DALIO, Marcel

Enciclopedia del Cinema (2003)

Dalio, Marcel (propr. Israel Moshe Blau-schild)

Serafino Murri

Attore cinematografico francese, di famiglia ebrea romena, nato a Parigi il 17 luglio 1900 e morto ivi il 20 novembre 1983. Di formazione teatrale, talento scrupoloso e metamorfico, spesso destinato a ruoli di spalla per le sue virtù di caratterista credibile perfino nelle parti dello straniero, D. venne lanciato a metà degli anni Trenta da registi popolari come Julien Duvivier e Jean Renoir. Trasferitosi negli Stati Uniti in seguito all'invasione nazista della Francia, lavorò, tra gli altri, con Josef von Sternberg, Howard Hawks, Samuel Fuller e Billy Wilder. Tornato a vivere in Francia nel dopoguerra, alternò per tutta la vita l'attività nel cinema nazionale a quella negli studios hollywoodiani, quasi sempre in noir o in polizieschi.

Dopo un periodo di apprendistato presso l'Accademia d'arte drammatica di Parigi, durante gli anni Venti D. diede inizio alla sua carriera di interprete lavorando nei cabaret della capitale francese. Il primo, piccolo ruolo cinematografico lo ottenne nel 1934 nel cortometraggio di esordio di Robert Bresson, la curiosa comica grottesca Affaires publiques; fu poi in Turandot, princesse de Chine (1934) di Gerhard Lamprecht e Serge Veber. Dopo aver recitato in piccole parti, diretto da Duvivier nel remake del classico dell'orrore del periodo muto Le Golem (1935) e da Abel Gance nel biografico Un grand amour de Beethoven (1936; Un grande amore di Beethoven), girò nel 1937 il torbido dramma di malavita Cargaison blanche di Robert Siodmak. Di lì a poco fu lanciato come caratterista di notevole spessore, grazie al ruolo del meticcio L'Arbi nell'esotico film di gangster alla francese Pépé le Moko (1936; Il bandito della casbah) di Duvivier, e quindi, sempre accanto a Jean Gabin, con la straordinaria interpretazione del tenente ebreo Rosenthal nel capolavoro pacifista La grande illusion (1937; La grande illusione) di Renoir. Diventato volto celebre del firmamento nazionale, partecipò a moltissimi film di genere, lasciando un grande ritratto della nobiltà decaduta nel ruolo del marchese de la Chesnaye in La règle du jeu (1939; La regola del gioco), sempre di Renoir. Emigrato nel 1940 in Canada, dove lavorò per un paio di stagioni teatrali, D. riuscì a scampare alle persecuzioni naziste (i genitori, rimasti in Francia, furono invece deportati e poi uccisi in un campo di sterminio). Nello stesso periodo ebbe inizio la sua carriera hollywoodiana, sempre in ruoli piuttosto marginali di immigrati francesi, nel poliziesco Unholy partners (1941) di Mervyn LeRoy, in The Shanghai gesture (1941; I misteri di Shanghai) di von Sternberg, in Casablanca (1942) di Michael Curtiz in cui è il croupier Emile, e in To have and have not (1944; Acque del Sud) di Hawks, nella parte di Gérard, il proprietario del bar legato alla Resistenza. Dopo aver girato in patria Dédée d'Anvers (1948) di Yves Allégret e Black Jack (1950; Il grande avventuriero) di Duvivier, nel 1953 tornò a lavorare con Hawks nel ruolo del magistrato in Gentlemen prefer blondes (Gli uomini preferiscono le bionde). Fu poi diretto da Wilder, come barone St. Fontanel, in Sabrina (1954), da Fuller in China gate (1957; La porta della Cina) e da Henry King in The sun also rises (1957; Il sole sorgerà ancora). La sua carriera proseguì con continuità e senza rilevanti cambiamenti di ruolo, per lo più in produzioni commerciali, ma anche in film di un certo rilievo come Classe tous risques (1960; Asfalto che scotta) di Claude Sautet, The devil at four o' clock (1961; Il diavolo alle quattro) di LeRoy, Catch-22 (1970; Comma 22) di Mike Nichols. Durante gli anni Settanta D. cominciò a lavorare sempre più frequentemente in produzioni televisive francesi. Nel 1975 partecipò al film erotico di culto La bête (La bestia) di Walerian Borowczyk, e fu poi protagonista, accanto a Daniel Gelin, di L'honorable société (1978) di Anielle Weinberger. La sua ultima apparizione fu in Brigade mondaine: Vaudou aux Caraïbes (1980) diretto da Philippe Monnier.

Bibliografia

Marcel Dalio: mes années folles, éd J.-P. De Lucovich, Paris 1976.

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