magnetico terrestre a una polarizzazione elettrica delle masse (J. J. Thomson, 1894), il cui campo sarebbe bensì neutralizzato elettricamente, ma che darebbe luogo, per rotazione, a effetti magnetici: J. Larmor notò, ad es., che un cristallo possiede sempre una certa polarizzazione elettrica dovuta all'orientamento delle sue molecole polari: se questa polarizzazione fosse completa, un cristallo delle dimensioni della terra produrrebbe un enorme campo elettrico compensato elettricamente, ma non magneticamente: in tal modo un pianeta, i cui materiali fossero cristallizzati e orientati in qualche modo dalla gravità, o dalla rotazione, possiederebbe un certo campo magnetico; ma la stabilità dell'interno della terra sembrò al Larmor troppo grande per spiegare così le variazioni secolari.

Misura del campo magnetico terrestre. - Il vettore che rappresenta l'intensità del campo richiede per ogni punto la conoscenza di tre elementi, atti a determinare: il piano verticale in cui esso è contenuto, la sua inclinazione in tale piano rispetto all'orizzontale, e la sua intensità.

Il piano verticale della forza (detto meridiano magnetico) è individuato dal valore della declinazione magnetica e cioè dall'angolo diedro che esso forma col meridiano geografico del luogo (per la sua determinazione, v. declinazione). L'inclinazione si determina sospendendo un ago magnetico intorno a un'asse orizzontale passante per il suo centro di gravità, in modo che sia libero di ruotare nel meridiano magnetico: la posizione che esso assume, corretta opportunamente dai difetti costruttivi con accurati procedimenti (per i quali si rimanda ai trattati speciali citati in fondo), permette di leggere, su un cerchio graduato verticale, l'inclinazione. Lo strumento (inclinometro) così costruito, è ora progressivamente sostituito dall'induttore terrestre (H. Wild, 1881), più preciso e rapido: esso consiste essenzialmente in una bobina girevole intorno a un suo diametro: quando questo diametro venga per tentativi orientato nel meridiano magnetico e inclinato in modo da risultare parallelo alle linee di forza del campo, al ruotare della bobina non si ha alcuna induzione elettromagnetica: sicché quando un galvanometro connesso agli estremi della bobina rotante non denuncia corrente, l'inclinazione dell'asse della bobina (da leggersi su un cerchio verticale solidale col detto asse) è uguale alla cercata inclinazione della forza.

Per quanto riguarda l'intensità del campo F, essa di solito si detemina indirettamente: si determina d'ordinario direttamente la sua componente orizzontale H; se θ è l'inclinazione, si ha evidentemente F = H/cos θ, formula applicabile ovunque fuorché alle alte latitudini magnetiche, ove cos θ = 0. Ivi è necessario misurare direttamente l'intensità totale del campo o la componente verticale. La determinazione di H può essere diretta a ottenerne il valore assoluto (negli osservatorî magnetici) in unità C. G. S. e cioè in Γ, oppure può essere diretta a ottenerne il valore relativo rispetto al valore di H misurato in un osservatorio.

Per le misure relative si usano i magnetometri da viaggio: essi sono di due tipi fondamentali: uno di essi (apparato di oscillazione) permette di determinare il periodo di oscillazione d'un ago magnetico sospeso orizzontalmente a un filo verticale.

L'altro tipo (apparato di deviazione) permette di sottoporre un ago, girevole orizzontalmente, all'azione d'un secondo magnete deviante, che viene disposto a distanza nota e fissa dal centro del primo, nello stesso piano orizzontale, in modo (Lamont) che il suo asse risulti perpendicolare all'asse del magnete deviato: in tali condizioni se in una prima esperienza, in un osservatorio, H è la componente orizzontale nota, f è la forza prodotta dal magnete deviante (proporzionale al suo momento magnetico e inversamente al cubo della distanza dal deviato) e ϕ è la deviazione, ossia l'angolo compreso tra il meridiano magnetico e l'asse del magnete deviato, si avrà H = f/sen ϕ; ripetendo la stessa esperienza in condizioni identiche in un altro luogo, si otterrà una deviazione generalmente diversa ϕ′ e ancora sarà H′ =: f/sen ϕ′. Eliminando f, uguale nei due casi, si otterrà H′ = H sen ϕ′/sen ϕ. Generalmente i magnetometri da viaggio permettono ambedue le esperienze e cioè la determinazione di H in doppio modo.

Per le ricerche di prospezione mineraria, in cui, più dei valori assoluti, occorre conoscere le variazioni locali del campo, sono stati creati appositi strumenti, d'uso ancor più semplice, che permettono la misura immediata delle variazioni ΔΗ della componente orizzontale e delle variazioni ΔV della componente verticale dell'intensità del campo; i più moderni sono le cosiddette bilance magnetiche di A. Schmidt, il cui principio è il seguente: per la misura di ΔΗ, un ago magnetico è girevole nel meridiano magnetico intorno a un asse orizzontale; essendo il centro di gravità dell'ago leggermente spostato dall'asse verso un'estremità, esso cerca di disporsi verticalmente; al variare di H, varierà l'angolo, misurabile, che esso forma con la verticale; la sensibilità dello strumento è determinata dalla distanza tra l'asse e il centro di gravità; d'ordinario 1′ di variazione dell'angolo equivale a 10 γ. Per la misura di ΔV un altro ago è girevole invece nel piano perpendicolare al meridiano magnetico, intorno a un asse orizzontale; il suo centro di gravità è disposto in modo che l'ago tenda alla posizione orizzontale; le variazioni di V risultano proporzionali alle variazioni dell'angolo che l'asse dell'ago forma con l'orizzontale. Le piccole variazioni di questi angoli si misurano, in tali bilance, con un cannocchiale ad autocollimazione puntato su uno specchietto solidale con l'ago. Esistono anche bilance magnetiche universali per le variazioni di H, di V e di D (H. Haalk, 1925), e variometri di tipo diverso: ad es., la doppia bussola di F. Bidlingmaier, variometro per H, consiste in due rose di bussola girevoli, a pochi decimetri di distanza, intorno alla stessa verticale; i due sistemi magnetici tendono a divergere per la mutua azione fra i loro poli, ma ne sono impediti dalla componente orizzontale che tende a richiamare i due sistemi nella direzione N.-S.; l'angolo che essi formano varia al variare di H che può così misurarsi con un'approssimazione di + 10 γ. Esistono anche variometri a ferro dolce, per V, nei quali due sbarre verticali di ferro dolce, a distanza costante da un ago girevole nel piano orizzontale, e con le loro estremità superiori in tale piano, producono deviazioni che variano al variare di V; variometri a deflettore (di F. Kohlrausch e di De Colongue) che permettono di disporre un magnete, relativamente a un ago, in modo da produrre una deviazione costante finché H è costante: al variare di H la deviazione varia, il che permette di determinare ΔH.

Analoghi a questi variometri locali, sono i variometri in uso negli osservatorî per registrare le variazioni degli elementi magnetici col tempo: il loro uso differisce però sostanzialmente da quelli. Una delle difficoltà maggiori dei variometri locali, la variazione della posizione dello zero, corrispondente a un determinato valore assoluto dell'elemento da studiare, è qui completamente eliminata. Per registrare le variazioni della declinazione col tempo, si fa uso di un ago, appeso a un filo di piccolo coefficiente di torsione, munito di specchio, che riflette su un rullo di carta fotografica (mosso da un movimento di orologeria) l'immagine di una fenditura illuminata; per quelle di H, si usa un magnete, analogamente munito di specchio, che la torsione della sospensione tende a disporre perpendicolarmente al meridiano magnetico; per la componente verticale si usa una bilancia, analoga a quella di A. Schmidt per la componente medesima, il cui giogo (magnete) è munito di specchio disposto per la registrazione fotografica. Finora non esistono fidati variometri per l'inclinazione. Poiché i magneti di tali apparati sono soggetti a variazioni non interamente reversibili con la temperatura, occorre: determinare spesso il valore assoluto dell'elemento corrispondente alla posizione dello specchio; collocare i variometri in locale ben difeso dalle variazioni termiche; misurare l'effetto della temperatura sulla sensibilità degli strumenti, facendo variare la temperatura di tutto il locale. Se ne hanno ora di perfettamente compensati per temperatura e di sensibilità costante.

Per le misure assolute della componente orizzontale si usano i teodoliti magnetici o magnetometri: strumenti analoghi, ma più grandi e perfetti, dei già accennati magnetometri da viaggio: essi permettono di eseguire, con lo stesso magnete, le già accennate esperienze di oscillazione e di deviazione: quella di oscillazione permettono di determinare il prodotto di MH, l'altra il rapporto M/H, da cui si ricavano poi i valori separati di M e di H, espressi mediante il momento d'inerzia K (misurabile) dell'ago di oscillazione e della distanza r a cui viene posto il magnete stesso nell'esperimento di deviazione. Se le due esperienze non hanno luogo alla stessa temperatura, occorre naturalmente tener conto che M non è lo stesso nei due casi: altre riduzioni sono imposte dal fatto che nell'esperienza di oscillazione la componente H tende ad aumentare M, mentre ciò non avviene nell'altra; dalla torsione del filo di sospensione; dal fatto che il periodo varia leggermente al variare dell'ampiezza delle oscillazioni; dalla distribuzione del magnetismo nel magnete deviante all'atto delle deviazioni; dalle piccole variazioni della declinazione e di H durante le due misure.

Attualmente questi strumenti, ideati da C.F. Gauss e perfezionati da J. Lamont, stanno per essere sostituiti da nuovi strumenti più rapidi che permettono di ridurre la misura a una sola esperienza di deviazione: essi permettono di comporre col campo terrestre, nel punto occupato dall'ago deviato, un campo d'intensità nota, prodotto dalla corrente, esattamente misurata con metodi potenziometrici, che percorre una bobina di dimensioni note, sì da permettere un calcolo assoluto del campo prodotto. La deviazione ϕ dell'ago, permettendo, come si è detto, di misurare il rapporto tra la componente orizzontale H e tale campo noto, permette la misura di H. Con tali strumenti si eliminano molte delle suddette correzioni e la misura assoluta di H è rapidissima, come facilmente si comprende. Strumenti del genere, già studiati da V. Uljanin (W. Ulianine) prima del 1919, vengono ormai costruiti commercialmente, sia in Inghilterra, in base agli studî di Schuster e alle indicazioni di F.E. Smith, sia in Germania; sia per uso di laboratorio, sia di campagna.

Rappresentazione grafica degli elementi del magnetismo terrestre. - La distribuzione geografica del campo magnetico terrestre in una data epoca si può desumere dalle carte delle isogone, delle isocline e delle isodiname della componente orizzontale: si rimanda a tali voci per maggiori particolari e per lo stato della cartografia magnetica risultante dalle osservazioni eseguite nei varî luoghi. Ricorderemo qui che tali rappresentazioni possono avere per scopo di mostrare per una certa epoca l'andamento normale degli elementi stessi, nel senso che in tali carte si è tenuto conto della sola parte definita sopra come non anomala del magnetismo terrestre, e allora le isolinee si dicono terrestri. Si dicono invece isolinee vere per una data epoca, quelle che, pur trascurando sempre i minuti particolari e i punti singolari isolati, e le anomalie che non si possono non ritenere strettamente locali, tengono purtuttavia conto delle anomalie più vaste di carattere regionale. I particolari delle singole anomalie si rappresentano invece su cartine speciali delle anomalie, nelle quali, oltre alle isolinee, sono spesso rappresentati i vettori orizzontali delle anomalie stesse. Sul mare la densità delle osservazioni su cui le isolinee sono basate è sempre molto inferiore a quella delle osservazioni terrestri: il materiale d'osservazione è tuttavia ora molto aumentato per opera del Department of Terrestrial Magnetism della Carnegie Inst., e delle crociere delle sue due navi amagnetiche Galilée e Carnegie. Il mare meglio noto nelle sue anomalie è il Baltico (campagne di A. v. Gernet).

I dati per gli sviluppi sopra accennati del campo terrestre sono naturalmente desunti da carte delle isolinee vere.

Esistono carte speciali che, per una certa epoca, rappresentano le linee isanomale dei varî elementi: es., le tre carte delle anomalie dell'Europa al 1925,5 di A. Nippoldt (Zeitschrift f. Geophysik, III [1927]), che sono ottenute per differenza tra quelle vere, del Nippoldt stesso, e quelle che rappresentano la risultante del campo quasi omogeneo terrestre e dell'anomalia regionale europea.

Variazioni. - Esaminando i diagrammi di registrazione dei variometri accennati, si osserva che in certi giorni i tre elementi della forza variano irregolarmente in un modo del tutto diverso dall'ordinario: tali giorni si dicono perturbati o di burrasca magnetica; in altri giorni le variazioni sono graduali e regolari: tali giorni si dicono quieti; in altri infine le variazioni presentano un carattere intermedio tra questi estremi e cioè alle variazioni regolari si sovrappongono perturbazioni di modesta entità. L'intensità della perturbazione, o, come si dice, il grado dell'attività magnetica, può anche variare nelle diverse parti dello stesso giorno. Le perturbazioni pur essendo d'entità diversa da luogo a luogo, sono però sincrone in tutti i luoghi della terra: sicché l'attività magnetica di una parte del giorno può classificarsi indipendentemente dalla località (0 = quieto; 2, perturbato; 1, intermedio tra 0 e 2), qualora, come si pratica nell'Istituto di De Bilt, si prendano in considerazione le registrazioni di varî (o di tutti) gli osservatorî. Recentemente sono state studiate e praticate funzioni diverse della variabilità dei singoli elementi atte a caratterizzare numericamente i singoli giorni.

L'attività magnetica presenta, se non una periodicità, una tendenza a ripetersi ogni 27 giorni: le burrasche magnetiche si possono infatti in maggioranza distribuire a paia, separate da tale intervallo.

Variazioni periodiche del campo terrestre. - Ogni giorno, come s'è detto, gli elementi del campo terrestre sono soggetti a una variazione periodica che si manifesta quasi identicamente, alla stessa ora locale, in tutti i punti dello stesso parallelo. Sicché in prima approssimazione, nella zona media della terra, tra 60° N. e 60° S., le variazioni diurne dipendono, per ogni valore della latitudine, dalla sola ora locale: esse si possono interpretare come dipendenti dalla posizione occupata dal sole e dalla luna, o come il passaggio per la località di condizioni che ruotano intorno alla terra insieme con i corpi celesti, e che durante l'anno si modificano leggermente a seconda della distanza e della declinazione di questi. Si usa considerare, per le singole ore del giorno, sia la media oraria mensile, sia quella annuale, di tali variazioni contate dalla media di tutti i singoli giorni, isolando così le variazioni periodiche dalle variazioni non periodiche, che a quelle si sovrappongono; e, per differenza dalle registrazioni effettive, calcolare separatamente i valori medî orarî di tali variazioni non periodiche. Dai valori medî orarî ottenuti nel primo computo si usa trarre il valore medio arrotondato della variazione diurna per ogni singola ora; naturalmente la variazione non risulta esattamente periodica perché ad essa si somma la lenta variazione secolare. Sottraendo dalle variazioni medie orarie ottenute col primo computo anche tale parte non periodica e sottoponendo all'analisi armonica la curva ottenuta, che ha carattere diurno (e cioè con un solo massimo e con un solo minimo), si possono da essa isolare (come per le curve di registrazione delle maree) le componenti periodiche (solari e lunari) che hanno il periodo dei varî elementi astronomici che determinano la posizione della luna e del sole rispetto al luogo considerato.

Nel suo complesso la variazione diurna periodica, dedotta da tutti i giorni (o dai 5 giorni quieti del mese) si può descrivere dicendo che, durante le 24 ore, il vettore che rappresenta in un luogo l'intensità del campo, viene a occupare successivamente, nel senso degl'indici dell'orologio, le generatrici di un cono irregolare avente per asse la direzione media diurna, di apertura maggiore (50%) negli anni di massimo delle macchie solari, e, in ogni anno, maggiore durante l'estate, minore d'inverno; la lunghezza del detto vettore subisce inoltre leggiere variazioni continue (in media di circa 50 γ, cioè 1/1000 del valore della forza), ampie e rapide durante le ore diurne, specie d'estate, lente e molto minori durante le ore della notte. H. Fritsche e A. van Vleuten calcolarono anche la forma del campo, ruotante col sole e con la luna, che, ai solstizî d'estate e d'inverno, può dare luogo alle variazioni diurne osservate nei varî luoghi della terra.

Nei giorni perturbati la variazione diurna periodica è più ampia, specie negli anni di massimo delle macchie solari, in cui anche le perturbazioni aperiodiche sono maggiori.

In entrambi i casi l'ampiezza media mensile della variazione diurna dei singoli elementi è funzione lineare del numero delle macchie solari, secondo coefficienti che variano secondo il mese: sicché, non solo l'ampiezza della variazione diurna, ma anche il carattere dell'andamento annuo di tale variazione varia di anno in anno.

Analizzata armonicamente, come si è detto, la variazione periodica giornaliera presenta naturalmente, sia nella parte solare, sia in quella lunare, termini diurni molto considerevoli, la cui ampiezza e la cui fase, riferita al passaggio del meridiano dell'astro, variano notevolmente a seconda che si tratti di giorni quieti o di giorni perturbati: pare, tuttavia, che la variazione giornaliera sia identica nei luoghi in cui gli elementi hanno valori normali, come nei luoghi anomali.

I termini principali lunari (circa 1/15 dei solari; S. Chapman) consistono, come per le analoghe oscillazioni di marea, in un termine lunare semidiurno, presso a poco di uguale ampiezza del termine diurno, e di altri termini superiori; la loro ampiezza oscilla da mese a mese.

Il campo magnetico L cui sono dovute tali variazioni periodiche lunari può interpretarsi quantitativamente (S. Chapman) come il campo di un sistema di correnti indotte dal campo terrestre negli alti strati ionizzati dell'atmosfera in seguito ai movimenti orizzontali in essa provocati dalla forza di marea lunare.

I termini solari nei singoli giorni possono considerarsi ciascuno come la somma di due parti, egualmente periodiche: una prima Sq, a coefficienti costanti, caratteristica dei giorni quieti, e che da essi può calcolarsi, che produce variazioni più forti di giorno e d'estate che non durante la notte e l'inverno; l'altra Sd, caratteristica dei giorni disturbati. La Sq è analoga all'effetto lunare e attribuibile alle maree solari atmosferiche e soprattutto alla marea termica in strati atmosferici ionizzati dal sole, che però non coinciderebbero con quelli responsabili dell'effetto lunare (probabilmente più elevati), perché l'ampiezza dell'effetto Sq varia gradualmente all'epoca delle macchie solari, come se la ionizzazione atmosferica crescesse gradualmente, ma non varia con l'attività magnetica del giorno, mentre l'effetto lunare non sembra variabile col periodo delle macchie solari e varia invece da giorno a giorno con l'attività magnetica.

L'ipotesi più semplice si è che i due strati conduttori responsabili dell'effetto lunare e dell'Sq siano ionizzati da due diverse specie di radiazioni ondulatorie, non corpuscolari, presentanti il loro massimo assorbimento a diversa altezza, determinata dalla lunghezza d'onda delle due specie di radiazioni; questi strati naturalmente non muterebbero né col variare dell'attività magnetica, né col periodo delle macchie solari. Paragonando le variazioni magnetiche diurne regolari (L + Sq) con quelle della pressione barometrica, dovute alla marea atmosferica, si può concludere che se l'altezza di tali strati è dell'ordine di 26 km. (strato di massimo assorbimento per radiazioni di tipo y) la loro conducibilità sia dell'ordine di 25.10-6: probabilmente lo strato Sq è lo strato conduttore in cui si riflettono le onde radiotelegrafiche (A.E. Kennelly, O. Heaviside).

Perturbazioni magnetiche. - Il campo perturbatore che in certi giorni (perturbati) modifica la regolare variazione diurna può essere scomposto in tre parti che si sommano: un campo che ha lo stesso andamento diurno di Sq (e che abbiamo chiamato sd), in quanto è periodico e dipendente dal tempo locale; un secondo campo che investe contemporaneamente tutta la terra e, che cioè varia simultaneamente in tutti i luoghi e non può farsi dipendere dal tempo locale, e che chiameremo Wd; un terzo campo rapidamente variabile F.

Quest'ultimo campo F, che ha per conseguenza rapide fluttuazioni del campo terrestre, è più intenso nelle due zone aurorali (v. aurora polare) che circondano i poli magnetici e diminuisce gradualmente verso l'equatore: esso influenza sempre più fortemente l'emisfero pomeridiano che l'emisfero antimeridiano.

Il campo Sd, periodico, è preponderantemente di carattere diurno al di fuori delle zone aurorali: ad esso è attribuibile l'alterazione normale degli elementi; entro le zone aurorali esso sembra dovuto a un campo costante che gira con il sole; al di fuori, esso è analogo al campo che sarebbe prodotto da forti correnti circolanti nell'alta atmosfera, lungo i paralleli, dirette verso il meridiano del mezzodì in vicinanza dell'equatore; e da tale meridiano verso il meridiano di mezzanotte, nelle zone temperate.

Il campo Wd, indipendente dall'angolo orario del sole ha (eccetto che all'inizio della sua apparizione) le caratteristiche che potrebbero essere determinate da correnti dirette lungo i paralleli, verso ovest, la cui intensità (dopo la fase iniziale) Gresce in tutti i luoghi simultaneamente fino a un massimo, in un intervallo di tempo dell'ordine di 10-20 ore (tanto più breve, quanto più intensa è la burrasca) e poi a poco a poco svanisce con legge esponenziale. La perturbazione prodotta da tale campo può essere più intensa all'equatore che non verso i poli (perturbazione equatoriale) o viceversa (polare). Il valore medio dell'ampiezza delle perturbazioni è in Europa di 300 γ nell'intensità (velocità, 4 γ al minuto), e di un grado nella declinazione: alle alte latitudini più del doppio per l'intensità e indefinito nella direzione. Poiché l'intensità delle correnti elettriche cui può attribuirsi il campo Sd, varia concordemente con quella delle correnti cui può attribuirsi anche il campo Wd, i due campi sembrano essere dovuti alla stessa causa, e la loro separazione soltanto fittizia. La loro somma, e cioè l'effetto globale, alle latitudini basse è maggiore nell'emisfero pomeridiano (ove le correnti si sommano) che non nell'emisfero antimeridiano; tale effetto è più sensibile nella zona aurorale.

Il periodo di 27 giorni tra le perturbazioni, già accennato, è anche il periodo di rotazione del sole: sicché le accennate ricorrenze potrebbero attribuirsi all'azione di uno speciale agente emesso radialmente, o in direzione determinata, da una porzione relativamente piccola della superficie del sole: costituente quindi un fascio di limitata apertura (analogo al fascio di luce di un riflettore) che investisse la terra a ogni rotazione del sole; l'improvviso inizio delle perturbazioni accennerebbe a una netta delimitazione del fascio; la varia intensità delle successive perturbazioni, a variazioni d'intensità della perturbazione solare o dello spostamento della porzione attiva sul sole; oppure alle variazioni della declinazione del sole. Ignorandosi la direzione dell'emissione, non è attualmente possibile precisare la regione solare da cui una particolare emissione, e la conseguente perturbazione magnetica, ha origine. La variazione dell'attività magnetica e, approssimativamente, della frequenza delle perturbazioni magnetiche col periodo delle macchie solari (circa 11 anni), accenna alla possibilità che le emissioni avvengano da queste regioni perturbate dal sole. Parrebbe escluso che l'agente responsabile delle variazioni di cui parliamo sia di natura ondulatoria, perché ciò interesserebbe solo l'emisfero illuminato e non spiegherebbe la simultaneità delle variazioni del campo Wd; parimenti sembra escluso che esso sia dovuto a particelle neutre, senza intervento di cariche elettriche, perché allora non si spiegherebbe la maggiore intensità dell'effetto nelle zone aurorali. Se si ammette che le particelle siano elettrizzate, almeno quando cominciano a essere soggette al campo terrestre, risulta sempre assai difficile tracciarne le traiettorie in tale campo, anche senza tenere conto delle azioni reciproche delle particelle; tuttavia i calcoli di C. Stormer, e le esperienze di C. Birkeland, hanno dimostrato che le deviazioni prodotte dal campo terrestre sulle particelle elettrizzate possono dar conto dei fenomeni luminosi delle aurore (v. aurora polare). Le traiettorie possibili sono, in ogni caso, contenute fra due superficie toroidali vicine, tangenti nel centro della terra all'asse magnetico, e comprendenti il sole. Nello spazio compreso tra queste superficie toroidali è possibile una grande varietà di traiettorie classificabili in due grandi specie: quelle circolari (o assimilabili) nel piano dell'equatore, e quelle che tendono al centro della terra. Le prime traiettorie equivalgono a una corrente circolare in tale piano, causa delle perturbazioni equatoriali, alle cui variazioni corrispondono correnti telluriche indotte. Quelle che tendono al centro della terra interessano invece le regioni ad alta latitudine; giungendo a modificare gli alti strati dell'atmosfera terrestre sarebbero responsabili, oltre che delle aurore e delle perturbazioni polari, anche delle simultanee perturbazioni sulle trasmissioni radiotelegrafiche.

Dall'azione delle due cause di ionizzazione (corpuscolare e ondulatoria) nasce la grande irrequietezza degli elementi del campo, quale risulta dalle registrazioni rapide delle variazioni, anche nei giorni più quieti. Per ovviare all'obiezione che la repulsione tra le singole particelle elettrizzate dovrebbe produrne la dispersione durante il viaggio dal sole alla terra, F.A. Lindemann (1919) pensa che possa trattarsi di emissioni di particelle ionizzate, neutre nel complesso, ma i cui ioni si separerebbero all'incontro dell'atmosfera terrestre; può a tale riguardo ritenersi che se la velocità delle particelle ionizzate fosse di circa 1000 km./sec., nei due giorni circa (G. Abetti, 1927), necessarî per giungere alla terra, la ionizzazione rimarrebbe quasi completa; gli elettroni verrebbero però fermati subito all'arrivo, gli ioni positivi invece proseguirebbero e darebbero luogo ai fenomeni aurorali.

Per quanto riguarda il meccanismo delle perturbazioni magnetiche, poiché esse non sono certamente dovute direttamente al campo magnetico che accompagna i corpuscoli nel loro moto (A. Schuster, 1911), si può pensare che i corpuscoli positivi in eccesso, penetrati nell'atmosfera, ionizzino gli strati elevati; in parte per il moto dell'atmosfera, in parte per la loro tendenza a risalire per combinarsi con quelli negativi, fissatisi a molecole più pesanti ai confini dell'atmosfera, si produrranno negli alti strati delle correnti indotte dal campo magnetico terrestre, dirette secondo i paralleli, nel senso sopra indicato. La superficie terrestre sarebbe protetta contro azioni elettrostatiche dagli strati conduttori sottostanti, responsabili dell'effetto lunare e di quello Sq.

In occasione delle burrasche magnetiche si osservano infatti anche forti variazioni nelle correnti telluriche, alla cui esistenza già conducono le teorie dell'elettricità atmosferica, o che sono indotte dal flusso equatoriale di elettroni: variazioni tanto più intense quanto più rapide sono le fluttuazioni stesse; le lente variazioni diurne, normali, sono invece accompagnate da piccole correnti telluriche, che tuttavia, secondo S. Chapman, sarebbero la causa di una piccola parte del campo Sq la cui origine risulta interna alla terra; potrebbe anche darsi che queste correnti, normali, fossero più intense in mare, il che potrebbe rendere le variazioni diurne sul mare alquanto diverse da quelle osservate sulla terra.

Sul mare aperto, dove secondo S.J. Maucly (1926) il potenziale elettrico varia giornalmente contemporaneamente su tutta la terra, con estremi negl'istanti in cui il sole culmina nel meridiano dell'asse magnetico, e dove mancano le cause terrestri di ionizzazione dell'aria, potrebbe cercarsi una relazione tra le perturbazioni del campo elettrico e di quello magnetico, relazione che certo non è possibile mettere in rilievo sulla terra emersa. Recenti ricerche di A. Schmidt (1928) riuscirono a isolare una parte delle variazioni magnetiche normali, variabile col tempo siderale: poiché anche la radiazione penetrante varia con lo stesso periodo, quella parte che risulta indipendente dall'attività solare sembrerebbe attribuibile a radiazioni stellari; non è stato ancora possibile definire completamente per tale via le proprietà delle radiazioni responsabili.

Bibl.: A. Nippoldt, Erdmagnetismus und Polarlicht (vol. II dell'Einführung in die Geoph.), Berlino 1929; Wien-Harms, Handb. der Experimentalphysik, XXV, Lipsia 1928; M. Tenani, Strumenti e metodi da campo per le misure di magnetismo terrestre, Genova 1927; S. Chapman, pubbl. varie in Phil. Trans.; Proc. Roy. Soc. di Londra e R. Met. Soc. quart. Journal, 1916-20.

Magnetismo navale.

Il magnetismo navale studia l'influenza del campo magnetico terrestre sulla nave in ferro, e, più precisamente, le condizioni del campo magnetico nel luogo dove è collocata o deve collocarsi la bussola navale (v. bussola).

Durante la sua costruzione e durante l'allestimento la nave, sottoposta all'induzione del campo magnetico terrestre, assume, principalmente a causa delle vibrazioni e delle scosse date allo scafo, uno stato magnetico. Una parte di questo magnetismo assunto sparisce nel primo periodo di vita attiva della nave; una gran parte, però, resta, e costituisce il magnetismo permanente della nave, dovuto a ferri magnetizzati permanentemente. Altri ferri di bordo, invece (cosiddetti ferri dolci), assumono, per induzione del campo terrestre, un magnetismo temporaneo, che varia continuamente col variare della prora della nave e del clima magnetico in cui questa si trova. Per studiare il campo magnetico di bordo si ammette che esso sia risultante dalla sovrapposizione di questi due campi, uno permanente e invariabile e uno temporaneo, variabile istantaneamente con l'orientamento della nave. Perciò, supponendo la bussola costituita da un ago magnetico piccolissimo, questo è sottoposto:1. al campo magnetico terrestre del luogo ove si trova la nave; 2. al campo dovuto al magnetismo permanente di bordo; 3. al campo dovuto al magnetismo indotto nel ferro dolce di bordo dal campo terrestre. I campi 2° e 3° dànno luogo a forze (coppie) che distolgono l'ago della bussola dalla direzione della componente orizzontale terrestre, non solo, ma, in determinate condizioni di orientamento della nave, rendono debolissima o annullano la forza (coppia) che orienta l'ago verso il Nord magnetico. L'analisi del campo magnetico di bordo nella posizione occupata dalla bussola che si esamina, misura le forze prodotte da questi due campi, si cerca di annullare o di rendere piccole queste forze per mezzo di magneti permanenti o temporanei producenti forze opposte a quelle ricavate dall'analisi. Più precisamente: si cerca di eliminare l'azione del campo permanente con sbarre, lamine d'acciaio magnetizzato permanentemente; l'azione del campo indotto con ferri (sfere, cilindri) che si magnetizzano temporaneamente come i ferri dolci di bordo. L'operazione che tende all'annullamento delle forze prodotte dai campi 2° e 3°, perché rimanga soltanto l'azione del campo terrestre, si dice compensazione della bussola. Ridotta alla più semplice espressione, la compensazione della bussola si limita alle seguenti operazioni pratiche. Nei porti più importanti è fissata una boa dalla quale sono misurati esattamente gli azimut di molti oggetti lontani circostanti. La nave, in completo assetto di navigazione, si reca su questa boa, e, con l'aiuto di un rimorchiatore o di cime su altre boe predisposte per il tonneggio, si gira sino a mettersi sulla prora Est magnetico (o Ovest). Su questa prora si dispongono entro appositi alloggi praticati nella chiesuola, sotto la bussola, dei magneti permanenti con l'asse diretto per chiglia fino ad annullare la deviazione che presenta la bussola per la prora, cioè fino a leggere sulla rosa l'esatto azimut magnetico di un oggetto prescelto che si collima con lo strumento azimutale (v. bussola). Ciò fatto, si gira la nave fino alla prora Nord magnetieo (o Sud) e si dispongono entro la chiesuola dei magneti permanenti con l'asse diretto per madiere (per traverso-nave) fino ad annullare la deviazione presentata dalla bussola per questa prora. Con queste due operazioni si è eliminata o ridotta l'azione del campo permanente di bordo. Quindi si fa ruotare la nave fino a una qualsiasi prora intercardinale di bussola. Su questa prora si elimina la deviazione ponendo di lato alla bussola, su apposite mensole, portate dalla chiesuola per traverso-nave, delle sfere e dei cilindri. Con quest'ultima operazione si elimina o si attenua l'azione delle forze prodotte dal campo indotto o temporaneo.

In tal modo la bussola indica, con molta approssimazione, col Nord della sua rosa, la direzione del Nord magnetico. Per ricavare e tenere conto degli errori residui si fa compiere alla nave un giro completo d'orizzonte e si hanno delle curve o delle tabelle che forniscono per ogni prora l'errore, o, come è detto dai marinai, la deviazione, cioè l'angolo fra la direzione del Nord magnetico e quella del Nord della bussola o Nord deviato.

Le operazioni sommariamente descritte sono quelle che si compiono comunemente nella pratica corrente. Sulle navi in cui si vuole avere una maggiore precisione o delle notizie esatte sulle condizioni dei Campi magnetici in cui sono immerse le singole bussole - come per es. sulle navi da guerra italiane - oltre alle misure di deviazione si compiono anche delle misure relative di forza orizzontale.

Si usa all'uopo la cosiddetta bussola di oscillazione, che è, nella sua parte principale, costituita da un aghetto magnetico oscillante nel piano orizzontale. Si porta la bussola a terra, in un luogo libero da intrusi magnetici, e si misura la durata di un certo numero di oscillazioni (per es., dieci oscillazioni semplici) e sia questa T; poi, a bordo, si sostituisce questa bussoletta alla bussola e si esegue la stessa misura di durata: sia questa T′. Il periodo di oscillazione semplice d'un ago oscillante in un campo H (a terra) è dato, per approssimazione, da

dove K è il momento d'inerzia dell'ago rispetto all'asse verticale d'oscillazione e M è il momento magnetico dell'ago stesso; e quello dello stesso ago, oscillante nel campo H′ (bordo), da

Di qui risulta che

perciò da due misure di durata d'oscillazione a terra e a bordo si può ottenere il rapporto fra l'intensità del campo orizzontale terrestre e l'intensità del campo orizzontale di bordo per una determinata prora. Combinando misure di forza con misure di deviazione, l'analisi permette di determinare l'entità delle forze prodotte dai campi permanente e temporaneo di bordo e avere, perciò, non solo un chiaro concetto delle condizioni magnetiche del campo in cui è immersa la bussola, ma anche l'entità dei magneti da porre in vicinanza della bussola per annullare o ridurre l'influenza di tali campi nocivi.

Il sistema di compensazione su esposto ha valore per una limitata zona della terra, nella quale il campo magnetico non abbia forti variazioni. Una sbarra di ferro dolce, verticale, sottoposta all'influenza del campo magnetico in una determinata zona dell'emisfero Nord magnetico, avrà alla sua estremità sempre la stessa polarità comunque ruoti la nave; questa sbarra si comporterà sulla bussola come un magnete. Se la nave giunge nell'emisfero magnetico Sud, dove il campo ha una direzione opposta a quella dell'emisfero Nord, sulla sbarra si formeranno polarità completamente opposte. Perciò, oltre ai compensatori ai quali si è accennato, occorrono altri compensatori di ferro dolce verticali che si oppongano all'azione dei ferri verticali di bordo. Poiché, a bordo, questi terri sono rappresentati principalmente dagli alberi, dai fumaioli (anche torri dei cannoni, torretta di comando sulle navi da guerra), disposti nel piano longitudinale della nave, tali ferri compensatori verticali si riducono nella pratica un cilindro verticale di ferro dolce disposto nel piano longitudinale della nave, presso la chiesuola: cilindro che, dal nome dell'inventore, è chiamato sbarra di Flinders. Oltre a ciò, quando la nave sbanda, i ferri di bordo assumono rispetto alla bussola, che per la sospensione cardanica del mortaio rimane orizzontale, posizioni relative diverse che a nave dritta. Ciò produce variazioni nelle forze emananti dai ferri stessi, non solo, ma nel rollio della nave può succedere che vi sia un certo sincronismo fra il periodo di oscillazione della nave e quello di oscillazione orizzontale della rosa, onde, subendo la rosa degl'impulsi continui, può mettersi ad oscillare in modo pericoloso e divenire inservibile. A compensare questa azione nociva si usa disporre sotto la bussola, fissati entro la chiesuola in un tubo verticale, dei magneti verticali, costituenti il cosiddetto magnete di sbandamento, specialmente utile nelle navi a vela che molto spesso navigano sbandate.

Per il dosaggio di questi magneti si ricorre all'aiuto di una bilancia di inclinazione. Si tratta di un ago - libero in un piano verticale - poggiante mediante due coltelli su sostegni di pietra dura e provvisto di un pesetto scorrente sull'ago stesso; tale pesetto permette di rendere l'ago orizzontale contrastando l'azione della componente verticale del magnetismo terrestre. A terra, disposto l'ago con l'estremo Nord prossimamente verso Nord, si sposta il pesetto fino a rendere l'ago orizzontale; a bordo, con la nave diretta per Est o per Ovest magnetici, si toglie da posto la bussola, vi si sostituisce la bilancia d'inclinazione con l'ago diretto col Nord a Nord e con il pesetto nella posizione ricavata a terra (salvo qualche piccola correzione che insegna la teoria) e si dispongono tanti magneti verticali quanti ne occorrono per rendere orizzontale l'ago della bilancia.

Oltre ai metodi su accennati per eseguire misure di forza e per compensare la bussola, esiste un altro mezzo, in uso specialmente nelle regioni soggette a dense nebbie e nelle quali è spesso impossibile traguardare oggetti lontani. Tale mezzo è fornito dal deflettore, costituito da un magnete o da un equipaggio magnetico da porsi al disopra e al centro della rosa sotto un certo angolo dalla linea di fede. La rosa viene perciò deflessa, e d'un angolo tanto maggiore per quanto minore è la forza del campo a cui è sottoposta la rosa, prima dell'uso del deflettore. Il magnete orizzontale costituente il deflettore scorre lungo un'asta verticale su cui è incisa una graduazione. Con l'aiuto del deflettore si compensa la bussola in modo che, dopo avere disposto i magneti longitudinali, trasversali e i compensatori di ferro dolce, risultino eguali le deflessioni della rosa per i rombi cardinali.

Sulle navi di nuova costruzione - ciò si fa specialmente sulle navi da guerra - all'intorno delle posizioni destinate alle bussole si fanno delle installazioni provvisorie e si eseguono molte misure di deviazione e di forza orizzontale. Si eseguiscono i relativi calcoli e, in base ai risultati, si sceglie la posizione migliore da dare alle singole bussole.

Gli studî di magnetismo navale forniscono anche dettami per la migliore costruzione delle parti componenti la bussola nautica, affinché questa sia per quanto è possibile tranquilla e sensibile (qualità fra loro in contrasto), per la più conveniente disposizione degli aghi della rosa, perché questi non producano influenza magnetica nociva sui compensatori immediatamente vicini con conseguenti deviazioni della rosa stessa difficilmente eliminabili. Essi offrono anche i mezzi per misurare i momenti magnetici delle rose e dei compensatori, la forza coercitiva di questi, la permeabilità dei compensatori di ferro dolce, l'induzione dei magneti della rosa su tali compensatori.

Bibl.: v. bussola.

Magnetismo animale.

Questo termine indica tanto la dottrina di F.A. Mesmer quanto il movimento che da lui prende origine. Il magnetismo animale sorge sul finire del sec. XVIII. Le discussioni sul "fluido" elettrico e sulle proprietà della calamita sono frequentissime; le idee di R. Fludd e di A. Kircher - per non dire del potente influsso ancora esercitato da quelle di Paracelso, di G. Goclenius e di J. B. van Helmont - suscitano sempre nuovi commenti e applicazioni. Mesmer adopera la parola "magnetismo" nel senso datole da Paracelso, di "azione a distanza"; il punto cruciale della sua dottrina consiste in un'affermazione: quella che il sottile e misterioso "fluido", il quale a suo parere circolava nell'intero universo, poteva essere raccolto e diretto, specialmente a scopo terapeutico, da parte dell'uomo. Questa la sua visione mistico-scientifica; per Mesmer il magnetismo animale è il ponte che unisce il macrocosmo al microcosmo, il mondo degli astri a quello dell'umanità.

I metodi adottati dal Mesmer sono ben noti: in un primo tempo l'applicazione della calamita; poi l'abbandono di questa e l'uso dei "passi" magnetici a breve distanza dal corpo del paziente; quindi, per i gruppi, l'applicazione indiretta a mezzo di tinozze piene d'acqua "magnetizzata", dalle quali partivano aste e corde metalliche. Gli effetti di tali procedimenti erano "crisi", convulsioni spesso collettive, insorgere di stati ipnoidi, rapide modificazioni psicofisiologiche.

La voga del magnetismo animale s'inizia con la venuta (1778) e la permanenza di Mesmer a Parigi. Neppure i rapporti contrarî della Società medica e dell'Accademia (1784) riescono a porre un freno alla "mesmeromania", tanto più che il celebre botanico L. de Jussieu si è pronunciato in senso opposto a quello dei suoi colleghi accademici. Nello stesso anno, inoltre, il marchese A. de Puységur sviluppa il magnetismo e scopre il "sonnambulismo artificiale", nel quale vengono osservati fenomeni ben più complessi ed extranormali che non quelli provocati da Mesmer nei suoi pazienti: autoscopia, chiaroveggenza spaziale e temporale, trasposizione dei sensi, ecc. La Rivoluzione obbliga Mesmer a uscire dalla Francia. Il magnetismo animale prosegue ancora, con meno chiasso e maggiore serietà, ad opera di altri seguaci del Mesmer, tra cui Ch. D'Eslon, J. Deleuze, J. Du Potet, H.-M. Husson. Quest'ultimo presenta anzi nel 1833 all'Accademia di medicina una relazione assai favorevole. Invano: lo scetticismo degli ambienti scientifici trionfa. Dopo altre polemiche e discussioni l'Accademia decide, nel 1840, che per l'avvenire non si occuperà più del magnetismo; e questo, come tale, finisce col decadere, per rinascere però con l'ipnotismo, ed esercitare un'influenza più o meno indiretta su tutte le ricerche del sec. XIX e del principio del XX in materia di psicologia anormale e paranormale. Esso venne diffuso in Germania, in Inghilterra, in America, per opera di varî seguaci del Mesmer.

Circa il valore scientifico del magnetismo animale, la verità sta probabilmente nel mezzo, tra gli entusiasti e i negatori a oltranza. L'esteriorizzazione di una speciale energia dal corpo umano, capace di agire sul piano fisico e fisiologico, può considerarsi oggi, specie in base alle più recenti constatazioni della ricerca psichica (v. Psichica, ricerca), pressoché comprovata. Da questo punto di vista generico, quindi, la vittoria sembra di Mesmer. Questi non ebbe invece neppure il sospetto che i fenomeni da lui considerati non rappresentassero se non un elemento, una traccia, per l'investigazione di un problema ben più vasto. Il magnetismo animale comunque, con tutti i suoi errori, è stato storicamente il primo tentativo di portare su un piano di ricerca sperimentale certi fenomeni che stanno al limite della psicofisiologia normale e quotidiana, la prima anticipazione scientifica delle moderne esplorazioni metafisiologiche e metapsichiche dell'individuo umano.

Bibl.: Ampie indicazioni in M. Dessoir, Bibliographie des modernen Hypnotismus, Berlino 1888-91. Cfr. inoltre: F.A. Mesmer, De planetarum influxu, Vienna 1766; id., Mémoire sur la découverte du magnétisme animal, Parigi 1779; id., Mémoire, ecc., Parigi 1799; A. de Puységur, Rapport des cures opérées à Bayonne par le magnétisme animal, Parigi 1784; id., Recherches, expériences et observations, ecc., Parigi 1811; J. Deleuze, Histoire critique du magnétisme animal, Parigi 1813; A. Bertrand, Trait du somnambulisme, ecc., Parigi 1923; P. Foissac, Rapport et discussions de l'Académie de médecine sur le magnétisme animal, Parigi 1833; A. Scopenhauer, Animalischer Magnetismus und Magie, Lipsia 1836; 2ª ed., Francoforte 1854; A. Teste, Manuel pratique du magnétisme animal, Parigi 1840; W. Gregory, Animal Magnetism or Mesmerism and its phenomena, ed. defin., Londra 1877; C. von Reichenbach, Odisch-magnetische Briefe, Stoccarda 1856; A. Binet e C. Féré, Le magnétisme animal, Parigi 1887; A. Baréty, Le magnétisme animal, ecc., Parigi 1887; A. de Rochas, Le fluide des magnétiseurs, Parigi 1891; K. Kiesewetter, Gesch. des neueren Okkultismus, Lipsia 1909; A. Hoffmann, Die odische Lohe, Pfüllingen 1920; G. Belfiore, Magnetismo e ipnotismo, Milano 1922; R. Tischner, Gesch. der okkultischen Forschung, II, Pfüllingen 1924; id., Fernfühlen und Mesmerismus, Monaco 1925. V. anche ipnotismo; mesmer.

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