Maométto

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Fondatore della religione islamica (La Mecca 570 circa - Medina 632). È considerato dai musulmani il sigillo dei profeti, cioè colui che ha concluso il ciclo della rivelazione iniziata da Adamo. M., figura chiave dell'Islam, è il messaggero di Dio (rasūl Allāh), ma nonostante l'importanza fondamentale che riveste la sua figura, essendo colui che ha rivelato il Corano, l'ortodossia islamica insiste sul carattere esclusivamente umano della sua persona. Fonti principali della vita di M. sono innanzitutto il Corano, la biografia canonica (sīra) e le raccolte di Ibn Isḥāq e Ibn Hishām: secondo queste, rimasto orfano in tenera età, M. crebbe in condizioni disagiate fino al matrimonio con la ricca vedova Khadīgia. Dal politeismo patrio, attraverso una profonda crisi spirituale, passò a una ferma fede monoteistica, che cominciò a predicare intorno all'età di 40 anni (610 circa) tra i suoi concittadini: questi mostrarono dapprima indifferenza, poi ostilità, vedendo nella nuova dottrina, basata sull'uguaglianza, un pericolo per i proprî interessi economici. Capisaldi di tale religione erano: fede in un Dio unico creatore onnipotente, cui gli uomini debbono totale sottomissione (islām) attraverso la conduzione di una vita casta e l'osservanza dei precetti islamici (preghiera, digiuno, ecc.); aiuto verso il prossimo, soprattutto se indigente; prossima fine del mondo, giudizio universale e retribuzione in bene e in male delle azioni umane, con paradiso, inferno, resurrezione dei corpi, ecc. Nelle teorie religiose di M. convergevano molti elementi già presenti nella religione ebraica e cristiana, primo fra tutti quello del monoteismo, ma anche credenze pagane, come, per es., quella riconducibile al pellegrinaggio alla Ka῾ba (v.). La predicazione di M. riuscì a formare alla Mecca una piccola comunità comprendente suoi familiari e membri della borghesia, e soprattutto umili e schiavi; ma l'ostilità delle classi dirigenti, come già detto dovuta per lo più a motivi sociali ed economici, rese la vita difficile al profeta e ai suoi seguaci, tanto da indurlo a cercare un appoggio e un campo d'azione fuori della città natale. Dopo un tentativo fallito a Ṭā'if, un accordo fu da lui stretto con elementi di Medina, e in questa città M. si recò nell'autunno del 622, con quella egira, o migrazione, che segnò poi l'inizio dell'era musulmana. Pochi anni dopo l'egira morì Khadīgia, che aveva dato quattro figlie a M.; in seguito questi ebbe altre mogli, tra cui la sua preferita ῾Ā'isha (v.). Era questo un modo per ottenere con diplomazia l'appoggio di varî clan tribali o di rinforzarne i legami. A Medina M. divenne non solo capo religioso ma anche politico, e seppe abilmente estendere il suo potere passando da ospite alleato e paciere di quella divisa comunità pagana, a vero arbitro e guida. Circondato dai fidi Compagni (Ṣaḥāba), tra i meccani con lui migrati (Muhāgirūn) e i nuovi ausiliarî (Anṣār) medinesi, egli organizzò rapidamente la comunità musulmana (umma), opponendosi agli elementi ostili di Medina, ebrei e cristiani, dapprima consenzienti al monoteismo islamico. È in questi anni (624) che M. sostituì la direzione della preghiera (qibla) dall'originaria Gerusalemme alla Ka῾ba. Le tappe della vittoriosa affermazione di M. a Medina furono la vittoria di Badr (624) sui meccani, non invalidata dal susseguente passeggero scacco di Uḥud; la resistenza all'assedio di Medina invano tentato (627) dai meccani; la tregua decennale con La Mecca, stretta (628) col patto di Ḥudaibiya, denunciato poco più di un anno dopo; la marcia sulla Mecca e la sua occupazione quasi senza colpo ferire (630). Ma residenza del profeta restò sempre Medina, donde egli aveva via via eliminato, con esilî e aspre battaglie, le dissidenti tribù ebraiche, e che quindi restava cittadella della nuova fede e capitale del nuovo stato teocratico, che abbracciava ormai, attraverso la sottomissione delle tribù beduine, buona parte d'Arabia. Dopo un solenne pellegrinaggio d'addio alla città natale, il cui culto della Ka῾ba era stato da M. inserito e armonizzato nell'Islam, il profeta morì a Medina in seguito a breve malattia, lasciando la sua comunità senza capo designato, ma con una cerchia di uomini d'alto valore religioso e civile (Abū Bakr, ῾Omar, ecc.), che continuarono in parte, come califfi, l'opera del fondatore. Il giudizio storico sulla figura di M., a lungo offuscato da parzialità e ostilità confessionali, riconosce in lui una personalità eccezionale, di indubbia sincerità nella sua fede e nella sua missione, un abile politico, fondatore di una religione e di uno stato, un uomo votato con ogni energia a un'opera che egli sentì trascendere la sua persona, e destinata a segnare una traccia indelebile nella storia. ▭ Alla figura di M. sono ispirate alcune opere letterarie, tra le quali Le fanatisme ou Mahomet le prophète di Voltaire (1741) e il frammento drammatico Mahomet di W. Goethe (1772 circa).

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