MALATESTA, Galeotto Novello, detto Galeotto Belfiore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALATESTA (de Malatestis), Galeotto Novello, detto Galeotto Belfiore

Anna Falcioni

Figlio di Galeotto (I), signore di Rimini, e Gentile da Varano, nacque il 5 luglio 1377 a Montefiore Conca. Fratello minore dei più famosi Carlo, Pandolfo (III) e Andrea, nelle fonti fu chiamato quasi sempre Galeotto Belfiore in omaggio al luogo di nascita.

Sin dall'infanzia, il M. fu coinvolto nella rivalità tra Malatesta e Montefeltro e nelle altalenanti tregue che ne seguirono: nel 1382 si stipulò un accordo più stabile, garanti del quale furono eletti Firenze per Galeotto (I), Perugia per il conte Antonio. Intesa ufficializzata, poi, dalla promessa nuziale fra i rampolli più giovani delle due dinastie: il M. e Anna da Montefeltro.

Il 21 genn. 1385 Galeotto (I) morì, consegnando lo Stato ai quattro figli che, secondo l'ormai usitato costume del casato, si spartirono le sfere d'influenza. Il M. ereditò così un territorio composito e altamente strategico, costituito dai centri di Cervia, Meldola, Montefiore, Sassofeltrio, Borgo Sansepolcro e Pieve di Sestino. Ma, data la sua giovane età, per circa un decennio (1385-95) i fratelli Carlo e Pandolfo ne fecero le veci nell'esercizio del ruolo di dominus, in una sorta di governo consortile, successivamente esercitato su delega di papa Bonifacio IX. Questi, infatti, con l'emissione di due bolle (1391, 1399) rinnovò agli eredi di Galeotto (I) tutti i vicariati precedentemente concessi.

Nel frattempo, però, veniva a rompersi il precario equilibrio fra Malatesta e Montefeltro, dato che questi ultimi avevano disatteso la tregua per essersi intromessi nelle questioni di Sassoferrato e aver provocato la conseguente defezione di Carlo dall'alleanza viscontea.

Tutte le fonti concordano nell'indicare un riacuirsi della lotta intorno ai consueti punti nevralgici: Corinaldo, Mondolfo, Cantiano, Sassoferrato e alcune rocche nella zona di Cagli. Il M. combatté a fianco dei fratelli maggiori, conducendo, nel periodo 1391-93, numerose sortite ai danni del Montefeltro; inoltre, per impegnare il nemico con azioni di disturbo anche sul fronte romagnolo si acquartierò provvisoriamente a Sassofeltrio. Per placare l'altalenarsi di trattati di pace e repentini tradimenti, il 27 genn. 1392 Bonifacio IX emise un nuovo lodo di pace fra i fratelli Malatesta e Antonio da Montefeltro. Ma nell'aprile dello stesso anno i quattro fratelli venivano di nuovo richiamati al rispetto dell'intesa.

Dopo quasi un ventennio di guerra ininterrotta, con la pace di Genova del 13 ott. 1393 i due casati stipularono un accordo che garantì nei tormentati territori di Romagna, Marche e Umbria un periodo di relativa tranquillità. Il nuovo patto fu convalidato dall'adempimento di vecchie promesse di vincoli di parentado (1382), inerenti il matrimonio del M. con Anna da Montefeltro, che venne celebrato a Urbino nell'aprile 1395.

La giovane sposa rimase tutta l'estate nella casa paterna e a novembre si trasferì a Rimini. Per onorare le nozze del fratello, Carlo organizzò solenni festeggiamenti nella città romagnola, cui parteciparono signori e cavalieri italiani, e - stando alle affermazioni di Biondo Flavio - fece allestire nella piazza grande di Rimini la rappresentazione del Ludus Troiae. Entrambi i consorti erano in effetti cresciuti in un ambiente cortigiano preumanistico, capace di apprezzare accanto alle tradizioni cavalleresche le iniziali reviviscenze del mondo classico che quel genere di spettacolo, approntato quale dono alla loro educazione e stimolo a proseguirla, evocava. La concordia Montefeltro-Malatesta si consolidava nel 1397 con un ulteriore connubio, le nozze di Guidantonio, figlio del conte di Urbino, con Rengarda figlia di Galeotto (I).

Nell'estate 1394 il M. entrò a tutti gli effetti nel pieno governo dei territori assegnatigli e, in particolare, dello strategico avamposto di Borgo Sansepolcro. Il M. era intenzionato a mantenere una politica estera improntata alla prudenza e alla militanza nelle file della lega fiorentina. Ma sul finire degli anni Novanta gli avvenimenti maturarono nell'ottica del mutamento di fronte, che tutta la casata riminese si apprestava a compiere. Durante l'estate 1399 il M. era a fianco degli Ubaldini nella presa del castello di Montebuono, in territorio di Città di Castello; questa città, gravitante nell'orbita fiorentina e da sempre meta ambita dei dinasti romagnoli, stava rafforzando la cinta muraria di numerose rocche di confine, come Valbuscosa e Montebuono. Il M. vi era giunto al seguito di una numerosa schiera d'armati, cingendo d'assedio il fortilizio e forzandolo alla resa: la città tifernate fu costretta a versare 1000 fiorini per il riscatto degli ostaggi.

Con tale azione il M. contravveniva esplicitamente agli accordi stipulati nel gennaio 1399 con il Comune di Città di Castello, relativi all'obbligo di espellere dai possedimenti malatestiani tutti i fuorusciti provenienti da quel luogo e a non favorire i ribelli; lo stesso impegno era stato sottoscritto dalla controparte. Ciò, se da una lato dimostrava la presenza di forze ostili al signore di Sansepolcro, dall'altro evidenziava la tensione pregressa fra lui e la città umbra. La reazione dei Tifernati non si fece attendere: costoro, infatti, assoldarono la compagnia del guascone Bernardon des Serres, che per una decina di giorni imperversò ad Apecchio, territorio degli Ubaldini.

In seguito a questi avvenimenti, che rischiavano di compromettere equilibri ben più importanti di quelli dell'alta Valtiberina, il M. intraprese una guerra ai danni degli Schianteschi, conti di Montedoglio. Questi, alleati dei Malatesta di Ghiaggiolo e raccomandati di Firenze, assicuravano il controllo delle vie di accesso alla Romagna. Presumibilmente la posizione strategica occupata dagli Schianteschi potrebbe aver alimentato le mire espansionistiche del M., la cui azione armata comportò, di fatto, il coinvolgimento di Galeotto Malatesta di Ghiaggiolo. La Repubblica fiorentina si vide dunque obbligata a intervenire, richiamando all'ordine il M. e convocando i fratelli maggiori per la cessazione delle ostilità. In quest'ottica, se si analizzano le vicende tramandate dalle fonti, le azioni belliche del M. sembrano riflettere un generale progetto di ridefinizione delle alleanze che controllavano l'alta Valtiberina, con l'intento di indebolire la fazione fiorentina a vantaggio di quella viscontea, capeggiata dal M. e dal conte di Urbino.

Tuttavia il giovane M., spalleggiato da una valente compagnia di ventura, non si limitò a operare dal solo avamposto toscano, ma con il consenso del suocero Antonio da Montefeltro e in collegamento con altri capitani di ventura come Mostarda da Strada e Ottobuono Terzi, nell'estate 1399 effettuò numerose sortite nella Marca. Nel luglio-agosto 1399 assediò ed espugnò Montalboddo (l'odierna Ostra), comunità rurale dell'entroterra senigalliese, nonostante la strenua resistenza degli abitanti e del legittimo signore, Onofrio Paganelli. Divenuto signore di Montalboddo, il M. elesse suo vicario Anastasio d'Anghiari e pose sotto controllo ogni ambito della vita comunitaria.

La recente storiografia ha indagato, sulla base di documenti inediti, alcuni aspetti del governo malatestiano a Montalboddo e a Sansepolcro. In entrambi i territori il M. dispose di ogni settore dell'amministrazione pubblica: con pieni poteri di verifica, emanò una serie di provvedimenti a completamento delle norme statutarie. A tali prerogative si aggiungeva la facoltà, per il signore, di nominare i funzionari comunali (podestà, consiglieri, giudici, ecc.), normalmente sottoposti a sindacato, e di controllare tutte le entrate (in particolare dazi, gabelle) e le uscite del Comune, di annullare e cassare le sentenze legalmente pronunciate dai magistrati. Acquisiti pieni poteri, il M. si trovò a governare realtà che differivano non poco fra loro: Sansepolcro infatti basava la propria economia sul commercio e sulla manifattura dei panni; Montalboddo aveva invece una vocazione prettamente rurale. Nel primo caso la crisi generata dalle tensioni con Città di Castello, dalla recessione demografica e soprattutto dalle frequenti scorrerie delle compagnie di ventura, costrinse il M. ad adottare alcune misure protezionistiche: in particolare regolamentò lo smercio dei cereali a un giusto prezzo (1396) e la coltivazione del guado (1395), pianta indispensabile per la tintura dei panni. Il M. aveva poi rivolto la propria attenzione alla produzione e vendita di carne e di pesce, decretando la nomina di due sovrastanti con l'incarico di vigilare sulle norme igieniche e di calmierare i prezzi (1396). Analoga disposizione preventiva venne promulgata l'8 genn. 1400 a Cervia - ove già il M. aveva emanato un atto di clemenza (12 marzo 1396), permettendo ai fuorusciti di ritornare in città e riottenere i beni confiscati - con la quale si vietò lo smercio del sale senza la licenza del signore o dei suoi agenti appositamente deputati.

La gestione amministrativa del M. era imperniata su una politica fiscale abbastanza esosa, da cui si deduce come il giovane signore fosse perennemente assillato da problemi finanziari e costretto a chiedere prestiti in denaro agli usurai ebrei (favorendone in loco l'attività) e ai sudditi più facoltosi, anche per promuovere la vita economica e culturale nei centri sottoposti al suo dominio. Significativa, in tal senso, fu l'assunzione, sia a Sansepolcro sia a Montalboddo, di un maestro di grammatica incaricato dell'istruzione primaria, a spese pubbliche.

Le fonti archivistiche testimoniano che il M. fu pure partecipe delle istanze religiose di fine Trecento, in particolare di quel moto dei bianchi (1399) che diede vita in Italia a una grande manifestazione collettiva penitenziale praticando, tra l'altro, processioni di città in città. Il M. aderì a quel moto di devozione e, il 29 sett. 1399 festa di S. Michele Arcangelo, oltre a vestire la tunica bianca emanò a Sansepolcro un indulto per le pene pecuniarie e personali, ordinando altresì la cancellazione dei relativi processi.

Il M. morì di peste a soli 23 anni a Montalboddo il 15 ag. 1400, senza lasciare discendenza.

Fonti e Bibl.: Guerriero da Gubbio, Cronaca, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 4, pp. 25 s., 31, 33; Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, p. 29; B. Branchi, Cronaca malatestiana, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 169, 171; T. Borghi, Continuatio cronice dominorum de Malatestis, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 76, 81, 86 s.; Biondo Flavio, Triumphantis Romae(, II, Basileae 1559, p. 46; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, IV, Rimini nella signoria de' Malatesti, 1, Rimini 1880, pp. 229, 241, 248, 348 s.; 2, ibid. 1880, pp. 441-443; Honorabilibus amicis nostris carissimis: lettere inedite dei Da Varano, a cura di A. Meriggi, Camerino 1996, pp. 52-54, 57 s.; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino(, II, Rimino 1627, pp. 171-173; F.G. Battaglini, Memorie istoriche di Rimino(, Bologna 1789, pp. 219, 222; F. Corazzini, Appunti storici e filologici su la valle Tiberina(, Sansepolcro 1874, pp. 12-15, 20-30; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 178-186; S. Remedia - B. Morbidelli - G.P.G. Scharf, La signoria di G. Belfiore Malatesti (1377-1400), Rimini 1999.

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