MALARIA

Enciclopedia Italiana (1934)

MALARIA

Ettore Marchiafava

(fr. paludisme; sp. malaria; ted. Sumpffieber; ingl. malaria).

Sommario: Storia (p. 987); Etiologia (p. 988); Geografia medica; Epidemiologia (p. 990); Fisiopatologia o Patologia generale (p. 993); Anatomia patologica (p. 994); Forme cliniche (p. 995); Profilassi (p. 998); Cura (p. 999).

Storia. - L'origine della malaria, di questa malattia tanto diffusa sulla terra, è ravvolta nell'oscurità come quella delle altre malattie della stessa natura. La malaria, con le sue endemie ed epidemie, con l'avvicendarsi, a varî intervalli, di tempi di esacerbazione e di attenuazione, è una vera calamità per le nazioni, che ne sono desolate, perché insidia la salute e la vita degli uomini, specialmente dei lavoratori della terra, deturpa la razza e ne fiacca l'efficienza fisica e morale, rende deserte e infruttifere le terre, che, coltivate, sarebbero feraci. Dalla storia s'apprende che regioni salubri e prosperose, invase in un dato tempo dalla malaria, importata da regioni che ne erano affette, divennero insalubri con estesa morbosità e frequente mortalità, e decaddero dall'operosità, dalla ricchezza, dalla potenza. Si crede da alcuni storici di epidemiologia che alla malaria sia dovuta in gran parte la decadenza dell'antica civiltà ellenica e dell'Impero romano e di altre più antiche civiltà orientali. Si ritiene che in Europa, e quindi anche in Italia, nell'Etruria, nella Magna Grecia, nel Lazio, ecc., la malaria sia stata importata dai continenti dell'Asia e dell'Africa nel sec. V a. C. e, trovando popolazioni non abituate alle ricorrenti epidemie, fosse micidiale nei primi periodi della penetrazione, onde la rapida decadenza, lo spopolamento, l'abbandono e la scomparsa di città prima fiorenti in continuo progresso. Da ciò risulta la grande importanza della malaria come fattore storico.

Per considerare tempi relativamente non molto antichi ed entrati nella storia, ricordiamo che la prova dell'esistenza della malaria nella Grecia e nell'Asia Minore parecchi secoli avanti l'era volgare, è data dalle opere d'Ippocrate. In queste, infatti, nei libri delle Epidemie, e principalmente nel I e nel III, si trova la descrizione dei varî tipi delle febbri intermittenti da malaria, come li vediamo oggi, con la benignità e malignità delle stesse, nelle stagioni d'estate e d'autunno; e sono narrate storie di febbri acute, ardenti (πυρετὸς ὀξύς; καυσῶδης), alcune delle quali sono sicuramente febbri terzane maligne, divenute perniciose, con tumore della milza (μέγα σπλήν) e con sintomi di algidismo precedenti l'esito letale. Dopo quattro secoli ritroviamo le febbri intermittenti epidemiche negli scrittori latini di medicina; e in quelli di storia, di letteratura, di poesia. Fra i primi è A. C. Celso, cui si deve il primo libro di medicina scritto in purissima lingua latina, e poi Claudio Galeno, medico dell'imperatore Marco Aurelio, le cui opere di medicina furono il testo di tutte le scuole mediche fino al termine del Medioevo. Ambedue questi scrittori trattano delle febbri intermittenti in Roma come aveva fatto Ippocrate, ma con maggiore esperienza clinica. Fra i secondi, che non sono pochi, ricordiamo Orazio, il quale si ritirava nella sua villetta fra i monti della Sabina, nella stagione autunnale, quando in Roma dominavano le febbri.

"plumbeus auster

autumnusque gravis, Libitinae quaestus acerbae".

Dagli antichi la febbre fu deificata; e alla dea Febbre si eressero templi perché risparmiasse la salute e la vita dei Romani.

Intorno alla causa della malsania di alcune regioni d'Italia, come la campagna d'attorno a Roma, sono particolarmente gli scrittori De re rustica che se ne occuparono in quei tempi: Catone l'antico, Varrone, Columella e altri. Questi autori per l'insalubrità di alcune regioni rurali davano la maggiore importanza alle acque stagnanti, alle paludi, dalle quali si credeva che emanassero e si diffondessero nell'aria circostante esalazioni e animali invisibili e visibili nocivi alla salute degli abitanti vicini. A provarlo ricordiamo il trattato De re rustica di Terenzio Varrone, scritto a Roma sulla fine dell'era repubblicana; dove nel capitolo 12° del libro I "quo sit potissimum villa statuenda" si leggono le seguenti parole: "animadvertendum etiam, si qua erunt loca palustria; et propter easdem causas et quod arescunt, crescunt animalia quaedam minuta, quae oculis consequi non possunt, et per aera intus in corpus per os ac nares perveniunt atque difficiles efficiunt morbos". E Columella (De re rustica, I, cap. 5°) scrive: "Nec paludem vicinam esse oportet aedificiis,.... quod illa caloribus noxium virus eructat et infestis aculeis armata gignit animalia, quae in nos densissimis examinibus involant". Da questa e da altre citazioni, che si potrebbero aggiungere, risulta la convinzione degli scrittori di quell'epoca, che i luoghi paludosi fossero dannosi alla salute degli uomini per i miasmi che ne emanavano, per gli animaletti invisibili i quali penetravano nel nostro organismo e per gl'insetti che ne sono generati. Nei secoli che seguirono si smarrì l'idea di esseri viventi invisibili, ma si ripeterono le stesse cose intorno ai miasmi. Fu dopo il Rinascimento, per opera di G. Fracastoro, di A. Kircher, di R. Morton, di T. Sydenham, di B. Ramazzini, che gli studî epidemiologici iniziati da Ippocrate, entrarono nella via del progresso. Gli studî clinici delle febbri malariche avanzarono nel sec. XVII, specialmente per i lavori di M. Mercato, di L. Riverio, di G. M. Lancisi, di F. Torti, ai quali fu di grande aiuto l'introduzione in Europa verso la meta del sec. XVII della corteccia di china. La scoperta dell'efficacia specifica di questo rimedio contro le febbri palustri segna la fine del periodo antico della storia degli studî delle febbri malariche. Agli studî clinici s'aggiunsero le ricerche epidemiologiche ed etiologiche, fra le quali meritano di essere ricordate quelle di G. M. Lancisi, medico romano dei pontefici Innocenzo XI e Clemente XI. Egli afferma che la causa delle febbri esiste nei luoghi ove sono le acque stagnanti, come viene dimostrato dal ritorno della salubrità dopo le bonifiche idrauliche; determina le condizioni per le quali le paludi sono nocive nell'estate e nell'autunno, e distingue le loro emanazioni in inorganiche, organiche e animate; per le ultime intende i numerosi minuti insetti, principalmente le zanzare, delle quali descrive le varie fasi di sviluppo. Lancisi tentò lo studio sperimentale dell'aria dei luoghi paludosi e pensò, come Varrone, se fra le emanazioni delle paludi vi fossero esseri viventi minutissimi da penetrare entro i vasi sanguigni dell'uomo e quivi moltiplicarsi; e che quindi convenisse esaminare di quando in quando il sangue degli ammalati di febbre dall'aria palustre col microscopio e ricercare se vi fossero nel sangue tali animaletti. E questa ricerca fu eseguita, come voleva Lancisi, e furono trovati gli animaletti nel sangue dei febbricitanti per malaria. Un altro medico italiano del sec. XVII, F. M. Torti, scrisse un libro sulla cura delle febbri perniciose, il quale è realmente un trattato clinico completo sulle febbri palustri intermittenti e continue, benigne e perniciose, delle quali viene data una descrizione clinica così chiara e precisa da dimostrare il sagace spirito di osservazione e la larga e oculata esperienza dello scrittore, il quale ne trasse la ferma convinzione dell'efficacia specifica della corteccia di china a combattere quelle febbri e la sostenne di fronte all'avversione di medici anche eminenti.

Sul principio del sec. XIX i nuovi sistemi della medicina foggiarono a loro modo anche la dottrina delle febbri intermittenti di Sydenham, di Lancisi, di Torti, con effetti disastrosi per lo sbagliato indirizzo terapeutico. Se non che, per opera di medici sagaci e prudenti, come F. C. Maillot, L.-F.-A. Kelsch e Kiener in Algeria, e in Italia specialmente di Guido Baccelli in Roma, seguendo le orme di Torti, s'insegnò con criterî clinici a delimitare le febbri intermittenti e continue di natura malarica, traendole dal caos, nel quale erano state confuse con altre infezioni febbrili, e a curarle con i sali di chinina, il più efficace degli alcaloidi della corteccia di china, da questa estratto nel 1820 da B. Pelletier e J. B. Caventou.

Anche l'etiologia delle febbri intermittenti, come la concepivano gli antichi dall'aere maligno, fu avversata e sostituita dall'influenza nociva delle vicissitudini atmosferiche, particolarmente delle differenze della temperatura fra il giorno e la notte nei luoghi palustri. In opposizione a coloro che si perdevano in vane discussioni sull'etiologia delle febbri intermittenti e sulla spiegazione del succedersi degli accessi con vario ritmo, da alcuni medici pensatori furono esposte ipotesi, che l'avvenire dimostrò come verità da loro intuite. Così Giovanni Rasori, dell'università di Pavia, nel principio del secolo XIX, diceva che le febbri intermittenti devono esser prodotte da parassiti che ne rinnovano l'accesso nell'atto della loro riproduzione, la quale succede più o meno presto secondo le diverse loro specie. E in termini simili, nel 1837, Telemaco Metaxà, medico romano, esprimeva la sua opinione sulla causa delle febbri intermittenti palustri. Queste ipotesi, con i progressi della parassitologia microscopica, stimolarono alla ricerca del parassita della malaria, il quale dopo varie e vane ricerche, fu scoperto sullo scorcio del 1880 in Algeria dallo scienziato francese Alphonse Laveran.

Da questa grande scoperta etiologica comincia la storia recente degli studî sulla malaria. Ai primi lavori di Laveran seguirono le osservazioni di E. Marchiafava e A. Celli in Roma (1884-1885) sullo sviluppo del parassita come una piccola ameba entro i globuli rossi fino alla scissione; e poi le ricerche classiche (1884-86) di Camillo Golgi, dell'università di Pavia, sulla pluralità del parassita malarico, del quale egli distinse per caratteri morfologici e biologici, due specie; il parassita della febbre quartana e il parassita della febbre terzana semplice, descrivendone il ciclo di vita in rapporto alle vicende degli attacchi febbrili e delle apiressie, con la moltiplicazione che avviene all'inizio dei primi. Nel 1889 Marchiafava e Celli aggiunsero alle due specie parassitarie descritte da Golgi una terza specie, il parassita delle febbri estivo-autunnali, da quelle distinta per caratteri morfologici e biologici, il cui tipo febbrile più frequente è la terzana maligna, studiata da Marchiafava e A. Bignami nel 1890 e dalla quale sono provocate le infezioni perniciose. Alle tre specie parassitarie da G. B. Grassi e R. Feletti furono dati i nomi di Plasmodium malariae per il parassita della febbre quartana; di Plasmodium vivax per il parassita della febbre terzana semplice; di Plasmodium falciparum o praecox o perniciosum per il parassita delle febbri estivo-autunnali. Si conobbe poi che il parassita malarico, per il mantenimento della specie, compie due cicli di vita: uno asessuato, nel sangue dell'uomo, che è la causa degli accessi febbrili e degli altri sintomi; l'altro sessuato, che comincia nel sangue dell'uomo e si compie nel corpo di alcune zanzare della specie anofele. L'opinione che la malaria fosse trasmessa per la puntura delle zanzare era sostenuta da naturalisti e medici; fra gli ultimi da Amico Bignami, il quale, esclusa la trasmissione per l'aria e per l'acqua, concludeva, sulla fine del secolo XIX, che la malaria si comporta nell'uomo come fosse trasmessa dalle zanzare. Ma che le zanzare si infettassero dall'uomo malarico e all'uomo sano trasmettessero la malaria fu primamente dimostrato da sir Ronald Ross, il quale, sotto l'ispirazione di sir Patrick Manson, scoprì il primo esempio del ciclo di vita di un parassita dei globuli rossi nel corpo delle zanzare, e precisamente di un parassita dei globuli rossi del passero, il Proteosoma di Labbé, nella zanzara Culex pipiens; ciclo di vita riconosciuto poi identico al ciclo sessuato del parassita della malaria umana nel corpo della zanzara Anopheles. Dopo la scoperta guidatrice di Ronald Ross, il ciclo sessuato del parassita della malaria umana nell'Anopheles fu completamente studiato nelle tre specie parassitarie nel 1898 e nel 1899 in Roma da G. B. Grassi, da Amico Bignami, da Giuseppe Bastianelli; il primo uno scienziato zoologo, il quale, avendo già osservato la notabile frequenza della zanzara Anopheles nelle campagne malariche d'attorno a Roma e nelle Paludi Pontine, ne avea congetturato che fosse il vero responsabile della trasmissione della malaria all'uomo.

A questi fatti fondamentali d'inestimabile valore scientifico e pratico, che erano già compiuti alla fine del secolo XIX, si aggiunsero dal principio del secolo XX le conoscenze di altri fatti, per le ricerche compiute dagli scienziati delle varie nazioni, nei varî campi della malariologia: etiologico, patologico, clinico, epidemiologico, profilattico, sociale, curativo; i quali sono in grandissimo numero, e dei più importanti si terrà qui conto.

Etiologia. - La malaria è una malattia primitiva del sangue prodotta da un parassita che vive entro i globuli rossi, dalla quale procedono tutti i sintomi e tutte le alterazioni dei visceri osservati nel suo decorso. Il parassita appartiene ai Protozoi, della classe degli Sporozoi, dell'ordine degli Emosporidî, della famiglia dei Plasmodidî; parassiti che vivono nei globuli rossi di varie specie di animali (Rettili, Anfibî, Uccelli, Mammiferi). A questo parassita fu dato dallo scopritore il nome di Ematozoo della febbre palustre.

Di questo parassita si devono distinguere due cicli: uno asessuato nel sangue dell'uomo, e l'altro sessuato nel corpo di una specie di zanzara. Il parassita della malaria umana non è capace di vivere e di svilupparsi in altri animali. Il parassita, inoculato nel sangue con la saliva per la puntura della zanzara infetta, penetrato nel globulo rosso, inizia la sua vita come una piccola ameba che si muove, cambiando di forma più o meno vivamente, e poi crescendo assorbe la sostanza colorante del globulo rosso e la converte in un pigmento nero che, in forma di granulazioni, si vede nel corpo della piccola ameba; raggiunto quindi, in vario tempo, un certo volume, sempre entro il globulo rosso (che misura 71/2 micromillimetri di diametro e 2 di spessore), il pigmento nero si raccoglie nel centro del corpo del parassita detto scnizonte, il quale si divide in corpicciuoli figli, in vario numero, chiamati merozoiti, i quali, rotto l'involucro del globulo rosso, diventano liberi nel plasma del sangue e invadono altri globuli rossi per ivi ripetere il ciclo di vita come quello dei genitori. A questo parassita, che inizia la sua vita come una piccolissima ameba, quando non se ne conosceva la struttura e principiava la conoscenza degli Emosporidi, fu dato da Marchiafava e Celli (1884) il nome di Plasmodium malariae, rimasto nell'uso comune.

Al ciclo di vita, ora accennato, sono legati i due fatti di maggiore importanza nell'infezione malarica, che sono la febbre intermittente e l'anemia: la prima insorge nell'atto della moltiplicazione dei parassiti; la seconda è la conseguenza della distruzione di tanti globuli rossi, che hanno servito d'albergo ai parassiti.

La struttura del parassita malarico, come si vede con speciali colorazioni dei preparati di sangue, risulta essenzialmente di una massolina protoplasmatica, e di un nucleo vescicolare formato di una o più particelle di cromatina, dalla quale s'inizia la moltiplicazione. Nel protoplasma si contengono le granulazioni del pigmento nero residuo della digestione dell'emoglobina. Le osservazioni microscopiche sui parassiti della malaria si eseguono nei preparati a fresco di sangue sottilmente disteso fra due vetrini: e così se ne riconoscono la specie, lo stadio di vita, i movimenti ameboidi, e, nei microgameti, la flagellazione. Con metodi speciali di colorazione (Giemsa, ecc.) dei preparati di sangue disseccati, se ne vede la struttura; il citoplasma turchino, il nucleo con la cromatina rosso rubino. Per la diagnosi rapida di malaria giovano i preparati di sangue a strato spesso, dei quali, eliminata l'emoglobina, si esegue la colorazione per mettere in evidenza i parassiti.

Il parassita della febbre malarica non è unico per tutti i tipi febbrili già conosciuti dai medici; ma si distingue, come s'è già accennato, in tre specie corrispondenti a quei tipi febbrili: cioè, il parassita della febbre quartana; il parassita della febbre terzana semplice; il parassita delle febbri estivo-autunnali; ben distinti fra loro per caratteri morfologici e biologici, e che non sono capaci di trasformarsi l'uno nell'altro. Esiste un rapporto intimo, regolare fra i singoli parassiti e i varî tipi febbrili; perché la durata di vita dei primi corrisponde al tempo che passa fra l'inizio di un accesso e l'inizio dell'accesso successivo. E quindi il parassita della quartana ha una vita della durata di tre giorni; il parassita della terzana di due giorni; il parassita della quotidiana di un giorno. La moltiplicazione dei parassiti si compie all'inizio degli accessi febbrili. Queste leggi, che rivelano il mistero dei varî tipi febbrili della malaria e delle intermittenze periodiche, furono messe in evidenza dalle ricerche di Camillo Golgi dell'università di Pavia. Questo scienziato italiano, che fu il primo a riconoscere la pluralità del parassita malarico, descrisse il parassita della febbre quartana e il parassita della febbre terzana semplice, e li distinse per caratteri morfologici e biologici. Oltre questi due parassiti malarici, esiste un altro parassita, il quale è la causa di febbri con ritmo meno chiaro delle precedenti, più gravi, spesso continue, talora con sindromi perniciose; febbri che dominano nell'estate e nell'autunno in alcune zone malariche, per esempio della Maremma toscana, della campagna intorno a Roma e della regione Pontina, dette perciò febbri estivo-autunnali. I parassiti di tali febbri furono per la prima volta descritti da Marchiafava e Celli nel 1889 e distinti dagli altri per caratteri morfologici e biologici, come aveva fatto Golgi per i parassiti delle febbri quartana e terzana semplice.

Ciò che s'è ora detto sul parassita malarico nelle sue tre specie riguarda un ciclo della sua vita che si svolge tutto nel sangue dell'uomo; il ciclo febbrigeno o ciclo asessuato, nel quale la moltiplicazione dei parassiti avviene per scissione, senza distinzione di forme parassitarie di sesso diverso. Ora avviene che, quando il parassita malarico ha compiuto nell'organismo umano un certo numero di questi cicli asessuati, compariscono nel sangue altre forme parassitarie, distinte dalle prime, cioè dagli schizonti, per il maggior volume e per la forma varia secondo la specie parassitaria; rotonde, ovali, semilunari, delle quali alcune nei preparati di sangue, senz'aggiunta di altri liquidi, emettono filamenti o flagelli, che dopo un certo tempo si distaccano dal corpo parassitario e continuano a muoversi con grande vivacità tra i globuli rossi. Queste forme, oggetto di tante ricerche e di tante discussioni e di varie interpretazioni, appartengono a un altro ciclo, al ciclo sessuato, e sono quindi chiamate gameti, che si distinguono in gameti femminili o macrogameti, e in gameti maschili o microgametociti, e sono questi che emettono i flagelli o microgameti, che sono gli elementi analoghi agli spermatozoi, che vanno a fecondare le forme femminili, i macrogameti, destinate a svilupparsi ulteriormente fino alla moltiplicazione. Questo ciclo sessuato inizia nell'organismo umano con le forme gametiche descritte, le quali non sono febbrigene e, se rimangono nel sangue, sono sterili, degenerano e scompaiono, perché nell'organismo umano non si può verificare il processo della fecondazione fra microgametociti e macrogameti; ma se il sangue, che contenga i gameti dei due sessi, venga succhiato con la puntura da una zanzara della specie Anopheles, non della comune zanzara Culex, allora nello stomaco dell'insetto avviene che dai microgametociti escono i flagelli che fecondano i macrogameti (v. tav. a colori). I macrogameti fecondati, dalla forma allungata di vermicolo, attraversano l'epitelio della superficie dello stomaco dell'anofele e s'arrestano nell'interno della tunica elasticomuscolare sottostante, ove divengono rotondi, si forniscono di una capsula, oocisti, e poi, aumentando di volume, sporgono sulla superficie esterna dello stomaco a guisa di verruche, in vario numero, della grandezza di 30 o 40 micromillimetri. Nell'interno delle oocisti il protoplasma è divenuto come spugnoso e il nucleo s'è diviso in un grande numero di nuclei figli, i quali si allineano sulle pareti degli spazî e si convertono in corpicciuoli sottili, fusati, con nucleo allungato, che sono gli sporozoiti. Quando le oocisti sono mature, se ne rompe la capsula e ne escono liberi in grandissimo numero gli sporozoiti, i quali si disperdono nella cavità del corpo e una gran parte di essi va a raccogliersi entro le cellule epiteliali delle ghiandole salivali delle zanzare, le quali, pungendo poi l'uomo, li inoculano nel sangue con la saliva e lo infettano. Tutto questo ciclo sessuato nel corpo dell'anofele dallo stomaco alle ghiandole salivali, si compie in un tempo vario, secondo la temperatura dell'ambiente nel quale si trova l'insetto. I gameti del parassita delle febbri estivo-autunnali, alla temperatura di 30°, si sviluppano in 7-8 giomi; a una temperatura di 20°-22°, lo sviluppo si compie in 20 giorni. Al di sotto di 18°, lo sviluppo non si verifica, mentre può avvenire nei gameti delle altre specie. Il minimum di temperatura per lo sviluppo anofelico delle varìe specie è 16°,5 per il parassita della febbre quartana; 17°,5 per il parassita della febbre terzana semplice; 18° per il parassita estivo-autunnale. La durata del ciclo sessuato del parassita della febbre terzana e del parassita delle febbri estivo-autunnali è per ambedue di 7 giorni a 30°; a 18°, 25°, il primo si compie in 15-17 giorni, il secondo in 19 giorni.

L'infezione plasmodica, anche con grande numero di oocisti e di sporozoiti, non apporta alcun danno alla durata della vita e al benessere delle zanzare; anzi queste, con molte oocisti nello stomaco e con molti sporozoiti nelle ghiandole salivali, possono vivere settimane e mesi, sempre capaci di infettare gli uomini, pur dopo averne infettati molti. Queste osservazioni furono fatte specialmente nei laboratorî, ove si allevano le zanzare da infettarsi per la cura con la malaria della demenza paralitica e di altre malattie nervose luetiche.

Da queste nozioni entomologiche si trae la spiegazione di importanti fatti epidemiologici.

Come s'è detto, sono tre le specie del parassita malarico riconosciute ormai da tutti i malariologhi, ben distinte l'una dall'altra, non trasformabili l'una nell'altra, come s'ammetteva dai sostenitori dell'unità del parassita malarico. Ora le tre specie, come s'è detto, furono chiamate: Plasmodium malariae il parassita della febbre quartanaj P. vivax il parassita della febbre terzana; P. falciparum o praecox o perniciosum il parassita delle febbri estivo autunnali. Le differenze delle tre specie nel ciclo asessuato sono notevoli e di somma importanza per la diagnosi, per la prognosi e per la cura nelle varie forme di malaria.

I caratteri differenziali tra le varie specie riguardano i parassiti stessi nei varî stadî di vita e gli effetti del loro parassitismo, sopra i globuli rossi; e si possono riassumere nel modo seguente (v. tav. a colori).

Il Plasmodium malariae della febbre quartana compie l'intero suo ciclo di vita in 72 ore, cioè in 3 giorni; i movimenti ameboidi sono lenti e torpidi; il parassita ha contorni netti e tende a prendere la forma di fascia; il pigmento nero è in granulazioni grossolane, il volume dello schizonte adulto è inferiore a quello d'un globulo rosso; le forme di sporulazione sono simili a una margherita con un numero di merozoiti che varia da 6 a 17, ciascuno con un globetto splendente nel centro; i globuli rossi contenenti il parassita mantengono il volume normale o tendono a rimpiccolirsi; i gameti sono rotondi, dei quali i macrogameti hanno il citoplasma che si colora intensamente e la cromatina è scarsa; i microgametociti sono ricchi di cromatina e di questi raramente si vedono le forme flagellate. Tutto il ciclo di vita del parassita quartanario s'osserva nei preparati di sangue della periferia.

Il Plasmodium vivax della febbre terzana semplice compie il suo ciclo di vita in 48 ore, cioè in due giorni; i movimenti ameboidi sono vivacissimi, onde il suo nome. I contorni dello schizonte sono delicati e sfumati e prendono le forme più svariate; il pigmento, di colore giallo bruno, è in granuli finissimi; il volume raggiunge e può sorpassare quello di un globulo rosso; le forme di sporulazione sono moriformi con 15 a 20 merozoiti; i globuli rossi sono rigonfiati come idropici, impalliditi, e con una fine granulazione, osservata primamente da W. Schüffner, che si mette in evidenza con adatte colorazioni; i gameti sono rotondi, di volume superiore a quello di un globulo rosso, dei quali si distinguono i macrogameti e i microgametociti per i caratteri accennati nei gameti quartanarî; le forme gametiche con flagelli, per lo più del numero di 6, sono facilmente visibili. Anche nel Plasmodium vivax tutto il ciclo di vita si può osservare nel sangue della periferia comprese le forme di segmentazione.

Il Plasmodium falciparum delle febbri estivo-autunnali compie il suo ciclo di vita in 48 o 24 ore, talora con durata irregolare. Gli schizonti sono più piccoli di quelli delle altre specie; i movimenti ameboidi sono vivaci; nel riposo prendono costantemente le forme di piccoli anelli; il pigmento è in granuli neri finissimi; i globuli rossi rimangono nel volume normale, o si rimpiccoliscono, si raggrinzano, e presentano il colore giallo cupo (onde il nome di globuli rossi ottonati), e nei preparati colorati presentano alcune macchiette rosso-grigie osservate primamente da Maurer; la sporulazione avviene di regola nel sangue dei visceri interni, epperò solo raramente occorre di vederla nel sangue della periferia; le forme di sporulazione sono più piccole dei globuli rossi, nei quali si conserva, pur fino al termine del ciclo, un orletto di emoglobina; il numero dei merozoiti è maggiore che nelle altre specie, fino a 32, per lo più da 16 a 22; i gameti sono di forma semilunare (onde il nome di Plasmodium falciparum); maschili e femminili, con i caratteri del protoplasma e della cromatina descritti nelle altre specie; i microgametociti emettono spesso i flagelli, per lo più in numero di 4, nei preparati di sangue a fresco. Del Plasmodium falciparum si distinguono due varietà: il terzanario, che è il più comune nelle infezioni primitive, e il quotidiano, più frequente nelle recidive. Di queste due varietà furono descritti i caratteri differenziali.

Le tre specie ora ricordate sono costanti, né, come s'è detto, si trasformano, come pretendevano gli unicisti, l'una nell'altra. Si conviene ormai da tutti i malariologi che la pluralità del parassita malarico sia in accordo perfetto con lo stato presente della scienza.

Alle tre specie del parassita malarico, da tutti riconosciute, S sono aggiunte altre, fra le quali il Plasmodium ovale di Stephens, osservato nell'Africa orientale e poi nella Nigeria e nel Congo belga e studiato recentemente da S. P. James. È una specie parassitaria affine al P. vivax, della stessa durata di vita, con caratteri morfologici distinti, che si conservano costanti nei due cicli. Ha caratteri di benignità e tende alla guarigione spontanea.

Nella occasione delle infezioni da malaria provocata nell'uomo a scopo terapeutico, fu osservato da S. P. James che nelle specie P. falciparum esistono, come si era già congetturato, varietà geografiche (strains), le quali, pur senza manifeste differenze morfologiche, si distinguono per la virulenza clinica, per le reazioni immunitarie e per altre proprietà biologiche. Così, per la virulenza clinica, in casi d'infezione provocata con uno stipite di P. falciparum proveniente dalle Indie inglesi la sindrome era mite e richiedeva poca quantità di chinina per essere curata; uno stipite della stessa specie proveniente dalla Sardegna e dall'agro romano provocava una sindrome grave, per la quale si richiedeva una cura pronta, e la dose curativa della chinina doveva essere otto volte maggiore di quella necessaria per lo stipite indiano. L'esistenza di razze geografiche fu osservata anche nel P. vivax.

Da ciò che s'è detto intorno ai due cicli del parassita malarico risulta che questo non può penetrare nell'organismo umano per altre vie che per quella aperta dalla puntura delle zanzare, nelle quali s'è già compiuto il ciclo sessuato. Altre vie, come per l'acqua e per l'aria, sono impossibili, eccetto quella dell'inoculazione in un uomo sano del sangue, anche in piccolissima quantità, meno di una goccia, di un uomo malarico. S'è discusso sulla trasmissione materna o placentare della malaria: dopo molte osservazioni si è dimostrato che in condizioni normali la malaria non può esser trasmessa dalla madre al feto attraverso la placenta, nella cui porzione materna suole essere abbondante la localizzazione parassitaria; soltanto quando siano avvenute alterazioni vascolari nel tessuto placentare, riconosciute per la presenza delle emorragie, allora globuli rossi parassitiferi possono passare nei vasi sanguigni del feto come dimostrano casi sicuri di rinvenimento nel sangue del neonato degli stessi parassiti del sangue matermo.

Stabilita la causa vera della malaria, aggiungiamo che l'infezione è resa più facile per tutte quelle condizioni che agevolano il contatto della zanzara malarigena con l'uomo. Si può dare inoltre il giusto valore alle cause predisponenti e occasionali, ad alcune delle quali si dava in passato la precipua importanza. Fra le prime sono le razze, fra le quali la razza negra è meno disposta alla malaria; l'età, la cui disposizione alla malaria va decrescendo con gli anni, maggiore assai nei bambini; il sesso, del quale il femminile è meno esposto all'infezione del maschile; le occupazioni, fra le quali l'agricola, per ovvie ragioni, è più esposta all'infezione. Fra le seconde sono i raffreddamenti del corpo che agevolano le manifestazioni dell'infezione già avvenuta, primitiva e recidiva; le condizioni di vita riguardanti l'abitazione, il vitto, il lavoro, ecc.

Avvenuta la penetrazione del parassita nel corpo umano, decorre un certo tempo prima della manifestazione dei sintomi della malattia, fra i quali il più caratteristico è la febbre. Il tempo che decorre fra l'infezione e la manifestazione dei sintomi si chiama incubazione, la quale ha una durata varia nelle varie specie di malaria. Tenendo conto delle osservazioni nelle infezioni spontanee e nelle infezioni provocate nell'uomo a scopo sperimentale e curativo con iniezioni di sangue malarico, e con le punture di zanzare precedentemente infette, risulta che la durata dell'incubazione varia, come s'è detto, secondo la specie parassitaria: maggiore nella febbre quartana, minore nella febbre terzana, e più breve nelle febbri estivo-autunnali. Quando l'infezione venga provocata con le iniezioni di sangue malarico in individui sani, la durata media dell'incubazione è di giorni 14-30 nella febbre quartana, di giorni 11 nella terzana, di giorni 6 nelle febbri estivo-autunnali, per le quali l'incubazione nelle infezioni spontanee è da 9 a 10 giorni. Ma la terzana può avere lunga incubazione, anche di mesi, specialmente in climi nordici. Inoltre la durata dell'incubazione varia secondo la quantità del sangue inoculato, secondo gli individui e, nelle infezioni spontanee, l'incubazione può avere minor durata per cause occasionali, specialmente i raffreddamenti atmosferici dopo le piogge nella stagione calda.

Con l'etiologia si connette l'argomento della immunità. Assai di rado si osserva l'immunità naturale congenita e anche familiare ed ereditaria, non da tutti ammessa. S'è fatto cenno della varia disposizione alla malaria delle razze, delle quali la negra è più resistente. L'immunità acquisita è la conseguenza di precedenti infezioni e reinfezioni; come si vede negl'indigeni adulti delle regioni iperendemiche delle zone tropicali e subtropicali, i quali, superato un lungo periodo di malaria nell'infanzia duramente colpita, e nella fanciullezza, divengono resistenti a ulteriori reinfezioni; acquistano, cioè, una tolleranza all'infezione dei parassiti, che possono continuare a vivere nel loro sangue, senza provocare accessi febbrili e gravi stati anemici; ed esposti a ripetute reinfezioni sporozoitiche, sogliono in discreto benessere continuare una vita di lavoro. Se in regioni iperendemiche da paesi salubri immigrano uomini non immuni, nei primi anni di residenza soffrono di un periodo di febbri prolungate e gravi, con pericolo della vita; superato il quale, gli accessi febbrili si attenuano gradatamente fino alla cessazione, con o senza la presenza di parassiti nel sangue, con il ritorno di un sufficiente benessere, come negl'indigeni. La prova della tolleranza, che si matura, senza lungo indugio, nel corso dell'infezione, è data dalla malaria maligna, nella quale le forme perniciose, che mettono in pericolo la vita, si manifestano, di regola, nel primo periodo della malattia, di rado nelle prime recidive e non più nelle recidive invernali e primaverili, sempre più miti fino alla guarigione. Le ricerche sperimentali, nell'occasione della malarioterapia, hanno confermato la varia resistenza individuale alla infezione; dalla grande suscettibilità, per gradi, al completo stato refrattario; e l'immunità acquisita alle reinfezioni con la stessa specie parassitaria già inoculata, e della cui infezione si era guariti. L'inoculazione di un'altra specie, o anche di un'altra varietà, provoca la infezione e la malattia. Sulla genesi dell'immunità le ricerche finora compiute non consentono un giudizio decisivo: si crede a un processo immunitario simile a quello delle infezioni batteriche; cioè, alla formazione da parte dell'organismo di anticorpi provocata dall'antigene dei parassiti, con specificità nelle reazioni antigene-anticorpi delle singole specie, e anche delle singole varietà. Da ricerche recenti risulterebbe la presenza di un anticorpo parassiticida nel siero del sangue di ammalati di terzana benigna, dopo l'attacco febbrile, capace di distruggere i parassiti malarici dello stesso individuo da cui fu preso il siero.

Geografia medica. - Epidemiologia. - La malaria, come s'è detto, domina endemica in molte regioni della terra; in alcune vi persiste da secoli con alternative di mitigazioni e di esacerbazioni, in altre s'è permanentemente attenuata, in altre è scomparsa; in altre, infine, dove non si conosceva, s'è manifestata. Se la malaria è una delle malattie più diffuse, è però limitata alle zone tropicali, subtropicali e temperate, digradando con la lontananza dall'Equatore nei due emisferi. La malaria predomina nelle località basse e paludose, nei delta dei grandi fiumi, nelle vaste pianure alluvionali percorse da fiumi; nelle vallate con paludi e corsi d'acqua e lungo i litorali ove sono acque salmastre. Le endemie e le epidemie malariche si distinguono per l'estensione e per la qualità della loro natura: se diffuse o circoscritte; se di malaria mite o di malaria grave.

In Europa la malaria si trova nelle isole, nelle penisole, e nelle coste del Mediterraneo e nelle regioni centrali; come nelle vaste pianure della Russia, della Germania, della Polonia, in Austria e in Ungheria, nell'Olanda, nel Belgio, in Francia, nella Gran Bretagna, nella Penisala Iberica, nella regione balcanica, nella Grecia; nelle quali regioni si trovano centri diffusi e circoscritti di malaria mite prevalenti al nord, e di malaria grave prevalenti al sud. In Italia e nelle isole che le appartengono, la malaria è diffusa. Nel nord zone di malaria, di regola mite, si trovano nel Piemonte, nelle provincie di Novara e di Vercelli; nella Lombardia, nelle provincie di Pavia, di Mantova, di Cremona. Nelle Venezie Euganea e Giulia, sulle coste dell'Istria e della Dalmazia la malaria è diffusa e anche grave. Nell'Emilia, dove prima era malaria grave, come nella provincia di Modena, dove F.M. Torti scrisse il suo libro sulle febbri perniciose, ora la malaria è quasi scomparsa. Nella provincia di Ferrara sono zone di malaria dalle bocche del Po alla valle di Comacchio. Ma l'Italia centrale e meridionale, è quella ove si trovano i focolai più estesi di malaria. La Toscana centrale, le Marche, l'Umbria, sono libere o ne contengono zone circoscritte o di regola miti. La malaria grave comincia nelle coste della Toscana dopo Viareggio e si fa più intensa lungo la storica Maremma, scendendo verso Grosseto; quindi prosegue lungo le coste del Lazio, ove sono le note regioni malariche della Campagna Romana e delle Paludi Pontine, ora Agro Pontino, in via di bonifica integrale. Sulla costa della Campania sono numerose le zone malariche intorno allo sbocco del Garigliano e lungo il corso del Volturno. Dopo il golfo di Salerno si trova la malaria nella regione ove sono le rovine dell'antica Pesto. Lungo le coste della Calabria sono numerose zone malariche fino allo stretto di Messina. Nelle coste della penisola bagnate dal mare Ionio, la malaria è intensa in alcune parti, come nel golfo di Squillace e in quello di Taranto. Nell'Abruzzo e Molise sulle coste adriatiche sono zone circoscritte di malaria mite; nelle Puglie la malaria è grave, specialmente nelle provincie di Lecce, di Brindisi, di Foggia, tanto nel litorale quanto nell'interno. Delle isole maggiori italiane, la Sardegna è piena di zone di malaria grave con prevalenza nella parte meridionale. La Sicilia è meno malarica, ma peraltro vi si trovano zone di malaria grave nelle coste e nell'interno.

Nella Penisola iberica la malaria infesta le pianure e le coste percorse dai fiumi Guadalquivir, Guadiana, Tago, Mondego.

Nell'Asia, le coste dell'Asia Minore e di molte parti dell'Arabia e del Golfo Persico sono dominate dalla malaria, la quale si estende nel Belucistan e nell'Afghānistān, nella Persia e nella Mesopotamia. Grave è la malaria nelle coste occidentali dell'India anteriore e lungo il corso dell'Indo e nella zona che dai contrafforti meridionali del Himālaya s'estende al gran delta del Gange e risale lungo il Brahmaputra. La regione del Panjab è molto malarica. L'isola di Ceylan è malarica nella costa e nell'interno. Egualmente malariche sono le pianure dell'Indocina nelle quali corrono grandi fiumi e sono estese risaie. Nell'Insulindia sono malariche Sumatra, Giava (ove sono estese piantagioni di Cinchona, una delle quali del governo italiano), Borneo, Celebes, le Molucche; mentre poco malariche sono le Isole Filippine. Gran parte della Cina, specialmente nella regione meridionale, è dominata dalla malaria tanto nell'interno quanto, e più, nelle coste, specialmente lungo il corso dei grandi fiumi e nelle pianure coltivate a risaia, fino al Tonchino e alla Cocincina. Malariche sono le coste della penisola di Corea, e poca, e soltanto mite, è la malaria nel Giappone.

L'Africa racchiude estese zone di malaria grave, le quali si trovano nelle coste occidentali, specialmente fra il Senegal e il Congo, nella Senegambia e nel delta del fiume Niger. Dal Congo in giù diminuisce di estensione e d'intensità. La Colonia del Capo è libera; delle isole a occidente è libera S. Elena, mentre sono malariche Fernando Poo e São Thomè. Al sud-ovest le isole Madagascar, Maiotta, Nosy Bé, Réunion, Maurizio, sono molto malariche. Nella costa orientale dal golfo di Delagoa fino all'altezza dell'isola di Zanzibar si trova malaria; la Somalia è relativamente poco infetta come l'Abissinia. La costa occidentale del Mar Rosso, compresa l'Eritrea, ha zone di malaria anche grave. Fra l'Abissinia e il lago Ciad è un esteso territorio più o meno malarico, che comprende gran parte del Sudan. L'alto Egitto è libero, mentre il basso Egitto lungo il corso e il delta del Nilo, è malarico. Al nord dell'Africa sulla costa della Libia e della Tunisia la malaria non è diffusa né ovunque grave; ma nell'Algeria la malaria è estesa e grave, e appunto quivi dallo scienziato francese Alphonse Laveran fu scoperto il parassita malarico.

Nell'America del Nord la malaria domina nella parte occidentale-meridionale, lungo la costa dell'Atlantico, specialmente nelle provincie del Maryland, della Virginia e della Florida; tutta la costa del golfo del Messico è infetta dalla malaria, la quale s'estende nell'interno lungo il Mississippi e i suoi confluenti. A occidente di questo fiume, Arkansas, Luisiana, Texas, contengono molti centri malarici. Negli stati di Pennsylvania e di New York si manifestano casi di malaria, e centri di malaria s'incontrano negli stati della Nuova Inghilterra. È rara la malaria in prossimità dei grandi laghi, eccetto le rive dei laghi Ontario, Erie, Huron e Michigan. Negli stati centrali la malaria è quasi scomparsa. Lungo le coste del Pacifico s'osservano centri di malaria sparsi e circoscritti. Il Canada è libero. Nell'arcipelago delle Indie occidentaii è malarico il gruppo delle grandi e piecole Antille; meno malariche sono le isole Bahama e libere sono le Bermude. Nell'America Meridionale le coste orientali sono più malariche delle occidentali. Il Venezuela, il territorio della Guiana, il nord del Brasile, e poi la Bolivia, il Paraguay, contengono regioni malariche. La malaria diminuisce nell'Uruguay e non si ritrova nell'Argentina. Sulle coste del Pacifico sono centri di malaria grave nella Colombia, nell'Ecuador, nel Perù e nel Chile.

L'Australia e anche la maggior parte delle isole dell'Oceania sono pressoché libere dalla malaria, formando un contrasto con le terre vicine che ne sono infette. Malariche sono le coste della Nuova Guinea e un poco le coste dell'Australia, dal Capo York a Brisbane e alcune delle isole dell'arcipelago di Bismarck. Nella Nuova Caledonia, pur essendovi molte paludi, la malaria è sconosciuta e così nella Nuova Zelanda e in altre isole.

Ora quali sono le condizioni che formano l'ambiente malarico in quelle regioni della terra ricordate, onde le endemie e le epidemie? Sul fondamento delle conoscenze omai sicure sull'etiologia dell'infezione malarica, in quell'ambiente si devono trovare l'uomo portatore dei parassiti della malaria, la zanzara idonea a esserne l'ospite e a trasmetterli all'uomo sano, e le condizioni climatiche e telluriche necessarie allo sviluppo e alla vita di quelle zanzare e al ciclo sessuato di quei parassiti, che in esse si deve compiere.

L'uomo, che è, tra i mammiferi, il solo ospite dei parassiti malarici della sua malaria, e quindi il solo serbatoio di questi, si riconosce come malarico per l'ingrossamento della milza (indice splenico) e per la presenza dei parassiti specifici nel sangue circolante (indice parassitario). Per l'indice splenico e l'indice parassitario s'è ormai accertato che la popolazione infantile è lo specchio dell'infestazione malarica di una data regione, onde la ricerca di quegl'indici si deve fare precipuamente nei bambini e nei fanciulli, per questi più agevole nelle scuole elementari dei comuni, non tralasciando però l'esame degli adulti, i quali, se con dimora dalla nascita nelle zone malariche, presenteranno quegl'indici con minore frequenza e attenuati per l'immunità acquisita dalle pregresse infezioni nelle prime età. Per l'indice parassitario si deve tenere conto non solo della presenza e del numero dei parassiti per mmc., ma ancora della specie di questi, e in ciascuna specie, delle forme asessuate e delle forme sessuate, e di queste, delle forme maschili e delle forme femminili e del loro rapporto numerico.

L'indice splenico e parassitario viene rappresentato dai noti grafici, dei quali diamo due esempî: uno (fig. 2) per l'indice splenico, e l'altro (fig. 3) per l'indice parassitario. Per l'indice splenico il reticolato indica che la milza (fig. 1, P) si palpa tra l'arcata costale e l'ombelico il nero che la milza è sotto l'ombelico; il rigato stretto che si palpa nell'inspirazione; il rigato largo che la milza non è palpabile. Per l'indice plasmodico il nero designa il Plasmodium falciparum; il reticolato il P. vivax; il rigato il P. malariae.

Le zanzare capaci di trasmettere la malaria all'uomo appartengono al genere Anopheles. Nessun altro animale può essere ospite intermedio o definitivo dei parassiti della malaria umana. Soltanto alle femmine spetta la capacità d'infettarsi dall'uomo e di trasmettere a questo l'infezione: loro conviene veramente il nome greco ἀνωϕελής, che vuol dire dannoso (v. tav. a colori).

Gli anofeli si distinguono dai culicini in tutti gli stadî di vita: di larva, di ninfa, d'insetto adulto. Le femmine depongono le uova alla superficie delle acque in grande numero, disposte a rosetta, a stella, a nastrini mentre le uova del Culex sono deposte in una massa unica a forma di navicella. In un tempo, la cui durata varia secondo la temperatura, due giorni in estate, dall'uovo dischiuso esce la larva che cresce per varî stadî fino alla lunghezza di 8 mm. Le larve degli anofeli vivono in acque stagnanti o con lento corso, pulite, ricche di vegetazione e soleggiate; sono voracissime e si alimentano di ciò che loro vien fatto di trovare alla superficie delle acque: protozoi, insetti disfatti, e specialmente alghe verdi; sono timide e quando s'accorgono di essere minacciate cessano d'alimentarsi, si immobilizzano e s'immergono tutte. Le due aperture del sistema respiratorio si trovano nella parte superiore e posteriore del dorso, e però le larve per respirare devono mantenersi in posizione orizzontale, parallela alla superficie dell'acqua. Le larve dei culicini invece, essendo fornite di un sifone respiratorio, tengono a fior d'acqua la sola estremità di questo, mentre il corpo è immerso nell'acqua con il capo all'ingiù, formando un angolo di 45°. La durata della vita larvale varia secondo la stagione: nei climi caldi da 12 a 14 giorni. Dallo stadio di larva si passa a quello di ninfa, o pupa, della forma di una virgola, la quale cessa di alimentarsi. La durata della vita ninfale è di tre o quattro giorni. Le larve e le ninfe possono vivere anche in acque salmastre; anzi, secondo Grassi e altri entomologi, dalle larve sviluppate in acque salmastre si sviluppano anofeli più avidi del sangue umano e più disposti a infettarsi. Dall'involucro ninfale si libera in pochi minuti l'anofele alato, il quale vola più o meno lontano guidato dall'istinto di alimentarsi e di riprodursi. Grassi descrive cinque specie di anofeli in Italia; Anopheles claviger o maculipennis; A. superpictus; A. pseudopictus; A. bifurcatus; A. nigripes. A questi si devono aggiungere l'A. algeriensis e l'A. elutus. Sebbene tutti gli anofeli ricordati possano divenire ospiti del parassita malarico umano, com'è provato dall'osservazione degl'infetti nelle condizioni naturali e delle infezioni sperimentali, tuttavia non tutti hanno la stessa importanza nell'epidemiologia della malaria. All'A. claviger o maculipennis, il più diffuso in Italia e in Europa, spetta la maggior parte nella trasmissione e nella diffusione della malaria, com'è dimostrato dalle sue abitudini domestiche e dal numero degl'individui della sua specie trovati infetti spontaneamente. All'A. maculipennis tengono dietro l'A. superpictus e l'A. elutus e poi gli altri. Delle specie Anopheles maclipennis si distinguono ora più varietà (Falleroni, Hackett, Martini, Missiroli, van Thiel ecc.), che si riconoscono dall'aspetto delle uova, vario per il colore, dal grigio al nero, per la camera d'aria e per altre particolarità; da caratteri morfologici delle larve e degli alati; dall'habitat larvale; da differenze biologiche riguardanti le preferenze alimentari e l'ibernazione. Ora la malaria endemica con forme gravi domina in quelle regioni, dove vive in prevalenza la varietà di anofeli dalle uova grige, che sono più frequentemente associati con l'uomo, dal quale traggono con istintiva preferenza il nutrimento di sangue loro necessario; mentre la endemia è assente o è soltanto di malaria poco diffusa e mite, dove vivono le varietà anofeline dalle uova nere, perché sono maggiormente attratte verso il bestiame; onde la loro abbondanza nelle stalle e la mancanza o la scarsezza nelle abitazioni.

Nelle esperienze con l'A. maculipennis fu scoperto il ciclo sessuato delle tre specie del parassita malarico. Oltre le specie di anofeli che vivono in Italia, molte altre specie furono descritte nelle varie parti della terra, tra le quali parecchie capaci di infettarsi della malaria umana e di trasmetterla all'uomo.

Negli anofeli adulti, fra i caratteri esterni, sono le ali macchiate, per le quali si distinguono dalle zanzare Culex, che hanno le ali tutte trasparenti; inoltre nella testa degli anofeli, nella quale sono la proboscide, le due antenne e i due palpi, questi sono lunghi quanto la proboscide nei maschi e nelle femmine, in queste più sottili: mentre nelle femmine dei culicini i palpi sono assai più corti della proboscide; da ultimo le zampe degli anofeli sono più lunghe e più esili di quelle dei culicini, epperò questi quando posano sono più ravvicinati alla superficie della parete; inoltre i primi, nella posizione di riposo, appoggiano le quattro zampe anteriori sulla parete, mentre le zampe posteriori, con la parte corrispondente del corpo, ne sono discoste, formando un angolo di vario grado, secondo la specie; i culicini, invece, poggiano con tutte le zampe sulla parete, con il corpo gibboso. Per questi tre caratteri delle ali, dei palpi e della posizione nel riposo, si distinguono facilmente gli anofeli dai Culex. Dell'anatomia interna delle zanzare, ricordiamo nell'apparecchio digerente: la faringe, le ghiandole salivari, l'esofago, lo stomaco o intestino medio, l'intestino posteriore. È nello stomaco, come s'è detto, che avviene la fecondazione dei gameti succhiati col sangue dell'uomo, e, nella parete dello stesso si compie lo sviluppo del ciclo sessuato fino alla formazione degli sporozoiti, che pervengono nelle ghiandole salivali.

Per l'epidemiologia della malaria è importante la conoscenza degl'istinti e delle consuetudini degli anofeli. Di questi, alcuni preferiscono la vita all'aperto nelle campagne e nei boschi, ricercando l'alimento negli animali liberi; altri hanno l'istinto di vivere entro le abitazioni umane, nelle stalle, e negli altri ricoveri degli animali, ove trovano, oltre il nutrimento a loro disposizione, le condizioni di temperatura e di umidità che più si convengono al loro benessere. Fra i secondi è l'A. maculipennis, il precipuo propagatore della malaria, il quale, ricercato nelle campagne, si trova, secondo la varia tendenza delle singole varietà predominanti, in maggior numero nelle abitazioni dell'uomo, ovvero nelle stalle e nei porcili. Si trova inoltre nei piccoli centri rurali e nei suburbî, nelle regioni di malaria grave, ma suole arrestarsi alla periferia delle città, onde in queste di regola l'assenza della malaria. La portata del volo degli anofeli può essere grande; ma per lo più non si allontanano molto dal luogo ove sono nati, se abbiano a loro disposizione case e stalle con uomini e animali da pungere; non si sollevano a grandi altezze; e così si trovano paesi, all'altezza di alcune centinaia di metri, immuni dalla malaria, che desola la pianura sottostante. Sennonché da esperienze eseguite da Grassi e da altri con anofeli marcati con colori di anilina, risulta che questi possono volare lontano; anche due o tre chilometri; ma il volo a tali distanze è eccezionale; e generalmente gli anofeli rimangono, come s'è detto, non lontani dalle raccolte di acqua ove trascorsero il periodo di vita acquatica. Il vento può essere favorevole al loro spostamento; ma, se violento, li disperde e li uccide. Inoltre le zanzare, anche le infette, possono essere trasportate nell'interno delle città e in luoghi salubri con i carri di fieno, di paglia, di ortaggi, di fiori, con i varî veicoli, con le vetture delle ferrovie, con i bastimenti; onde la spiegazione di casi sporadici di febbri malariche in luoghi senza endemia.

Le femmine degli anofeli, che pungono l'uomo e gli animali, uscite dall'involucro ninfale, dopo breve tempo sono fecondate nei voli nuziali e poi, spinte dall'istinto, vanno alla ricerca di un animale da pungere, perché il pasto di sangue è assolutamente necessario alla maturazione delle uova; dopo pochi giorni le uova sono mature e le zanzare, guidate dal senso dell'igrotropismo, le depositano alla superficie dell'acqua; dopo la ovideposizione parecchie femmine muoiono; altre possono ripeterla più volte. All'approssimarsi della stagione fredda cessa la maturazione delle uova e comincia l'ibernazione delle femmine fecondate. Se a queste spetta precipuamente la conservazione della specie, anche le uova e le larve si possono conservare in talune specie, in uno stato di vita latente durante l'inverno. In primavera ritorna a manifestarsi la vita nelle uova, nelle larve, nelle femmine ibernanti: le prime si schiudono; le seconde riprendono il loro sviluppo; le femmine escono dal letargo, depositano le uova e muoiono.

Le femmine degli anofeli, guidate dall'odorato finissimo, senza il molesto ronzio dei culicini, pungono l'uomo di regola nella notte, cominciando nelle ore crepuscolari della sera e terminando in quelle del mattino, specialmente quando l'aria è calda, e umida, e tace il vento. Le anofeli dopo aver punto l'uomo nelle abitazioni, impinzate di sangue, si nascondono a digerire negli angoli oscuri, nei soffitti, dietro le porte e i mobili, negli abiti, nelle scarpe, attratte dall'odore del cuoio; e però l'Anopheles maculipennis è chiamato da alcuni la zanzara domestica, cui si devono le epidemie malariche familiari. La durata della vita degli anofeli è breve. Grassi, dalle ricerche con le colorazioni aniliniche, ritiene che, nell'estate, la durata della vita sia di pochi giorni. Ma che la vita delle zanzare possa prolungarsi per settimane e per mesi è dimostrato dall'ibernazione delle femmine fecondate e dalle ricerche di laboratorio, onde risulta che le anofeli possono sopravvivere, sebbene poche in confronto di quelle che muoiono, non infette e infette.

L'infezione malarica, a differenza di ciò che avviene nell'uomo, non provoca, come s'è accennato, effetti dannosi al benessere e alla longevità delle anofeli, le quali possono rimanere infettanti per due o tre mesi, anche dopo avere infettato parecchi uomini. Da ciò si concluse da qualche malariologo che il parassita della malaria vive in uno stato di simbiosi con l'insetto ospite.

Dalle ricerche nei luoghi malarici risulta che sono poche le zanzare che si trovano naturalmente infette, in contrasto con il numero delle zanzare che si possono infettare sperimentalmente. Ma il numero cresce, in proporzioni anche notabili, negli ambienti ove soggiornano molti malarici. Si può inoltre non escludere la possibilità che, secondo le leggi generali della biologia a difesa del mantenimento di tutte le specie degli esseri viventi, le zanzare infette preferiscano agli animali l'uomo per trasmettere il parassita, che soltanto con lui può continuare la sua esistenza; o altrimenti deve morire con la zanzara. È varia la disposizione a infettarsi delle varie specie di anofeli, e fra gli anofeli della stessa specie si ritiene che quelli nati nelle acque salmastre abbiano una maggiore avidità per il sangue umano. E ora è dimostrato che nelle acque salmastre prospera la vita delle larve di quella varietà dell'Anopheles maculipennis dalle uova grige, la quale è tra le più malarigene; come vi prosperano le larve dell'An. elutus.

All'Anopheles maculipennis si avvicina per le abitudini domestiche l'A. elutus. Gli altri anofeli possono entrare nelle abitazioni per pungere l'uomo, ma vi rimangono poco e preferiscono vivere all'aperto nei campi, tra le erbe, i cespugli, le siepi, nei boschi, onde il nome di silvestri.

Ai fattori uomo malarico e zanzare anofeli si devono aggiungere le condizioni climatiche, la cui importanza nella storia naturale della malaria, riconosciuta dagli antichi epidemiologisti, fu poi confermata dai recenti e datane la spiegazione per la loro azione sull'uomo, sulla vita delle zanzare e sul parassita nella sua vita extracorporea. Fra le condizioni climatiche la temperatura e l'umidità dell'atmosfera sono da prendersi in maggiore considerazione. Dalla temperatura atmosferica dipende la distribuzione geografica della malaria: la malaria non s'estende oltre il 63° e il 64° di latitudine boreale e rimane limitata fra le linee isotermiche 15°-16° e ciò d'accordo con la temperatura minima necessaria alle zanzare in tutti i periodi di loro vita non ibernante, e allo sviluppo sessuato del parassita. La necessità del calore è dimostrata dal fatto che se la malaria nei climi tropicali, ove domina endemica, presenta oscillazioni in rapporto alle epoche delle piogge e della siccità, nei climi subtropicali e temperati è solamente nelle stagioni di estate e di autunno che l'endemia di infezioni primitive si manifesta. Così avviene che nelle regioni di malaria mite e grave insieme, nella primavera dominano in grande numero recidive di febbri di terzana benigna contratta nella stagione malarica pregressa; e poi, nell'estate con i grandi calori, cominciano le febbri gravi, la terzana maligna, che proseguono nell'estate e nell'autunno, protraendosi più o meno secondo la temperatura; mentre nell'inverno se ne osservano le recidive. Non dovunque si ha questo andamento: in alcune regioni il massimo dell'endemia si ha più presto, in altre più tardi. Così in alcune regioni di malaria mite, come nei Paesi Bassi, l'endemia si manifesta nella primavera e raggiunge l'acme nei mesi di maggio e giugno; in altre regioni ciò avviene nell'autunno; e possono anche, secondo gli anni, verificarsi cambiamenti nell'andamento dell'endemia. L'inizio dell'epidemia estivo-autunnale è preceduta da un abbondante sviluppo di anofeli, che s'infettano pungendo i portatori di gameti, che ammalarono di malaria grave nelle stagioni malariche precedenti. L'umidità atmosferica, congiunta al calore, è la condizione favorevole allo sviluppo delle epidemie, perché giova alla durata della vita degli anofeli, al loro benessere e quindi alla trasmissione della malaria, e diminuisce la resistenza degli organismi umani. La siccità è avversa alla vita degli anofeli, com'è dimostrato dagli studî sperimentali. La pioggia è riconosciuta come faitore importante delle epidemie malariche. Nei paesi tropicali, dove si hanno le stagioni delle piogge che s'alternano con quelle di siccità, la curva dell'epidemia malarica corrisponde a quella delle piogge nel senso che la più alta elevazione della prima segue la seconda un mese dopo. La pioggia è un fattore di malaria, perché provoca la formazione di raccolte di acqua opportune alla moltiplicazione degli anofeli e aumenta l'umidità atmosferica per l'evaporazione ai raggi del sole estivo. Inoltre le piogge con abbassamento della temperatura, provocano le manifestazioni febbrili negl'individui già infetti; ma se questa azione è pronta, non è altrettanto per quella provocatrice delle infezioni primitive, onde le epidemie; e ciò perché occorre il tempo necessario allo sviluppo degli anofeli, all'infezione di questi dai gametiferi, al compimento del ciclo sessuato, alla trasmissione dell'infezione e al periodo di incubazione. I venti, che una volta si credeva diffondessero i miasmi, se non violenti, possono giovare alla diffusione degli anofeli; ma di regola le sono contrarî.

Le condizioni telluriche furono molto studiate quando si credeva che la malaria fosse un miasmo sollevato dalla terra umida e dalle acque ivi stagnanti, specialmente dalle paludi. Ora il fattore tellurico si riduce alle condizioni che favoriscono la permanenza delle acque stagnanti o lentamente correnti, specialmente salmastre lungo i litorali, nelle quali si sviluppano le zanzare malarigene. Non è la qualità geologica del terreno, che ha importanza per la produzione della malaria; ma l'esistenza, sotto uno strato più o meno spesso di humus, di un terreno impermeabile, come il tufo, la marna, l'argilla, onde l'umidità permanente del sottosuolo e la formazione di veli di acqua al di sotto dello strato superficiale permeabile e la formazione di raccolte d'acqua nelle parti declivi del terreno, onde le sorgenti anofeliche e l'umidità aimosferica. Le epidemie di malaria occorrono di frequente in quelle regioni dei climi subtropicali e temperati soggette a inondazioni che procedono o da piogge torrenziali o da straripamenti di fiumi. Se i diboscamenti in pianura contribuiscono alla bonifica igienica per la diminuzione dell'umidità atmosferica, non è altrettanto per i diboscamenti nelle montagne, per i quali viene alterato il corso delle acque che discendono nelle pianure sottostanti; e in queste avviene la formazione di stagni, di acquitrini, di paludi.

Fisiopatologia o patologia generale. - Nella patologia generale della malaria, che è, come s'è detto, un'emopatia primitiva da infezione protozoica con sede nei globuli rossi, si devono considerare le alterazioni di questi e la melanemia; la fagocitosi e le alterazioni dei globuli bianchi; l'anemia; l'accesso febbrile; il ricambio materiale dei malarici febbricitanti.

Nei globuli rossi avvengono le seguenti alterazioni: a) il rigonfiamento, che si osserva nei globuli rossi invasi dal parassita della terzana benigna, fino a divenire due o tre volte più grandi di un globulo rosso di diametro normale; al rigonfiamento si unisce lo scoloramento; b) il raggrinzamento con modificazione del colore emoglobinico, che s'osserva in molti globuli rossi invasi dal parassita della terzana maligna; il globulo rosso si rimpiccolisce, si raggrinza, e prende un colore oro vecchio o ottone, onde il nome di globuli rossi ottonati; c) lo scoloramento parziale del globulo rosso, non raro nell'infezione estivo-autunnale: l'emoglobina si raccoglie intorno al parassita e lascia scolorato il resto del globulo; d) la presenza di granulazioni, messa in evidenza per colorazioni speciali, come quella di Romanowsky, nei globuli rossi invasi dai parassiti malarici e differenti nelle tre specie, come s'è detto nella descrizione che se n'è già data; e) l'alterazione delle proprietà fisiche, per la quale ne viene diminuita l'elasticità e la superficie diviene viscosa, come s'induce dall'esame microscopico; alterazione di notabile importanza per la spiegazione dell'ammassamento e del ristagno dei globuli rossi parassitiferi nei vasellini sanguigni di alcuni organi nella malaria perniciosa.

La melanemia, che è propria della malaria, si caratterizza per la presenza di un pigmento brunastro o nero o giallo-bruno, in forma di granuli, di bastoncelli, di aghi, di blocchetti, raramente liberi, per lo più rinchiusi entro il corpo dei parassiti e dei globuli bianchi. Prima della scoperta del parassita si pensò che il pigmento nero originasse dall'emoglobina dei globuli rossi, che si disfacevano nella milza, dalla quale penetrasse nel sangue circolante (R. Virchow, ecc.) ovvero si formasse in questo dall'emoglobina dissociata dagli stromi globulari e, incluso nei globuli bianchi, fosse depositato nella milza che ne diveniva melanotica (R. Arnstein, L. Kelsch, ecc.). Si riconobbe poi dal Marchiafava nel 1879 che il pigmento si formava gradatamente entro i globuli rossi prima del loro disfacimento. Dopo la scoperta dei parassiti, riconosciutone lo sviluppo entro i globuli rossi, si è reso evidente che il pigmento si trova dentro il corpo dei parassiti, i quali lo elaborano dall'emoglobina assorbita dagli stromi globulari. Il pigmento nero della malaria, che non dà la reazione del ferro, divenuto libero nel plasma, viene incluso dagli endotelî dei vasi sanguigni e dai leucociti; questi lo depositano negli organi ematopoietici, che prendono un colore rosso nerastro (melanosi). Oltre il pigmento nero, si ritrova nei visceri dei malarici, come il fegato, la milza, il midollo delle ossa, un pigmento ocraceo, identico all'emosiderina, che dà quindi la reazione del ferro e che procede dal disfacimento dei globuli rossi ottonati e dall'emoglobina residuale dei globuli rossi parassitiferi. Nel fegato il pigmento ocraceo si trova negli endotelî, nelle cellule del reticolo endoteliale, nelle cellule epatiche, dalle quali viene utilizzato per la formazione della sostanza colorante della bile, la quale nella malaria grave è copiosa e intensamente colorata (policolia, pleiocromia), onde la frequente colorazione itterica degli ammalati.

Quando si pensi a ciò che avviene nel sangue per l'infezione malarica - parassiti entro i globuli rossi; la trasformazione della emoglobina in melanina; la moltiplicazione dei parassiti e il successivo disfacimento dei globuli rossi che li albergano con la liberazione del pigmento nel plasma; la presenza in questo di parassiti liberi, di frammenti di parassiti e di globuli rossi così alterati da essere divenuti corpi estranei in circolo - si comprende come l'organismo debba mettere in azione mezzi di difesa, dei quali disponga, per liberare, purificare il sangue di tante scorie e reintegrarlo nella crasi normale. Questa funzione spetta ai globuli bianchi del sangue, non a tutti; agli endotelî dei vasi sanguigni; a quelle cellule della milza, del midollo delle ossa, del fegato, che formano la parte essenziale del sistema reticolo-endoteliale. Dalla proliferazione di queste cellule provengono i globuli bianchi grandi, mononucleati, monociti, detti macrofagi, che maggiormente esercitano la funzione fagocitaria, la quale spetta anche, ma in grado minore, ai leucociti polinucleari e alle forme di passaggio. L'aumento nel sangue dei leucociti grandi, mononucleati, che può giungere fino al 35%, ha importanza diagnostica nella malaria. I leucociti fagociti includono, oltre al pigmento, i residui di segmentazione dei parassiti, globuli rossi contenenti parassiti in tutti gli stadî di vita, specialmente gli ottonati, parassiti liberi, frammenti di parassiti, gameti in via di degenerazione. La stessa fagocitosi si compie dagli endoteli dei vasi sanguigni dei varî organi, endotelî, che nelle infezioni perniciose possono distaccarsi e andare in circolo; e dalle cellule del reticolo endotelio, come sono le cellule di Kupffer nel fegato. Nelle cellule bianche che hanno compiuto la funzione fagocitaria si verificano spesso alterazioni regressive, dalla degenerazione grassa alla necrosi.

La funzione fagocitaria nelle febbri intermittenti regolari, quartana e terzana, ha inizio con l'insorgere dell'accesso febbrile e termina alcune ore dopo; e poi non si vedono più cellule fagocitarie fino al nuovo accesso. Nelle febbri estivo-autunnali lo svolgimento della funzione fagocitaria comincia al principio dell'accesso e, durante questo, i fagociti aumentano di numero fino al termine dell'accesso; nella breve apiressia diminuiscono, di rado scompaiono. Nelle perniciose si vede una grande quantità di grossi fagociti contenenti globuli rossi con parassiti anche nella moltiplicazione; non raramente endotelî pieni di pigmento nero. Dopo la somministrazione della chinina si suole notare un aumento della fagocitosi. Intorno al significato della fagocitosi nella malaria, per alcuni ha soltanto la funzione di ripulire il sangue del pigmento, dei parassiti morti e di altre scorie; per altri si aggiunge anche la funzione di contribuire alla guarigione spontanea e al processo dell'immunità con la continua distruzione di parassiti. La fagocitosi fu studiata in tutte le sue particolarità nel sangue e nei visceri anche nella malaria degli uccelli e delle scimmie.

In nessuna malattia infettiva l'anemia si produce con tanta rapidità e in tale grado come nella malaria, e se ne comprende la ragione. Ciò sapevano i medici, e fu confemiato da ricerche ematologiche prima e dopo la scoperta del parassita malarico (L. Kelsch, A. Dionisi, ecc.). Le perdite accessuali dei globuli rossi nelle infezioni primitive sono rapide e gravi, così da ridurre la cifra di 5 milioni alla metà in tre o quattro giorni. Nella malaria estivo-autunnale le perdite sono maggiori. Nelle infezioni perniciose si osservano diminuzioni più gravi. Quando, dopo un certo numero di accessi, l'ammalato è caduto in un grado medio di anemia, le perdite dei globuli rossi, per gli accessi febbrili successivi, sono molto meno gravi che nel principio. Così anche nelle perniciose, se queste occorrono in soggetti già anemizzati da precedenti accessi, la diminuzione non suol essere tanto grave, come quando si manifestano in principio dell'infezione in soggetti sani. La riparazione del sangue nell'infezione estivo-autunnale avviene più lentamente che nella quartana e nella terzana benigna, con notabili differenze individuali. Le variazioni dell'emoglobina sono in genere parallele a quelle dei globuli rossi. Con le variazioni della ricchezza globulare sono in intimo rapporto le variazioni della densità del sangue (G. Viola), onde la notevole diminuzione di questa nelle perniciose. Della resistenza globulare s'è trovato un aumento, che coincide con l'abbassamento della densità, per il succedersi degli accessi (G. Viola), come se per le invasioni parassitarie e i prodotti tossici andassero distrutti i globuli rossi meno resistenti. Lo stesso aumento della resistenza globulare s'osserva durante la maggiore attività dei processi di riparazione, onde si deve pensare alla maggiore resistenza dei globuli rossi giovani.

Si fecero ricerche anche sopra altre proprietà fisico-chimiche del sangue. Così s'è trovata una diminuzione della viscosità del sangue globale in rapporto con la gravità dell'infezione; e un aumento della velocità di sedimentazione del sangue malarico; al quale fatto s'è data grande importanza, poiché viene sostenuto da alcuni autori che la velocità di sedimentazione normale escluda la malaria.

All'anemia malarica, diretta conseguenza dell'infezione, possono seguire stati anemici differenti per gravità, durata ed esiti; vere anemie postmalariche, delle quali si distinsero varie forme, in rapporto con la funzione degli organi emopoietici.

Sulla genesi della febbre intermittente non mancarono le ipotesi dei medici antichi: si pensava che l'accesso febbrile originasse da una materia peccans, che penetrasse nel sangue a varî intervalli, secondo i varî tipi febbrili e vi provocasse un processo di fermentazione, per il quale la materia peccans modificata ne veniva espulsa. Ora, le ricerche etiologiche hanno dimostrato che i parassiti della malaria hanno varia durata di vita secondo la varia specie, onde il vario tipo febbrile; l'inizio dell'accesso avviene nella fase di moltiplicazione dei parassiti, per la quale si verifica la liberazione d'un prodotto tossico febbrigeno, il fermentum febrile degli antichi, che provoca l'accesso, di cui il primo stadio è il brivido, la cui intensità è maggiore nella quartana e poi nella terzana, nelle quali la moltiplicazione dei parassiti avviene nel sangue circolante, che nelle febbri estivo-autunnali con la moltiplicazione nei vasellini dei visceri interni. Allo stadio del brivido segue lo stadio del calore e da ultimo quello del sudore. Nelle febbri intermittenti tipiche quartana e terzana con un accesso ogni tre giorni ovvero ogni due giorni, si trova nel sangue una sola generazione parassitaria allineata, nella quale le fasi del parassita si svolgono contemporaneamente (fig. 4); quando una febbre d'origine terzanaria diviene doppia, quotidiana, o una febbre d'origine quartanaria diviene doppia o tripla, allora si trovano nel sangue due generazioni di parassiti della terzana e due o tre generazioni di parassiti della quartana; ciascuna delle quali generazioni compie il suo ciclo indipendente dalle altre coesistenti. Quando la moltiplicazione dei parassiti continua a piccoli gruppi dopo l'inizio dell'accesso, questo suole essere prolungato, come nella terzana maligna. Se il numero delle generazioni è maggiore, gli accessi si uniscono, e il tipo febbrile è continuo o subcontinuo. Così si possono seguire nel sangue le vicende della vita dei parassiti patogeni in rapporto con le vicende dei varî tipi febbrili.

La febbre può mancare nell'infezione malarica anche, sebbene assai di rado, in casi gravissimi (perniciosa larvata); o dopo che l'infezione è durata qualche tempo, per un certo grado d'immunità o di tolleranza acquistata contro l'azione febbrigena dei prodotti tossici dei parassiti. Così avviene che nella stagione invernale capiti di vedere soggetti che non febbricitano pure avendo parassiti nel sangue che vi compiono i loro cicli di vita.

Nei febbricitanti per malaria fu studiato il ricambio materiale con l'analisi delle urine e del sangue. Tra i fatti messi in evidenza s'è notato l'aumento dell'eliminazione del ferro nelle urine e nelle feci e l'aumento della tossicità urinaria nell'apiressia interaccessuale.

Anatomia patologica. - Le alterazioni anatomiche della malaria negli organi emopoietici e in tutti gli altri organi sono secondarie alla discrasia parassitaria già descritta; e sono alterazioni di natura regressiva fino alla necrobiosi, alle quali succedono le alterazioni progressive a scopo di difesa o di riparazione. Processi flogistici non sono mai provocati direttamente dalla malaria. L'anatomia patologica della malaria considera quasi esclusivamente le alterazioni provocate dall'infezione perniciosa da Plasmodium falciparum.

Le alterazioni nei varî organi possono distinguersi in: endovascolari, nel contenuto dei vasi sanguigni; vascolari, nelle pareti dei vasi sanguigni; extravascolari, nei tessuti degli organi. I globuli rossi parassitiferi si trovano nel sangue delle arterie dei capillari e delle vene in vario numero e con varia distribuzione. Negli organi sono accumulati entro i vasellini sanguigni, maggiormente quando i parassiti sono adulti e nella moltiplicazione, la quale, come s'è detto, nei parassiti della perniciosa si compie di regola negli organi interni. I globuli rossi parassitiferi non sono sempre distribuiti uniformemente negli organi; si distinguono varie localizzazioni parassitarie: cerebrale: gastrointestinale, miocardica e in altri organi. Nei centri nervosi, nei casi di perniciosa letargica, l'esame microscopico dimostra l'ammassamento dei globuli rossi parassitiferi nei vasellini sanguigni, specialmente nella sostanza grigia; i parassiti si possono trovare nei varî stadî del ciclo vitale, onde s'induce la presenza di più generazioni; ma più frequentemente i parassiti sono tutti press'a poco nello stesso stadio di vita, e quindi una sola generazione. Sono impressionanti quei casi nei quali i vasellini sanguigni del cervello sono pieni zeppi di globuli rossi, tutti con parassiti sporulanti e gia sporulati, e insieme di accumuli di parassiti figli o merozoiti, già liberi nel plasma. Come non pensare, con questo reperto microscopico avanti agli occhi, alla sua importanza, per la spiegazione dei sintomi cerebrali come il letargo, che talora può sopravvenire in modo fulmineo? (V. tav. a colori).

Le alterazioni vascolari sono manifeste per la pigmentazione e la degenerazione delle cellule endoteliali, che possono, come s'è detto, distaccarsi e circolare. Le alterazioni extravascolari di maggiore importanza nel cervello sono le piccole emorragie, o emorragie puntiformi, nella sostanza bianca, diffuse o circoscritte, che procedono dalla chiusura di vasellini sanguigni prodotta da globuli rossi parassitiferi e da leucociti melaniferi; e le alterazioni regressive delle cellule nervose nel protoplasma e nel nucleo fino alla necrosi d'origine ischemica e tossica. Queste alterazioni si devono tenere presenti per la spiegazione dei sintomi delle successioni morbose, dopo la risoluzione degli attacchi perniciosi.

Nella perniciosa colerica s'osservano nello stomaco e nell'intestino due precipue alterazioni: l'accumulo nei vasellini sanguigni della mucosa di globuli rossi, tutti parassitiferi, e di leucociti melaniferi; e poi la necrosi diffusa dell'epitelio e dello strato superficiale della mucosa, onde la spiegazione della diarrea coleriforme in alcune perniciose. In casi di perniciosa sincopale fu osservata la stessa localizzazione parassitaria nei vasellini sanguigni del miocardio, con alterazioni regressive delle fibre muscolari.

Nella malaria perniciosa la milza è aumentata di volume, molle, di colore rosso-bruno. I fattori del tumore acuto della milza sono: l'iperemia, la deposizione di grande numero di globuli rossi parassitiferi, che vengono inclusi nelle cellule della polpa splenica; la deposizione di cellule bianche melanifere e la moltiplicazione per cariocinesi delle cellule dell'organo. Nell'esame degli strisci della polpa splenica ottenuti per la puntura della milza o post mortem, si vedono cellule mononucleate di proporzioni gigantesche, con grande nucleo e abbondante protoplasma, entro il quale sono zolle pigmentarie nere, globuli rossi parassitiferi con parassiti in tutti gli stadî di vita, e parassiti liberi: sono le cellule, che si accumulano nella milza dopo che hanno compiuto la funzione depuratrice del sangue, cui succedono altre cellule giovani simili destinate alla stessa funzione. Alterazioni simili si ritrovano nel midollo delle ossa. Il fegato nella malaria perniciosa ha colore ardesiaco per il pigmento nero dei parassiti, degli endotelî, dei leucociti, delle cellule del tessuto connettivo. La cistifellea è ripiena di bile densa e intensamente colorata. Con il pigmento nero si trova nel fegato un pigmento ocraceo, alla cui genesi contribuisce il disfacimento dei globuli rossi parassitiferi con residuo di emoglobina, persistente anche dopo avvenuta la moltiplicazione dei parassiti.

L'accumulo di globuli rossi parassitiferi può verificarsi in altri organi e in altri tessuti, come nei reni e nel grasso addominale.

Nella malaria cronica la milza è sempre ingrossata in vario grado fino al punto di pesare parecchi chilogrammi e di occupare gran parte della cavità addominale e comprimere i visceri e le parti circostanti, cui spesso aderisce con la capsula ispessita. La superficie di sezione è di colore ardesiaco se l'organo contiene pigmento; se questo è assente, di colore rosso pallido, percorsa dalle trabecole ispessite del tessuto connettivo. Il tumore della milza cresce gradatamente con il rinnovarsi per lungo tempo di tutti quei fatti, onde s'è detto procedere il tumore acuto, ai quali s'aggiunge un'abbondante neoformazione connettivale diffusa e circoscritta. Il fegato, se l'infezione durò molto tempo con reinfezioni e recidive, presenta il cosiddetto tumore cronico con la pigmentazione nera che prima diffusa diviene perilobulare e poi scompare a infezione estinta. L'organo può giungere al peso di 3 0 4 kg.; la superficie dell'organo è liscia; quella di sezione dimostra l'ipertrofia dei lobuli e una lieve e diffusa iperplasia del tessuto connettivo perilobulare. Per questo aspetto l'epatomegalia malarica si distingue dalle epatiti e dalle cirrosi di altra etiologia, ipertrofiche e atrofiche, alle quali la malaria è completamente estranea. In alcuni casi di cachessia malarica letale si trova la degenerazione amiloide dei reni, dell'intestino, della milza e del fegato.

Forme cliniche. - La medicina da remoti tempi, come risulta chiaramente dai libri d'Ippocrate, conosceva i varî tipi delle febbri intermittenti endemiche, come già si è detto nel cenno storico. E dalle febbri intermittenti benigne si distinguevano le febbri con accessi prolungati, continue o subcontinue, con tendenza alla malignità, dominanti nei climi temperati nell'estate e nell'autunno. Dopo la scoperta delle tre specie del parassita della malaria, la classificazione che viene seguita tenendo conto dei fatti meglio accertati della parassitologia, della clinica, dell'epidemiologia, è la seguente: 1. infezione quartanaria; 2. infezione terzanaria; 3. infezione estivo-autunnale.

1. Infezione quartanaria. - La febbre quartana è provocata dallo sviluppo nel sangue del parassita quartanario (Amoeba febris quartanae Golgi - Plasmodium malariae Grassi e Feletti), il quale compie il suo ciclo vitale in 72 ore. Delle varie forme cliniche della quartana rende conto lo studio parassitologico. È meno frequente degli altri tipi febbrili e nei climi tropicali è rarissima. In alcuni luoghi si vede con relativa frequenza, per es., nei dintorni di Pavia (Golgi); e si vedono epidemie di casa di sola quartana maggiormente nell'autunno. La febbre quartana regolare è caratterizzata da accessi febbrili, seguiti regolarmente da due giorni di apiressia. Nell'accesso si succedono tre stadî: lo stadio del freddo, che è intenso nella quartana, onde il nome di frigida quartana, mentre la temperatura interna è molto elevata, con cefalea intensa, con mialgie diffuse e altri sintomi molesti; lo stadio del calore, nel quale la temperatura raggiunge il suo acme (40°, 41°), con pelle secca e ardente, con aumento della cefalea e dell'ambascia; lo stadio del sudore, che suole essere profuso, con il quale l'infermo prova un senso di sollievo, e cade in un sonno ristoratore. La durata dell'accesso è di 8-10 ore, ma può essere prolungato o abortivo; insorge di frequente nelle ore pomeridiane. In questa febbre si può seguire nel sangue del dito o del lobo dell'orecchio tutto il ciclo di vita del parassita quartanario da una sporulazione all'altra, la quale inizia alcune ore prima dell'attacco e termina con la formazione di 8 a 12 corpuscoli figli, che si dispongono come i petali di una margherita intorno a un blocchetto di pigmento centrale. Dopo alcuni giorni di malattia si vedono i gameti della grandezza di un globulo rosso, con pigmento a granuli o a bastoncelli, dei quali i gameti maschili presentano raramente il fenomeno della flagellazione. Nella quartana doppia due accessi febbrili occorrono in due giorni consecutivi; poi viene un giorno senza febbre, quindi di nuovo due giorni con accesso febbrile; nel sangue si distinguono due generazioni parassitarie. Nella quartana tripla l'accesso febbrile viene tutti giorni; è una febbre quotidiana d'origine quartanaria; nel sangue si trovano tre generazioni parassitarie, che maturano e si moltiplicano in giorni successivi. La febbre quartana può avere inizio come febbre quotidiana e anche come febbre subcontinua, onde l'importanza dell'esame del sangue per la diagnosi differenziale. La durata della febbre quartana è di regola lunga.

2. Infezione terzanaria. - La febbre terzana comune o benigna o primaverile è prodotta dallo sviluppo nel sangue del parassita terzanario (Amoeba febris tertianae Golgi - Plasmodium vivax Grassi e Feletti), il quale compie il suo ciclo di vita in circa 48 ore. La più diffusa di tutte le forme di malaria; nei paesi di malaria mite è la dominante; nei paesi di malaria grave costituisce la maggior parte dei casi di malaria nella primavera, onde il nome di terzana primaverile. Nell'estate e nell'autunno continua a vedersi con la malaria grave in rapporto vario nelle varie regioni. Nella febbre terzana semplice si hanno accessi febbrili della durata di 10-12 ore, che ritornano regolarmente ogni terzo giorno, con un giorno intermedio di apiressia. L'accesso febbrile presenta i tre stadî descritti nella quartana: di freddo, di calore, di sudore con gli stessi sintomi. Gli accessi sogliono cominciare nelle prime ore della giornata e possono essere anticipanti o posticipanti. L'esame del sangue dimostra lo sviluppo ciclico del parassita terzanario in rapporto con lo svolgimento dell'accesso febbrile. Nelle prime ore di questo si vedono le forme senza pigmento con vivaci movimenti ameboidi; poi queste forme s'ingrandiscono, si pigmentano e insieme ingrandiscono, mentre impallidiscono i globuli rossi, nei quali, nei preparati colorati, si vedono le granulazioni già descritte; da ultimo s'arriva alla moltiplicazione dei parassiti, di aspetto moriforme, la quale coincide con l'insorgenza del nuovo accesso. Dopo un certo numero di accessi si presentano i gameti, dei quali i maschili, nei preparati a fresco, offrono il fenomeno della flagellazione.

La terzana doppia ha gli accessi febbrili tutti i giorni; è quindi una quotidiana d'origine terzanaria, nella quale si trovano nel sangue due generazioni di parassiti terzanarî, che giungono a maturità e si moltiplicano con circa un giorno d'intervallo. L'infezione terzanaria può manifestarsi con febbri irregolari e subcontinue, con parassiti in vario grado di sviluppo; anzi con questo andamento comincia spesso l'infezione terzanaria, per farsi in seguito regolare. Ciò è confermato dalle ricerche durante la malarioterapia, dalle quali risulta che la terzana benigna comincia di regola irregolare con il Plasmodium vivax in tutti gli stadî di sviluppo; e poi si formano due gruppi, che dànno la quotidiana, e da ultimo rimane un gruppo solo con la terzana semplice regolare. La febbre terzana tende a guarire spontaneamente; ma dopo un intervallo di apiressia vario, si sogliono vedere le recidive a intervalli di varia durata, talora di mesi, di regola più miti dell'attacco primitivo. Non raramente s'osservano infezioni miste di terzana con la quartana e con le febbri estivo-autunnali. Nell'infezione terzanaria, come nella quartanaria, non si vedono le manifestazioni della perniciosità.

3. Febbri estivo-autunnali. - Intorno alle febbri, che in luoghi di endemia malarica grave, si osservano nell'estate e nell'autunno, G. M. Lancisi scriveva nel sec. XVII: "advento vero aestu, febres continuae atque etiam exitiales urgent, longe tandem deteriores evasurae et plane pestilentes circa aequinotium autumnale". A proposito di queste febbri, dominanti nell'estate e nell'autunno, alcuni autori dicevano: "è il caos", e non avevano torto, perché alla malaria si attribuivano infezioni di altra natura e con queste si confondevano le infezioni veramente malariche; onde descrizioni di forme morbose e classificazioni oggi soltanto d'interesse storico. Dopo la scoperta del parassita, Laveran scriveva che in queste febbri estivo-autunnali l'andamento della temperatura è a tipo quotidiano o continuo. Altri autori le dicevano d'andamento irregolare. Ma dopo che nel 1889 da Marchiafava e Celli fu messo in evidenza il parassita di queste febbri, si riconobbe da Marchiafava e Bignami che il tipo predominante e il più importante a conoscersi nell'infezione dal parassita estivo-autunnale era il tipo terzanario. Fu chiamato terzana estivo-autunnale o terzana maligna, perché domina endemica nell'estate e nell'autunno e perché da questa hanno origine le infezioni gravi e perniciose; e per distinguerla dalla terzana semplice o benigna, prima descritta, che non manifesta mai il carattere pernicioso. Fu chiamata anche con altri nomi e lo scienziato tedesco R. Koch, che la ridescrisse nel 1897, la chiamò febris tropica; e così continua a essere chiamata dai medici tedeschi.

La febbre terzana maligna si distingue dalla terzana comune tipica o benigna; a) per la lunga durata dell'accesso che è di 24, 36 e anche più ore, con apiressie brevi e oscure; b) per i caratteri della curva febbrile, nella quale si possono distinguere cinque stadî: l'invasione febbrile; il periodo di stato; la pseudo-crisi; l'innalzamento precritico; la crisi; c) per i sintomi dell'accesso. Spesso manca il brivido o è lieve; tuai i sintomi - cefalea, mialgie, vomito, sete, diarrea, epistassi, ambascia, ecc. - sono più gravi che nella terzana semplice. Come i brividi all'inizio dell'accesso, così i sudori alla fine, spesso non profusi, possono mancare.

Il parassita della terzana maligna, come quello della benigna, vive due giorni e del ciclo vitale, in rapporto con le vicende dell'accesso, si può seguire soltanto una parte nel sangue della periferia. Nell'acme dell'accesso si vedono le amebule endoglobulari con vivaci movimenti, nel riposo di forma discoide o anulare, le quali nei preparati colorati con il metodo di Romanowsky o di Giemsa appariscono come anelli turchini con il nucleo cromatinico rosso; e queste sono le forme più importanti per la diagnosi clinica e che si osservano più a lungo; appresso si vedono le amebe ancora mobili con granulini di pigmento e poi forme con blocchetto di pigmento centrale, che sono le forme presporulanti, e insieme globuli rossi parassitiferi ottonati, i quali sono numerosi all'appressarsi dell'accesso febbrile. Rare a vedersi sono le forme di sporulazione; perché questa, come si è detto, avviene di regola nei vasellini degli organi interni. Nel principio dell'accesso il reperto parassitario suole essere scarso e può anche mancare, mentre si cominciano a vedere i globuli bianchi pigmentati, i quali aumentano con il progredire dell'accesso. Dopo alcuni giorni dall'inizio della febbre si presentano nel sangue periferico i gameti di forma semilunare, dei quali i maschili si flagellano dopo pochi minuti che s'è fatto il preparato del sangue fresco.

La lunga durata dell'accesso nella terzana maligna si ritiene la conseguenza del fatto che la moltiplicazione del parassita non si compie quasi contemporaneamente in tutti gl'individui, quando pure esista una sola generazione come nelle altre due specie; manca, come si dice, il completo allineamento nella moltiplicazione, la quale, dopo quella del gruppo maggiore, continua a piccoli gruppi, e probabilmente all'ultimo gruppo sporulante si deve l'elevazione precritica della curva febbrile. Del tipo terzanario, ora descritto, fu data differente interpretazione (V. Ascoli, S. P. James): fu considerata, cioè, come una terzana subentrante, con due generazioni parassitarie; una, onde procede l'elevazione termica iniziale; l'altra, dalla quale origina l'elevazione precritica, che designerebbe l'inizio del secondo accesso.

Nell'infezione estivo-autunnale al tipo terzanario da tutti riconosciuto, si è aggiunto un tipo quotidiano (A. Laveran, C. F. Craig, ecc.). L'accesso febbrile è breve, senza notabili oscillazioni della curva termica. Il parassita quotidiano, che compie il suo ciclo vitale in 24 ore, è più piccolo, con minore quantità di pigmento, e la sua moltiplicazione dà luogo alla formazione di 6 a 14 merozoiti e avviene negli organi interni. Si tratta di varietà affine del parassita estivo-autunnale o di variabilità della durata del ciclo di vita dello stesso parassita? A questa seconda interpretazione farebbe inclinare il fatto che il tipo quotidiano si suole vedere più frequentemente nelle recidive delle febbri da Plasmodium falciparum. Mentre il tipo terzanario è riconosciuto da tutti, non è altrettanto del tipo quotidiano, il quale viene considerato come una terzana doppia, quotidiana terzanaria, da Pl. falciparum.

In questa infezione le febbri intermittenti irregolari per l'ora dell'insorgenza dell'accesso, per la durata di questo e per l'andamento della curva febbrile, sono più frequenti che nelle altre specie. Occorrono inoltre infezioni miste, delle quali la più frequente è quella del Plasmodium falciparum e del P. vivax. Di rado s'osservano andamenti febbrili singolarmente complessi per le infezioni miste, perché delle specie parassitarie coesistenti, una di regola è la predominante, e da questa procede il tipo febbrile. L'infezione da P. vivax può rimanere latente e alternarsi con l'infezione estivo-autunnale o manifestarsi sola con le recidive primaverili, dopo la guarigione dell'infezione da P. falciparum.

Le febbri estivo-autunnali descritte con gli accessi a tipo terzanario o quotidiano, possono nascere o divenire continue, come, meno frequentemente, avviene nelle infezioni terzanarie o quartanarie; e allora si chiamano subcontinue, per significare la continuità che procede da una febbre di sua natura intermittente. La subcontinuità può manifestarsi come avviene spesso al principio della malattia; in altri casi il passaggio dall'intermittenza alla continuità può verificarsi per prolungamento degli accessi, per anticipazione o per raddoppiamento di questi. Le febbri subcontinue estivo-autunnali hanno sempre l'impronta della gravità; la durata dipende dalla cura specifica, senza la quale la malattia si protrae per alcuni giorni con esito spesso letale; ma può gradatamente attenuarsi.

È in questo gruppo di febbri malariche prodotto dal Plasmodium falciparum che si può manifestare la perniciosità. La quale nei nostri climi s'osserva nell'estate e nell'autunno, con rari casi nelle prime settimane dell'inverno, e poi non si osserva più fino all'estate seguente. La perniciosità si manifesta di regola nell'infezione recente nei primi attacchi o nelle primissime recidive, com'è dimostrato dalla clinica e dall'anatomia patologica, dalla quale, nelle autopsie di perniciose, risulta il tumore acuto della milza, simile al tumore tifoso con la differenza che è più molle e di colore rosso scuro. La manifestazione della perniciosità soltanto nell'infezione acuta rende ragione della sua assenza nell'inverno e nella primavera, stagioni nelle quali non si prende la malaria.

Nel Plasmodium falciparum, onde procede la perniciosità, si riconoscono proprietà biologiche che possono, almeno in parte, spiegare la sua malignità; e queste sono: a) la maggiore attività di moltiplicazione, che s'induce dalle grandi cariche parassitarie nelle perniciose nel sangue delle periferie e dei visceri; dal periodo più breve d'incubazione nella malaria estivo-autunnale; dal maggior numero di merozoiti nelle singole sporulazioni; b) la maggiore tossicità o virulenza clinica dimostrata dalla gravezza dei sintomi, dalle frequenti successioni morbose, dalle alterazioni regressive nei parenchimi viscerali: c) una maggiore resistenza all'azione di sali di chinina dei quali, a domare l'infezione, si richiedono dosi più elevate di quelle necessarie per la cura della quartana e della terzana semplice. Ricordiamo, inoltre, la sede di moltiplicazione nei vasellini sanguigni dei visceri interni, onde l'eventuale blocco circolatorio dall'ammassamento di globuli rossi parassitiferi. S'è già ricordato che nella specie del Pl. falciparum si raccolgono razze geografiche (strains; S. P. James, ecc.), le quali, non differenti morfologicamente, possono essere distinte per la virulenza clinica, le reazioni immunitarie e altre proprietà biologiche. Così verrebbe spiegata il vario grado di malignità delle endemie malariche da Pl. falciparum nelle varie regioni.

La perniciosità può manifestarsi o in un accesso di febbre, di solito terzana, o nel decorso di una febbre subcontinua. Nel primo caso si tratta della febbre perniciosa comitata; perché l'accesso febbrile è accompagnato da un sintomo o da una sindrome di somma gravità, che insorge in modo rapido e talora inopinato e fulmineo: Talis repente fit", come dice F. Torti, "ob adjunctum aliquod ferale et peculiare symptoma morbo ipso, quem mentitur, deterius". E la perniciosa comitata prende vario nome secondo la qualità del sintoma o della sindrome, che la caratterizza. Le perniciose comitate, il cui sintoma deriva dall'offesa del sistema nervoso, sono: l'apoplettica o letargica, la delirante, la tetanica, la meningitica, l'epilettoide, la paralitica, la bulbare, ecc., delle quali la più frequente è la prima. Dall'offesa del cuore ha origine la perniciosa anginoide e sincopale; dall'apparecchio vascolare hanno origine le perniciose emorragiche, nelle quali il sintoma minaccioso sono le emorragie non soltanto nella pelle, ma da tutte le mucose, onde le anemie acute letali. Dall'apparecchio digerente hanno origine la perniciosa colerica con una sindrome simile a quella del vero colera, e la perniciosa enterorragica e dissenterica. A queste perniciose s'aggiungono la perniciosa algida, nella quale, come dice il Torti, "frigus quoddam mortiferum incipienti paroxysmo jungitur" e l'ammalato diviene tutto freddo come il marmo, conservando l'intelligenza fino alla morte, che è l'esito più frequente; la perniciosa diaforetica, nella quale al sudore profusissimo s'aggiungono i sintomi del collasso e l'ammalato, con la mente integra, "sentit se paullatim mori"; la perniciosa emoglobinurica, nella quale il sintoma dominante è l'emissione di urine rossoscure, perché contengono la sostanza colorante del sangue, l'emoglobina, dissociata dai globuli rossi.

La perniciosità nella febbre subcontinua è caratterizzata, come diceva G. Baccelli, da una generale condizione morbosa che può simulare un'altra malattia; e, secondo questa somiglianza, la subcontinua prende il nome di tifoidea, perché simula la febbre tifoidea; di itterica somigliante all'ittero infettivo; di pneumonica, perché accompagnata da sintomi di congestione polmonare simulanti il primo stadio della polmonite. Inoltre nel decorso d'una febbre subcontinua può insorgere all'improvviso uno dei sintomi della malignità delle perniciose comitate. Le infezioni perniciose si dicono febbri perniciose, perché sono accompagnate dalla febbre; occorrono peraltro casi rari nei quali, come si è già ricordato, la febbre è assente, e allora si parla di perniciose larvate.

Dal brevissimo cenno delle forme cliniche della malaria estivo-autunnale perniciosa, se ne comprende la molteplicità e l'aspetto proteiforme, onde le eventuali difficoltà della diagnosi differenziale, che non consente indugio, perché spesso decide della vita o della morte del malato.

I dati parassitarî dell'infezione perniciosa sono: la presenza del Plasmodium falciparum e l'abbondanza dei parassiti, della quale si può giudicare quando si tenga conto così dell'esame del sangue periferico come del contenuto parassitario dei vasellini sanguigni dei visceri nei casi letali. Occorrono eccezioni di perniciose con scarsi parassiti, e ciò può avvenire nel principio delle epidemie. Nelle perniciose con febbre intermittente l'esame del sangue rivela la presenza dei parassiti tutti intorno allo stesso stadio di vita; dunque una sola generazione parassitaria; mentre nelle perniciose con febbre subcontinua occorre di vedere più generazioni parassitarie.

L'offesa grave e profonda che la malaria perniciosa apporta all'organismo e agli organi, onde ebbero origine i sintomi perniciosi, si rileva dalle successioni morbose, che non raramente seguono gli attacchi perniciosi; come lo stato anemico secondario grave, e, dopo le perniciose d'origine cerebrale, le sindromi nervose di varia forma, di varia durata, per la cui genesi si devono ricordare le emorragie puntiformi del cervello, non infrequenti nelle perniciose comatose, e le alterazioni regressive delle cellule nervose, tossiche e ischemiche, per l'ammassamento nei vasellini sanguigni cerebrali dei globuli rossi con parassiti nella moltiplicazione, onde il letargo e gli altri sintomi cerebrali.

Nessuna perniciosa è assolutamente letale; anche una perniciosa letargica con polso piccolo, frequente, con la respirazione stertorosa; una perniciosa colerica giunta all'algidismo, possono terminare con la guarigione se si arrivi in tempo con la cura, e questa venga bene eseguita.

Infezione malarica cronica. - L'infezione malarica può avere un decorso acuto e cronico: acuto, quando, dopo l'attacco primitivo con un numero vario di accessi febbrili, si ha la guarigione spontanea, o, come avviene più spesso, per virtù della cura specifica; cronico, quando l'infezione dell'organismo continua per mesi e anni. Il decorso cronico si può verificare in tutte le specie dell'infezione malarica con varia durata. Nell'infezione cronicȧ si devono distinguere i casi nei quali l'infezione è avvenuta una sola volta da quando la malattia si fece cronica, da quei casi nei quali hanno luogo successivamente nuove infezioni. Dei primi casi si ebbero esempî nei soldati, i quali, dopo la guerra, da regioni malariche andarono a soggiornare in paesi salubri: l'infezione estivo-autunnale si estinse più presto dell'infezione terzanaria benigna, le cui tarde recidive sogliono manifestarsi nella primavera.

L'infezione malarica cronica si riconosce: a) per gli accessi febbrili che si ripetono a intervalli più o meno lunghi; b) per il tumore della milza; c) per lo stato anemico secondario e per le conseguenze di questo. Nelle regioni malariche l'infezione cronica si diagnostica in molti casi agevolmente per la tinta terrea speciale della pelle, per il ventre tumido, per la denutrizione e per la fiacchezza e il torpore fisico e mentale. Le recidive delle febbri malariche si manifestano, come s'è detto, con intervalli di varia durata in tutte le specie di malaria e, quando non avvengano nuove infezioni, si fanno col tempo sempre più miti e gradatamente si estinguono. Vi sono casi nei quali cessano le recidive febbrili ma rimangono i parassiti del sangue; segno dell'immunità o, meglio, tolleranza, acquistata dagl'individui. Sulla genesi delle febbri recidive si è molto discusso, specialmente per le recidive a lunghi intervalli, dette anche ricorrenze. All'opinione che queste procedano da parassiti asessuati, che, dopo la guarigione del primo attacco, rimangono a soggiornare nell'organismo nascosti nei visceri interni, specialmente la milza e il midollo delle ossa, con la continuazione della schizogenia in misura assai ridotta, si contrappone che le recidive siano provocate dai gameti e propriamente dalla moltiplicazione dei macrogameti senza la fecondazione, cioè per la partenogenesi. Ma se fu osservata da alcuni la partenogenesi o la moltiplicazione dei macrogameti del Plasmodium vivax; a nessuno finora è riuscito d'osservare una vera moltiplicazione dei macrogameti semilunari del Plasmodium falciparum. G. B. Grassi, che fu il primo a sostenere che dalla riproduzione partenogenetica dei gameti originassero le recidive, abbandonò poi questa supposizione e inclinò per la prima opinione; cioè che le recidive sono provocate dalla ripetizione del processo che ha determinato l'ascesso di prima invasione, e quindi dalla persistenza e dalla moltiplicazione di parassiti del ciclo asessuato. E questa è l'opinione oggi dominante.

Il tumore della milza e del fegato è un sintoma costante nell'infezione malarica cronica, come durante la vita si rileva dalla palpazione dell'addome. Il grado del tumore splenico dipende principalmente dalla durata dell'infezione, e nei bambini e nei fanciulli suole formarsi più rapidamente che negli adulti. La milza ingrandita può divenire mobile e poi per le aderenze fissarsi in una regione più bassa dell'addome. Un avvenimento gravissimo, ma raro, è la rottura della milza malarica o per caduta o per traumi sul ventre o per movimenti naturali del corpo o anche spontaneamente. La conseguenza immediata della rottura è un versamento abbondante di sangue nella cavità del peritoneo. Senza l'intervento chirurgico pronto, l'esito è sempre letale.

Una condizione anemica accompagna l'infezione malarica cronica come si rivela dal pallore della pelle e delle mucose e dall'esame del sangue; onde risulta la diminuzione dei globuli rossi e alterazioni morfologiche di questi proprie dell'anemia secondaria. L'anemia suole essere maggiore nell'infezione estivo-autunnale; a ogni recidiva si ha nuova riduzione di globuli rossi, sebbene meno grave delle infezioni primitive e delle precedenti recidive. Se queste sono frequenti, e se l'infermo non vive in buone condizioni igieniche, allora si possono verificare gli stati anemici gravi così frequenti a vedersi nelle regioni di malaria maligna nei fanciulli spesso con anasarca. In questi stati anemici si svolgono non di rado malattie infettive d'altra natura, specialmente la polmonite, con decorso e con esito più frequentemente letale, che negl'individui normali.

A proposito della malaria cronica s'è già ricordato che nelle regioni iperendemiche si vede che gl'individui, che vi sono nati, dopo avere sofferto di malaria nell'infanzia e nella fanciullezza, hanno acquistato l'immunità contro le manifestazioni cliniche delle reinfezioni e, senza il pericolo di perniciosità, pure albergando parassiti nel loro sangue, possono continuare a soggiornarvi, lavorando attivamente. Sulle reazioni immunitarie nella malaria lo studio sperimentale nell'uomo, nell'occasione della malarioterapia, ha rivelato fatti importanti; fra i quali che l'immunita acquistata contro la terzana benigna non ha efficacia contro la terzana maligna; e che può essere limitata a una varietà della stessa specie.

La cachessia malarica è lo stadio più avanzato del deperimento organico prodotto dalle infezioni ripetute e dalle loro conseguenze. Nessuna età è risparmiata; e fra i bambini se ne vedono di cachettici con deficiente sviluppo, con stati distrofici, fino all'infantilismo. L'anemia grave, il tumore splenico talora enorme, l'epatomegalia, il dimagramento, l'anoressia, le dispepsia e la diarrea, le emorragie frequenti dal naso e dalle gengive, sono i sintomi principali della cachessia; dai quali sono spiegati il pallore terreo, la debolezza, l'apatia, l'affanno nei movimenti, le palpitazioni, i disturbi nervosi. Dalla cachessia malarica, a differenza di altre cachessie (cancerosa, addisoniana, ecc.) gl'infermi possono gradatamente riaversi, se, lasciato il sito malarico, cessate le recidive febbrili, ripristinata la normalità delle funzioni digerenti, si provveda al miglioramento della sanguificazione e della nutrizione. Questo miglioramento fino alla guarigione, s'ottiene con maggiore facilità e in minore tempo nei fanciulli cachettici, che dalle regioni malariche vengano trasferiti in sanatorî situati in luoghi salubri.

Profilassi. - La profilassi nella malaria, dopo le recenti conquiste dell'etiologia, con la guida di queste, è uscita dall'empirismo; nel quale peraltro lo scopo, cui precipuamente si mirava da tempi remotissimi, era la rimozione delle acque stagnanti giudicate come la condizione necessaria per lo sviluppo delle epidemie. Intorno a questo argomento s'è raccolta dal principio del sec. XX una letteratura copiosa, onde si rendono manifesti gli ostacoli, le difficoltà, le complicazioni di varia natura che s'incontrano nelle varie regioni malariche, e si dimostra che il problema della profilassi non è così semplice e facile, come si credeva quando si conobbe come si prendono le febbri. Ci limiteremo a un cenno delle opere profilattiche riconosciute più efficaci.

I provvedimenti profilattici riguardano l'uomo, le zanzare, l'ambiente malarico. I primi sono diretti a preservare l'uomo sano dall'infezione o dalla malattia, a curarlo prontamente nelle infezioni recenti e a continuare il trattamento nell'infezione cronica.

La prevenzione dall'infestazione dei parassiti malarici, e quindi dalla puntura delle zanzare che ne sono le portatrici, si consegue con la difesa meccanica per mezzo dell'applicazione delle retine metalliche eseguite e messe a posto, lege artis, alle finestre, alle porte, alle cappe dei camini e a tutte le aperture, anche le più piccole, delle abitazioni, delle baracche, degli uffici, ecc. È indispensabile la vigilanza da parte di persone competenti dell'applicazione tecnicamente esatta e conveniente delle retine metalliche; e l'ispezione della loro integrità deve essere quotidiana ed eseguita con disciplina militare. A preservare dalle punture le persone obbligate a rimanere all'aperto nelle ore della notte, come le sentinelle, i ferrovieri, ecc., si daranno veli e guanti lunghi; e a difendere le persone che devono dormire in camere indifese è necessario una zanzariera intorno al letto, bene eseguita e bene applicata. Si ricordi alle madri di proteggere i bambini, che dormono, dalla puntura delle zanzare con ampi veli bianchi discosti dal corpo.

Alla difesa meccanica, che è una norma di preservazione di prima importanza, specialmente quando non possa eseguirsi seriamente, si aggiunge la profilassi chininica: l'uso, cioè, della chinina, con lo scopo d'impedire che i parassiti inoculati dalle zanzare, raggiungano, moltiplicandosi, la carica provocatrice della febbre; onde questo metodo profilattico è detto una cura chininica preventiva, non quindi una profilassi causale, ma una profilassi clinica, perché, se non può impedire l'infestazione parassitaria, la combatte precocemente, e quindi elimina la causa dello sviluppo dei sintomi, il primo dei quali è la febbre. Si è molto discusso, non sempre imparzialmente, sull'efficacia e sull'opportunità della profilassi chininica. A ogni modo, quando si è obbligati, nelle stagioni di endemia malarica, a soggiornare in luoghi ove quella domina, specialmente se di malaria grave, la chinizzazione preventiva è fortemente consigliata da malariologhi eminenti, cominciando da Laveran, lo scopritore del parassita, allo scopo di attenuare l'infezione e di eliminare la mortalità per malaria. Sulla dose della chinina e sul tempo di prenderla, alcuni ne propongono l'uso tutti i giorni alla dose di mezzo grammo e anche più nei luoghi di malaria perniciosa; altri consigliano di prendere la chinina a dose curativa ogni quattro o cinque giorni o per due giorni consecutivi ogni settimana. Sebbene i due metodi si ritengano efficaci, il primo, continuo giornaliero, sembra preferibile al discontinuo, ed è il più consigliato. La profilassi clinica per la chinina, perché raggiunga il suo scopo, deve essere eseguita lealmente da tutti i lavoratori, senza interruzione, e vigilata da persone convinte dell'efficacia del metodo e che abbiano la capacità di vincere i pregiudizî contro la sua pratica.

Ai mezzi di difesa accennati si devono aggiungere tutti quei provvedimenti igienici che riguardano l'alimentazione, l'abitazione, il lavoro, ecc., diretti a mantenere normali la nutrizione e la sanguificazione degli organismi, perché non se ne affievoliscano l'energia e la resistenza. Rientra nella profilassi la cura pronta della malaria primitiva allo scopo d'impedire la formazione dei gameti e a rendere meno frequenti le recidive; si aggiunga inoltre la cura della malaria cronica, la cosiddetta bonifica umana nelle stagioni interepidemiche, diretta a diminuire il numero dei recidivi portatori di gameti, onde s'infettano le nuove generazioni di anofeli, provocatrici dell'esplosione delle nuove epidemie.

Intorno alle opere dirette contro le zanzare malarigene, si sono fatte molte osservazioni ed esperienze nelle varie parti del mondo, e si è scritto e discusso largamente, onde l'indizio che non si tratti di cosa semplice e agevole. A compiere bene la lotta contro le zanzare malarigene, è necessaria la conoscenza della storia naturale, della biologia degli anofeli, e in particolare delle specie, e delle varietà che nelle singole regioni sono responsabili della trasmissione, nonché dei loro istinti e abitudini. Le misure antilarvali nel periodo della vita acquatica delle zanzare, si comprendono nella cosiddetta piccola bonifica, e sono dirette a sopprimere o a rendere disadatto l'ambiente necessario allo sviluppo delle larve, o a provocare direttamente la morte di queste. Tra le prime sono le colmate delle depressioni del terreno, ove sono raccolte di acque stagnanti; la pulitura periodica e il diserbo delle superficie delle sponde, del fondo dei fossi, dei solchi d'irrigazione, dei canali di bonifica; tra le seconde è lo spargimento sulla superficie delle acque stagnanti di sostanze che impediscano alle larve di respirare e di alimentarsi e siano loro venefiche, come sono il petrolio, il carburolo a migliore mercato del primo, il verde di Parigi, che è un aceto-arsenito di rame che viene mescolato con cento volumi di polvere inerte, passata per lo staccio e poi con un soffietto se ne ricopre la superficie delle acque. Per la distruzione diretta delle larve si utilizzano pesciolini, che le divorano, fra i quali il preferito è la Gambusia affinis, trasportato dall'America del Nord, che vive nelle acque poco profonde e anche salmastre, che prende il suo alimento alla superficie delle acque, come fanno le larve; è viviparo e i piccoli, fino a 100 da una sola femmina, attaccano appena nati le larve e le divorano. Dovunque sono acque stagnanti in Italia fu messo questo pesciolino, che si acclima subito, e ora ha vita prosperosa dovunque. Perché l'azione larvicida della Gambusia sia bene efficiente, è necessario che la superficie delle acque sia completamente libera da qualsiasi vegetazione. Un'opera di grande importanza nei luoghi di malaria grave è l'eliminazione delle acque salmastre, perché in queste preferiscono svilupparsi le larve di quelle varietà anofeline, che hanno preferenze alimentari per l'uomo. Alla distruzione delle larve nelle acque, si deve accompagnare la distruzione delle zanzare adulte, specialmente nelle case, dove dimorano malarici, le quali sono veri focolai conservatori di malaria, perché le anofeli, se non molestate, possono vivere lungamente anche per mesi; e, se infette, dopo avere punto molte persone, avere sempre sporozoiti nelle ghiandole salivari e oocisti nello stomaco; e continuare quindi a essere infettanti. L'ora propizia per la cattura delle zanzare, che sono nascoste in una camera, è il crepuscolo della sera, perché quegl'insetti in quell'ora hanno l'istinto d'uscire all'aperto e quindi si raccolgono sui vetri delle finestre o sulle retine metalliche e ne è agevole la distruzione. Si conoscono molte sostanze zanzaricide, come le fumigazioni di zolfo, adoperate in America contro la febbre gialla. Un mezzo efficacissimo, di recente preparato, e già d'uso comune, è il Flit (petrolio splendor, piretro, salicilato di metile), che è un liquido d'odore non ingrato, che mediante una pompa viene spruzzato in quantità sufficiente, secondo l'ampiezza delle camere, le cui porte e finestre devono essere chiuse prima di cominciare lo spruzzamento, e chiuse devono rimanere per venti o trenta minuti dopo, se si vuole che tutte le zanzare della camera siano realmente morte, non soltanto addormentate, come avviene per alcune fumigazioni. È consigliata anche la distruzione delle zanzare ibernanti nelle parti più riparate delle abitazioni, nelle cantine e nelle stalle.

Altro metodo di difesa contro le zanzare è la zooprotezione (ideata dall'italiano Bonservizi), che si applica per il bestiame domestico stabulato, esposto alla puntura delle zanzare allo scopo di deviare queste dalla puntura dell'uomo. Le stalle e i porcili devono trovarsi fra le sorgenti anofeligene e le abitazioni e allora in quelli più facilmente si raccolgono a migliaia gli anofeli e risparmiano le abitazioni degli uomini. Nella borgata di Ardea, sopra un poggio nell'Agro Romano, molto malarica per la presenza di grande numero di anofeli dalle uova grige, una cintura di porcili tra il borgo e i sottostanti fossi anofeligeni ha ridotto l'invasione delle zanzare nelle abitazioni dal 70% delle catturate, al 9,7% con notabile diminuzione del numero dei malarici. E ciò soltanto nel primo anno dell'impianto della protezione dei porcili, che fu nel 1932 (G. Escalar). Alla zooprotezione si collega il problema di grande importanza nella malariologia dell'anofelismo senza malaria, cioè di regioni dove vivono numerosi gli anofeli e non si verificano epidemie malariche. Da alcuni ricercatori si pensò che per la presenza di copioso bestiame domestico regolarmente stabulato, si producano trasformazioni biologiche permanenti nella fauna anofelica, onde la genesi di razze anofeliche zoofile, misantrope, come dice Grassi. Da recenti ricerche risulterebbe che dell'Anopheles maculipennis si distinguono, come si è già ricordato, parecchie varietà, delle quali alcune sono frequentemente associate con l'uomo e si trovano nelle regioni di malaria endemica; altre, che vivono più associate con gli animali nelle stalle e si trovano nelle regioni di anofelismo senza malaria. Da ciò risulta la grande importanza dell'abbondanza di animali domestici stabulati nelle regioni malariche, per offrire alimento e ricovero alle razze anofeliche zoofile e deviarle dalle abitazioni.

Della profilassi antimalarica, infine, fanno parte le opere dirette al risanamento dell'ambiente; alla rimozione cioè delle cause locali dell'insalubrità, che si riassumono nella presenza di acque stagnanti alla superficie del suolo; che è la condizione necessaria allo sviluppo delle zanzare. A questo scopo hanno mirato tutte le opere di bonifica idraulica eseguite dalla più remota antichità ai nostri giorni; ora non più dall'empirismo, ma guidate dalla conoscenza esatta del nemico da combattere e dei focolai dove si annida. L'immancabile utilità delle opere di bonifica idraulica, compresa la piccola bonifica, è dimostrata dalla scomparsa di endemie malariche circoscritte conseguita con quelle opere. I lavori delle grandi bonifiche idrauliche, che nelle regioni estese malariche devono precedere la redenzione della terra, la trasformazione agraria, come la sistemazione dei bacini montani, l'allacciamento delle sorgenti, i pozzi assorbenti, le grandi colmate, la sistemazione dei laghi, i congegni per impedire la formazione di raccolte di acque salmastre, il prosciugamento delle paludi con le macchine idrovore, ecc., sono di spettanza dell'ingegneria idraulica. Nella bonifica integrale, secondo la legge Mussolini, i lavori di piccola e grande bonifica idraulica sono integrati con altre opere come il rimboschimento dei monti, le nuove strade nelle estese pianure, le condutture d'acqua potabile, le case rurali igieniche, le borgate rurali, le scuole, le fattorie, le stazioni sanitarie e altre opere, per le quali quelle regioni, prima malsane, possano essere colonizzate da lavoratori, non più insidiati dalla malaria, nel benessere igienico ed economico. La bonifica integrale è già compiuta in alcune regioni d'Italia, come in ampie tenute dell'Agro Romano, e si va compiendo con alacrità e con rapidità ammirevoli in altre regioni come nelle Paludi Pontine, il cui completo bonificamento meravigliosamente progredito apporterà notabile beneficio economico e sarà di grande onore alla nazione. Una vigilanza igienico-sanitaria sufficiente, competente, disciplinata, pemanente con tutti i mezzi necessarî, dev'essere sempre operosa nelle regioni malariche, dove si eseguono le grandi bonifiche e dove avviene l'immigrazione di lavoratori da regioni salubri e quindi senza immunità acquisita; e la sua sicura efficacia per la diminuzione della morbilità e la scomparsa della mortalità è dimostrata dall'esperienza.

Cura. - Nella malaria, come in altre malattie d'infezione, si può verificare la guarigione spontanea per virtù delle forze della natura con la semplice cura igienica. Ma delle infezioni perniciose non si conosce la guarigione spontanea; e G. M. Lancisi, a proposito delle perniciose, osservate in un'epidemia della città leonina in Roma nel 1695, diceva: "Vix ulli fuerunt, quos a tam diro morbo solo natura vindicavit". Con l'avviamento alla guarigione spontanea si osserva la diminuzione dei parassiti, dei quali si vedono forme di degenerazione; l'aumento dei fagociti; e, dopo alcuni giorni, la presenza dei gameti, i quali essi pure, dopo un certo tempo, degenerano e muoiono, se non vengano succhiati col sangue dalle zanzare. La guarigione spontanea si osserva, in varia percentuale, nella malaria benigna provocata per la malarioterapia, e, a questo scopo, e perché benigna, lasciata decorrere senza cura. Ma ciò non si deve fare nella malaria spontanea, specialmente nell'infezione da Plasmodium falciparum, con lo scopo di conseguire l'immunità, la quale richiede molto tempo; e poi, lasciando l'infezione senza la cura specifica nel primo periodo, possono insorgere forme perniciose; e si formano i gameti, onde si propaga la malaria; e aumenta la perdita dei globuli rossi.

Il tempo che si richiede per la guarigione dell'infezione malarica, se non avvengano reinfezioni, dipende in gran parte dalla cura specifica: se questa, nelle infezioni primitive, venga fatta a tempo e bene, si otterrà la guarigione rapida e potranno evitarsi le recidive; se la cura si ritardi o non si esegua bene, allora l'infezione può prolungarsi per mesi con recidive febbrili a varî intervalli, con maggiore durata nella malaria benigna, e poi gradatamente vedersene la guarigione, la quale è più rapida nella malaria maligna da Pl. falciparum, come s'è osservato nei soldati malarici ritornati dopo la guerra in regioni non malariche. Le recidive di terzane benigne si sogliono verificare anche dopo molti mesi di latenza, come viene dimostrato dalle recidive primaverili di quella infezione presa nell'estate.

Nel 1640 la corteccia di China, il Cortex peruvianus, venne riconosciuto il rimedio specifico della malaria. Fu chiamata Cinchona da Linneo in memoria della contessa di Cinchon, moglie del viceré spagnolo del Perù, la prima europea guarita dalla febbre intermittente con la corteccia prodigiosa; l'azione terapeutica della quale si deve agli alcaloidi che contiene, fra cui la chinina preparata nel 1820 da P.-J. Pelletier e J.-B. Caventou.

Sull'assorbimento e sull'eliminazione della chinina e la sua sorte nell'organismo umano si fecero molte ricerche. L'eliminazione della chinina dall'organismo avviene in gran parte per le urine, nelle quali, data in dosi terapeutiche, si rivela dopo 5, 15, 20, 30 minuti, secondo che l'introduzione avvenne per iniezione dentro le vene, per iniezione sotto la cute o nei muscoli o per la via della bocca o per la mucosa del retto. Il massimo dell'eliminazione si raggiunge dopo 6, 8, 10 ore; la scomparsa dalle urine avviene di regola dopo 3 giorni. La chinina non soggiorna lungamente nel sangue, nel quale, e negli organi emopoietici, compie la sua azione parassiticida. La chinina si ritrova nei globuli rossi quando già è scomparsa dal plasma sanguigno, e nella milza è in quantità maggiore che in altri organi e nello stesso sangue circolante. Della chinina introdotta a stomaco pieno, sebbene ne sia ritardato l'assorbimento, la quantità eliminata è maggiore di quando sia presa a stomaco vuoto.

Sul modo di agire della chinina, il più attivo antimalarico contenuto nella corteccia, si fecero in passato parecchie ipotesi; si diceva dai medici antichi che distruggesse il fermento febbrile. Dopo la scoperta dei parassiti si poté, con l'osservazione diretta, indagare i mutamenti, le alterazioni degli stessi dopo la somministrazione della chinina fatta in varî momenti della febbre e dell'apiressia e rispettivamente nelle varie fasi di vita dei parassiti. Da tali osservazioni risulta che nelle febbri quartana e terzana, come nelle febbri estivo-autunnali, la massima e più rapida azione del rimedio si esercita sulla fase di vita extraglobulare dei parassiti, che segue alla loro moltiplicazione; in corrispondenza, cioè, dell'inizio dell'accesso febbrile. Sulle altre fasi di vita del parassita si può dire che la chinina agisce impedendone la nutrizione e lo sviluppo e provocando l'uscita dei parassiti giovani dai globuli rossi; ma la chinina è inefficace ad arrestare il processo di moltiplicazione, appena questo sia iniziato, e sulle forme sessuate adulte la chinina ha debole azione. Da tali dati si ha la conferma delle norme già date per l'uso di tale specifico dai medici esperti, come quella di somministrarne la più forte dose poco tempo prima dell'accesso aspettato; quando, cioè, avvenendo la moltiplicazione dei parassiti, le forme giovanissime della nuova generazione, i merozoiti, si trovano libere nel plasma e sono quindi più esposte all'azione parassiticida del rimedio.

La cura della malaria primitiva fatta a tempo, possibilmente nel primo accesso febbrile, con la chinina in dose sufficiente e continuata per il tempo necessario, guarisce in breve tempo e può salvare dalle recidive. Il ritardo della cura, la cura non condotta secondo le norme, sono le cause del prolungarsi della malattia, prescindendo dalle reinfezioni, e dell'esito letale nella malaria maligna. Non è esagerazione affermare che si muore di malaria o per sbaglio della diagnosi o per incuria dell'ammalato, della famiglia o del medico. Lancisi scriveva, a proposito dell'efficacia meravigliosa della corteccia di china nelle perniciose; "si cui, propter incuriam, vel serum medici adventum, tardus propinabatur, eius salus plerumque desperanda". Ecco la ragione della necessità che, nelle regioni di malaria grave, la vigilanza sanitaria sia fatta da medici competenti, abili nella diagnosi pronta delle varie forme di malaria grave, perché l'indugio della cura può costare la vita dell'infermo. Per la conoscenza sull'immunità acquisita con persistenza dell'infezione latente, si consigliò recentemente di essere parchi nell'uso del rimedio specifico o anche di astenersene allo scopo di agevolare e non turbare il processo immunitario; ma se ciò si deve fare nella malaria provocata a scopo di cura e si può fare in alcuni casi di malaria benigna, non è lecito nella pratica in regioni endemiche di malaria maligna, dove, senza una cura pronta, sufficiente e bene eseguita, si possono avere sorprese dolorose, già deplorate da Lancisi.

Nelle febbri di malaria benigna, quartana e terzana dal Pl. malariae e dal Pl. vivax, nelle quali è assente il pericolo della perniciosità, con la somministrazione di un sale di chinina nella dose per gli adulti di un grammo o di un grammo e mezzo alla fine dell'accesso e della stessa dose prima dell'accesso aspettato, si otterrà certamente la cessazione degli accessi febbrili, perché per la prima dose si agisce contro le forme giovani endoglobulari, con la seconda contro i parassiti figli appena nati e liberi nel plasma. Cessata la febbre, si continua l'uso della chinina nella stessa dose per otto o dieci giorni; poi per un mese a giorni alterni se si tratta di terzana, ogni tre giorni se di quartana; e due volte alla settimana per un altro mese.

Nelle febbri estivo-autunnali, dal Pl. falciparum, se i sintomi e il reperto parassitario non richiedono una cura prontissima, si può attendere per la somministrazione della chinina la fine dell'accesso; e poiché l'apiressia tra gli accessi della terzana maligna è breve, ne consegue che la prima dose di chinina, in quantità maggiore di quella nelle febbri benigne, viene somministrata nelle ore precedenti l'accesso aspettato. Nelle infezioni, nelle quali dai sintomi e dall'esame del sangue si vede che la vita è in pericolo, la chinina, in dose anche maggiore, dev'essere data prontamente, in qualsiasi stadio dell'accesso febbrile. E la cura chininica dev'essere poi continuata dopo la cessazione della febbre, come nella terzana benigna.

Nelle infezioni croniche con recidive febbrili, nelle quali il più delle volte la cura con la chinina è disordinata, e con dosi insufficienti, si deve mettere ordine nella cura e dare la chinina nella dose e nel tempo convenienti, tenendo conto del ritorno degli accessi febbrili e del reperto parassitario del sangue. Ottenuto il successo della cura, si deve continuare nell'uso della chinina prima a giorni alterni e poi ogni quattro giorni.

Le vie di somministrazione della chinina sono diverse. La somministrazione per la via della bocca deve essere la regola, e si può essere certi che quando sia fatta tempestivamente e nella dose conveniente ai singoli casi, la guarigione è sicura. Si faranno le iniezioni ipodermiche e intramuscolari di soluzioni di sali di chinina quando, per il vomito o per altre ragioni individuali, non sia possibile la somministrazione per bocca, o nell'apparato digerente siano alterazioni che s'oppongano all'assorbimento della chinina. In casi di perniciosa, d'eccezionale gravità, in condizioni di collasso, si ricorrerà all'introduzione del rimedio nelle vene, perché l'azione del rimedio sia più rapida e raggiunga gli ammassamenti dei parassiti nei vasellini dei varî organi.

Alla cura specifica si deve associare la cura sintomatica (purgativi, riposo, qualità della dieta, ambiente igienico, ecc.), la quale nella malaria non grave aiuta il processo di guarigione spontanea. Nelle febbri gravi, specialmente nelle perniciose, la cura sintomatica, indicata nei singoli casi, è di valido aiuto alla specifica. Nelle convalescenze la buona alimentazione, l'aria salubre, l'arsenico e il ferro varranno a ricostituire l'organismo indebolito e anemizzato.

La chinina, che è un rimedio che ridona la salute e salva la vita, può provocare sull'organismo effetti dannosi di varia natura e di differente gravità; come il molesto ronzio delle orecchie, la diminuzione dell'udito, i disturbi della vista, il tremore, un senso di stordimento e di malessere; e poi la sordità, la cecità per lo più transitorie, le eruzioni cutanee, più frequentemente l'orticaria, le emorragie, i deliquî; questi ultimi, piuttosto rari, conseguenza di un'idiosincrasia di regola congenita. Tra gli effetti dannosi della chinina in dosi terapeutiche ha un posto a parte la emoglobinuria o la febbre ittero-ematurica o febbre con le urine nere (Blackwater fever), con varia frequenza nei varî climi, più nei tropicali, e non tanto rara nei paesi di malaria grave in Italia come nella Campagna Romana e nell'Agro Pontino, e che si manifesta così durante come dopo cessata l'infezione malarica. Se questa infezione può essere causa di emoglobinuria, curabile quindi con la chinina, la maggior parte dei casi di emoglobinuria sono provocati dalla chinina, specialmente nei soggetti con malaria cronica, con recidive febbrili, con ingrandimento della milza e del fegato e con cura disordinata. Bastano anche dosi piccole, gr. 0,20-0,10, di un preparato qualsiasi di chinina a scatenare la sindrome imponente, caratterizzata da febbre elevata con brivido intenso, dall'emissione di urine rosso-scure o nere come caffè, perché contengono la sostanza colorante del sangue, dal disfacimento dei globuli rossi; e dopo poche ore, dalla colorazione itterica degli occhi e della pelle. L'attacco dura 24-48 ore, e lascia l'infermo anemico e prostrato. Non raro è l'esito letale. L'emoglobinuria s'osserva quasi esclusivamente nei climi di malaria grave, e il più delle volte in soggetti che soffrono o che hanno sofferto di malaria estivo-autunnale. da Pl. falciparum. La patogenesi non è ancora bene chiarita. La profilassi consiste nella cura pronta e bene condotta della malaria primitiva.

Molti rimedî furono proposti come succedanei della chinina, sia estratti dalla corteccia di china, sia estranei a questa. Fra i primi sono alcuni degli altri alcaloidi della china, come la cinconina, la chinidina, la cinconidina, la chinoidina. I due primi hanno sicura efficacia antimalarica; ma inferiore a quella della chinina e non sono privi di effetti dannosi. Un preparato, sul quale si può contare, è il chinetum, che in Italia viene preparato dallo stato ed è composto della miscela di tutti gli alcaloidì della corteccia; con il chinetum nella dose di 1 o 2 gr., si troncano rapidamente gli accessi febbrili, si distruggono i parassiti e si prevengono le recidive. Fra i succedanei della chinina non derivati dalla corteccia, ve ne sono d'incerta o di nessuna efficacia. Un preparato arsenicale organico, detto stovarsolo, si è riconosciuto di pronta efficacia contro il Pl. vivax; ma senza effetto curativo nella quartana e nella terzana maligna. La terapia della malaria si è recentemente arricchita di due rimedî sintetici di sicura efficacia, che sono la plasmochina e l'atebrina. La prima, poco efficace contro le forme asessuate, nella dose di 2 cg. il giorno ha azione sicura contro i gameti del Pl. falciparum: li rende incapaci di sviluppo nelle zanzare e li fa scomparire dal sangue; è quindi indicata per la bonifica umana nel periodo preepidemico, somministrata sola o con la chinina. L'atebrina, nella dose di 30 cg. il giorno, si è dimostrata efficace come la chinina contro le forme asessuate del Pl. falciparum nel periodo di prima invasione, e a rendere meno frequenti le recidive. Quando si pensi che gli studî sull'efficacia dei rimedî sintetici contro la malaria proseguono alacremente in tante parti della terra, che ne sono desolate, insieme con le ricerche nel campo della epidemiologia e della profilassi, non sembrerà ardita la speranza che, alle scoperte già fatte, se ne aggiungano altre, per le quali si arrivi finalmente a dominare la funesta calamità della malaria.

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