BARBARO, Marcantonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARBARO, Marcantonio

Franco Gaeta

Figlio di Francesco, senatore, e di Elena Pisani, nacque il 22 sett. 1518. La tradizione domestica era ricca d'esempi d'uomini illustri nelle discipline storiche e letterarie, quali Francesco, Ermolao, Niccolò, Giosafat, Marco e Daniele Barbaro.

Il B. compì i suoi studi dapprima a Verona e quindi a Padova, dove rimase sino al 1535, e subito dopo iniziò, andando in Francia al seguito di Marcantonio Giustinian, ambasciatore presso Francesco I, la sua esperienza diplomatica, che poi avrebbe arricchito in modo cospicuo attraverso tutta una serie di importantissime missioni di primaria rilevanza per la politica estera veneziana, segnalandosi come uno dei più preparati e scaltriti rappresentanti della diplomazia della Serenissima.

Nel 1534 aveva sposato Giustina Giustiniani, dalla quale ebbe quattro figli: Francesco, Almorò, Alvise e Antonio. Nel 1541 era savio agli Ordini e due anni dopo sedeva in Maggior Consiglio. Entrato nel Senato nel 1559, l'anno dopo era nominato savio di Terraferma: carica che occupò, salvo le parentesi delle varie ambascerie, sino al 1595. L'ii giugno 1561 venne eletto oratore in Francia a sostituire Michele Suriano presso Carlo IX ancora minorenne sotto la reggenza della madre Caterina de' Medici, al quale Venezia aveva accordato un prestito di 100.000 scudi per combattere gli ugonotti.

Fu, questa, la sua prima importante missione della quale rimangono prezioso documento circa trecento dispacci ricchi di minuziose e precise informazioni sulla drammatica situazione francese di quegli anni, e che sono di notevole importanza per la narrazione delle trattative tra la reggente e il principe di Condé. Dell'attività spiegata presso la corte francese il B. redasse una cospicua relazione che lesse in Senato nel luglio 1564 e che si arresta agli avvenimenti tumultuosi del 1562, quando Bourges era assediata, Lione era stata presa dai protestanti, Tolosa si era ribellata e il Condé era ad Orléans. Notevole è anche l'interesse dimostrato circa la partecipazione dell'episcopato francese al concilio di Trento.

Richiamato a Venezia nel giugno 1564, si ritrova il B. ancora savio di Terraferma e provveditore al Sale: un ufficio, questo ultimo, che lo poneva a diretto e stretto contatto col mondo artistico, tanto a lui congeniale per una somma di interessi (tra le altre incombenze e competenze di questa magistratura si annoverava il pagamento delle opere d'arte eseguite su commissione dello Stato), e iniziava il B. a funzioni di notevole impegno nel settore della politica culturale veneziana, ch'egli avrebbe specialmente espletate durante gli anni in cui fu riformatore allo Studio padovano.

Nel torno di tempo dal 1564 al 1568, in cui risiedette stabilmente a Venezia, sorse la sontuosa villa di famiglia a Maser, presso Treviso, alla quale lavorarono il Palladio per la parte architettonica e il Veronese e Alessandro Vittoria per la parte decorativa; mentre Daniele Barbaro, fratello del B. e patriarca d'Aquileia, matematico, filosofo, antiquario, letterato, scienziato e architetto, seguì con amorosa cura il compimento dei lavori e lo stesso B. diede il proprio contributo, oltreché fìnanziario, anche artistico, modellando le graziose sculture destinate ad adomare la grotta del parco. La dimora di campagna del B. risultò così una delle più belle ville della terraferma veneziana ed ebbe affrescato alle sue pareti uno dei cicli più splendidi della pittura italiana del Cinquecento.

Gli impegni politici non consentirono tuttavia al B. di godere subito questa principesca dimora. Dopo esser stato nel 1567 provveditore ai Beni inculti, egli venne nominato bailo a Costantinopoli e il 12 maggio 1568 partì alla volta della capitale turca, in un momento nel quale le relazioni tra Venezia e la Porta erano d'una particolare difficoltà.

L'avanzata turca in Levante era proseguita implacabile ormai da decenni ed era stata tutta costellata da una serie di rinunzie veneziane le quali erano culminate nella sottoscrizione della pace del 1540 che aveva tolto alla Serenissima Nauplia e Malvasia, gli ultimi suoi possedimenti nella penisola di Morea. Da allora, i resti dell'impero veneziano nel Mediterraneo orientale avevano goduto d'una relativa calma, a confermare la quale giovava la politica veneziana di rigida neutralità nei confronti dei Turchi. Selim. II, salito al potere nel 1566, riprendeva però con rinnovato vigore la direttiva d'espansione mediterranea che - mai del tutto abbandonata neppure nel venticinquennio precedente - aveva questa volta di mira Cipro, posseduta dai Veneziani dal 1489 e rappresentante una continua minaccia alla rotta del viaggio di Siria. Già Solimano aveva progettato la conquista dell'isola in nome del duca di Savoia, che nutriva su di essa rivendicazioni di carattere dinastico e che non era rimasto del tutto alieno da tale prospettiva; ma nel 1568 la minaccia turca assunse l'aspetto d'una concreta possibilità, dopo che Selim aveva visto riconosciuta la propria sovranità sull'Arabia e s'era liberato della guerra in Ungheria.

Il B. fu perspicace interprete e avvisatore delle intenzioni turche, ma le sue pur avvedute informazioni urtarono non tanto contro lo scetticismo, quanto nella impossibilità tecnica di adeguare la preparazione militare veneziana all'entità della nuova minaccia, aggravata dall'incendio dell'arsenale proprio alla vigilia dello scatenarsi dell'offensiva ottomana contro Cipro e dalle diffidenze che rendevano difficoltosa l'intesa e l'allenza di Venezia con Spagna e Austria. Quando si scatenò l'attacco turco contro Cipro, il B. fu imprigionato assieme a tutti i consoli e mercanti veneziani che si trovavano nei territori turchi, ma anche dalla sua prigionia egli riuscì a inviare al governo della Repubblica preziose informazioni sui movimenti del nemico e a mantenere aperti i contatti diplomatici con la Porta in vista della conclusiene d'una pace che Venezia, pur durante lo svolgimento delle ostilità, cercava di negoziare a condizioni quanto meno sfavorevoli possibile. In un primo tempo gli si diedero istruzioni per concludere la cessione di Cipro, esclusa Famagosta che ancora resisteva, ovvero contro la cessione da parte dei Turchi d'una qualche piazzaforte del litorale; poi, quando le trattative per la formazione della santa lega (1571) presero ad avviarsi verso la loro positiva conclusione, il B. ebbe l'incarico di condurre alla lunga le trattative intraprese.

Dopo la battaglia di Lepanto, allorché le diversità di concezione e di prospettive che minavano la solidità della lega resero evidente che Austria e Spagna non avrebbero seriamente collaborato ad un'azione decisiva contro il Turco in Levante, al B. fu affidata dal Consiglio dei Dieci la delicatissima missione di provvedere alla conclusione della pace nella più stretta segretezza. In capo a cinque mesi di negoziati condotti con abile ma sfortunata tenacia e con una stupefacente discrezione, nel marzo 1573 il B. era in grado di far pervenire al governo veneziano, tramite il figlio Francesco inviato appositamente dai Dieci a Costantinopoli, lo schema del trattato, che ebbe ratifica nel maggio dello stesso anno, dopo che l'ultima fase delle trattative fu conclusa anche mercé l'opera dell'oratore straordinario Andrea Badoer e del nuovo bailo Antonio Tiepolo. Ancora nella primavera del 1574 il B. era a Costantinopoli, sebbene nell'anno precedente, dopo il raggiungimento dell'accordo turco-veneziano, fosse stato eletto procuratore di S. Marco e successivamente commissario ai confini del Friuli, due cariche che rappresentavano, la prima, il riconoscimento dei servigi resi allo Stato nell'ambasceria costantinopolitana, la seconda, un nuovo ricorso alle sue capacità di abile negoziatore e di conoscitore ormai provetto delle questioni turco-veneziane. Nel 1574 nuove incombenze venivano affidate al B., che fu eletto savio di Terraferma, riformatore allo Studio di Padova, componente della delegazione inviata a ricevere Enrico III in visita alla città; provveditore all'arsenale nel 1575; savio di Terraferma e correttore alla promissione dogale nel 1577.

Più tranquilli furono gli anni tra il 1580 e il 1583, durante i quali in una breve pausa della attivissima vita politica il B. curò l'erezione del tempietto della villa di Maser.

Nel 1583 riprese con intenso ritmo la vita pubblica: prima come commissario ai confini in Friuli per risolvere le sempre ricorrenti contese con l'Impero, ormai trascinantisi c:a lungo tempo, e soprattutto col tacito incarico di studiare e scegliere i luoghi più opportuni ad erigere fortificazioni che difendessero il Friuli veneziano da Turchi e Asburgo: una missione, quest'ultima, che fu in seguito perfezionata, nel 1593, quando gli fu affidata la sovrintendenza alla costruzione della fortezza di Palmanova. Anche nella missione, apparentemente solo onorifica, di componente l'ambasceria inviata a congratularsi con Sisto V per la sua elezione a pontefice, nel 1585, erano sottintesi precisi e delicati incarichi diplomatici concernenti questioni politiche e giurisdizionali, quali le relazioni tra il governo e Giovanni Grimani, patriarca d'Aquileia, che pretendeva esercitare giustizia nel feudo di Tragetto, le decime del clero e la posizione dei Cavalieri di Malta che non cessavano di molestare il commercio veneziano. Morto nel 1585 il doge Niccolò da Ponte, il B. fu delegato a curarne il monumento funebre, al cui progetto egli s'era per altro interessato già qualche anno prima per volontà dello stesso doge ancora vivente, e ancora una mansione che lo mantenne in stretto contatto col mondo artistico ebbe affidata nel 1587, allorché fu nominato provveditore alla fabbrica del ponte di Rialto.Nell'ultimo decennio della sua vita l'operosità politica ed amministrativa non conobbe soste: fu savio di Terraferma (1586, 1590, 1591, 1593); riformatore allo Studio di Padova (1587, 1594); provveditore alle Artiglierie (1589), alla Moneta (1592), alle Acque (1593). Morì a Venezia il 4 luglio 1595.

Uomo politico, diplomatico, artista e mecenate, il B. si segnalò anche per aver lasciato alcune tra le più importanti Relazioni del sec. XVI, che ebbero diffusione a stampa già alla fine del secolo e in quello successivo, e per aver scritto - secondo quanto afferma il Cicogna - un Diario o Cronaca di cose occorse nel mondo a partire dal 1537. 1 suoi contatti con il mondo artistico veneziano furono molto importanti. Il Palladio, il Veronese, il Vittoria e lo Scamozzi lo ebbero assiduo protettore e alla sua influenza certo si dovettero alcune delle commissioni che consentirono a questi artisti d'erigere e decorare edifici tra i più splendidi che siano sorti a Venezia nel secondo Cinquecento. A dare un'idea della importanza delle funzioni da lui espletate in qualità di riformatore allo Studio padovano, basterà ricordare che proprio nel periodo in cui egli ricopri per tre volte questa carica Padova fu per così dire l'epicentro filosofico e scientifico del mondo culturale ed accademico italiano e che in quegli anni lo Studio ebbe per professori lo Zabarella, il Piccolomini, il Cremonini e infine Galileo. La figura del B. resta una delle più interessanti del grande patriziato veneziano del sec. XVI: una classe dirigente che, se di solito viene soprattutto citata ad esempio per l'abilità e per la saggezza politica, non fu per questo meno interessata e meno direttamente compartecipe delle attività intellettuali che fiorirono sulla laguna.

La relazione di Francia del 1564 è in E. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, s. 1, IV, Firenze 1860, pp. 151-175, ma edita solo parzialmente; più ampia è l'edizione fornita da N. Tommaseo, Rélations des ambassadeurs vénitiens sur les affaires de France au XVI siècle, Paris 1838, 11, pp. 1-101; il testo integrale si conserva presso l'Arch. di Stato di Venezia. Le due relazioni di Costantinopoli si leggono in E. Albèri, s. 3, 1, Firenze 1863, pp. 299-346, e Appendice, XV, ibid. 1863, pp. 387-415.

Fonti e Bibl.: N. de' Conti, Historie dei suoi tempi volgarizzate da G. C. Saraceni, Venezia 1589, passim; G.M, Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, I, p. 272 ss.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, pp. 363 ss.; IV, ibid. 1834, p. 686; Ch. Yriarte, La vie d'un patricien de Venise au seizième siècle, Paris 1874.

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