MOROSINI, Marcantonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MOROSINI, Marcantonio

Giuseppe Gullino

– Secondo dei due figli maschi di Roberto di Marco e di Fresca Contarini di Leonardo di Pietro, nacque a Venezia, nella parrocchia di Santa Giustina, il 17 luglio 1434.

Rimase orfano del padre quando aveva al massimo due anni e la madre si risposò nel 1438 con Lorenzo Moro del procuratore Antonio, da cui ebbe vari figli, fra i quali Cristoforo che, tra la fine del XV secolo e i primi anni del successivo, fu più volte provveditore in campo. Alcuni genealogisti accompagnano il nome di Morosini con il titolo dottorale, ma la notizia non trova conferma nei documenti ufficiali; peraltro varie testimonianze lo dicono coltissimo, a cominciare da Marco Antonio Sabellico, che nel 1502 gli dedica il dialogo De latinae linguae reparatione.

Si sposò nel 1458 con Andriana Soranzo di Gabriele di Luca, dalla quale però non ebbe figli; rimase sterile anche il secondo matrimonio, contratto dopo il 1484, con Donata Donà di Pietro, vedova di Giorgio Pisani (la quale, nel testamento redatto il 22 agosto 1525, avrebbe ricordato solo una figlia adottiva, Morosina, «quam accepi ab hospitali pietatis»: Arch. di Stato di Venezia, Cancelleria Inferiore. Notai diversi, b. 29/2945, c. 1v).

Il tirocinio politico di Morosini ebbe inizio con una magistratura secondaria, in quanto il 18 dicembre 1461 venne eletto visdomino al fontico dei Tedeschi, ma una volta portato a termine l’incarico preferì non accettare ulteriori nomine da parte del Maggior Consiglio in quanto ambiva a una carriera nell’ambito senatorio. Fu così eletto savio agli Ordini per il primo semestre 1466; il 26 aprile 1468 figura fra i testimoni di un’investitura feudale avvenuta a Palazzo Ducale, quindi fu eletto auditore delle Sentenze Vecchie il 12 ottobre 1471, ma rifiutò. A escluderlo dal Collegio contribuiva la presenza di altri due Morosini, Paolo e Domenico, benché appartenenti ad altri rami. Il 3 settembre 1473 accettò pertanto di recarsi ambasciatore presso Carlo il Temerario, in sostituzione di Bernardo Bembo, che l’anno prima aveva concluso un trattato di alleanza fra la Repubblica e il Ducato di Borgogna. Morosini tardò a partire (il 23 marzo 1474 si trovava ancora a Venezia) e giunse in Lussemburgo solo nell’estate seguente; la missione, finalizzata soprattutto al reclutamento di uomini d’arme da opporre al duca Sigismondo d’Austria, durò poco più di un anno, poiché il 24 luglio 1475 il Senato gli accordò il rimpatrio, date le sue cattive condizioni fisiche. Lo ritroviamo a Venezia, fregiato del titolo di cavaliere, l’8 gennaio 1476; il 28 agosto 1477, podestà a Crema, tentò di porre un freno alle turbolenze nobiliari con l’esilio di vari esponenti delle principali casate.

Il rimpatrio fu seguito da un’ulteriore latitanza dalla politica, interrotta il 12 novembre 1479 con l’elezione ad ambasciatore a Firenze; senonché il 17 dicembre gli fu concesso di trascorrere il Natale a Venezia, dove il 23 marzo 1480 fu incaricato di accogliere in città il duca Renato di Lorena, per cui la legazione fiorentina non ebbe luogo, oppure fu brevissima. In ogni caso, da marzo a settembre 1480 poté finalmente entrare a far parte del Collegio in qualità di savio di Terraferma; dopo di che, il 5 aprile 1481, assunse la podestaria di Bergamo, dove rimase fino al 20 ottobre 1482.

Rientrato a Venezia, neppure due mesi più tardi, il 16 dicembre, fu nuovamente eletto savio di Terraferma e, nello stesso giorno, provveditore generale in Polesine, dove la Repubblica era impegnata nella guerra contro gli Estensi, che stava rivelandosi più difficile del previsto. Entrambi i responsabili delle operazioni militari, Federico Corner e Giovanni Emo, erano stati colpiti dalla malaria e Morosini subentrò loro presso il comandante delle truppe, Roberto Sanseverino; ma la condotta della guerra continuò a ristagnare. Il 5 marzo 1483 Morosini riferì al Senato, dopo di che, con l’approssimarsi della nuova campagna, ritornò in Polesine in compagnia del nuovo collega Jacopo De Mezzo, fra i più prestigiosi uomini politici veneziani. Non per questo, tuttavia, si ebbero risultati migliori, e così qualche mese dopo, il 10 giugno, Morosini e Sanseverino furono inviati in Lombardia per opporsi ai milanesi di Gian Giacomo Trivulzio, mentre il comando delle truppe a Pontelagoscuro era affidato a Renato di Lorena. Ai primi giorni di luglio Morosini valicò l’Adda, ma non si verificarono scontri di rilievo, sinché a ottobre «hessendo per le fatiche patite ammalato, abuto licentia dal Senato di venir a curar la egretudine sua, giunse in questa terra» (Sanudo, Le vite dei dogi, II, 2001, p. 398).

Il 17 novembre, peraltro, fu eletto ambasciatore presso Carlo VIII, in occasione della sua ascesa al trono, ma non partì a causa della cattiva stagione; vi fu riconfermato il 3 febbraio 1484, insieme con Bernardo Bembo e Luca Zen, ma neppure stavolta la missione ebbe luogo; conclusa la guerra di Ferrara, assunse la podestaria di Brescia, ove prese possesso di Asola, precedentemente occupata da Francesco Gonzaga. Al momento di rimpatriare, fu invece inviato ambasciatore a Milano, a sostituirvi pro tempore Girolamo Zorzi, incaricato di una missione presso il re di Francia, allo scopo di ottenere la restituzione di certe navi mercantili depredate dal corsaro Colombo.

Il 2 novembre 1485 entrò avogador di Comun, ma il 3 gennaio 1486 si dimise accusando cattiva salute, salvo a riassumere l’incarico il 29 giugno 1487; dopo di che, a novembre si recò a Napoli come ambasciatore presso il re Ferdinando, onde mediare un accordo di quel re con il papa Innocenzo VIII e per distogliere l’Aragonese da possibili reazioni contro la Repubblica, in procinto di annettersi l’isola di Cipro. Si trattenne a Napoli per molti mesi; rientrato a Venezia all’inizio dell’estate 1490, un anno dopo, il 10 luglio 1491, fece il suo ingresso come podestà a Verona e il 19 ottobre fu incaricato di portarsi a Trento per omaggiare il re dei Romani, Massimiliano d’Asburgo, che però, offeso per non essere stato onorato di una specifica ambasceria, rifiutò di riceverlo.

Nuovamente a Venezia nell’autunno 1492, il 7 gennaio 1493 fu eletto provveditore alle Pompe; il 10 giugno rifiutò la nomina all’ambasceria di Roma e lo stesso fece per l’avogaria di Comun il 29 giugno, accusando malferma salute; ciononostante il 24 settembre 1494 assunse il capitanato di Padova. Era in atto l’avventura italiana di Carlo VIII, e quando si costituì la lega antifrancese, Morosini prese parte alla battaglia di Fornovo (6 luglio 1495) e si spinse sino a Novara con un reparto di soldati.

Il 3 maggio 1496 entrò ufficiale sopra gli atti dei Sopragastaldi e il 21 agosto fu eletto ambasciatore all’imperatore Massimiliano, che stava portandosi in Italia per la guerra di Pisa; cercò di scansare l’incarico «con dir – annota Sanudo (Diarii, I, 1879, p. 277) – che l’ha una gamba marza», ma dovette accettare. Il 2 settembre si mise in viaggio assieme al collega Antonio Grimani; a Milano si unì a loro Marco Dandolo e il 15 settembre erano a Vigevano, dove già si trovava Francesco Foscari. L’incontro con Massimiliano avvenne l’indomani; nell’occasione Morosini «vestito d’oro, fece una breve et sapientissima oratione latina» (ibid., p. 316), quindi si fermò a Tortona con Grimani ammalato e insieme tornarono a Venezia il 28 ottobre.

Nell’ottobre 1497 entrò a far parte del Consiglio dei dieci; quindi (23 settembre 1498) fu incaricato con due colleghi a trattare la pace con la delegazione fiorentina e il 10 ottobre venne eletto consigliere per il sestiere di Castello. Nell’estate 1499 la Repubblica si trovò coinvolta in un duplice fronte: contro i turchi fino alla negativa conclusione del conflitto, avvenuta nel 1503, e assieme con i francesi in Lombardia; il 24 luglio Morosini fu eletto provveditore in campo nel Bresciano, dove il 6 settembre fu «a parlamento con certi cittadini di Cremona per veder di haver la terra, la note aciò non fusse veduto» (ibid., II, 1879, p. 1254). Così avvenne e Morosini fece il suo ingresso in città due settimane dopo con le truppe del conte di Pitigliano, Niccolò Orsini, ma, poiché la resa del castello era stata ottenuta per denaro, fallì l’elezione a savio del Consiglio il successivo 4 ottobre; solo un anno dopo (1° ottobre 1500) fu confermato nella carica.

Fu poi nuovamente (19 aprile 1501) ufficiale al Sopragastaldo, ma per poco: in agosto diventò ancora consigliere ducale per il sestiere di Castello, quindi (6 ottobre e 19 dicembre 1501, 20 gennaio 1502) mancò l’elezione all’alta carica di procuratore di San Marco. Era ormai fra i più prestigiosi ed esperti membri del patriziato, come anche prova l’elezione a savio del Consiglio, avvenuta il 26 settembre 1502, con il compito precipuo di trattare con un ambasciatore francese latore di importanti proposte. Si dimise dall’incarico a fine marzo 1503, accusando cattiva salute, ma vi fu rieletto il 1° giugno e di lì a poco (23 agosto 1503) diventò procuratore di San Marco de supra.

La scomparsa dalla scena politica di Cesare Borgia stava trascinando la Repubblica verso una politica aggressiva in Romagna, ma nei dibattiti che si succedettero in Senato Morosini suggerì una condotta prudente e moderata, per cui l’11 novembre 1503 entrò a far parte dell’ambasceria straordinaria per onorare il nuovo papa Giulio II, benché la missione non avesse luogo, data la cattiva stagione.

Nuovamente savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1504, si assentò più volte da Venezia per soggiornare a Padova, in considerazione di una salute sempre precaria; così negli anni che seguirono venne più volte rieletto alla prestigiosa carica, ma senza mai portarla a termine. E tuttavia Sanudo fa intendere che Morosini non volle mai troncare nettamente l’attività politica, combattuto com’era fra il desiderio di prendervi parte e la impossibilità fisica di sostenere un compito che ormai soverchiava le sue forze.

Morì a Venezia la notte fra l’11 e il 12 aprile 1509.

Fu sepolto a S. Francesco della Vigna nella cappella della Madonna, con iscrizione, e il suo ritratto rimase esposto nella sala del Maggior Consiglio fino all’incendio del 1577. Nel testamento, redatto il 29 marzo 1508, aveva nominato commissario il «carissimo fradelo» Cristoforo Moro e lasciato i suoi beni ai nipoti, eccettuate alcune case a Venezia, destinate ai marinai poveri.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti…, V, pp. 285, 383; Avogaria di Comun, Prove di età per magistrati, b. 169, c. 104v; Segretario alle voci. Misti, regg. 6, cc. 8r, 17v, 19r, 51v, 112r, 132r, 141r; 7, cc. 2v, 4rv, 7v, 8rv; 15, c. 57r; Senato, Secreti, regg. 22, c. 168r; 27, cc. 42-43, 47-48, 53-54, 77-78; Senato, Terra, regg. 7, cc. 15v, 16v, 18r, 34r, 80r, 101v, 161r; 8, cc. 71rv, 76v, 180rv, 181v; Notarile, Testamenti, b. 1228/248; b. 1220/207 (della madre); Cancelleria Inferiore. Notai diversi, b. 29/2945 (testamento della seconda moglie, rogato il 22 agosto 1525); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 134, 358; III, ibid. 1830, pp. 354, 515; D. Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Archivio storico italiano, VII (1844), 2, pp. 465, 557, 621, 889; M. Sanudo, I Diarii, I-VIII, Venezia 1879-82, ad indices; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 162, 282; M. Sanudo, Le vite dei dogi (1474-1494), a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1989, pp. 17, 152, 164, 314; II, ibid. 2001, pp. 341, 349, 361, 373, 398, 407, 462, 505, 516, 536, 560, 562, 588, 594, 608, 631, 652, 685, 694 s.

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