Magnetometro

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Strumento che serve a misurare la direzione e l’intensità di un campo magnetico e in particolare del campo magnetico terrestre. La parte della fisica che si occupa delle misurazioni attinenti a campi magnetici è la magnetometria.

M. per la misurazione del campo magnetico terrestre

Si hanno vari tipi di m. per la misurazione degli elementi del campo magnetico terrestre (componente orizzontale H, compo;nente verticale Z, inclinazione I, declinazione D, intensità totale F). Storicamente, sono stati realizzati per primi i m. ad ago per la misurazione della componente orizzontale.

M. ad ago magnetico. - Sono costituiti da un ago magnetico sospeso a un filo e tenuto, mediante un apposito sostegno, in posizione orizzontale. Il metodo fondamentale per la determinazione di H è il metodo di Gauss (1832), modificato poi da J. Lamont, e consiste nel confronto fra le coppie esercitate sull’ago da H e dalla componente orizzontale H1 del campo prodotto da un magnete. Inizialmente, quest’ultimo manca e l’ago si dispone spontaneamente lungo la direzione di H, cioè nel meridiano magnetico; ponendo ora lateralmente a esso, a distanza r, un magnete deflettore, di momento magnetico M, avente l’asse diretto verso l’ago, su questo viene ad agire, oltre ad H, anche il campo H1 = 2M/r3 prodotto dal deflettore, diretto lungo l’asse di quest’ultimo. L’ago si disporrà allora in una nuova direzione di equilibrio formante un angolo α con la direzione iniziale; dall’equazione dell’equilibrio risulta allora H/M=2/r2tgα. I m. ad ago sono usati anche per la determinazione della declinazione D. Infatti, in assenza di magnete deflettore e in condizioni di torsione nulla del filo di sospensione l’ago si dispone nel meridiano magnetico; l’angolo fra la direzione dell’ago in queste condizioni e la direzione del Nord geografico è appunto la declinazione.

M. a effetto maser. - Sono basati sulla separazione di livelli energetici nucleari operata da un campo magnetico esterno (il meccanismo è analogo a quello riguardante la separazione ‘magnetica’ di livelli elettronici degeneri) e sulla conseguente interazione con una radiazione la cui frequenza corrisponda a un salto tra tali livelli (➔ maser).

M. a induzione elettromagnetica. - Altro nome degli induttori terrestri, strumenti basati sulla misurazione della forza elettromotrice indotta in una bobina circolare rotante nel campo magnetico terrestre; tali strumenti, per quanto teoricamente adatti a misurare l’intensità del campo o una componente di esso, sono in realtà usati soltanto per misurare l’inclinazione magnetica (➔ induttore terrestre).

M. a nucleo saturabile (o fluxgate magnetometers). - Sono costituiti essenzialmente da un nucleo ferromagnetico, ad alta permeabilità (sonda), generalmente di permalloy, posto nell’interno di un solenoide percorso da una corrente alternata di frequenza dell’ordine di 1000 Hz; attorno al nucleo è avvolta una bobina avente un gran numero di spire. Il campo alternato prodotto dal solenoide è tale da portare in saturazione il nucleo; ai capi della bobina si ha allora una tensione indotta che, in assenza di campo magnetico esterno, contiene soltanto le armoniche dispari della corrente di eccitazione. Se agisce sul nucleo un campo magnetico esterno (per es., la componente del campo terrestre lungo l’asse), tale campo si sovrappone al campo alternato con la conseguenza che una semionda di quest’ultimo fa raggiungere la saturazione più rapidamente dell’altra semionda; la tensione indotta nella bobina contiene una componente di frequenza doppia di quella della corrente di eccitazione; l’ampiezza di tale componente dipende dall’intensità del campo esterno, che può così essere misurata.

M. a precessione nucleare. - Sono basati sul paramagnetismo nucleare, e cioè sul fatto che i nuclei atomici sono dotati di un momento magnetico proprio, il quale tende ad allinearsi con un campo magnetico esterno. In pratica, si sfrutta tale proprietà dei protoni, per cui questi m. sono anche detti a precessione protonica o semplicemente, m. a protoni. Un m. del genere è costituito da una sonda con un recipiente contenente un liquido idrogenato (per es., acqua) attorno a cui è avvolto un solenoide che, percorso da corrente, crea un campo magnetico dell’ordine del centinaio di oersted; i protoni tendono allora ad allineare il loro momento magnetico parallelamente al campo, cioè lungo l’asse del solenoide, che è perpendicolare al campo magnetico terrestre. Annullando bruscamente il campo del solenoide, i protoni con esso allineati iniziano tutti insieme un moto di precessione con asse parallelo all’intensità del campo magnetico terrestre, F, e con frequenza f=(β/2π)F, dove β è il rapporto magnetomeccanico del protone, pari a (2,67513±0,00002)∙104 rad∙s–1∙Oe–1. Tale moto induce ai capi della bobina una forza elettromotrice della stessa frequenza; dalla misura di questa frequenza (dell’ordine di 1800-2000 Hz), si deduce l’intensità F. Si tratta di strumenti che accoppiano a una grande precisione una relativa facilità d’uso, una notevole velocità (una misura dura qualche secondo) e piccole dimensioni; sono pertanto usati sia per misure d’osservatorio sia per misure di campagna.

M. a risonanza. - Sono m. nucleari che consentono la misurazione del modulo di F attraverso la misura della frequenza di risonanza magnetica di alcuni metalli alcalini.

M. a stato solido. - M. inclusi in circuiti integrati di dimensioni, pesi e costi sempre minori; sono diffusamente impiegati anche come bussole, in sostituzione di quelle tradizionali che impiegano l’ago magnetico. Sono dotati di visori digitali, consentono una rapida e precisa rilevazione dell’anomalia azimutale.

M. per misurazioni spaziali. - La maggior parte dei satelliti artificiali e delle sonde spaziali che, a partire dagli anni 1960, hanno esplorato il sistema solare, portavano a bordo m., destinati a misurare il campo magnetico dei pianeti o quello che permea lo spazio interplanetario. Nelle prime missioni, venne impiegato il m. a induzione elettromagnetica, sfruttando il moto di rotazione del satellite su sé stesso: la bobina, che costituisce l’elemento essenziale di questo strumento, era fissata rigidamente al satellite e, quindi, ruotava con esso. Il vantaggio di tale dispositivo è che le misure non sono disturbate dalla presenza del campo magnetico prodotto dal satellite stesso, dato che questo (purché rimanga costante nel tempo) non induce una forza elettromotrice sulla bobina. L’inconveniente più grave è, però, che esso misura soltanto la componente del campo magnetico ambiente perpendicolare all’asse di rotazione del satellite; per questo motivo, l’uso del m. a induzione è stato abbandonato per la misura di campi statici. Per la misura di campi statici o lentamente variabili, negli esperimenti spaziali sono stati impiegati m. a precessione nucleare, m. a pompaggio ottico e m. a nucleo saturabile. Quest’ultimo tipo di m. è il più largamente usato.

M. usati nella tecnica

I campi magnetici che s’incontrano nella tecnica sono in genere di intensità molto maggiore di quella del campo magnetico terrestre, il che consente di usare una più vasta gamma di strumenti, alcuni dei quali darebbero una precisione troppo scarsa in campi deboli. Lo strumento più usato è il flussometro, che può rientrare nella categoria dei m. a induzione; è costituito da una bobinetta piana collegata con un galvanometro balistico, che viene immessa nel campo da misurare, con le sue spire ortogonali alle linee di forza del campo, e poi bruscamente estratta; l’intensità H del campo si deduce dalla relazione NSH=, dove N è il numero di spire delle bobine, S l’area di una spira, δ la deviazione del galvanometro e K una costante strumentale, da determinarsi mediante taratura in campi di intensità nota; l’errore relativo percentuale è dell’ordine di ±1%.

Sull’effetto magnetoresistente sono invece basati i m. a magnetoresistenza, costituiti da una bobina piatta spiraliforme, di bismuto (spirale di Lenard) o di adatti semiconduttori, connessa a un ponte di Wheatstone; la misura della resistenza della bobina costituisce una misura dell’intensità del campo, ma occorre mantenere la bobina a temperatura costante, dal momento che l’effetto magnetoresistente dipende dalla temperatura. Migliori, da questo punto di vista, sono i m. a effetto Hall (➔ Hall, Edwin Herbert), la cui precisione, in campi dell’ordine di 100 Oe o più, è dell’ordine del 2%. Per misurazioni più accurate, specie in campi relativamente deboli, sono usati m. derivati da quelli usati per il magnetismo terrestre, e specialmente m. a precessione nucleare.

Per i m. superconduttori a effetto Josephson, ➔ SQUID.

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