Mania

Universo del Corpo (2000)

Mania

Adolfo Pazzagli

Il termine mania (dalla radice greca μαν- del verbo μαίνομαι, "smaniare, essere pazzo") era usato un tempo nel linguaggio medico per indicare vari tipi di affezioni psichiche ed è ancora diffuso nel linguaggio comune con l'accezione generica di disturbo mentale. È usato, impropriamente, anche con il significato di entusiasmo, invasamento religioso, oppure per indicare una tendenza esclusiva e smodata verso qualche cosa, un'infatuazione fanatica sia individuale sia collettiva. Propriamente, in psicopatologia, è la condizione psichica caratterizzata da eccitamento del tono dell'umore, orientato verso l'euforia o l'irritabilità, da alterata attività mentale e da attività motoria disordinata che, nei gradi estremi, può giungere a stati di grave agitazione psicomotoria.

l. Polisemia del termine

Secondo G.E. Berrios (1988) la parola mania, al pari di melanconia, ha rappresentato fino al 19° secolo una sorta di 'palinsesto semantico'. In passato, infatti, mania era un termine piuttosto aspecifico, usato per indicare fondamentalmente follia, perdita di controllo. Per Ippocrate era un disturbo mentale acuto senza febbre, posto all'interno di una specifica classificazione della tipologia osservabile dei disturbi mentali, accanto alla frenite (disturbo mentale acuto con febbre), alla melanconia (che includeva tutte le alterazioni mentali croniche), all'epilessia, all'isteria e alla 'malattia degli sciti', una forma analoga al travestitismo. Abbastanza simile, a distanza di secoli, la posizione di Ph. Pinel che, all'inizio dell'Ottocento, indicava come mania tutte le condizioni acute con eccitamento. Areteo di Cappadocia (fine del 2° secolo d.C.) collegò invece la mania alla depressione, ne descrisse le caratteristiche di gioia, ilarità, voglia di giocare o, viceversa, il prevalere di distruttività passionale, in un'ottica analoga a quella attuale che considera la mania tra i disturbi dell'umore. Infatti, dopo un percorso complesso, la nosografia psichiatrica alla fine dell'Ottocento, con la sintesi di E. Kraepelin, ha definito gli episodi di mania come una componente fondamentale della psicosi maniaco-depressiva. Il termine mania ha conservato, nel linguaggio comune o in alcuni suffissi, significati diversi da quello, rigoroso e circoscritto, della psicopatologia attuale. Si parla infatti, impropriamente ma frequentemente, di mania di persecuzione o di grandezza per indicare idee prevalenti di questo tipo e, per estensione, anche idee deliranti. Sovente, invece, il termine implica la presenza di condotte non libere, compulsive come in 'tossicomania', oppure attività perseguite non solo con passione ma anche con perdita della libertà di rinunciarvi e, quindi, del controllo (la mania del gioco, del collezionismo, la mania sessuale ecc.). Nella psicopatologia attuale, a differenza che nel linguaggio comune, mania è un quadro clinico specifico, caratterizzato da eccitamento del tono dell'umore, che, in molti casi, rappresenta una fase, un episodio della psicosi maniaco-depressiva, destinato, di solito, a essere superato. Il criterio kraepeliniano vede infatti nell'andamento cronologico della psicosi maniaco-depressiva un susseguirsi di episodi depressivi e maniacali che si presentano in forme diverse con il prevalere degli episodi di depressione, l'alternarsi delle due fasi, la presenza o meno di intervalli liberi fra i diversi episodi.

Il quadro clinico

Il quadro clinico della mania è rappresentato fondamentalmente da: esaltazione del tono dell'umore, che è orientato verso l'euforia o l'irritabilità; grandiosa sopravvalutazione di sé, nel senso che il soggetto non vede e non valuta le difficoltà poste dalla realtà; accelerazione del pensiero, il cui grado estremo è rappresentato dalla disordinata 'fuga delle idee', con logorrea, un pensiero rapido ma superficiale, distraibilità; iperattività instabile; diminuito bisogno di sonno; dimagramento. L'eccitazione, la fuga delle idee, la sopravvalutazione di sé espongono il soggetto a un eccessivo coinvolgimento in attività che sono piacevoli, ma anche potenzialmente dannose per sé e per gli altri. Egli tende a intraprendere azioni rischiose o rovinose come affari avventati, spese eccessive, condotte sessuali provocatoriamente sconvenienti ecc. A differenza di quanto si creda, il paziente maniacale non è di solito simpaticamente euforico: l'affermazione di sé avviene attraverso il disprezzo per gli altri, che può manifestarsi con aggressioni verbali o fisiche. Talvolta la fuga delle idee, l'accelerazione della spinta ad agire sono così intense da determinare, paradossalmente, apparente arresto della vita psichica e delle attività, in quadri analoghi ad alcuni aspetti della depressione grave o anche della catatonia. Le diverse forme cliniche della mania sono state distinte per gravità, maggiore o minore (in questo caso si parla di ipomania), presenza di confusione mentale o di evidenti aspetti depressivi, compresenza di manifestazioni psicotiche, aspetti di cronicità sia nella forma franca sia in quella con sintomi attenuati. Viene inoltre classificata una forma di disturbo bipolare a rapida ciclicità, in cui l'alternanza delle fasi di esaltazione a quelle depressive può procedere fino ad abolire ogni soluzione di continuità. Negli ultimi decenni del 20° secolo la scoperta di terapie farmacologiche specifiche per i quadri maniacali, in primo luogo i sali di litio poi, alcuni antiepilettici, tra i quali il valproato e la carbamazepina e stabilizzatori delle membrane cellulari, cui si sono recentemente aggiunti alcuni dei nuovi antipsicotici, clozapina e olanzapina, e farmaci calcioantagonisti, ha portato a identificare tipologie diverse all'interno delle forme bipolari e a delineare una sorta di continuum fra quadri di livello chiaramente psicotico e quadri che si esprimono come temperamenti patologici. Sono state inoltre descritte con maggior frequenza e identificate nelle loro peculiarità forme infantili, adolescenziali e senili di mania. Il DSM-IV (American Psychiatric Association 1994) classifica quattro tipi di episodi di patologia dell'umore che servono poi per definire il disturbo bipolare, per la diagnosi del quale è necessaria la presenza di alterazioni dell'umore, associata alla storia di almeno un disturbo depressivo. Questi tipi sono così definiti: 1) episodio maniacale, consistente in almeno una settimana di umore esaltato, euforico o irritabile, accompagnato da un andamento caratteristico dei sintomi maniacali (è da sottolineare che la durata minima prevista è una settimana, ma, di solito, gli episodi maniacali durano alcune settimane o mesi e possono anche regredire solo parzialmente, cronicizzandosi); 2) episodio misto, con almeno una settimana di sintomi maniacali e depressivi misti; 3) episodio ipomaniacale, con almeno quattro giorni di umore esaltato, euforico o irritabile, che risulta meno grave rispetto a un episodio maniacale; 4) episodio depressivo maggiore, caratterizzato da almeno due settimane di umore depresso, accompagnato da un andamento caratteristico dei sintomi depressivi. La mania è però una sindrome definita non dalla eziologia o da un criterio nosografico, quanto piuttosto dal quadro clinico, poiché esistono numerose condizioni organiche associate a una sintomatologia di tipo maniacale: malattie neurologiche (sclerosi multipla, neoplasie cerebrali ecc.); malattie infettive a localizzazione cerebrale; alcune endocrinopatie; disturbi metabolici. Altri quadri tipicamente maniacali derivano dall'assunzione di alcune sostanze, come anfetamina, cocaina, sostanze volatili (per es., vernici e benzina), ma anche dall'uso di corticosteroidi, L-dopa (isomero levogiro della diidrossifenilalanina, che trova largo impiego anche nel trattamento del morbo di Parkinson), farmaci antidepressivi ecc. Tra le altre forme di mania vi sono quelle condizioni di esaltazione secondaria, in cui gli stessi sintomi delle forme idiopatiche sono associati a lesioni dell'emisfero cerebrale destro, lesioni vascolari, neoplastiche, epilettiche o di altra natura con localizzazione prevalentemente frontotemporale, o anche all'interno del nucleo caudato o del talamo. Tutte queste condizioni devono essere prese in considerazione nell'iniziale valutazione diagnostica differenziale.

Componenti biologiche e approccio psicologico

Attualmente sono noti anche alcuni meccanismi biologici che si pensa siano alla base dei quadri maniacali. Si tratta di iperattività di sistemi neuronali a trasmissione dopaminergica, come mostrano anche le tecniche di visualizzazione dell'attività cerebrale (PET, SPET ecc.; v. il capitolo La medicina nucleare, Studio del sistema nervoso centrale), con prevalente interessamento delle aree corticofrontali e del lobo limbico. Nelle forme primarie si sono evidenziati una riduzione del volume del lobo temporale e un ampliamento dei ventricoli cerebrali, anormalità aspecifiche della sostanza bianca subcorticale con prevalente interessamento dell'emisfero cerebrale destro. Questi reperti indicano il versante biologico della mania, ma non la sua genesi organica, potendo essi rappresentare anche epifenomeni dell'accelerazione del pensiero e dell'euforia o basi biologiche di una ridotta capacità di controllo e di freni inibitori.

Per quanto riguarda la comprensione psicologica di questi quadri, la psicoanalisi si è interessata ai meccanismi psichici, ai sentimenti e ai modi di relazionarsi caratteristici della maniacalità, intesa come difesa dalla depressione, che include sia la mania patologica sia gli atteggiamenti e i momenti maniacali della vita di ognuno. Dopo alcune intuizioni di S. Freud e altri studiosi, è stata in particolare M. Klein (1935) a descrivere il fatto che nelle difese maniacali la relazione con l'oggetto (definito come ciò con cui il soggetto è in relazione significativa e quindi, spesso, una persona) è caratterizzata da una triade di sentimenti che include: 1) disprezzo e svilimento del valore dell'oggetto (manovra che protegge il paziente da sentimenti di perdita e colpa); 2) controllo tirannico e padroneggiamento dell'oggetto, in modo che siano negati sentimenti di dipendenza; 3) trionfo sull'oggetto, nei confronti del quale vengono di nuovo negati la valorizzazione, la preoccupazione e la cura. Tutto ciò evita quelle esperienze di perdita e di colpa che il soggetto teme di sperimentare e, sovente, ha già sperimentato durante la depressione. Per questo le difese maniacali fanno ricorso a fantasie onnipotenti e a diniego onnipotente della realtà psichica interna: in tal modo la realtà esterna, della quale vengono negati i limiti, è usata per manifestare queste fantasie, cortocircuitando, per così dire, il pensiero realistico e i limiti che esso impone. La fenomenologia, con la sua tensione a cogliere gli aspetti esistenzialmente fondanti delle diverse modalità di esperire, si è occupata indirettamente della mania, in particolare con il classico lavoro di L. Binswanger (1956), che vede in questo quadro una particolare forma di 'esistenza mancata', cioè l'esaltazione fissata caratterizzata da una verticalità accentuata, 'l'altezza della problematica', ma non accompagnata da un'adeguata estensione orizzontale, 'l'ampiezza dell'esperienza'. Questo modo di affrontare la mania da un punto di vista psicologico pone l'accento sulla necessità di una relazione di aiuto così forte da permettere al paziente di affrontare, invece che negare, i problemi e le sofferenze connessi con la perdita e la colpa. Tale approccio sottolinea quindi le carenze nell'aspetto comunicativo, interpersonale, nella genesi psicologica del quadro, almeno per quanto riguarda le forme più lievi, collegate a condizioni caratteriali, a stress, a eventi. Nelle forme più gravi la componente biologica, genetica ed esperienziale inscritta nella biologia, è così forte da richiedere di porre in primo piano interventi farmacologici per il controllo del quadro e la prevenzione delle ricadute, pur dovendo il trattamento prevedere comunque un fondamentale impegno psicologico nell'aiuto al paziente ad affrontare quelle angosce che egli è spinto a negare attraverso la patologia. Il principale farmaco stabilizzatore dell'umore è costituito, come già detto, dai sali di litio, i quali sono sovente globalmente efficaci sia per il trattamento degli episodi depressivi, sia per la prevenzione delle ricadute, maniacali e depressive. Poiché la differenza fra dosi terapeutiche e dosi tossiche è, per il litio, piuttosto bassa, il trattamento richiede periodici controlli della litiemia e il monitoraggio della funzione renale e di altre variabili biologiche. Ciò implica frequenti contatti per dare sostegno al paziente e per aprire spazi di comprensione dei suoi fortissimi bisogni di amore e di dipendenza o, viceversa, per negarli, affermando che il solo trattamento efficace è quello biologico e creando una dipendenza maniacalmente negata, in quanto non osservata e riconosciuta. Lo stesso può accadere con altri stabilizzatori dell'umore o mediante l'uso di altri farmaci antipsicotici che sono sovente necessari, anche in dosi massicce, per il trattamento degli episodi maniacali espliciti. In breve, i trattamenti farmacologici sono necessari, ma è anche necessaria un'attenzione particolare al rapporto con il paziente maniacale, nel quale la negazione della dipendenza e del bisogno possono manifestarsi attraverso l'invidia, la distruttività, il disprezzo anche verso il curante; quest'ultimo può essere spinto, specie se impegnato ma non sufficientemente avveduto, a ritorsioni nei confronti di un soggetto al quale viene negata proprio quella vita mentale che lui stesso cerca di denegare per proteggersi dalla sofferenza.

Bibliografia

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d.w. winnicott, The manic defence [1935], in Id., Collected papers, London, Tavistock, 1958, pp. 129-44.

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