BENEFIAL, Marco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENEFIAL, Marco

Evelina Borea

Nacque a Roma nel 1684 da genitori di origine francese. Dimostrò fin da giovanissimo attitudine alla pittura e fu affidato pertanto all'insegnamento di Bonaventura Lamberti, pittore di Carpi, buon seguace dei Carracci, il quale dal 1698 al 1703 ne diresse i passi entro un ambito culturale che si basava sullo studio della scultura antica, di Raffaello e della pittura bolognese secentesca, accogliendo anche le esperienze moderne del Maratta, del Luti, del Chiari. Tuttavia l'esordio pubblico del B. è contrassegnato da ribellione nei confronti dello spirito di accademia dominante la Roma artistica di quel tempo e tutta la sua vita è caratterizzata da polemiche prese di posizione, più clamorosa di tutte la protesta con la quale il pittore, nel 1720, accolse il decreto di Clemente XI secondo cui nessuno che non fosse iscritto all'Accademia di S. Luca poteva insegnare le arti del disegno; una pubblica protesta che ottenne la cassazione del decreto. Più tardi tuttavia, nel 1741, il B. cedette alla lusinga di far parte dell'Accademia, ma la scarsa soddisfazione che trasse dal trovarsi irreggimentato tra mediocri maestri lo indusse, nel 1755, a una violenta denuncia della ignoranza e faciloneria dei colleghi, che gli procurò ovviamente l'espulsione dall'Accademia stessa.

La carriera del B. fu lenta e difficile. Nel 1705 gli toccarono commissioni per la provincia marchigiana (i dipinti nel duomo di Iesi e nel S. Francesco di Fermo sono ancora in loco), ma passarono poi ben undici anni prima che il suo nome si legasse a un'importante commissione in Roma, che fu quella per la pala con S. Saturnino in SS. Giovanni e Paolo. Nel frattempo aveva dovuto soggiacere al compromesso di collaborare con un mediocre pittore, F. Germisoni, in opere di scarso conto, il cui compenso veniva diviso a metà. Tutte opere, quelle del primo periodo del B. (oltre le succitate, il Giona in S. Giovanni in Laterano, del 1718; la Madonna addolorata per la chiesa di S. Maria dei Sette Dolori, del 1721), decisamente marattesche; mentre il registro culturale appare arricchito nelle quattro tele inviate nel 1722 alla collegiata di Monreale, dove affiorano ricordi svariati, da Daniele da Volterra ad Annibale Carracci a Poussin, oltre il primo affermarsi di caratteri personali (allogate nel 1722, sono firmate e datate: la Deposizione e le Marie al sepolcro, 1724; la Resurrezione, 1725; l'Ascensione, 1727). Caratteri che già erano presenti nel S. Francesco della chiesa dei cappuccini di Bagnoregio, del 1723, prima opera notevole del Benefial. Seguì un altro periodo di difficoltà, durante il quale il pittore si piegò nuovamente a stipulare un accordo di "mezzeria", con Filippo Evangelisti, mediocre allievo del Luti, sotto il cui nome passarono molti quadri dipinti invece totalmente dal B., per esempio il S. Gallicano e gli infermi nella chiesa di S. Gallicano a Roma, di chiara ispirazione correggesca e carraccesca (databile a poco dopo il 1725, anno di inizio della costruzione della chiesa). Tuttavia, nel lungo periodo della società con l'Evangelisti, che si concluse nel 1741, il B. eseguì anche molte opere in proprio, per esempio le lunette in S. Maria delle Fornaci e le due tele nella chiesa della Trinità degli Spagnoli, dove si impongono lo studio attento e l'interpretazione dell'arte di Annibale Carracci; il Ritratto di famiglia, datato 1740, recente acquisto del Museo di palazzo Braschi, e altri naturalistici e arguti ritratti; gli undici grandi quadri per il duomo di Viterbo, più che mai "bolognesi" e direttamente ispirati al Domenichino, per lo meno i due (S. Lorenzo che distribuisce i beni; S. Lorenzo che dà la Comunione)di cui oggi si può giudicare, dato che gli altri sono stati distrutti nel 1943; la Morte della beata Giacinta Marescotti (Roma, S. Lorenzo in Lucina), di un forte e appassionato naturalismo, decisamente innovatore in quegli anni, a Roma.

Di Filippo Evangelisti furono credute per lungo tempo anche le due Storie di s. Margherita da Cortona che il B. dipinse per la cappella Boccapaduli all'Aracceli, tra il 1726 e il 1732, Suoi capolavori, di un patetico naturalismo che rammenta Ludovico Carracci e il Guercino.

Raggiunta verso il 1730 la pienezza del proprio stile, l'irrequieto pittore poteva tuttavia contraddire se stesso scendendo più d'una volta a compromessi con il gusto accademico imperante. Se in opere come la Strage degli Innocenti, oggi a Firenze nella collezione Ferroni, si salva per l'intelligente ripresa dalla mimica tragica di Nicolas Poussin, con altre, come la Flagellazione in S. Francesco delle Stimmate a Roma e la Visione di S. Caterina da Genova, ora a palazzo Corsini, si allinea con i professori dell'Accademia di S. Luca, fra i quali, infatti, venne accolto nel 1741.

Si alternano nel successivo periodo aulici ritratti, macchinosi affreschi, pale d'altare, in cui tuttavia è sempre possibile isolare brani di un'icastica rappresentazione del vero (specialmente nei riquadri dell'abside dei duomo di Città di Castello, dei 1747-49), e nella Decapitazione del Battista, datata 1752 (Oggi in ubicazione ignota), di singolare evidenza naturalistica.

Dal 1755, anno dell'espulsione dall'Accademia di S. Luca, sarà la tendenza anticlassicistica a dominare decisamente l'arte del B., culminando nel Ritratto di famiglia con Francesco Saverio, datato 1766, oggi nella Galleria di Arte Antica di Roma.

Nel 1750 circa il conte Nicola Soderini aveva assicurato al pittore la propria protezione: questo consentì al B. di dipingere tranquillamente durante l'ultimo periodo della propria vita, riattingendo alla per lui inesauribile fonte dell'arte bolognese secentesca, irruente e crudo nelle rappresentazioni tragiche, come nella Strage degli innocenti conservata nel palazzo di Propaganda Fide, idilliaco e quasi frivolo nelle scene mitologiche ora a Palazzo Corsini, ma sempre teso a una ricerca di verità storica, a una puntualizzazione del particolare, senza mai concedere a orpelli decorativi, e procedendo solo sulla scena della pittura contemporanea.

Morì nell'aprile del 1764, senza allievi di merito e, se non dimenticato, certo sottovalutato fino ai giorni nostri.

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