SALUZZO, marchesi di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SALUZZO, marchesi di

Maddalena Moglia

SALUZZO, marchesi di. – La famiglia dei marchesi di Saluzzo discese da Manfredo, primogenito di Bonifacio del Vasto che, unendo nella sua persona sia l’eredità arduinica che quella aleramica, vide concentrate nelle proprie mani un ingente patrimonio disperso tra Savona e il Tanaro.

Nel 1142 i sette figli di Bonifacio, dopo circa vent’anni durante i quali avevano gestito collettivamente i beni paterni, si spartirono l’insieme dei possedimenti e dei diritti che il padre aveva lasciato dopo la morte nel 1125. Dal primogenito Manfredo – a cui toccò il territorio compreso principalmente tra le Alpi, il Po e la Stura - discesero i marchesi di Saluzzo, mentre gli altri figli diedero vita ad altre stirpi marchionali, quali quelle dei marchesi di Busca, di Ceva e di Clavesana, quelle di Albenga, di Savona, del Carretto e di Finale.

I Saluzzo presero il nome dall’omonimo centro, oggi in provincia di Cuneo. Inizialmente corte incastellata, il piccolo insediamento urbano passò per via ereditaria dai marchesi di Torino a quelli del Vasto per poi giungere a metà del XII secolo nelle mani dei discendenti di Manfredo, che a partire dal 1176 circa cominciarono a chiamarsi con il nome di marchesi di Saluzzo. Il borgo si trovava infatti al centro dei loro possedimenti: posto in un area particolarmente strategica, quasi priva di città e di forti poteri concorrenti, esso si presentava come il capoluogo di un potere territoriale in forte crescita. Inizialmente, i marchesi non diedero molta importanza al centro eponimo (altre sedi del potere erano Carmagnola, Racconigi, Revello, Dogliani), fino alla seconda metà del XIII secolo quando con Tommaso I divenne la loro residenza abituale. Da questo momento Saluzzo, che fu munita di un secondo castello, divenne un vero centro politico: qui vi si trasferì la corte, che conferiva una visibile stabilità al potere dei marchesi; si sviluppò un mercato, che divenne presto il principale della regione; infine, era questo il luogo dove si amministrava la giustizia. Saluzzo divenne insomma il principale centro di organizzazione del territorio circostante, fino ad assumere i caratteri di una «quasi città».

Importante fu la politica religiosa dei marchesi, di cui furono spesso le donne del casato a farsi promotrici: tra il 1127 e il 1219 furono fondate le abbazie cistercensi di Santa Maria di Staffarda - l’ente religioso attorno al quale si raccolse e si identificò la famiglia -, di Santa Maria di Casanova e di Santa Maria di Rifreddo; simboli del radicamento dei marchesi nel territorio, questi centri rappresentarono un polo insediativo ed economico alternativo a quello dei villaggi, ai quali i marchesi si appoggiarono per coordinare le proprie clientele locali.

Le vicende del centro urbano di Saluzzo testimoniano la grande capacità dei marchesi di adeguarsi alle evoluzioni politico-istituzionali che di volta in volta si affermarono nei loro territori e ai loro confini. Se inizialmente l’area sotto la loro giurisdizione era una compagine territoriale quasi priva di città ed erano quindi fondamentali le reti di rapporti personali, all’inizio del XIII secolo molte fondazioni di villenove, desiderose di ampi spazi di autonomia, generarono il passaggio nella regione da un policentrismo signorile a uno semi-urbano (Provero, 1995, p. 26). Alla metà del XIII secolo vediamo allora il borgo organizzarsi in Comune, anche se restò ugualmente fortemente legato ai marchesi (il castellano e il podestà erano figure scelte da loro) e svolse perlopiù compiti amministrativi (difesa del territorio e gestione delle risorse). Soltanto a partire dal 1511 Saluzzo divenne sede vescovile, ottenendo così a tutti gli effetti lo status di città.

Inizialmente i figli di Bonifacio non si organizzarono intorno ad una linea dinastica principale e cercarono di limitare al massimo la spartizione delle località e delle comunità sotto il loro controllo. Ma in progresso di tempo il patrimonio di ciascun erede venne via via diviso, frammentando ulteriormente l’eredità di Bonifacio del Vasto. A differenza dei suoi fratelli, però, Manfredo ebbe un solo figlio, Manfredo II, fatto che permise ai Saluzzo di mantenere un controllo più saldo nelle aree di loro competenza. Manfredo I, che compare per la prima volta nella documentazione nel 1123, attraverso un’accorta politica di acquisizioni fondiarie, di fondazioni monastiche e di concessioni feudali riuscì a ottenere la fedeltà dei principali signori della zona, una strategia che portò il suo patrimonio a raggiungere dimensioni nettamente superiori a quelle dei fratelli.

Rispetto a quello dei rami paralleli, il potere di Manfredo era dunque non solo più esteso ma anche ‘qualitativamente’ superiore e più ricco di potenzialità: se gli altri marchesi del Vasto diedero vita a delle signorie territoriali, Manfredo gettò in questi anni le basi per la formazione di un principato. In particolare, fu il rapporto con Federico I Barbarossa che rese evidente la superiorità del ramo di Saluzzo rispetto al resto del gruppo parentale. Stando al seguito dell’imperatore, Manfredo - che ebbe tra l’altro un ruolo rilevante nella fase preparatoria alla pace di Costanza (1183) - sviluppò una concezione del proprio dominio inteso come espressione di un potere di natura pubblica, dipendente in forma feudale dall’Impero.

A partire dal 1163, infatti, per registrare i propri rapporti con l’aristocrazia locale, i marchesi produssero una vera e propria documentazione marchionale, espressione concreta di questa nuova concezione. Il rapporto con l’Impero aveva dunque dato inizio a un profondo mutamento: sebbene questa nuova concezione del potere rimase in questi anni più intenzionale che effettiva, essa avrebbe gettato le basi per la formazione di un principato territoriale.

Ai primi del Duecento, subito dopo la disfatta di Bouvines (1214), i sostenitori subalpini di Ottone IV rimasero fedeli alla causa guelfa e stipularono alcuni accordi tesi a riaffermare la loro dedizione al rivale di Federico II di Svevia. Il 5 marzo 1215 la città di Vercelli, attorno alla quale si raccoglievano in quel momento i guelfi piemontesi, strinse un’alleanza con Milano, a cui si aggiunsero presto anche Como, Lodi, Novara, Piacenza, i marchesi Malaspina e i conti di Cortenuova. La coalizione nasceva in opposizione a tutti i partigiani degli Svevi, primo fra tutti nella regione il marchese di Monferrato. Nel giugno dello stesso anno, Vercelli stipulò un ulteriore trattato con il conte di Savoia Tommaso I, le cui aspirazioni erano dichiaratamente dirette contro il marchesato di Saluzzo, dove le sue truppe avrebbero dovuto trovarsi, secondo gli accordi, già verso la fine del mese. In quel periodo infatti, nonostante militasse nello stesso fronte antisvevo, Manfredo II di Saluzzo aveva cercato di liberarsi da un accordo stipulato due anni prima con Tommaso I che, attraverso un’accorta politica matrimoniale, legava il marchesato ai conti di Savoia.

Dovendo lottare contro le mire espansionistiche sabaude, i marchesi di Saluzzo strinsero importanti alleanze con i marchesi di Monferrato: attraverso il matrimonio tra Manfredo II (1175-1215) e Alasia, figlia di Guglielmo V di Monferrato, i Saluzzo consolidarono il loro ruolo all’interno dell’area piemontese e fu proprio Alasia che, a causa della morte prematura del marito, guidò per tre anni il marchesato fino alla maggiore età del nipote, Manfredo III. Tuttavia, quando Manfredo II morì nel 1215, i Savoia sfruttarono l’occasione della minorità dell’erede legittimo per stabilire con i Saluzzo un legame di dipendenza che, dopo alcune trattative, riuscirono a sigillare il 30 dicembre dello stesso anno: a nome proprio e del nipote, Alasia cedeva i diritti su alcuni castelli e territori del marchesato al Savoia, che li avrebbe a sua volta concessi in feudo al marchese stesso.

Il contratto feudale del 1215 rappresentò il primo anello di quella catena che nei secoli XIV e XV avrebbe stretto sempre più i Saluzzo ai conti di Savoia e dalla quale i marchesi non sarebbero riusciti a svincolarsi se non alleandosi con i delfini di Vienne o con la monarchia francese (Cognasso, 1968, p. 487). Negli anni successivi, i marchesi cercarono infatti di affrancarsi dal legame con i Savoia: il 5 luglio 1222 presso Testona Manfredo III (1215-1244), ormai raggiunta la maggiore età, strinse un importante trattato con il vescovo di Torino Giacomo di Carisio, rappresentante dell’imperatore in Piemonte. L’atto aveva uno spiccato carattere antisabaudo: i contraenti si obbligavano a coordinarsi nell’azione contro Tommaso I di Savoia, in quel momento ancora ribelle a Federico II. I marchesi di Saluzzo abbandonarono così lo schieramento guelfo, al quale erano stati fedeli sotto la guida di Manfredo II: nel 1238, quando Federico II si trovava in Piemonte dopo la battaglia di Cortenuova, Manfredo III è nominato tra le file dei conti e marchesi nel seguito imperiale.

L’alleanza con il fronte svevo non fermò la lotta contro i Savoia: nel 1226, un nuovo accordo con Bonifacio di Monferrato rinnovava l’alleanza contro Tommaso I che, passato al campo della pars imperii, era in quel momento vicario imperiale.

Alla morte di Manfredo III nel 1244, l’erede Tommaso I era ancora in minore età e fu posto sotto la tutela dello zio Bonifacio marchese di Monferrato. In questi anni, che videro l’acuirsi della lotta tra Federico II e il Papato, il marchesato di Saluzzo seguì la politica dei Monferrato, oscillante tra pars Imperii e pars Ecclesie, fino a quando, alla fine degli anni Quaranta, i due marchesati si schierarono dalla parte del pontefice, andando contro la tendenza della maggior parte delle città piemontesi che dagli anni Trenta avevano invece aderito allo schieramento svevo (in particolare, Asti, Cuneo e Torino).

Dopo la morte dell’imperatore (1250) il clima di incertezza politica e l’atteggiamento ambiguo che gli Aleramici avevano comunque mantenuto durante il conflitto tra i due poteri universali portarono un’instabilità che incise anche nelle dinamiche interne del marchesato. È in questo contesto che tra il 1251 e il 1253 iniziò una guerra contro i marchesi di Busca che vide coinvolti anche il Monferrato, i conti di Savoia e la città di Asti. Uscito vincitore dal conflitto, Tommaso I di Saluzzo (1282-96) si fece promotore di una forte azione di recupero e ampliamento dei diritti precedenti, con l’intento di rafforzare il controllo sul territorio.

È in questi anni che il marchese riuscì a estendere la propria signoria sulla città di Cuneo; a partire dal novembre del 1275, quando una coalizione formata da Asti, Guglielmo VII di Monferrato e Tommaso I di Saluzzo aggredì parte dell’esercito angioino che dalla Provenza si stava dirigendo contro la ribelle Asti, molti centri piemontesi cambiarono fronte, esponendo Cuneo, rimasta fedele all’Angiò, alle mire espansionistiche di Asti. Nell’estate del 1281, il gruppo dirigente cuneese decise allora di rivolgersi al marchese di Saluzzo, al quale nell’anno successivo consegnò la città. La soggezione al principato aleramico, in quel momento ancora poco strutturato dal punto di vista amministrativo ma forte militarmente, conferì alla città subalpina la sicurezza auspicata. Appena insediato, Tommaso I riuscì infatti a pacificare le fazioni cuneesi, dopo anni di sanguinose lotte civili tra filoangioini e filoastigiani. Con la dedizione della città, il marchese otteneva due terzi dei redditi della giustizia, la disponibilità dei beni comuni, l’obbligo per i Cuneesi di prestare servizio militare e il diritto di nominare il podestà e gli altri ufficiali cittadini, che dovevano tuttavia sottostare agli statuti approvati dal consiglio del Comune.

La fortezza fatta costruire nel 1289 dentro le mura urbane da Tommaso, che già possedeva in città un palatium, sembra riflettere il rapporto spesso ambiguo tra il signore e i governati: da una parte segno tangibile della protezione del dominus, dall’altra monito contro le ribellioni interne.

Solo nel 1306, alcuni anni dopo la morte di Tommaso I, la città tornò sotto l’influenza angioina. Tommaso I ebbe, come testimonia il suo testamento, una prole numerosa: cinque figli maschi, nove femmine e tre figli illegittimi. Oltre al primogenito Manfredo IV, che avrebbe ereditato il marchesato e la guida della famiglia, sono da ricordare Giovanni - che, investito dei territori e dei paesi alla destra del Tanaro, diede vita alle casate di Saluzzo-Dogliani e di Saluzzo-Clavesana - e i religiosi Bonifacio e Giorgio, fondatori della certosa di Mombracco (Cuneo).

L’espansione portata avanti nel Duecento subì una battuta d’arresto nel secolo successivo. A partire dagli anni Venti del Trecento, infatti, le conquiste di Tommaso I furono fortemente ridimensionate, sia per alcuni avvenimenti esterni (in particolare, il ritorno degli Angiò in Piemonte, il rafforzamento della presenza sabauda e l’insediamento di Teodoro Paleologo nel Monferrato), sia per l’aprirsi di una crisi dinastica all’interno del marchesato stesso.

Nel 1323 Manfredo IV di Saluzzo (1296-1330) nominò come erede principale il figlio cadetto Manfredo, avuto dalla seconda moglie Isabella Doria, a discapito del primogenito Federico. La situazione di tensione tra i due fratelli gettò le basi per un’intromissione dei potentati confinanti nelle dinamiche interne al marchesato: Federico chiese infatti il sostegno, nella guerra contro il fratello, del delfino di Vienne e del principe Filippo d’Acaia, mentre dalla parte di Manfredo si schierò Edoardo di Savoia. Ciò che è importante rilevare è che per ottenere il loro appoggio, sia Federico sia Manfredo prestarono giuramento feudale ai loro alleati, esponendo a pericolo gli spazi di autonomia del marchesato. Dopo un primo fallimentare tentativo di composizione delle tensioni, nel 1340 si arrivò a un conflitto aperto all’interno del quale la città stessa di Saluzzo fu saccheggiata dagli uomini di Manfredo a discapito di Federico II di Saluzzo, il figlio di Federico che dopo la morte del padre aveva ereditato le redini del casato. In questi anni molte famiglie nobili del Piemonte meridionale abbandonarono i legami feudali con i marchesi di Saluzzo e passarono alla fedeltà ai Savoia, ormai potenza egemone nella regione.

Per far fronte alle minacce di questi ultimi, in quel momento guidati dal potente Amedeo VIII, il marchese Tommaso III (1396-1416) [v. la voce in questo Dizionario] si legò alla corte dei Valois, dove soggiornò per alcuni anni. Il periodo trascorso oltralpe portò conseguenze non solo politiche: fu in questi anni, infatti, che il marchese compose lo Chavalier errant, un poema fortemente impregnato degli ideali e dei codici cavallereschi tipici della realtà francese. Non solo: Tommaso III chiamò il proprio secondogenito Ludovico, nome che non apparteneva all’onomastica dei Saluzzo ed era invece legato a quella dei sovrani di Francia.

Nel primo Quattrocento gli equilibri raggiunti fino a quel momento si sfaldarono: la protezione ricercata nella corona francese, in questi anni indebolita dagli avvenimenti della guerra dei Cent’anni, venne progressivamente meno, mentre aumentarono le pressioni di Amedeo VIII, finché nel 1413 Tommaso III prestò l’omaggio vassallatico ai Savoia, giuramento che fu rinnovato anche dal suo successore, il figlio illegittimo Valerano.

Quando Ludovico I (1416-75) [v. la voce in questo Dizionario] ereditò il marchesato dal padre nel 1416 la situazione cominciò a mutare. Infatti, nonostante la nuova dipendenza diminuisse il potere sovrano dei marchesi di Saluzzo obbligandoli a una serie di oneri militari e giuridici, nondimeno sotto la protezione del principato sabaudo il marchesato visse anni di proficua stabilità. Nei suoi sessant’anni di governo, Ludovico I riuscì a fermare l’arretramento territoriale che i suoi predecessori avevano subito, così che il marchesato sopravvisse senza subire ulteriori amputazioni.

Ludovico II (1438-1504) [v. la voce in questo Dizionario] subentrò al padre nel 1475. Se inizialmente egli continuò la politica paterna, già dal 1476 nuovi avvenimenti lo obbligarono a riconfigurare il proprio sistema di alleanze: il marchese riuscì sia a fare uso dei rapporti di fedeltà personali, ancora pienamente utilizzati come metodo di governo, sia a muoversi con abilità dentro relazioni internazionali sempre più complicate e continuamente mutevoli, riuscendo a sancire importanti alleanze con i confinanti domini dei Savoia, dei Monferrato e degli Sforza, con gli Estensi e con le città di Genova e Venezia, fino ad ottenere nel 1480 l’investitura per il marchesato dall’imperatore Federico III d'Asburgo. Dal 1492, il legame con la Francia si fece sempre più stringente, prima attraverso il rapporto con Carlo VIII poi con Luigi XII, sotto la cui ala Ludovico II compì i passi più importanti della sua carriera politica, arrivando ad essere nominato viceré del regno di Napoli nel 1502, due anni prima della morte, avvenuta nel gennaio del 1504.

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