manierismo Il complesso di esperienze artistiche elaborate tra il secondo e l’ultimo decennio del 16° sec.; nato con particolare riferimento alle arti figurative e all’architettura, il termine è stato poi esteso anche alla produzione letteraria.
1. La storiografia artistica fino al 20° secolo
Nella storiografia artistica il termine appare per la prima volta nel 18° sec.: L. Lanzi lo usa a indicare la decadenza dell’arte nell’inerte ripetizione di formule operata dai seguaci dei grandi maestri del Rinascimento (Michelangelo e Raffaello) e ne definisce i limiti cronologici dal sacco di
2. La storiografia artistica del 20° secolo
La storiografia critica tedesca dei primi tre decenni del 20° sec., sollecitata anche dalle contemporanee tendenze espressioniste, prendendo soprattutto in esame la produzione pittorica del periodo (non solo quella italiana, e non solo attraverso l’analisi stilistica ma anche esaminandone i nessi profondi con aspetti culturali, religiosi, politici) porta alla formulazione del m. come stile autonomo, come corrente fondamentalmente ‘anticlassica’ (F. Goldschmidt; M.J. Friedländer; M. Dvořák; L. Fröhlich-Bum; H. Kauffmann; W. Friedländer; N. Pevsner ecc.). Il m. è quindi interpretato come espressione di irrazionali impulsi soggettivi, dell’esaltazione del sentimento al di sopra della ragione (è interessante anche rilevare come nella critica tedesca sia messa in evidenza nel m. una componente gotica riemergente), mentre l’arte del Parmigianino, d’altro verso, ne metterebbe in evidenza l’ideale di ‘grazia’ e di raffinatezza, riscontrabile anche in una vitalissima corrente nel campo della scultura che annovera, tra gli altri, artisti come B. Cellini, B. Ammannati, Giambologna. J. von Schlosser (1924), trattando del m., analizza la fiorente produzione trattatistica del periodo rilevandone la vasta riflessione sull’arte. A partire da E. Michalski (1933) si viene evidenziando come l’architettura manierista sperimenti fino all’estremo limite il linguaggio classico sovvertendone gli equilibri (B. Peruzzi, Giulio Romano, Vignola, A. Palladio, G. Alessi e, fuori d’
Dal secondo dopoguerra e soprattutto dagli anni 1960 (G. Briganti; relazioni di C.H. Smyth e di J. Shearman al 20° Congresso di Storia dell’arte, 1961;
Se nelle arti figurative la figura serpentinata, il contrapposto, il gigantismo delle figure, gli audaci scorci prospettici, il cangiantismo dei colori sono genericamente considerati motivi ed elementi caratteristici del m., accanto all’artificiosità, alla grazia, alla leggiadria, così come nell’architettura esso si concretizza soprattutto nella sperimentazione linguistico-formale, in senso anticlassico, privilegiando effetti di ambiguità e artificialità e interessando in definitiva gli aspetti decorativi più che quelli strutturali, la definizione di m. riguarda un insieme di realtà complesse e composite, che si intrecciano, verso la fine del secolo, fino alla rinnovata ricerca di una semplificazione e di una chiarezza formale e compositiva. I complessi rapporti tra l’arte figurativa e l’architettura di questo periodo con gli altri linguaggi espressivi, dalla poesia al teatro, alla musica e, parimenti, i diversi contesti sociali, culturali e religiosi, nei quali si manifestano e di cui sono espressione, denunciano infatti come il termine m. mantenga in pieno la natura di vox media derivante dal concetto di maniera, e necessiti, a evitarne un uso generico e poco significante, di una più articolata e differenziata qualificazione e specificazione.
Mutuato dal linguaggio della critica d’arte, il termine m. trova diffusa applicazione anche in letteratura solo a partire dalla metà del 20° secolo. A rigore, il m. letterario (individuato nella sua fenomenologia europea da M. Dvořák, W. Sypher,