LANCIA, Manfredi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANCIA (Lanza), Manfredi (Manfredo)

Aldo Settia

Secondo di questo nome, marchese di Busca (titolo che, pur spettandogli, non risulta mai usato), nacque verosimilmente nel decennio 1185-95, figlio primogenito di Manfredi (I) e di una donna della quale non sono noti il nome e la famiglia di origine. Il L. compare per la prima volta nelle fonti il 12 maggio 1215 a Farigliano, in veste di "aiuto e consigliere" di Manfredi marchese di Saluzzo; un anno dopo presentava, in qualità di nunzio di Federico II di Svevia, proposte di accordo tra i Comuni di Vercelli e di Casale Monferrato senza che, tuttavia, la sua autorità fosse riconosciuta dal podestà di Vercelli. Ciò rende verosimile l'ipotesi che il L. fosse entrato in contatto con Federico II sin da quando questi, nel 1212, aveva attraversato il Piemonte meridionale, diretto in Germania.

Il 30 dicembre del 1216 il L. compare come teste nel trattato di pace intercorso fra Tommaso I conte di Savoia e Alasia del Monferrato, marchesa di Saluzzo; in favore di quest'ultima il L. intervenne ancora il 17 settembre successivo, mentre nell'ottobre reclamò, anche a nome dei fratelli, gli antichi diritti della sua famiglia su Neive e Barbaresco. Il 9 ott. 1218 Federico II confermava ai Vercellesi il bando loro dato due anni prima dal suo fedele "Mainfredus Lancia", segno che le relazioni fra i due continuavano, così come seguitava il buon accordo del L. con il Comune di Alba: nel 1218-19 egli fu dei pari di Curia in una questione fra tale Comune e gli Scapitta, per i castelli di Novello e Monforte, funzione nella quale compariva anche un suo parente o vassallo, Enrico Semplice.

Da questa data mancano notizie certe della presenza del L. sia in Piemonte sia altrove fino al 1226, quando è attestato alla corte di Federico II in Sarzana. Non appare fuori luogo ipotizzare che egli si trovasse al seguito dell'imperatore sin dal momento in cui vengono meno le notizie della sua presenza in Piemonte e non è improbabile, benché non direttamente documentato, che a questa stessa epoca risalisse il trasferimento dei suoi parenti e vassalli di Agliano e delle famiglie a essi collegate nell'Italia meridionale.

La presenza del L. accanto all'imperatore è documentata dapprima solo sporadicamente - nel maggio 1226 a Pontremoli, nel 1230 a San Germano, nel 1231 a Melfi e a Ravenna - per poi ricorrere in modo sempre più frequente, fino a toccare il massimo nell'anno successivo, quando si contano non meno di dieci presenze a Ravenna, a Venezia e in seguito nell'Italia meridionale a Melfi e a Precina. È questo verosimilmente il periodo in cui era al suo culmine la relazione dell'imperatore con Bianca Lancia, sorella o più probabilmente nipote del L., dalla quale nacquero, proprio in quegli anni, Costanza e Manfredi, destinato a diventare re di Sicilia.

Non è noto se il L. avesse già preso moglie prima del suo trasferimento fuori dell'area subalpina; è stato ritenuto suo probabile figlio un Oberto Lanza, attestato in Piemonte nel 1256, e si può pensare che lo fossero, insieme con Isolda (Isotta), andata sposa a Bertoldo di Hohenburg, tutore di re Manfredi, anche un altro Manfredi (III) presente nel Regno dal 1251 e, forse, Beatrice, badessa di S. Maria di Messina dal 1250 al 1263. Sembra meno probabile che siano da considerare tali anche Galvano e Federico (il primo adulto almeno dal 1240) che furono più verosimilmente suoi nipoti ex fratre, benché le connessioni rimangano assai difficili da stabilire.

Nel 1233 il L. seguì l'imperatore nelle operazioni militari contro i ribelli prima in Sicilia e poi nel Lazio: egli è infatti attestato nel maggio a Messina e nel settembre dell'anno seguente a Montefiascone. È probabile che successivamente avesse accompagnato Federico II anche nella sua spedizione in Germania, avvenuta nel 1235, poiché nel gennaio successivo ebbe l'incarico di fiducia di condurre prigioniero in Puglia il ribelle Enrico re di Germania. Solo nel 1236 il L. era di nuovo in Piemonte, presente alla fondazione del borgo nuovo di Fossano, come ricorda un'iscrizione risalente a quell'anno: non è chiaro se egli agisse in veste di signore locale o come rappresentante dell'imperatore.

Nell'ottobre del 1237 era con Federico II, nella campagna contro la seconda Lega lombarda, negli assedi di Goito e di Montichiari, mentre non è documentata la sua partecipazione, pur probabile, alla battaglia di Cortenuova. L'anno dopo, tra marzo e aprile, assunse la carica di vicario generale dell'Impero "a Papia superius", ambito territoriale corrispondente alle attuali regioni del Piemonte e della Liguria, e già in aprile ricevette in custodia le città di Albenga, Porto Maurizio e Ventimiglia, che avevano aderito all'Impero sottraendosi alla sudditanza genovese. Nominato là un suo vicario, il L. compare accanto all'imperatore nei diplomi da questo emessi nell'aprile del 1238 e nel mese successivo a Pavia e a Cremona, pur agendo, nel frattempo, anche autonomamente contro i nemici dell'Impero: nel mese di maggio metteva infatti al bando gli uomini di Noli, dava il guasto per 18 giorni al territorio di Alessandria e nominava un suo vicario a Moncalieri. In agosto, nel recarsi con i suoi uomini all'assedio di Brescia, si scontrò a Busseto con i Piacentini.

Nel novembre, dopo il fallimento dell'assedio, il L. si trovava di nuovo a Cremona con l'imperatore; nel febbraio del 1239 era di ritorno in Piemonte: da Acqui prendeva provvedimenti in favore del Comune di Chieri mentre raccoglieva un esercito per tornare a combattere, in maggio, contro gli Alessandrini. Nei mesi successivi si mosse contro Piacenza tentando invano di prendere un ponte fortificato sul Po: l'attacco fu ripetuto, ancora inutilmente, in ottobre con la partecipazione dello stesso imperatore.

Nel dicembre 1239 e il 7 marzo 1240 il L. compare in Piemonte in qualità di vicario imperiale, mentre impartisce ordini al podestà di Vercelli; in quel torno di tempo egli agiva anche come detentore di propri poteri signorili, rinnovando l'investitura di località del contado di Loreto a Giacomo Lanzavecchia di Alessandria, segno che aveva potuto far valere gli antichi diritti della sua famiglia su quel territorio.

Al marzo del 1239 viene datato un serventese del trovatore Guilhelm Figueira, fortemente critico verso Federico II, che si conclude con l'espressione: "mando a dire ciò a Manfredi Lancia che conosce e sa qualcosa delle faccende di lui" (Poesie provenzali storiche, p. 146).

È possibile che nel 1240, approfittando della posizione di forza che aveva in quanto alto funzionario dell'Impero, si sia intromesso nelle lotte comunali, allora in atto nel Piemonte meridionale, per rioccupare l'antico possesso familiare di Bene Vagienna, a danno del vescovo di Asti; inoltre intervenne a vantaggio dell'Impero in Lombardia, dove, in quello stesso anno, recuperò il castello di Bimbrio ("castellum Binbrii", Annales Placentini, p. 483), di cui si erano impadroniti i Piacentini; in maggio organizzò una nuova azione militare contro Alessandria e la costrinse a ritornare alla fedeltà all'imperatore assumendone egli stesso la podesteria e trasferendo la propria sede vicariale in quella città.

Nello stesso mese, sempre da Alessandria, il L. impartiva ordini al capitano imperiale di Acqui; in agosto il Comune di Vercelli lo onorò concedendogli una casa e il diritto di cittadinanza; nell'ottobre il L. investì del contado il podestà di Alba, mentre, nel novembre di quello stesso anno, cinse d'assedio il castello di Pietra Ligure, passato nelle mani dei Genovesi. Sul finire del 1240 o all'inizio dell'anno successivo, il vicariato "a Papia superius" fu assegnato dall'imperatore a Marino da Eboli e il L., al culmine dei suoi successi, assunse l'analogo incarico per il territorio "a Papia inferius" che comportava anche la podesteria di Cremona e il comando di un contingente di 400 cavalieri: si trattava di una carica certo assai più importante e impegnativa della precedente, ma meno utile per le sue aspirazioni a ricostituirsi una signoria personale nel Piemonte meridionale.

Sul finire del 1241, mentre continuava a rivestire la carica di podestà di Alessandria, il L. si rivolgeva al vicario provinciale dei domenicani di Lombardia per invitare i frati predicatori a stabilirsi in quella città, fatto che mostra i suoi legami con tale ordine religioso. Nel novembre del 1241 batté duramente i Bresciani presso Robasacco ("Robasachum", cfr. Annales Placentini, p. 485) e guidò una nuova spedizione contro Piacenza; la guerra contro questa città, proseguita a partire dal luglio dell'anno seguente, vide la partecipazione, accanto al L., anche di re Enzo, il figlio dell'imperatore con il quale da allora in poi il L. dovette adattarsi a convivere, dal momento che agiva in qualità di legato imperiale.

Dopo la presa e la distruzione di numerosi luoghi fortificati del Piacentino, l'esercito guidato dai due si rivolse successivamente contro Brescia, Milano e Crema. Dal luglio del 1242 il L. non viene più menzionato come podestà di Cremona e funge di fatto da luogotenente del giovane re Enzo, pur conservando accanto a lui tutta la sua importanza.

Nel marzo del 1243, rispondendo alla richiesta di Savona, assediata dai Genovesi, intervenne in suo aiuto insieme con re Enzo: gli imperiali riuscirono dapprima a introdurre rinforzi nella città e in un secondo tempo, sotto la minaccia dell'esercito nemico, i Genovesi furono costretti a lasciare la presa. In seguito compì un'altra spedizione contro i Milanesi che minacciavano Lodi: i contrapposti eserciti si fronteggiarono per sei giorni senza venire a combattimento, finché gli Imperiali si ritirarono a Lodi; subito dopo, Enzo e il L. tentarono di recuperare Vercelli, che nel gennaio di quello stesso anno si era ribellata a Federico II, ma non conseguirono il loro scopo.

Il 12 nov. 1243 il L. è di nuovo attestato in Piemonte, allorché con il podestà di Alba stabilì, in nome dell'imperatore, la fondazione in favore degli uomini di Bra della villanova di Cherasco, indizio certo che egli conservava ingerenze nella regione. Dopo essersi recato, nell'aprile del 1244 presso l'imperatore ad Acquapendente, il L., in giugno, era di nuovo in Lombardia, dove con re Enzo si riaccingeva a dare il guasto al contado della città di Piacenza, presto soccorsa dal legato papale Gregorio di Montelongo.

Nell'estate del 1245 Innocenzo IV scomunicò, oltre a Federico II e a re Enzo, anche il L., segno dell'importanza attribuitagli; questi in luglio si trovava presso la corte imperiale di passaggio a Torino e il mese seguente riprendeva la guerra in Lombardia agendo dapprima contro Brescia e poi, in autunno, con la partecipazione dell'imperatore in persona, nell'ultimo, e vano, sforzo militare in grande stile contro Milano. Fallita l'offensiva, il L. nel marzo del 1246 represse insieme con re Enzo una ribellione a Parma; in agosto era di nuovo in Piemonte dove confermava la vendita del comitato di Loreto al Comune di Asti, compiuta a suo tempo dal padre, promettendo anche la distruzione di Cherasco e il ritorno alle sedi ordinarie delle persone che pochi anni prima vi si erano insediate. Tutto ciò conferma che egli, nei tempi precedenti, aveva riottenuto in feudo dal Comune di Asti il contado di Loreto e continuava a esercitarvi i suoi diritti.

L'improvviso passaggio di Parma alla parte guelfa attirò subito contro di essa le forze di re Enzo e del L., i quali nel luglio successivo la cinsero d'assedio; alle operazioni partecipò lo stesso imperatore che fondò, in opposizione a Parma, una nuova città, Vittoria, la cui difesa, nel gennaio 1248, fu affidata al Lancia. Egli, mentre Federico II era assente, dovette affrontare il difficile compito di contrastare senza successo una sortita in massa dei Parmigiani contro l'esercito assediante che fu sopraffatto; solo a stento il L. riuscì a salvarsi e a reagire. Già dal 1° marzo egli era di nuovo in campo contro Parma e, benché l'assedio fosse definitivamente fallito con grave discredito della parte imperiale, le conseguenze della sconfitta non furono addebitate al L., che rimase al suo posto di comando.

In ottobre il L. entrò per primo a Vercelli, recuperata alla parte imperiale, e qui partecipò al prosieguo delle trattative, già avviate l'anno precedente, che condussero al matrimonio fra Beatrice di Savoia e Manfredi, figlio di Federico II e Bianca Lancia, celebrato a Vercelli fra la fine di quell'anno e i primi giorni del successivo. Nel dicembre egli, per la prima e unica volta, viene indicato da Federico II come "dilectus affinis noster" (Historia diplomatica, VI, doc. 672) e negli stessi giorni risulta insignito della nuova carica di capitano imperiale "a Papia usque Astam".

Nel gennaio del 1249 l'imperatore gli affidò anche il compito di legato, dai territori superiori al corso del Lambro, insieme con la podesteria di Lodi. Agendo a nome dell'imperatore, egli provvedeva allora alla difesa dei canonici di Vercelli contro le prepotenze dei conti di Lomello, e all'esame di questioni relative ai possessi del monastero pavese di S. Pietro in Ciel d'oro.

Quando nel dicembre 1249 Federico II si ritirò nell'Italia meridionale (re Enzo era stato catturato a Fossalta dai Bolognesi il 26 maggio di quell'anno), il L. ed Ezzelino da Romano rimasero gli unici difensori dell'Impero nell'Italia settentrionale, mentre andava acquisendo importanza la personalità di Oberto Pelavicino. Alla morte dell'imperatore (19 dic. 1250), il L. sfuggì di misura ai guelfi lodigiani e si trasferì in Piemonte, dove nell'ottobre del 1251 prendeva provvedimenti relativi alla sua signoria su Bene Vagienna. All'arrivo in Italia dell'erede al trono Corrado IV, egli era al suo fianco a Cremona, mentre già si intravedevano i segnali delle preferenze accordate dal nuovo re a Pelavicino.

Sia per la gelosia nei confronti del rivale sia per il cattivo trattamento che Corrado IV inflisse in quel periodo ai familiari del L. presenti in Italia meridionale, nel corso del 1252 dovette maturare in lui la decisione di passare nel partito opposto a quello in cui aveva sino allora militato: un mutamento di fronte certo spregiudicato, ma che si presenta come atto pragmatico più che ideologico. Già in quell'anno, in avversione all'Impero, egli aveva occupato insieme con gli Alessandrini certe terre del marchese di Monferrato, Bonifacio II; poco tempo dopo, il 22 febbr. 1253, Oberto Pelavicino risulta insignito della carica di vicario generale dei territori inferiori e superiori al corso del Lambro, una carica più estesa di quella un tempo appartenuta al L., che fu apertamente dichiarato traditore da Corrado IV.

Il 1° gennaio 1253 egli accettò la carica di podestà e capitano di guerra del Comune di Milano e poco dopo anche di Novara, conservando nello stesso tempo la podesteria di Alessandria, tutti poteri che manterrà per i successivi tre anni. Nel maggio un'azione militare da lui diretta condusse alla conquista di Mortara, e nell'ottobre tentò, senza però riuscirci, di impadronirsi di Vercelli. Morto nel maggio 1254 Corrado IV, fra il 1254 e il 1255 il L. progettò di intervenire con un grande esercito nel Regno, in favore del nipote Manfredi, proposito poi non attuato. Nel 1255, pur conservando l'ufficio di podestà di Milano e delle altre città, si fece sostituire da un vicario per intervenire in Piemonte in una questione riguardante Fossano.

A questo periodo si riferisce il componimento del trovatore Ugo de Saint-Circ che descrive, in modo certo poco lusinghiero, la sua "povera socievolezza" e il suo "cattivo aspetto". "Egli suole" continua il poeta "accoglier male, parlare male e vociare; malamente mangia, beve e fa doni, malamente vive e fa brutte e cattive smorfie; non si accompagna e non tratta con persone dabbene; lo troverete ritroso e pensieroso"; ancora peggio starebbe la "gente sua", la quale "scalza e ignuda, assetata e affamata, va intorno sospirando e bestemmiando Iddio e lui" (trad. it. in Poesie provenzali storiche, pp. 181 s.). Un quadro poco incoraggiante che però, pur nella sua indubbia negatività, rivela che il L. aveva una propria corte e ambizioni di grande signore tanto da attirare l'interesse dei trovatori; non è anzi da escludere che anch'egli, come il padre e come altri personaggi della corte imperiale di Federico II, si cimentasse in composizioni letterarie delle quali però non ci è giunta nessuna testimonianza.

Negli anni 1255-56, in occasione della guerra che contrappose il conte di Savoia Tommaso I e il Comune di Asti, il L., schierato contro quest'ultimo, occupò il castello di Annone, antico possesso imperiale, e guidò l'esercito del Comune di Chieri in uno scontro che lo vide perdente e nel quale egli stesso rimase ferito al volto; proprio in conseguenza di questa sconfitta, perse i poteri signorili che aveva sul comitato di Loreto. L'anno seguente, un colpo di mano della fazione imperiale lo costrinse ad abbandonare Alessandria e limitò il suo dominio a Casale Monferrato e alle località vicine, tolte nel 1252 a Bonifacio II di Monferrato. Proprio in quell'area si svolsero le ultime vicende che lo videro protagonista: attaccato nel settembre del 1257 dai Pavesi, dagli Alessandrini e dal marchese di Monferrato, si difese il 29 ott. 1257 a Cuniolo, in corrispondenza del ponte fortificato sul Po.

A tale data si deve probabilmente riportare la notizia degli Annales Placentini, che anticipano la sua morte al mese di settembre. Da allora il nome del L. scompare dalle fonti e si ha conferma della sua fine solo nell'agosto del 1259, allorché si parla di Isolda come figlia del defunto marchese Lancia (documento ricordato in Merkel, p. 155 n. 5).

Durante la fase "guelfa" degli ultimi anni, egli, secondo un indirizzo più generale che veniva allora manifestandosi, tese a comprendere in un unico dominio le città di cui era podestà o capitano, i luoghi tradizionali della sua signoria familiare, i territori conquistati combattendo contro i suoi avversari o quelli già da lui detenuti in nome dell'Impero. Verso la metà del secolo, nell'ultima fase della vita di Federico II, ebbe anche diritto di coniare moneta propria "ad ostentazione di sovranità" (Promis, p. 13), come risulta da alcuni denari piccoli e grossi sino a noi pervenuti.

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