Marche
di Stefania Montebelli
Dopo la crescita demografica verificatasi nell'intervallo 1971-1991, la popolazione delle M. ha continuato a crescere a ritmi costanti, anche se differenziati a livello provinciale, fino a raggiungere, alla fine del 2005, la quota di 1.528.809 ab., con una densità di 157,7 ab./km2. Elevato l'incremento della provincia settentrionale di Pesaro e Urbino, che ha continuato a crescere regolarmente, mentre diversa si presenta la situazione delle province di Ancona e Ascoli Piceno che, dopo la diminuzione subita nel periodo 1971-1991, sono in forte ripresa. Sostanzialmente costante, invece, la crescita demografica della provincia di Macerata. Alcuni mutamenti si sono avuti sulla distribuzione della popolazione che, proprio nel corso del periodo qui preso in esame, ha contribuito a modificare le secolari caratteristiche insediative e demografiche della regione. Le zone di montagna e quelle collinari, da un punto di vista produttivo meno attraenti, si stanno spopolando in seguito a un nuovo e consistente flusso migratorio che è diretto verso la fascia costiera. Anche l'insediamento a fondovalle, dove si sono localizzate nuove attività facilitate dalla presenza di migliori e più numerose infrastrutture viarie, sta crescendo rispetto ai tradizionali insediamenti ubicati sulle dorsali e sulle alture. Tende a diminuire invece la popolazione urbana dei capoluoghi rispetto agli altri centri abitati, come fenomeno legato alla minore capacità polarizzatrice dei primi. I processi di spopolamento montano, di contenimento demografico dei centri maggiori e d'incremento della popolazione costiera sono andati di pari passo con un declino della prolificità tanto che, nel primo quinquennio del 21° sec., l'indice di fecondità regionale risultava inferiore a quello nazionale di circa un decimo di punto. Il tasso di mortalità (10,1‰ nel 2004), invece, si è arrestato su un valore di poco superiore a quello medio italiano (9,5‰). Per quanto concerne la presenza extracomunitaria nella regione, si è avuto un considerevole incremento della popolazione straniera residente che, alla fine del 2004, è arrivata a quota 81.890, contribuendo così a contenere la diminuzione dell'indice di fecondità. Analizzando i dati dei capoluoghi, la città con più stranieri risulta essere Urbino (5,4%), seguita da Ancona (3,4%) e Macerata (3,2%), mentre Pesaro e Ascoli Piceno si collocano a livelli più bassi della media nazionale.
Dopo la fase di ristagno produttivo degli anni 1992-93, la regione ha acquisito una migliore diversificazione produttiva, che vede nelle piccole e medie imprese la parte preponderante del tessuto economico. Il grande potenziale industriale e commerciale ha iniziato a svolgere un ruolo sempre più importante, in qualche modo concludendo il passaggio dalla società agricola tradizionale, dominata dalla mezzadria, a una società industriale e di servizi. Una transizione non certo semplice che ha comunque permesso alle M. di raggiungere un reddito lievemente superiore alla media nazionale e un tasso di disoccupazione (4,7% nel 2005) più vicino alle realtà delle regioni padane che non di quelle dell'Italia centrale. Queste circostanze hanno condotto a una discreta ricchezza che, distribuita in maniera omogenea tra le diverse province, è riuscita ad attenuare ulteriormente gli squilibri territoriali. Anche se a livello nazionale rimane significativo il peso economico e occupazionale del settore agroalimentare (con particolare riferimento alla surgelazione, agli insaccati, alla lavorazione del pescato e alla produzione di vino), permangono irrisolti alcuni problemi legati alla produttività di quello agricolo, inferiore alla media nazionale, la cui già ridotta competitività è aggravata dalla modesta fertilità del suolo; pur tuttavia, l'agricoltura nel 2005 ha registrato un aumento degli occupati del 3,7%, in controtendenza con la situazione nazionale che ha subito nel corso dello stesso anno un calo della domanda di lavoro di circa l'1,8%. A diminuire del 7,1% rispetto al 2004 (pari a circa 14.800 unità), è invece il numero degli occupati nel settore industriale, anche se la regione, pur tradizionalmente agricola, è caratterizzata da un peculiare assetto socioeconomico che ha condotto a uno sviluppo diffuso, dovuto in larga misura all'affermarsi del fenomeno dei distretti industriali. Basata su un'impresa di piccola e media grandezza, l'industria marchigiana si innesta in modo diretto sulla produzione artigianale, utilizzando capitali di provenienza locale e formando aree fortemente orientate sulla monoproduzione. Di particolare rilevanza i distretti di Pesaro (mobilificio e ceramica), Macerata (calzature), Tolentino (lavorazione di pelli e cuoio), Fabriano (carta), San Benedetto del Tronto (alimentare) e Castelfidardo (rinomata per gli strumenti musicali e, in particolare, per le tastiere elettroniche). Inoltre, la diffusa distribuzione decentralizzata dei nuclei urbani, con la consequenziale scarsa densità demografica caratterizzata da una residenza diffusa, ha dato vita a una serie di interdipendenze tra il territorio regionale, con le sue numerose specificità locali, e la crescita economica. Anche il settore terziario, non ancora pienamente sviluppato rispetto alle sue reali potenzialità (l'occupazione nel 2005 è rimasta sostanzialmente stazionaria), ha subito dagli anni Ottanta un cospicuo impulso, visibile nella sempre più rilevante mobilità territoriale delle banche, spinte da nuovi processi di fusione, e nel settore dei servizi sociali, potenziati nelle aree di forte concentrazione demografica, nonché nell'intensificarsi della rete commerciale all'ingrosso e al dettaglio che ha vivificato nuove direttrici di flusso per merci e persone. Importante risorsa regionale risulta essere il turismo, fortemente legato all'impresa a conduzione familiare. Di maggiore rilevanza rispetto a quello culturale (fatta eccezione per Urbino), il turismo balneare, che di fatto si salda con quello romagnolo in una continuità di sviluppo costiero che fa di Gabicce Mare, Fano e Senigallia le maggiori località turistiche regionali. Il turismo interno è, invece, ostacolato da un'ancora insufficiente rete di comunicazione che rende molte zone isolate rispetto alle grandi direttrici del traffico. Il capoluogo regionale, Ancona, servito dalla principale linea ferroviaria, dall'autostrada Bologna-Ancona-Bari e dal vicino aeroporto internazionale Raffaello Sanzio di Falconara Marittima, è dotato di un importante porto dove si movimentano, per lo più, metalli, legname, cereali, semi oleosi, mangimi, carbone, prodotti chimici e fertilizzanti, con un traffico merci nel 2005 pari a 9,2 milioni di t di merci. Per quanto concerne il commercio in uscita, si assiste a una differenziazione tra la situazione nazionale, che ha registrato nel corso del 2005 un aumento solo dello 0,3% in termini reali, e quella delle M., le cui esportazioni, invece, sono aumentate del 4,6%.
di Emma Ansovini
Fino al 1990 la vita politica della regione fu dominata da un sostanziale equilibrio di forze tra due partiti, la Democrazia cristiana (DC) e il Partito comunista italiano (PCI), che ottennero rispettivamente nel 1970 il 38,6% e il 31,8%, nel 1975 il 36,9% e il 36,5%, nel 1980 il 37,1% e il 37,2, nel 1985 il 36,1% e il 35,7%: in queste prime quattro legislature la regione fu guidata da giunte di centrosinistra (DC, Partito socialista italiano, Partito repubblicano italiano, Partito socialdemocratico italiano). Dopo le consultazioni del maggio 1990, in cui i consensi della DC rimasero immutati mentre il PCI scese al 30%, si formò di nuovo una giunta di centrosinistra, che rimase in carica però solo fino a luglio, quando fu sostituita da una coalizione formata dalla DC e dal Partito socialista italiano (PSI) cui, nel 1993, si aggiunsero i Verdi 'Arcobaleno'. Le elezioni dell'aprile 1995, condotte sulla base di una nuova legge elettorale che prevedeva l'attribuzione del 20% dei seggi con un criterio maggioritario, videro il successo della coalizione di centrosinistra (26 seggi su 40), guidata dal candidato alla presidenza della Regione V. D'Ambrosio, e costituita dal Partito democratico della sinistra (PDS, 33,6%), Partito della rifondazione comunista (PRC, 10,2%), Patto dei democratici (4,6%), Federazione dei verdi (2,9%), Partito repubblicano italiano (PRI, 2%). Il Partito popolare italiano (PPI), presentatosi con un proprio candidato, ottenne il 6,1% dei voti e 2 seggi, mentre 12 seggi andarono allo schieramento di centrodestra formato da Forza Italia (19,6 %), Alleanza nazionale (AN, 15,3%), Centro cristiano democratico (CCD, 3,2%). Le elezioni dell'aprile 2000, in cui per la prima volta era stata introdotta dalla legge costituzionale del 22 novembre 1999 l'elezione diretta del presidente della Regione, videro la vittoria della coalizione di centrosinistra, ancora guidata da D'Ambrosio, che conquistò 25 seggi su 40. Della coalizione facevano parte i Democratici di sinistra (DS, 26,8%), il PRC (6,5%), i Popolari democratici europei (5,2%), i Democratici (4,3%), la Federazione dei verdi (2,6%), il Partito dei comunisti italiani (PdCI, 2,4%), i Socialisti democratici italiani (SDI, 2,4%). Allo schieramento di centrodestra andarono 15 seggi. Ottennero rispettivamente: Forza Italia il 19,6%, AN il 16,2%, i Cristiani democratici uniti (CDU) il 4,9%, il CCD il 3,5%. Il centrosinistra (L'Unione per le Marche) si affermò anche nelle consultazioni del maggio 2005 quando, guidato da G.M. Spacca, ottenne 24 seggi su 40. La coalizione era composta da Uniti nell'Ulivo (40,1%), PRC (6,3%), PdCI (4%), Federazione dei verdi (3,3%), Popolari-UDEUR (Unione democratici per l'Europa, 1,8%). Il centrodestra (Per le Marche) conquistò 16 seggi. Alle liste andarono le seguenti percentuali di voti: 18% a Forza Italia, 12,9% ad AN, 7,2% all'Unione dei democratici cristiani e di centro (UDC).