MARCIONE

Enciclopedia Italiana (1934)

MARCIONE

Mario Niccoli

. Una delle personalità più interessanti del cristianesimo nel sec. I alla quale si . riporta un movimento, il più vasto e pericoloso, prima delle controversie ariane, che abbia attentato all'unità della chiesa cristiana. M. nacque negli ultimi anni del sec. I a Sinope, sulle rive meridionali del Mar Nero. Il padre di M. era il vescovo della città; Epifanio racconta anzi che il padre fu costretto a scomunicare il giovane figlio perché reo d'avere sedotto una fanciulla. Checché sia di ciò, è certo che M. dovette abbandonare per tempo la città natale: commerciante e armatore di navi, accumulò un'ingente fortuna. Ma fin da allora sembra che l'accettazione della fede tradizionale abbia suscitato in lui non pochi dubbî: tanto almeno è lecito arguire da quanto Ireneo riferisce sull'incontro (fra il 130 e il 140) di M. con Policarpo vescovo di Smirne. L'episodio avrebbe scarsa importanza se dovesse essere collocato anziché a Smirne o ad Efeso - come è forse più probabile - a Roma, all'epoca della visita che Policarpo fece a questa comunità (verso il 154). Comunque sia, M. si dovette recare a Roma verso il 140: in un primo tempo dovette rimanere in buoni rapporti con la comunità ufficiale, giacché questa accettò da lui in dono la somma di ben duecentomila sesterzî. Sembra anche probabile che i rapporti romani fra M. e lo gnostico Cerdone (v.), riferiti concordemente da Ireneo, Tertulliano, Ippolito, Eusebio ed Epifanio, non debbano avere influito che assai scarsamente al concretarsi della crisi spirituale di M. anche se sembri arrischiata l'opinione radicalmente negativa di A. v. Harnack. La rottura definitiva fra M. e la comunità romana (data che i marcioniti celebreranno poi come quella della fondazione della loro chiesa) va riferita al luglio del 144. In quel mese M. si presentò ai presbiteri della comunità; espose ad essi la sua convinzione che fosse impossibile conciliare la fede rivelata da Gesù e da Paolo col patrimonio religioso d'Israele accettato dalla Chiesa. Gli fu mostrato come i passi del Vangelo da lui invocato (Luca, V, 36; VI, 43) erano suscettibili di un'interpretazione armonistica: non volle convincersi e fu scomunicato previa restituzione della somma da lui versata alla comunità. È probabile, secondo l'opinione di A. v. Harnack, che in questa occasione M. consegnasse alla comunità romana una dichiarazione scritta circa i motivi del suo dissenso da questa. Mancano ulteriori notizie sull'attività di M.; la data della sua morte va collocata con probabilità verso il 160.

La perdita degli scritti originali di M. costringe chi voglia tracciare un quadro della dottrina marcionita a rifarsi soprattutto ai cinque libri dell'Adversus Marcionem di Tertulliano il quale - se non altro per il vivace, spesso grossolano realismo - era forse il meno adatto a intendere la spiritualità marcionita. A ciò si aggiunga che la tradizione eresiologica - a cominciare da Ireneo - tutta preoccupata a tracciare liste genealogiche di eretici e a stabilire fra essi rapporti di parentela, includendo arbitrariamente M. nel quadro dell'eresia gnostica (v. gnosticismo) ha contribuito non poco a far sopravvalutare gli accennati rapporti di M. con lo gnostico Cerdone e a fraintendere il vero senso dell'esperienza religiosa di M., ricca, come poche altre, di profonda originalità. Ma oggi la ricostruzione dell'opera e del pensiero marcionita, tracciata da A. V. Harnack, permette di situare la figura di M. nel suo giusto quadro.

La tradizione ortodossa era oramai concorde nel ricollegare senza soluzione di continuità il messaggio cristiano alle tradizioni religiose d' Israele: ricorrendo all'interpretazione tipologico-allegorica dei librì dell'Antico Testamento i fatti narrati da quello erano quindi interpretati come annuncio e prefigurazione dell'economica cristiana che - quasi Israele spirituale - era stata inaugurata da Gesù, il Messia promesso e atteso. M. ha rifiutato in blocco questa interpretazione: temperamento alieno da ogni sottigliezza erudita, da ogni forma di allegorismo, come da ogni speculazione filosofica; guidato da una linearità di pensiero ferrea nel suo semplicismo, egli non ha dubitato un istante che l'Antico Testamento andasse interpretato solo letteralmente e accettato come la verace e fedele cronistoria dell'uomo e del mondo. Leggendo con questo spirito l'Antico Testamento M., che rivela un'istintiva, quasi patologica, repugnanza verso la materia tutta e le leggi stesse della vita, non seppe vedere in esso altro che la storia di un dio che crea un uomo pieno d'imperfezioni, un mondo pieno di mali; che pone all'origine della vita una somma di atti osceni e ripugnanti. Un dio esso stesso imperfetto come l'opera sua, vittima dì mille incoerenze; un dio che non è, come nel dualismo persiano, un principio o ipostasi di male, ma che, quali che siano stati i suoi piani e la sua volontà, non ha mostrato mezzi e poteri adeguati all'opera prefissasi di organizzare il mondo della materia. Per questa sua incapacità, egli, per tenere a freno la sua opera così imperfetta, è ricorso a una legge ferrea e dispotica, nell'osservanza della quale ha posto il fondamento d'ogni morale e il compimento della quale è garantito da una serie di pene tutte poggianti sull'idea della legge del taglione, ch'egli applica con inflessibile crudeltà anche sui figli dei peccatori e fino alla quarta generazione. Ma questo atteggiamento di M. di fronte alla religiosità giudaica e al suo libro sacro, sarebbe rimasto in lui solo un coefficiente negativo e sterile, se egli non avesse letto in Paolo l'affermazione che la legge giudaica era stata definitivamente rimossa e abolita da Cristo. E difatti, il messaggio di Cristo, che nel discorso del Monte aveva annunciato il nuovo precetto dell'amore, del perdono, della misericordia, appariva a M. come qualche cosa di assolutamente, ineffabilmente nuovo, in perfetto contrasto con tutta intera la religiosità e la legge giudaica, che andava quindi per sempre bandita. L'originalità di M., la nota distintiva e insieme la chiave di vòlta di tutto il suo pensiero, va ricercata appunto in questa affermazione dell'assoluta novità della predicazione di Gesù. Se da questa, se dalla conseguente opposizione delle due economie religiose, M. è stato tratto a formulare un vero e proprio dualismo fra il "dio creatore" il "dio giusto" dell'Antico Testamento, e il "dio buono", il "dio straniero", fino a oggi sconosciuto, che si è rivelato in Cristo; questo dualismo, che del resto non si concreta mai in un duello metafisico fra due principî antitetici lottanti fra loro, è inessenziale al pensiero di M. è al più la conseguenza ineluttabile di alcune premesse essenziali. Cristo, il rivelatore del dio buono - i rapporti fra questo e quello, poco chiaramente distinti fra loro, rivelano in M. singolari affinità con posizioni modalistiche - è apparso improvvisamente nel mondo durante il quindicesimo anno di regno di Tiberio, uomo già fatto, ma non nato da donna (v. docetismo, XIII, p. 84) per predicare la nuova legge dell'amore, per abolire la legge del dio giusto. Ma gli apostoli di Gesù hanno tradito lo spirito del Vangelo, hanno continuato ad accettare la tradizione dell'Antico Testamento, a identificare il dio degli Ebrei con il dio buono e Gesù con il Messia atteso da quelli. Paolo ha avuto il merito - per quanto il suo stesso epistolario non sia immune da infiltrazioni legalistiche - di ricondurre la società cristiana alla verità del Vangelo.

Ma come potrà giungere alla salvezza chi opti per Cristo e per il Vangelo? A. v. Harnack ha asserito che per M. il conseguimento della salvezza richiede null'altro che un atto di fede nei meriti di Cristo redentore, ma l'affermazione del Harnack, che, con uno stranissimo anacronismo, presta ingiustificatamente a M. la mentalità d'un luterano, è smentita dal fatto (messo in luce da M. Zappalà) che in M. è presente l'idea del regno concepito come già attuato in Cristo e nella predicazione del Vangelo ("initiatio Evangelii, in quo est Dei regnum, Christus ipse"), idea che implica l'altra della salvezza conseguita attraverso la partecipazione a esso regno che è possibile solo a chi, attraverso una profonda palingenesi interiore (la μετάνοια evangelica) rinunci per sempre a condursi nella vita secondo le norme del dio creatore.

Diffusione del marcionismo. - Una volta dichiarato il suo netto dissenso con la chiesa ufficiale, M. dovette volgere tutta la sua attività a costituire di contro ad essa una chiesa concorrente ispirata alle sue idee. Quali siano stati i mezzi impiegati da M. nel suo lavoro, quali risonanze abbia avuto in concreto la sua propaganda è difficile dire per mancanza di dati diretti. Ma è certo che già nel secondo secolo i polemisti cattolici denunciano a gran voce, in Italia, in Gallia, in Africa, in Grecia, a Creta, in Asia Minore, in Egitto, la presenza del pericolo marcionita; e in essi l'asprezza della polemica è tale, la sensazione della minaccia rappresentata dal diffondersi del marcionismo è così netta da non rendere arrischiata l'affermazione dell'Amann che "verosimilmente in quasi tutte le città di qualche importanza una chiesa marcionita si levasse di contro alla comunità cattolica". Fra la metà del III e la metà del sec. IV il marcionismo segue la curva discendente della sua parabola: almeno in Occidente. In Oriente, superata non ingloriosamente la prova delle persecuzioni di Valeriano e di Diocleziano, il marcionismo seguita a vivere di prospera vita: soprattutto nella Siria meridionale e nella Palestina. Di fronte alle persecuzionì dell'impero cristiano, alla lotta senza quartiere dei vescovi cattolici, il marcionismo - presumibilmente alleato al manicheismo - abbandona a poco a poco le città per la campagna, le zone costiere per l'interno. Alla fine del sec. IV e nel V rappresenta ancora un pericolo per le comunità cristiane di lingua siriaca, e poi scompare quasi completamente. Tracce sicure di marcionismo sono riscontrabili nel Khorāsān ancora nel sec. X. Un eloquente sintomo degli sviluppi e delle deviazioni subite dalla dottrina di M. nella sua diaspora, è già nella dottrina del discepolo di M., Apelle (v.).

Opere di Marcione. - Gli eresiologi cristiani ricordano due scritti di M.: l'Instrumentum e le Antitesi. Più che una vera e propria opera l'Instrumentum marcionita è la raccolta degli scritti sacri accettati da M. M. rinnega in blocco tutti gli scritti dell'Antico Testamento e di quelli del Nuovo accetta solo il Vangelo di Luca e dieci lettere di S. Paolo. i. Hahn, Th. Zahn e A. v. Harnack hanno, nell'ordine, tentato di ricostruire, soprattutto in base al IV libro dell'Adversus Marcionem di Tertulliano, il vangelo marcionita. La ricostruzione del Harnack è la più plausibile. La narrazione cominciava col racconto della predicazione di Gesù a Cafarnao (IV, 31) e seguiva fino all'ultima apparizione di Gesù risorto (XXIV, 36-49). Oltre i capitoli I-IV, 30, M. aveva soppresso nel racconto di Luca tutti quei passi che parevano contraddire le sue idee e da lui ritenuti interpolati (ricordo della Madre e dei fratelli di Gesù; il segno di Giona; allusioni alla provvidenza del padre celeste; il figliol prodigo; annuncio della Passione; ingresso di Gesù a Gerusalemme e cacciata dei mercanti dal tempio; parabola dei vignaioli; profezia della distruzione di Gerusalemme, ecc.). La lezione dei passi stessi conservati nella recensione marcionita doveva essere modificata.

Il canone delle epistole paoline accettate da M. comprendeva, nell'ordine, le lettere: ai Galati, le due ai Corinzî, ai Romani, le due ai Tessalonicesi, ai Laodicesi, ai Colossesi, ai Filippesi, a Filemone. La lettera ai Laodicesi non è altro che quella riferita nel canone cattolico come lettera agli Efesini. Erano dunque ripudiate come non paoline (e la conclusione di M. è quella stessa dell'odierna critica liberale) le lettere pastorali e la lettera agli Ebrei. La ricostruzione dell'Apostolicon marcionita più recente e attendibile è, come per il Vangelo, quella di A. v. Harnack. Anche nelle lettere di S. Paolo, come nel Vangelo di Luca, M. aveva apportato tagli notevoli soprattutto a Galati e Romani.

L'Instrumentum marcionita fu redatto quasi certamente in greco. A. v. Harnack ha sostenuto la tesi che Tertulliano nel confutare M. abbia avuto sott'occhio e abbia seguito un testo latino neotestamentario di origine marcionita. A. D'Alès si è anzi domandato se la Bibbia marcionita non sia stata la prima di tutte le Bibbie latine. La tesi del Harnack, ripresa anche da H. von Soden, è stata contestata da E. Buonaiuti.

Dell'altra opera di M. non conosciamo con esattezza altro che il titolo (Antitesi) ripetutamente ricordato da Tertulliano. Il Harnack ha formulato l'ipotesi che le Antitesi dovessero essere un'opera nettamente distinta dall'Instrumentum e composta di due parti: nella prima dovevano essere discussi i rapporti fra Paolo e gli altri apostoli e quelli della Bibbia marcionita con la Bibbia cattolica, nella seconda sarebbero stati contenuti una serie di scolî esegetici all'Instrumentum. Il Harnack ha fatto anche un tentativo (certo meno felice degli altri già ricordati) di ricostruzione raccogliendo tutti i testi di M. citati dagli eresiologi e che - a suo parere potevano aver appartenuto alle Antitesi. L'ipotesi del Harnack, plausibile per ciò che riguarda il contenuto dell'opera, è soggetta a cauzione per ciò che riguarda la forma esteriore dell'opera stessa: niente vieta di credere che le Antitesi fossero un commentario, secondo le idee di M., all'Instrumentum e inseparabile da questo.

In un gran numero di manoscritti latini delle lettere di S. Paolo sono contenuti dei brevi prologhi a ciascuna epistola. Il De Bruyne, in ciò seguito dal Harnack, ha sostenuto che questi prologhi siano di origine marcionita. Questa tesi è stata discussa e combattuta da molti, specialmente da M.-J. Lagrange.

Bibl.: Fondamentale il lavoro di A. v. Harnack (Marcion: Das Evangelium vom fremden Gott, 2ª ed., Lipsia 1924), che ha dedicato ad esso cinquant'anni di studî. Lo stesso Harnack ha pubblicato un fascicolo di risposta alle discussioni suscitate dal suo libro (Neue Studien zu Marcion, Lipsia 1923). Oltre gli scritti citati dal Harnack, v.: A. Pott, Marcions Evagelientext, in Zeitschrift f. Kirchengesch., XIII (1923), pp. 202-223; J. Rivière, Sur la doctrine marcioniste de la rédemption, in Revue des sciences religieuses, V (1925), pp. 633-642; W. Mundle, Die Herkunft der "Marcionistischen" Prologe zu den paulinischen Briefen, in Zeitsch. neutest. Wiss., 1925, pp. 50-77; E. Buonaiuti, M. e il Nuovo Testamento latino, in Ricerche religiose, II (1926), pp. 336-348; M.-J. Lagrange, Les prologeus prétendus marcionites, in Revue biblique, XXXV (1926), pp. 161-173; M. Zappalà, Etica ed escatologia in Marcione, in Ricerche religiose, III (1927), pp. 333-355; R. Harris, On the trail of M., in Festgabe Deissmann, Tubinga 1927, pp. 333-355; R. Harris, On the trail of M., in Festgabe Deissmann, Tubinga 1927, pp. 97-107; H. von Soden, Der lateinische Paulutext bei marcion und Tertullian, in Festgabe Jülicher, Tubinga 1927, pp. 229-281; F. C. Burkitt, The exordium of Marcion's Anthiteses, in Journal of theological studies, 1929, pp. 279-280; E. Amann, in Dictionn. de théol. cath., IX, ii, col. 2009 segg.

La notorietà dell'autore, e la serietà scientifica di altre sue opere induce a ricordare gli scritti pubblicati - indipendentemente dal Harnack - da J. Turmel sotto lo pseudonimo di H. Delafosse (Nouvel examen des épîtres pauliniennes, in Revue de l'hist. des religions, 1924, pp. 193-224; Les écrits de saint Paul, voll. 4, 1926-1928; Le quatrième Évangile, Parigi 1925; Les lettres d'Ignace d'Antioche, Parigi 1927) nei quali l'autore ha sostenuto che: le lettere d'Ignazio sono opera d'un vescovo marcionita, Teoforo di Antiochia; che il IV Vangelo nella sua prima redazioneè opera marcionita composta in Asia prima che M. venisse a Roma; che l'edizione a noi nota delle lettere paoline non è che un rifacimento d'una precedente edizione marcionita interpolata da elementi cattolici verso la metà del sec. II; l'edizione marcionita precedente la rielaborazione cattolica sarebbe stata a sua volta ottenuta con interpolazioni marcionite nelle lettere originali di S. Paolo. Le opinioni del Turmel non hanno trovato credito.