Manifestazioni della cultura dell'Occidente greco. La monetazione

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Manifestazioni della cultura dell'Occidente greco. La monetazione

Laura Buccino

La monetazione

Le prime monete sono documentate in Magna Grecia e in Sicilia dalla seconda metà del VI sec. a.C. Le colonie principali coniarono un tipo di moneta particolare, cosiddetta “a rovescio incuso”, caratterizzata dalla riproduzione sul rovescio dello stesso simbolo del dritto, ma in negativo. Le poleis della Magna Grecia adottarono il sistema ponderale di derivazione corinzia, basato sull’unità di misura chiamata statere (8 gr). Ogni città faceva imprimere sul tondello la propria legenda e una raffigurazione simbolica: ad esempio, il toro retrospiciente a Sibari e nelle città sotto la sua influenza; la spiga d’orzo, simbolo del fertile territorio, a Metaponto; il tripode sacro ad Apollo a Crotone; l’eroe fondatore Taras su delfino a Taranto; il toro a Reggio; il delfino nel porto a forma di falce a Zankle; il dio eponimo Poseidon che lancia il tridente a Poseidonia, l’unica ad assumere un sistema ponderale differente, di ascendenza attica, basato su uno statere di 7,50 gr, diviso in dracme e oboli. Elea, eccezionalmente, riprese la tipologia monetale della madrepatria Focea, con il leone che divora la preda sul dritto e un semplice quadrato incuso sul rovescio. Rispetto al panorama magno-greco a Locri Epizefirii la moneta fu introdotta molto più tardi, solo nella prima metà del IV sec. a.C., in ottemperanza alle indicazioni della rigida legislazione di Zaleuco.

Nel periodo di produzione delle monete incuse si distinguono tre fasi cronologiche, a seconda delle dimensioni del tondello di metallo prezioso, largo, medio e stretto, che imprimeva il simbolo della città, fino al 440 a.C. In seguito la tecnica venne modificata, con la rappresentazione dell’immagine a rilievo su entrambi i lati. Le emissioni subirono numerose varianti, a seconda delle vicende politiche ed economiche delle singole colonie. Venivano coniati stateri di argento, ma anche le frazioni, sempre più numerose, mano a mano che l’uso della moneta per gli scambi commerciali si faceva più diffuso. Molto rare furono le coniazioni di oro, mentre dall’età ellenistica si assiste al diffondersi del bronzo. Durante la tirannide di Anassilao (494-476 a.C.) a Reggio venne coniata una moneta con il leone samio su un lato e sull’altro la protome di vitello, che è stato interpretato come un simbolo della terra dei Vitaloi, da cui derivò il nome della penisola italiana.

In Sicilia sono state distinte tre aree monetali, sulla base del sistema ponderale adottato: a Naxos e nelle altre colonie euboiche si diffuse il sistema basato sulla dracma calcidese (5,7 gr), nella zona sudoccidentale il didramma e nella Sicilia orientale il tetradramma (17,4 gr) di ascendenza euboico-attica, utilizzato a Siracusa, Gela, Agrigento e Selinunte. Anche in Sicilia le poleis facevano imprimere sulle monete simboli parlanti, legati alle divinità venerate, al nome o alle principali risorse economiche della colonia: Dioniso e il grappolo d’uva a Naxos; l’elmo e gli schinieri a Camarina; il cavaliere e la protome di toro androprosopo a Gela; l’aquila e il granchio ad Agrigento; il gallo, sacro ad Asclepio, a Imera; il sedano (gr. σέλινον) a Selinunte. Tra tutte le zecche della Sicilia si distinse quella di Siracusa, che nel V sec. a.C. coniò monete eccezionali per dimensioni, peso e qualità artistica, che si diffusero in tutta l’ampia zona d’influenza della città.

Al 460 a.C. viene datata l’emissione degli splendidi decadrammi di argento che recano sul dritto la testa della ninfa Aretusa – legata alla sorgente dell’isola di Ortigia – circondata da quattro delfini e sul rovescio una quadriga incoronata da una Nike alata. Sotto la tirannide di Dionisio I (430-367 a.C.) furono prodotti esemplari di tale qualità che gli incisori firmarono i coni. Il tiranno, inoltre, fece realizzare, per esigenze interne alla polis, monete di bronzo, introducendo una riforma monetale, cui accenna anche Platone, che è all’origine del concetto di valore non effettivo, ma “fiduciario” della moneta, che è giunto fino ai nostri giorni. Da sottolineare che le nostre conoscenze numismatiche sono state favorite notevolmente dal rinvenimento di tesoretti, nascosti in un momento di grave pericolo e che i proprietari non tornarono mai a recuperare.

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